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La vocazione salesiana è perdonare e farsi perdonare (Omelia

4. Cittadini ed eredi l’alleanza radicata nella storia e in continuo rin-

5.2. La vocazione salesiana è perdonare e farsi perdonare (Omelia

Nella prima lettera ai Corinzi Paolo affronta oggi un tema com-plesso, quello dei vari stati di vita: la vocazione al matrimonio e quella alla verginità, ma visti nella prospettiva della pasqua del Signore.

L’apostolo afferma che la felicità e il dolore, che sperimentiamo nella vita umana, sono certamente realtà vere, ma non definitive. Il matri-monio stesso con le sue gioie e le sue prove non è una realtà definitiva.

Solo l’unione con il Signore è sorgente di perenne felicità.

Nel brano di Paolo ci sono due affermazioni di principio, che in-quadrano il nostro testo, e permettono di chiarire il rapporto che il cristiano, e tanto più la persona religiosa, deve avere con le realtà mondane: «Il tempo si è fatto breve» (v. 29), e «Passa la scena di que-sto mondo» (v. 31).

1. Dicendo che «Il tempo si è fatto breve» (v. 29), Paolo pensa al momento favorevole, al kairòs, all’occasione colma di nuove opportu-nità; cioè, l’apostolo afferma che il tempo è ripieno della presenza del Signore e, anche il tempo della vita del discepolo, appare concentrato, decisivo.

2. Anche il secondo principio: «Passa la scena di questo mondo»

(v. 31) va letto come il precedente. La visione del mondo presente, se-gnato dal peccato e dalla morte, è destinata a scomparire. Qui non si tratta di svalutare la bontà del mondo creato da Dio, ma di compren-dere che «questo mondo» non è definitivo, ma è passeggero (cf Rm 8,18-22). Dunque, la vita cristiana va organizzata sulla base del model-lo che Cristo propone:

vivere con vigilanza ogni realtà terrena nella spiritualità del «come se non» (vv. 29-31);

saper prendere le distanze dal mondo, perché tutti «siamo stati comprati a caro prezzo» (v. 23);

ma, nello stesso tempo, vivere ogni stato di vita, fondato sulla si-gnoria di Cristo (cf vv. 17-24), consapevoli che il mondo futuro è già presente in mezzo a noi.

La verginità, ad esempio, vista in questa luce e scelta liberamente e gioiosamente, a causa del Regno (cf Mt 19,12), costituisce un segno escatologico, che tende ad orientare l’attesa cristiana verso la gioia ul-tima. Essa è un invito a scoprire la novità che la storia ha assunto con la venuta del Signore tra di noi.

Ma è il vangelo di Luca che offre il quadro migliore di riferimento per il rinnovamento della nostra vita spirituale. È la pagina delle quat-tro beatitudini, che l’evangelista, a differenza delle otto beatitudini di Matteo (5,3-10), ci pone davanti agli occhi. Luca alle quattro beatitu-dini ( vv. 20-23) aggiunge anche quattro minacce (vv. 24-26). Tutte le beatitudini sia le quattro di Luca, sia le otto di Matteo, possono essere ridotte in realtà ad una sola: la beatitudine della povertà, cioè la beati-tudine di chi accoglie la parola di Gesù e cerca di viverla nella propria vita. Il vero discepolo del Signore, infatti, è nello stesso tempo povero, mite, misericordioso, operatore di pace, puro di cuore. Al contrario, chi non accoglie la novità del vangelo si merita solo minacce e infelici-tà. Gesù è venuto a salvare tutti gli uomini, ma non tutti sono dispo-nibili al suo invito di salvezza. Beati coloro che si aprono a lui! Infeli-ci, invece, coloro che si chiudono al suo messaggio, perché si accon-tentano solo di soddisfazioni terrene. Solo i «poveri del Signore», colo-ro che ascoltano la sua Pacolo-rola e conservano intatta la locolo-ro fede nel Dio dell’alleanza, sono coloro a cui è rivolta la beatitudine. E Gesù presen-ta i poveri come esempio per la Chiesa.

