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L’acuirsi della malattia, l’esclusione e l’ansia per il futuro

Lo scatenarsi del malessere di Francesca, invece, ha alla base la “scelta

imposta di interrompere gli studi, un evento forzato che implica lo sradicamento

da un contesto di benessere relazionale prima che materiale, fondato su una

propria idea di Sé che da quella separazione è frantumata, cancellando ogni

progettualità e ogni attesa per il futuro sino ad allora immaginato:

A casa io mi sono alzata subito le maniche, ma mi mancavano tutte le suore, piangevo, il dolore che mi avevano fatto lasciare la scuola, sono dovuta andare da uno psicologo, dopo un anno, sono dovuta andare da uno psicologo perché mi sentivo talmente protetta dalle suore, mi sentivo talmente coccolata, che poi ho trovato sta realtà (---) brutta, ma brutta che non la auguro a nessuno ( Francesca)

A volte le parole mancano, e a segnalare il malessere e il disagio è la

difficoltà a ricordare, elaborare e riorganizzare narrativamente il proprio vissuto,

prima a se stesse e poi agli altri.

Io ricordo poco del mio passato, di quando ero piccola e anche degli anni più difficili, certe volte dimentico anche le cose che ho fatto di recente, e poi con queste giornate mi sento proprio male (---), la primavera non arriva (---)ma quando arriva?!(---) Credo di avere troppo stress addosso (Antonella).

La rimozione segnala una reazione a stimoli troppo stressanti. Scrive

Freud in merito «la facilità (e, in definitiva, anche la fedeltà) con cui noi

richiamiamo alla memoria una certa impressione dipende non soltanto dalla

costituzione psichica del singolo individuo, dalla forze che l’impressione aveva

quando era recente, dall’interesse ad esso rivolto, dalla costellazione psichica

attuale, dall’interesse che ora viene portato alla sua rievocazione, dai nessi in cui

essa è implicata eccetera, ma anche dal favore o sfavore di un particolare fattore

psichico, il quale si oppone alla riproduzione di ciò che provoca dispiacere o che

può in seguito condurre a una liberazione di dispiacere. La funzione della

memoria che ci rappresentiamo di solito come un archivio aperto a ogni desiderio

di sapere, è dunque soggetta a restrizione in forza di una tendenza della

volontà, al modo stesso come accade per ogni altro elemento del nostro

comportamento rivolto al mondo esterno» [1984: 429]. Nel racconto biografico il

programma di ricerca del ricordo seleziona i fatti, in parte li costruisce e li

organizza. Raccontare significa cercare tra i nostri significati sedimentati, ma

anche ricomporre le cosiddette broken images, immagini frantumate, di rottura

della routine che necessitano di un processo di produzione di nuovi significati.

Gli eventi vulneranti costituiscono un aspetto centrale nelle analisi

biografiche, la loro portata e il peso da questi assunto nell’evolversi dei processi

di impoverimento va osservata in corrispondenza con il sussistere o meno di

condizioni e risorse oggettive e soggettive, attuali e pregresse sulle quali essa si

propaga e si distribuisce. Gli eventi cioè non rappresentano semplicemente tappe

episodiche rilevabili nella cronaca cronologica della vita delle nostre intervistate.

Come suggerisce Olagnero [2005], gli eventi legano la storia al contesto. Eventi

e transizioni sono variabili continue, che non è possibile discretizzare e isolare in

un preciso intervallo di vita, ma che assumono significato solo se in relazione con

quello che esse hanno intorno, con quanto c’è prima e dopo: «È necessaria

un’osservazione ravvicinata delle persone per individuare i meccanismi micro che

connettono deprivazione materiale, impoverimento delle reti sociali e

disgregazione dell’identità, e per cogliere i nessi causali e le circostanze nelle

quali tali connessioni si verificano» [Meo 2002:45]».

Se la vulnerabilità attraversa la condizione umana in generale, i brani di

intervista riportati suggeriscono che molto diverse sono le risorse e le possibilità

a disposizione dei soggetti per contenerla e arginare la sofferenza personale e

sociale. La qualità delle relazioni può rafforzare o indebolire, rendere più capaci

o meno, sostenere o avvilire il rispetto di Sé e la dignità della vita. È nella fase

più o meno breve della depressione e del disagio psichico che si consuma la

rottura con gli altri da sé, quando le nostre intervistate sperimentano il lato più

crudo angosciante della povertà: l’isolamento e la perdita del Sé connesse con

l’impossibilità di esprimersi in quanto persone. Lo scatenarsi della malattia,

inoltre, aggrava il «circolo vizioso» della povertà, che si attiva quando condizioni

di grave deprivazione economica e materiale si incrociano con eventi altamente

problematici e stressanti innescando rischio di esclusione ed emarginazione

grave [Caritas 2003].

L’esclusione, il diniego, il misconoscimento, il disprezzo all’interno di

rapporti di subordinazione e oppressione, gli eventi amari, le separazioni, i traumi

a questi connessi sono punti cardine in ogni storia e testimoniano, innanzitutto, di

un profondo indebolimento relazionale con cui tutte le donne, nessuna esclusa

ha dovuto fare i conti nel corso della propria vita. Un nesso importante che

emerge in modo regolare dai racconti è quello tra sofferenza personale e

vulnerabilità relazionale delle nostre intervistate.

Le storie mettono in evidenza come il disagio pur maturando lungo il

percorso biografico esplode in concomitanza di eventi o tappe cruciali della vita:

l’infanzia e l’adolescenza, la gravidanza e la maternità. Durante la malattia si

vive al minimo delle possibilità, si riducono drasticamente le capacità di

fronteggiamento, ci si aliena relazioni e desideri. Dai racconti si evince, inoltre,

che lo stato di salute costituisce un fattore di vulnerabilità non solo quando è

concretamente compromesso ma anche quando lo differisce sul futuro. La

malattia diventa in questo caso fonte di ansia e di angoscia. Per il ruolo che esse

assolvono nell’ambito della famiglia, per il carico e le responsabilità che sentono

di portare, le nostre intervistate vivono con maggiore inquietudine l’incognita del

domani. La solitudine e l’assenza di una rete densa intorno alla famiglia espande

temporalmente la vulnerabilità percepita, allarga il disagio e la percezione della

minaccia per il futuro.

Sai di cosa ho paura? Se un giorno mi ammalo! sono sola! Certe volte penso «forse il Signore non mi fa cadere malata perché lui vede che se mi ammalo non c’è nessuno che può prendere il posto mio» (---) che ne so! (---) ho paura!

La testimonianza di Mirella restituisce pienamente il carico psicologico

connesso con il proprio ruolo dentro la famiglia e la vulnerabilità resa ancora più

acuta dalla dipendenza che gli altri hanno dalla sua figura. La centralità delle

relazioni, l’isolamento e l’assenza di una rete sociale di supporto vicina alla

famiglia aggravano il senso di precarietà e incertezza sul futuro.