• Non ci sono risultati.

Accanto alle cifre assume concretezza quanto la tradizione riferisce sui

Nel documento DON BOSCO (pagine 51-56)

( l )

G. MELANO,

La popolazione di Torino e del Piemonte nel secolo X I X . . . ,

Torino 1961,

p.

73.

(2)

MELANO,

O. c., p.

75

S.

(3)

MELANO,

O. C,, p.

73.

ragazzi che occupavano le strade, le piazze e i prati, figli di famiglie disagiate, di genitori spesso disoccupati, senza un mestiere, senza la speranza di averne;

oppure che si procuravano un qualsiasi impiego pur di vivere, pur di sollevare le proprie condizioni di vita.

a La parte vicina a Porta Palazzo

-

scriveva Don Lemoyne

-

brulicava di merciai ambulanti, di venditori di zolfanelli, di lustrascarpe, di spazzacamini, di mozzi di stalla, di spacciatori di foglietti, di fasservizi ai negozianti sul mercato, tutti poveri fanciulli che vivacchiavano alla giornata sul loro magro negozio » ( 4 ) .

A parte l'enfasi che può far immaginare chissà quanti spazzacamini e mozzi di stalla « brulicare » per quella cli'era già allora piazza del mercato, si ha un'idea abbastanza adeguata delle categorie di ragazzi che potevano tro- varsi in giro là o altrove, occupati o sbandati. Don Bosco a sua volta ricorda che attorno al 1843-44 l'oratorio era composto « di scalpellini, muratori, stuc- catori, selciatori, quadratori e di altri, che venivano di lontani paesi »

(7.

2. La qualifisazionc civica degli studenti e degli operai

Questa massa di giovani

di

diversa età e di diverse condizioni sociali poneva i propri problemi nel quadro di una vasta opera di educazione popo- lare, auspicata e promossa da quanti, liberali o no, erano sensibili

ai

valori della persona e alla dignità del popolo entro più modesti schemi regionalistici o in quelli più ambiziosi della nazione italica ( 6 ) .

Il

flusso dalla provincia verso la capitale come centro d'istruzione era ormai più frutto delle aspirazioni che provenivano dal basso, dal popolo e dalla borghesia, che non un movimento preordinato e validamente controllato.

A ciò infatti non erano più rispondenti, o non esistevano più le strutture organizzate da Vittorio Amedeo

I1

e Carlo Emanuele

I11

nel secolo prece- dente('). Erano d'altronde venute nuove impostazioni pedagogiche. Ormai

(4) MB 3, p. 44. In mancanza di dati per il 1844-48 possiamo assumere come termini orientativi di confronto quelli del 1861, quando la popolazione di Torino si agg?rava at.

torno ai duecentornila abitanti. In tutta la città gli spazzacamini e& 77; studenti e scolari maschi 10.078; senza professione poveri (maschi) 885, non poveri 13.603; lavoratori d a giornata senza mestiere determinato: 1.222: CF. MELANO, O. c., p. 155-160; non risultano lustrascarpe, n6 si hanno dati specifici sulle altre categorie elencate da Don Lemoyne. Sul verbo «brulicare » cf. avanti nota 28 e testo corrispondente.

( 5 ) M 0 p. 129. Nel 1861 risultano: 61 selciatori e lastricatori, 1.481 muratori, 81

intonacatori e imbiancatori, 38 mattonai e tegolai, 23 d2pintori di edifizi: C£. MBLANO, o. C,, p. 156 S.

Le ansie per la elevazione del popolo durante l'eta alhertina sono efficace- mente rievocate da N. RODOLICO, Carlo Alberto negli anni 1843.1849, Firenze 1743, p. 21-26.

(') Si veda T. VALLAURI, Storia delle Università degli studi del Piemonte, Torino 1856 (sulle scuole in Piemonte spec. nel '700); A. GAMBARO, La pedagogia italiana nell'etd del Risorgimento in Questioni di storia della pedagogia, Brescia 1763, p. 451-455 (sul Piemonte durante la Restaurazione) e p. 651 s (hihliografia relativa).

all'istruzione elementare si provvedeva moltiplicando le scuole che, con me- todo « lancasteriano » accoglievano ceniinaia e centinaia di alunni sotto il medesimo insegnante. Per chi varcava il livello elementare si organizzavano scuole di apprendimento professionale e si moltiplicavano quelle d'insegna- mento umanistico, amministrate dal Municipio o anche tenute da professori privati (8).

