4. Cittadini ed eredi l’alleanza radicata nella storia e in continuo rin-
4.1. Riqualificare la nostra vita spirituale. Rinnovare l’alleanza
Prima di spezzare insieme il pane eucaristico per essere in comu-nione con il Signore e tra di noi, spezziamo il pane della parola di Dio per vivere il nostro patto di amore con colui che ha fatto alleanza con noi e che ci chiama alla fedeltà con una vita sempre più evangelica.
La pagina di Paolo ci presenta un altro problema pastorale che tra-vaglia la comunità di Corinto: alcuni cristiani nel risolvere alcune con-tese tra loro si rivolgono a tribunali pagani piuttosto che seguire il pa-rere dei fratelli responsabili di comunità. L’apostolo interviene nella vicenda ed è chiaro nel suo insegnamento: cadere in queste liti vicen-devoli è segno di una vita cristiana superficiale, che nasconde mali peggiori, come ingiustizia, idolatria, immoralità. Cristo, al contrario, ha reso giusti quelli che ha scelto e credono in lui; ha comunicato lo-ro, tramite la vocazione cristiana e il battesimo, il suo Spirito. Ed è nello Spirito santo che i cristiani devono superare ogni contrasto e vi-vere uniti. Paolo, ricordando ai fedeli di Corinto il grande evento della vocazione battesimale, parla della novità del dono ricevuto. «Siete sta-ti lavasta-ti, siete stasta-ti sansta-tificasta-ti, siete stasta-ti giussta-tificasta-ti nel nome del Signo-re Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio» (v. 11). Dalla novità del dono dipende la novità della vita, quell’amore forte e paziente, che è la legge della vita cristiana.
Il vangelo di Luca, invece, sottopone alla nostra riflessione il brano della scelta degli apostoli, la loro sequela dietro Gesù e l’alleanza che egli stabilisce con loro. Il Maestro si ritira sulla montagna a pregare e vi passa tutta la notte (v. 12). La sua preghiera è, anzitutto, ascolto del Padre, perché ogni scelta si compia nella sua luce e secondo il suo spi-rito. Al mattino chiama ed elegge i Dodici, dando loro il nome di
«apostoli» (v. 13). Gesù non fa nulla da solo. Prima interpella il Padre
e poi sceglie i collaboratori della sua missione perché «stessero con lui» (cf Mc 3,14). Li sceglie per inviarli. Li chiama a sé per immetterli nella massa: la vocazione è finalizzata alla missione. Alcuni sono scelti per tutti e la loro missione è per l’apertura alle moltitudini. Dopo que-sti preparativi, Luca introduce il «Discorso della pianura» (vv. 17-19;
cf Lc 6,20-49), quello che Matteo presenta come il «Discorso della montagna» (Mt 5-7). Le folle accorrono per ascoltarlo, ma anche per essere guarite dalle loro malattie e per essere liberate «da spiriti im-mondi» (v. 18).
È l’umanità stanca e sofferente che si stringe attorno al Maestro buono, ma anche segue colui che è il guaritore, il medico di tutto l’uomo, corpo e spirito. E gli apostoli collaborano con Gesù a questa missione di evangelizzazione verso i poveri e gli ultimi.
Alla luce della precedente parola di Dio possiamo riflettere su tre aspetti, che toccano un tema fondamentale di vita spirituale: l’incon-tro personale dei discepoli con Gesù e, di conseguenza, il nosl’incon-tro in-contro personale con lui.
1. Un primo aspetto dell’incontro è che Gesù prende l’iniziativa.
Egli chiama a sé i discepoli. La prima fondamentale condizione del-l’incontro è questa: non si ha da fare con qualcosa ma con Qualcuno;
con lui, il Vivente. Egli è il Dio che viene, il Dio della sorpresa, che comincia sempre in modo nuovo con ognuno di noi. Se l’iniziativa nell’incontro è presa da lui, allora, possiamo affermare che al centro del cristianesimo non c’è qualcosa, ma c’è Qualcuno, il Risorto, il Vi-vente. E noi siamo coloro che hanno fatto esperienza di comunione con lui. Se questo è vero, allora, la sequela si realizza là dove c’è la ca-pacità di stupirsi e di meravigliarsi; là dove noi ci lasciamo prendere dallo stupore di questo Dio misterioso che ci assale. La domanda da farci, dunque, è questa: ho il coraggio di rischiare e di lasciarmi affer-rare da Gesù? ho il coraggio di cambiare in questi giorni di ritiro spi-rituale, o in fondo ho solo questo amore a ciò che sono e che non vor-rei, in nessun modo, perdere?