Per noi Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice, che viviamo in un mondo secolarizzato, la scelta dei poveri , degli abbandonati, delle vit-time della violenza e dell’ingiustizia, dei nuovi poveri, in difesa dei di-ritti umani e per la promozione delle persone, risulta un compito ne-cessario e prioritario. Questa sfida ci sprona ad andare alla periferia, dove si sperimenta la povertà e si condividono le necessità della gente:

andare alle frontiere di situazioni difficili dove ricorrono i rischi del-l’annuncio del Vangelo.

Come elemento importante per la nostra missione tra la gioventù

povera vorrei suggerire «il perdono»: perdonare ed essere perdonati.

E questo per due motivi. Primo perché il perdono è il primo messag-gio annunciato dal Cristo risorto: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi ri-metterete i peccati saranno rimessi» (Gv 20, 23). In secondo luogo, perché il perdono non è soltanto un modo di cancellare i peccati. È l’amore dinamico e creativo di Dio, che opera nella nostra vita e ci rinnova.

Da tre anni vivo a Gerusalemme e ho potuto costatare che i campi profughi palestinesi sono luoghi non solo di miseria, ma anche di rina-scita e di vita nuova. In Terra santa convivono tre grandi religioni monoteistiche: ebrei, musulmani e cristiani. Per secoli abbiamo com-battuto tra di noi con alleanze mutevoli. Oggi, nella Terra del Signore, nonostante perdurino tante difficoltà e si vive una situazione precaria senza prospettiva di pace a breve scadenza, esistono comunità miste dove regna la riconciliazione, la condivisione del dolore reciproco e la preghiera comune; comunità dove la fraternità tra membri di religioni e culture diverse è una realtà viva e piena di speranza. Questo è il vero potere del perdono: non si tratta semplicemente di dimenticare gli av-venimenti del passato, ma di rinnovare la propria vita. Quando per-doniamo, condividiamo il potere creativo di Dio, perché ognuno di noi può donare all’altro una vita nuova. E il perdono è uno dei modi più belli in cui possiamo collaborare alla creatività di Dio. Con il per-dono, noi ci doniamo scambievolmente la vita e la felicità.

Talvolta la cosa più difficile non è perdonare, ma «farsi perdona-re». Spesso ci sentiamo prigionieri dei nostri errori. Ma se accettiamo il perdono, scopriamo che siamo liberi, liberi di essere come Dio ci ha voluto. Possiamo perfino esaminare i nostri fallimenti e troviamo, al-lora, che fanno parte del nostro cammino verso Dio. Se accettiamo il perdono, possiamo osare di guardare, senza paura, tutto ciò che siamo e tutto ciò che abbiamo fatto.

Nel secolo XVIII viveva un famoso artista giapponese, chiamato Hokusai. Egli dipinse su un vaso un meravigliosa veduta del Fuji-Yama, la montagna sacra del Giappone. Un giorno qualcuno fece ca-dere il prezioso vaso. L’artista, allora, raccolse i vari frammenti e con pazienza certosina li incollò di nuovo insieme. Ma per ricordare l’avvenimento che aveva spezzato la storia di quel vaso, egli segnò ogni giuntura con un filo d’oro. Il vaso diventò più bello di prima.

Questo episodio si può paragonare alla grazia di Dio, che opera nella nostra vita personale e comunitaria. La nostra vita religiosa e salesiana è contrassegnata da difficoltà, fallimenti e ferite. Il perdono di Dio

non cancella il passato, né finge che nulla sia accaduto. Prende, inve-ce, tutto ciò che noi siamo e siamo stati, tutto ciò che abbiamo fatto e lo rende nuovo, di una bellezza speciale, come la nuova bellezza del vaso dell’artista giapponese (G. Ravasi).

Signore, quando la grettezza dei nostri orizzonti pretende di giudicare gli spazi infiniti della tua misericordia, Signore ascolta, Signore perdona.

Dilata il nostro povero cuore perché non abbiamo a contristare lo Spirito santo che tutto sostiene e rende nuova ogni cosa. Donaci uno sguardo sincero e purificato con noi stessi: riconoscendoci guardati da te con amore, attesi e perdonati, fa che anche noi impariamo a perdonare e a farci perdonare.

6. ABITARE LA MEMORIA

6.1. La vocazione salesiana è far memoria (Omelia della Messa: 1 Cor