Già prima del '48 le scuole umanisticlie vedevano a fianco di nobili e di borghesi benestanti anche membri di classi meno abbienti. Si formava ormai una gioventù « c h e non sapeva più se nasceva nobile o plebea, ma che voleva un'esistenza civile e l'avrebbe avuta » (').

Problema grave e sentito era quello degli artigiani. Nel 1845 vennero aperte due scuole, una di meccanica tenuta da Cailo Ignazio Giulio e un'altra di chimica applicata ail'industria, tenuia da Ascanio Sobrero.

I1

numero di lavoratori che si presentarono ai Fratelli delle Scuole Cristiane per essere ammessi a lezioni, patrocinate dall'opera di Mendicità istruita, nel 1847 superò i seicento, di cui la totalità, esclusi 70 qualificati operai, erano « dilet- tanti » (l0).

L'ansia di apprendimento era superiore, allora, alle aspettative e alle possibiiità:

Alle sciiole serali degl'ignorantelli - scriveva lo stesso Giulio nel 1847

-

l'anno scorso eransi presentati 700 operai adulti, oltre i 22 anni, per partecipare all'insegnamento. Non avendosi luogo che per 150 si rimandarono gli eccedenti.

Intanto nella state facevansi sale capaci di 800. Ma la previsione era ancora insuffi- ciente; chè oltre 1500 operai adulti si andavano ad iscrivere, e si dovevano riman- dare in parte per difetto di luogo finche non sieno fatte ancora altre scuole, che avrei voluto trovare nelle 24 ore, se fossi stato ai luogo di coloro cui apparteneva provvedere » (l1).

I n questo quadro di problemi e di preoccupazioni, talora diverse e com- plementari, molti intervengono per portare un qualche aiuto, nell'inadegna- tezza della piibblica provvidenza, ispirandosi alla filantropia, o alla carità eser- citata in nome e nella persona di Cristo (l2).

(8) C. VERRI, I Fratelli delle Scuole Cristiane e la storia della scuola in Piemonte. .

.

, Como 1757; GAMBARO, o. c., p. 453; 652-654; D. BERTONI JOVINE, Stopia della scuola po-

polare in Italia, Torino 1954; ID., Breve storia della scuola italiana, Roma 1761.

(9) Giacinto Provana di Collegno a Gino Capponi, 5 luglio 1846, riferita da ROD~LICO, o. C,, p. 12.

('0) Lettera di Ilarione Petitti di Roreto del 3 febbr. 1847 in A. CODIGNOLA, Dagli albori della libertd al proclama di Moncalieri. Carteggio Petitti-Erede (Bibl. di stor. ital., 13), Torino 1731. o. 266.

('1) ~ e k r a di Petitti di Roreto citata.

(12) R. M, BORSARELLI, La marchesa di Barolo e le opere assistenziali in Piemonte nel Risoreimento: C. CARRERA. Brevi cenni sulla R. Opera Mendicitd Istruita dalla sua origine alpanrio 1878, T o r i n ~ ~ o m a 1878; A. Cnenusx~r, ' ~ o ~ r i n e e metodi assistenziali del 1749-1848. Italia, Francia e Inghilterra, Milano 1758; S . SOLERO, Storia dell'ospedale mag- giore di San Giovanni Battista della città di Torino, Torino 1757. Elementi analoghi e sug-

3. Gli Oratori per la gioventù abbandonata

La nuova situazione sociale col suo fluire di popolazione, specialmente giovanile, aveva creato anche problemi di assistenza religiosa ai quali non poteva più adeguatamente sopperire la vetusta organizzazione delle quattordici parrocchie cittadine e delle due dei sobborghi("). Quanti giovani, infatti, si spostavano dal paese di origine o dali'ancestrale ambiente di campagna con una commendatizia dei parroci di origine ai loro colleghi cittadini? Quanti parroci della provincia si ponevano già tale problema? E quanti della città si sentivano incoraggiati a mutare le strutture e le attrezzature tradizionali, che si esplicavano attraverso i'amministrazione dei sacramenti e la celebrazione della Messa? (l4)).