2. Un secondo aspetto dell’incontro è la disponibilità a dare tutto.
Alla chiamata e alla scelta di Gesù segue la risposta del discepolo a dare la vita per il Signore. Abbiamo noi il coraggio di uscire da noi stessi, il coraggio semplicemente di perderci, di consegnare a lui la no-stra libertà? Riconoscere lui significa essere pronti ad arrenderci, per-ché lui vinca e questo nella libertà del cuore. L’unica cosa che conta nel cammino dietro Gesù è innamorarsi di lui: «Chi perderà la propria
vita per causa mia e del vangelo, la salverà…» (Mc 8,35). Nella sequela vince chi perde e solo allora incontra Dio.
L’indiano Tagore diceva: «Noi camminiamo per unirci a tutte le creature, altrimenti non ritroviamo noi stessi». Per ritrovare noi stessi e Dio dobbiamo seguire la via della solidarietà, della fraternità, della vicinanza al prossimo fino a dare tutto di noi stessi. Nell’altro, osser-vato con amore, scopriamo un riflesso di Dio e l’immagine di noi stessi.
3. Un terzo aspetto dell’incontro è il cambiamento radicale della propria vita, che poi suscita la forza incontenibile dell’annuncio e del-la testimonianza. All’iniziativa di Gesù e aldel-la risposta libera del disce-polo segue la vita nuova, un cammino segnato da un profondo cam-biamento della propria esistenza. È sempre Gesù che cambia il cuore e la vita; è sempre lui che suscita una risposta libera e che trasforma la nostra storia personale. L’importante è lasciarsi contagiare e trasfor-mare da lui. Per essere nuovi bisogna essere poveri. Solo chi si fa po-vero si espone alla novità di Dio e trova il coraggio di andare ad «abi-tare» con lui, stringendo con lui un’«alleanza». Rinnovare sempre l’al-leanza con Dio è vivere da poveri e non lasciarsi incantare da nessuna ideologia o moda del momento. Specie noi, che siamo al servizio dei giovani nel campo dell’educazione, dobbiamo vivere la libertà critica del Vangelo, che non è disimpegno, ma presenza attiva e profetica nella cittadinanza e nella storia.
Vi fu in Oriente una categoria di monaci, chiamati «acemeti», cioè gli «insonni», perché al pari degli angeli non interrompevano mai il canto delle lodi divine. Noi salesiani e salesiane, alla scuola dei nostri santi, siamo chiamati ad essere un po’ tutti «acemeti», non nel senso tecnico del termine, che si riferisce al sonno fisico, ma nel senso che noi «vegliamo», siamo sentinelle dagli ampi orizzonti, per scrutare l’o-rizzonte lontano e cogliere per primi ciò che Dio prepara per noi e per la gioventù d’oggi.
Il Signore, in questa celebrazione eucaristica, ci dia sempre il co-raggio evangelico nella nostra vocazione e missione salesiana tra i gio-vani: vivere fedelmente la sequela dietro Gesù con spirito profetico, fare l’esperienza personale con lui, ponendo al centro della nostra vita spirituale il primato della dimensione contemplativa, l’ascolto della parola di Dio in una permanente apertura all’azione dello Spirito, co-se tutte che ci rendono veramente poveri, inquieti, «co-sentinelle» capaci di scrutare i segni dei tempi, aperti ad un rinnovamento di vita.
Signore, donaci la saggezza del cuore per seguirti con generosità e fe-deltà nella strada che tu ci indicherai. Rendici capaci di discernimento e giusti nel giudizio per indicare a tutti la via del bene, per distinguere la realtà dalle illusioni, per seminare pace dove ci sia contrasto. Facci capi-re che l’efficacia della tua Parola è dovuta all’obbedienza alla tua volon-tà, in modo da esserti graditi e gioiosi testimoni di quella fede che fa
«alzare al cielo mani pure».
4.2. La carità non abbia finzioni (Celebrazione dei Vespri: Rm