Sarebbe stato necessario che, oltre ai vice-curati che si occupavano di funerali e battesimi ce ne fossero stati altri destinati specialmente a un apo- stolato ambulante tra botteghe, officine, mercati. Sarebbe stato necessario che curati e vice-curati non stessero più ad attendere i loro giovani fedeli in sacrestia o in chiesa per il catechismo vespertino e per quello domenicale e quaresimale. Quel controllo che i parroci esercitavano nei paesi di provincia e nelle campagne mediante gli adulti sui quali avevano prestigio, in città cominciava a essere impossibile, perché i curati perdevano il contatto con le famiglie di nuova importazione.

Era, questo, un problema che a Milano non esisteva in proporzioni così angustianti, quando ecclesiastici torinesi tra il 1840 e il 1850 andarono a visitarvi oratori parrocchiali e interparr~cchiali('~). A Torino infatti bisognava quasi cominciare dal nulla, perché le Congregazioni degli studenti non erano propriamente opere trasformabili in oratori per masse di giovani, specialmente artigiani o vagabondi, così come il momento richiedeva: oratori popolari, ana- loghi quasi al tipo di scuola collettiva propugnata dal Lancaster.

Questo fu il problema che si posero molti preti « liberi », quali erano

gestioni per possihiii indagini suii'ambiente torinese sono date da G. C. BASCAPÈ, L'assi- stenza e la beneficenza fino al fermine delle dominazioni straniere, in Storia di Milano, 14, Milano 1960, p. 802.834. Ricchi di dati sono N. PETTINATI, Torino benefica, in Torino, Torino 18802, p. 837-882 e L. E. Rossi, Milano benefica e previdente, Milano 1906.

('3) BERTOLOTTI, Descrizione di Torino, Torino 1840, p. 53.

(14) La questione è rievocata sulle M 0 p. 152-154, dal punto di vista di DB. La conclusione è che n I #parroci deila città di Torino [nei 18461, raccolti nelle solite loro conferenze, trattarono sulla convenienza degli oratorii. Ponderati i t h i e le speranze da una parte e dali'altra, non potendo ciascun parroco provvedere un Oratorio nella rispettiva parrocchia, incoraggiscono il Sac. Bosco a continuare finche non sia presa altra deiihera- zione ». Ma ciò valeva anche per Don Cocchi. Cf. anche MD 3, 190-197.

( ' 5 ) Verso il 1850 a Miiano gli oratori per giovani erano quindici (6. Milano sacro,

annuario ecclesiastico della diocesi), alcuni dei quali avevano più d i un secolo di esistenza.

DB, invitato da Don Serafino Alliwi, predicò ali'Oratorio S. Luigi presso la chiesa d i S. Simpliciano, nel 1850 (MB 4, p. 170; 175-180). Forse allora DB ottenne una copia dei Regolamento di S. Luigi Gonzaga (AS 025 Regolamuito deii'Oratorio e delle Case;

AS 029 Regole e regolamenti di altri Istituti).

quelli del Convitto ecclesiastico, o altri che finirono per conoscersi e orien- tarsi all'opera degli oratori: sacerdoti che corrispondevano alla nuova classe

di

giovani a cui si dirigevano; in un certo senso, nuova classe di sacerdoti, che finivano per dimenticare se provenivano dalla nobiltà o dalla campagna, perché affratellati dal comune lavoro di educazione popolare negli oratori o nelle opere congiunte, come l'assistenza durante il lavoro nelle malattie o nelle carceri (l6).

Se si rispetta la storia, non è lecito affermare che Don Bosco sia stato il primo a comprendere a Torino il problema della gioventù povera e abban- donata o che sia stato il primo a fondare un Oratorio per i giovani artigiani sbandati.

I1 primo oratorio che si conosca, sul tipo di quello che poi Don Bosco apri sotto il patrocinio di S. Francesco di Sales, fu quello fondato da Don Giovanni Cocchi, intitolato all'Angelo Custode, un rione miserrimo e malfa- mato, al Moschino, parrocchia deli'Annunziata, quartiere di Vanchiglia.

Come Don Bosco, Don Cocchi veniva dalla provincia, essendo nato a Druent nel 1813. Era già sacerdote nel 1836, quando cioè Don Bosco frequen- tava al Seminario di Chieri il primo anno di filosofia.

Don Cocchi ebbe il genio dell'iniziatore, ma non la costanza del realiz- zatore e il senso deli'organizzazione. L'Oratorio dell'Ange10 Custode dopo al- terne vicende passò sotto la responsabilità di Don Bosco. Ma la sua rinomanza, a quanto pare, rimase alta più che quella dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, ancora fino al 1850. E ciò fa sospettare il sapere che all'Angelo Custode e non a S. Francesco

di

Sales era intitolata la Congregazione ( o pia unione) di ecclesiastici e laici che a Torino aveva lo scopo d'istruire « nella religione e nella pietà la gioventù abbandonata » e ottenne, per mezzo di Don Bosco, favori spirituali dalla Santa Sede(I7).

La qualifica data ai giovani che frequentavano gli oratori era quelia di

gioventù abbandonata,

o anche di

gioventù povera e abbandonata,

cosi come si trova documentato nelle opere analoghe istituite a Brescia e altrove dal sacerdote Ludovico Pavoni e, prima ancora, a Marsiglia e in altre città della Francia per iniziativa del sacerdote Jean-Joseph Allemand (l8). Ma al termine

(16) Cf, sopra cp. 3 nota 28 S.

('7) Cf. avanti. nota 29. Brevi cenni sucli oratori torinesi sono dati nell'onuscolo Della ' ~ o t t r i n a cristiana e dei Catechismi. Lettera pastorale di S. E. Rev.ma moisignor D. Alessandro Ottaviano Riccardi dei conti di Netro arcivescovo di Torino seguita da un'appendice sugli oratorii e sulle compagnie delle Figlie di Maria, Torino, P. Marietti 1873, p. 34-37.

('8) GADUEL, Le directeur de la jeunesse ou la vie et l'esprit d u serviteur de Dieu Jean-Joseph Allemand 11772-18361, prgtre d u diocèse de Marseille . .

.

, Marseille 1885;

193@. Tra i continuatori e teorizzatori della Oouvre de la Jeunesse si distinse Timon-David. - E. GIBON, J:J. A,, in DHDE, 2, Paris 1914, ci. 594s; M. VILLER, s.v., in DSp., 1, Paris 1937, CI. 314; R. H ~ M E L , S. v., in Catholicisme, 1, Paris 1948, ci. 331; H. ARNALID, La vie étonnante de J. Joseph Allemand (1772-1836) apdtre de la jeunesse, Marseille 1966.

-

R. BERTOLDI, Lodouico Pavoni educatore E1784-18491..

.

, Miilano 1949 (con hibliografia).

si davano tutte le sfumature che poteva contenere; molti giovani infatti erano in realtà economicamente poveri e miseri nati in clima di malavita, molti però vivevano del proprio lavoro e non dovevano mancare studenti e altri frequentatori della classe media o addirittura giovani (sebbene rari) di famiglie dell'alta borghesia e della nobiltà che aiutavano a fare i Catechismi.

Molti potevano essere considerati abbandonati soltanto perché lo erano socialmente e religiosamente.

Sul termine evidentemente si poteva discutere e anche equivocare; tut- tavia esprimeva in misura che non può considerarsi impropria, la categoria dei giovani, ai quali l'opera propriamente si indirizzava, in un ambiente in cui prevaleva l'attività di massa popolare, quale era appunto la zona del Moschino che gravitava, come &ella di Valdocco, verso il mercato di Porta Palazzo.

4. L'Oratorio di' Don Bosco

Trasferendosi nel 1844 all'ospedaletto e al Rifugio come collaboratore del teologo Borel, Don Bosco attrasse a se il gruppo di giovani che già al Convitto gravitavano attorno alla sua persona. Non li indirizzò altrove; ma li stesso dove abitava diede inizio all'Oratorio che intitolò a S. Francesco di Sales. Se lo fece a ragion veduta, fu questo uno dei passi più accorti e decisivi da lui compiuti allora. All'Ospedaletto infatti si garantiva l'autonomia, proba- bilmente poggiando sulla fiducia cb'egli godeva presso Don Cafasso e su quella che il Cafasso e il teologo Borel avevano presso l'arcivescovo e gran parte del clero cittadino.

Decisiva fu anche la scelta del patrono, su cui si orientò per circostanze che sembrerebbero casuali. L'immagine di S. Francesco di Sales, riferisce Don Bosco stesso, era stata fatta dipingere dalla marchesa Barolo sull'ingresso dei locali destinati ai preti che prestavano la loro opera al Rifugio, perché la marchesa « aveva in animo di fondare una Congregazione di preti sotto questo titolo » (l9). Quello di Don Bosco poteva essere un gesto accorto anche per cattivarsi la benevolenza della Barolo, ina senza dubbio il fatto d'imbattersi in un'immagine di S. Francesco di Sales dovette apparirgli provvidenziale e certamente la scelta di lui a patrono corrispondeva alle intime aspirazioni, che egli si preoccupò di manifestare e motivare Sul più antico regolan~ento del- l'Oratorio che conosciamo (da collocare negli anni 1851-52), si legge che l'Ora- torio è posto « sotto la protezione di S. Francesco di Sales, perché coloro che intendono dedicarsi a questo genere di occupazione devono proporsi questo Santo per modello nella carità, nelle buone maniere, che sono le fonti da cui derivano i frutti che si sperano dalllOpera degli Oratorii »(m).

Scelse S. Francesco di Sales, scrisse più tardi sulle Memorie dell'Oratorio:

( 1 9 ) MO, p. 141.

(m) AS 025 Regolam. dell'orat. di S. Franc. di Sales ms., edito poi nel 1877: Rego- lamento dell'Oratorio di S. Francesco di Soles ner eli esterni,

.

~ t . 1. sco~o di auest'o~irra.

Torino, tip. Salesiana, p. 4; cf. anche M13 3, p. 91.

« lo Perché la Marchesa Barolo aveva in animo di fondare una Congregazione di preti sotto a questo titolo, e con questa intenzione aveva fatto eseguire il di- pinto di questo Santo che tuttora si rimira ali'entrata del medesimo locale; 2 O perché

l a

parte di quel nostro ministero esigendo grande calma e mansuetudine, ci era.

vamo messi sotto alla protezione di questo Santo, afKnch4 ci ottenesse da Dio la grazia di poterlo imitare nella sua straordinaria mansuetudine e nel guadagno delle anime. Altra ragione era quella di mettersi sotto alla protezione di questo santo, affinché ci aiutasse dai cielo ad imitarlo nel combattere gli errori contro alla religione, specialmente il protestantesimo, che cominciava insidioso ad insinuarsi nei nostri paesi e segnatamente nella città di Torino »(*l)

I1

nuovo oratorio, tuttavia, per quanto autonomo, cresceva sotto l'intiusso ideale di quello già esistente, di cui Don Bosco assunse le caratteristiche essen- ziali (catechismi, possibilità di giochi) modificate dalle sue qualità personali, di prete simpatico e fattivo, bonario e popolano, all'occorrenza atleta e giocoliere, ma già allora noto anche come prete straordinario che ardiva fare profezie di morti che poi si avveravano, che aveva già un discreto alone di venerazione perché aveva in sé qualcosa di singolare da parte del Signore, che sapeva i segreti delle coscienze, alternava facezie e confidenze sconvolgenti e portava a sentire i problemi dell'anima e della salvezza eterna.

Indiretto, ma reale, fu l'influsso degli oratori milanesi; e forse, solo ideale

-

attraverso la lettura della Vita di S. Filippo Neri - fu la dipendenza dagli Oratori filippini, che però Don Cocchi dovette avvicinare nel suo breve sog- giorno romano("). Non sono infine da escludere altri influssi e suggestioni, sia di provenienza lombarda (da Brescia, ad esempio, dove fioriva l'oratorio di Ludovico Pavoni), sia dalla Francia, dove si era diffusa l'Oeuvre de la jeunesse istituita dallJAllemand, o ispirata a lui.

5. Autonomia e prevalere deli'oratorio di Don Bosco

Momento d'importanza capitale per il maturare delle istituzioni di Don Bosco fu la ventata patriottica del 1848-1849. Anni decisivi anche per la causa dell'unità nazionale; anni d'insuccessi che portavano in germe il buon esito definitivo; anni di sogni, di entusiasmi e di immancabili scossoni e sbandamenti.

I n quel momento specialmente i preti patrioti sentirono imprescindibile per il successo della religione, seguire il popolo nelle sue aspirazioni unitarie.

Si comprende dunque come potessero sentirsi impegnati, quasi fino allo spa- simo, per riuscire a convogliare tutto il clero e tutte le forze cattoliche nella causa dell'Italia e far gridare a tutti: « fuori lo straniero, viva Pio

IX!

». Nel '48 quasi tutti i vescovi degli Stati sardi emanarono lettere pastorali patriot-

(21) MO, p. 141.

(") A MARENGO, Contr~butz per uno studio su Leonardo Murialdo educatore, p. 4.

109

tiche e religiose. Ma non mancarono i riluttanti, fossero o no favorevoli al- l'Austria (").

Anche Don Bosco attorno al '48 deve avere preso parte alle comuni speranze d'Italia, nella forma neo-guelfa, che appariva rispettosa per il Papa e per le antiche dinastie governanti ("). Ma non dovette essere un sentimento di lunga durata, e presto dovette venire l'urto con i preti patrioti, e si sarebbe scavato irrimediabilmente un solco tra lui, Don Cocchi, Don Trivero e Don Ponte.

Prima del '48 Don Bosco aveva difeso l'autonomia del suo Oratorio e quando si erano fatte adunanze per unificare la direzione degli oratori torinesi, egli aveva rinunziato una fusione con altri, sostenendo, a quanto pare, la collaborazione tra i vari preti degli oratori e oratori stessi, e forse anche offrendo i propri servizi, ma rifiutando di sottoporsi a una formale dipendenza da altri

di

cui non condivideva tutte le idee.

Lo stesso tentativo venne rinnovato nel '49 con l'interessamento di Don Cafasso, amico di molti e influente su tutti i giovani sacerdoti dediti all'assi- stenza della gioventù. Ma non si giunse a un accordo

Intanto nel marzo 1849 Don Cocchi condusse una squadra di giovanotti dell'oratorio di Vanchiglia per prendere parte alla battaglia di Novara("). Fu una disfatta per l'idea nazionale e per l'opera deli'intraprendente prete di Druent. L'Oratorio fu chiuso e, poco dopo, certamente con l'appoggio di Don Cafasso e la fiducia di mons. Fransoni ormai irrigiditosi nella reazione antiliberale e antinazionale, riaperto sotto la direzione di Don Bosco, nono- stante gl'inevitabili rancori, le rappresaglie di giovinastri e ragazzacci (n).

Nell'ottobre 1849 in un avviso a stampa Don Cocchi annunziava pubbli- camente l'istituzione di una Società di sacerdoti e «giovani secolari », che si sarebbero interessati di curare l'educazione di « tanti ragazzi, orfani princi- palmente, abbandonati che bullicavano per Torino..

.

onde avviarli a qualche professione, a qualche mestiere »; poneva così le basi, con altri ecclesiastici, all'Istituto per gli Artigianelli (2s).

( W ) Ricco di dati sull'atteggiamento degli ecclesiastici è C~ruso, La Chiesa in Pie- monte, 3, Torino 1889, p. 201-306.

(24) Si ricordi « il gran Gioberti » della Storia ecclesiastica per uso delle scuole, apparso nel 18482 (#p. 182) e poi soppresso. Cf. anche MB 3, p. 422425.

(25) «Si pretendeva adunque - scrive Don Lemoyne, - e a tutti i costi, che Don Bosco formasse ona sola società anche con Don Cocchis» (MB 3, #p. 452). Quanto detto dalle MB è da porre in relazione con l'Avviso pubblicato da Don Cacchi in data 15 ottobre 1849 per la fondazione di una società «principalmente di sacerdoti e giovani se- colari » per l'assistenza e l'educazione della gioventù abbandonata (AS 123 Cocchi, stmp.

orig.; MARENGO, o.c., #p. 5).

(x) Vi accenna DB: MO, p. 214s. Più particolareggiato è E. Remo, D. Giovanni Cocchi e i suoi Artigianelli, Torino 1896, p. 11, tenuto presente da MB 3, p. 58.60.

(n) Fonte importante, anche per le MB 3, p. 388-571, sono i ricordi di Giuseppe Brosio. il « bersadiere

-

» (AS 123 Brasio).

Cf. sopra, nota 25 e MARENGO, o C, p. 5-7

Don Bosco l'anno dopo chiedeva a Pio

I X

favori spirituali per tre

« Congregazioni » legittimamente erette a Torino delle quali era Direttore e che non avevano « altro scopo che quello d'istruire nella religione e nella pietà la gioventù abbandonata » (m).

« Congregazioni » legittimamente erette a Torino delle quali era Direttore e che non avevano « altro scopo che quello d'istruire nella religione e nella pietà la gioventù abbandonata » (m).

Nel documento DON BOSCO (pagine 51-56)