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Superamento del rigorismo

Nel documento DON BOSCO (pagine 47-50)

Eppure non tutti erano persuasi che in Piemonte esistesse Giansenismo (seppure mai era attecchita i'eresia delle cinque proposizioni condannate) e

3. Superamento del rigorismo

Ma nella pratica penitenziale né Don Cafasso né Don Bosco furono confessori minimisti e lassisti.

E

la ragione è che al confessionale entrambi si accostavano con un vivissimo senso del peccato e della vita di grazia; non soltanto come giudici, ma anche e specialmente come padri e pastori, non attenti unicamente a quanto bastava per assolvere validamente, ma desiderosi di stabilire e incrementare nei loro penitenti la vita di grazia.

Inoltre l'uno e l'altro avevano preseutissimo e quasi sperimentale il senso di Dio nelle conversioni repentine, che attribuivano più che alle proprie risorse, alla potenza della grazia concessa da Dio infinitamente buono e misericordioso.

Don Cafasso nelle conferenze morali che teneva al Convitto portava l'esperienza di confessore

di

sacerdoti, popolani, nobili, artigiani, malviventi, condannati a inorte. Spesso, negli Esercizi spirituali a ecclesiastici, poneva l'accento sulla misericordia, di cui Dio aveva lasciato insigni documenti nel- l'Incarnazione, nella Passione e Morte; nel mistero di grazia verso l'umanità

(31) NICOLIS DI ROBILANT, O. C,, 1, .p. 101 S. In Piemonte la minimizzazione dei sistemi morali sul piano pastorale aveva già avuto un fautore nel gesuita Carlo Emanuele Palla- vicini (1719-1785), di cui cf. Il sacerdote santifcuto nella retta amministrazione del sana- mento della penitenza. . . , Torino, G. Marietti 1826: si seguisse o no 8 probabilismo o il probabiliorismo, al confessore occorreva discrezione e saggezza in modo da adeyarsi al bene del penitente; all'atto pratico «ambedue, il probabiliorista ed il probabilista, possono asere saggi, ed utili maestri di Morale» (,lettera 2, n. 19, p. 246 s; n. 43, p. 283). Ma sia per il Pdavicini che per Don Cafasso il probabiiismo era più utile al penitente (NICOLIS DI

ROBILANT, O. C,, 1, p. 104).

(32) AS 110 RufFuio 9, p. 43. Giuseppe Frassinetti manifesta preoccupazioni analoghe:

se il &e è la salveiza propria e l'altrui, buon ariterio per un confessore è seguire le opi- nioni dei Santi canoninati. Saranno in qualche punto tra loro in disaccordo? «Seguiremo quelle opinioni che ci sembreranno più opportune e se non ci salveremo a cagion d'esempio con S. Tommaso ci salveremo con S. Bonaventura n IOsservazioni sonra

.

pii studi eccieriastici

proposte ai chierici, cp. 3, n. 4, Roma 1912, p. 24; 1839l).

(33) AS 110 Ruffino, l. C.

adombrato da parabole come quella del figliuol prodigo, o testimoniato in gesti significativi come la benevolenza usata con l'adultera (").

Al Convitto, possiamo concludere, si delineò netta la posizione di Don Bosco nei riguardi del rigorismo. Don Bosco si consolidò nella persuasione che non col rigore, ma con la bontà avrebbe portato le anime a Dio. Può essere significativo il fatto che due anni dopo aver lasciato il Convitto Don Bosco abbia compilato per la Barolo (allora penitente di Don Cafasso) l'Esercizio d i divozione alla Misericoudia di Dio ('l).

I1 catechismo che Don Bosco fece a Bartolomeo Garelli nel dicembre 1841 (36), non molte settimane dopo il suo arrivo a Torino, fu decisivo per lui giovane sacerdote, ma non fu il primo tenuto al Convitto ecclesiastico torinese.

Infatti, a quanto pare, l'insegnamento della Dottrina ai giovani entrava nel programma di formazione pastorale dei sacerdoti convittori. « Non ci è dato fissare l'anno preciso dell'inizio di questi catechismi - scrive il di Robilant

-,

ma numerose deposizioni, congiunte a quelle testé riferite dal fondatore della Pia Società dei Salesiani, ci permettono d'affermare con assoluta certezza ch'essi cominciarono assai prima del 1841 D ("). La documentazione addotta dal

di

Rohilant, desunta dalle testimonianze al Processo di beatificazione di Don Ca- fasso e da quanto egli stesso conosceva dalla sua esperienza di prete degli oratori torinesi, sembra legittimare solidamente la sua affeima~ione(~'8).

Coi catechismi era anche in uso l'assistenza dei giovani bisognosi.

I1

di Robilant accenna in particolare agli spazzacamini vaidostani ch'erano assi- stiti dai tre sacerdoti, già ricordati, con i quali Don Bosco collaborò qualche

(3) Si veda il cp. sulla confidenza in F. ACCORNERO, La dottrina spirituale di S. Giu- seppe Cafasso, Torino 1958, p. 107-130.

(35) Torino. ti,n. Eredi Botta 118471. Anonimo. ma di cui DB stesso si attribuisce la (AS l32 %stamenti; M B 10,

p.

1333). 11 manoscritto venne approvato dal teo- logo Calvi il 5 gennaio 1847 (Torino, ACuria metropol., Registro approvaz. ecclesiastica dei libri).

136) M 0 ~ , D. s~ 124-127 - .~

(37) NICOLIS DI ROBILANT, o. C - , 2, p. 8.

(") Luigi Nicoiis di Robilant n. a Torino l'l1 agosto 1870, fu ordinato sacerdote, nel 1893, ma gizì da chierico aiutava d'Oratorio del S. Cuore alla barriera di Nizza; morì il 12 febbraio 1904 a 33 anni; era nipote del canonico Stanislao GazeVi e fu in ottime re- lazioni con il can. Allmano e Don Pietro Ponte, amico del PeUico, cappellano della mar- chesa Barolo. delle Suore di S. Anna. collaboratore di Don Bosco. nativo di Pancalieri.

m. a Torino'il 2 ottobre 1892. Sul ~ihilant cf. E. DERVIEUX, I mLi trovanti.. . ,

orino

1940, #p. 39.65 e la prefazione all'opera dei Robiiant, Vita del venerabile Giuseppe Ca- fasso . . . , 1, p. I-XL. Su. Stanislao Gazelli di Rossana (1817-18991, ipauizio torinese, benefico con tutti, ammiratore di DB cf. L. NICOLIS DI ROBILANT, U n prete di ieri. Il ca- nonico Slanislao Garelli di Rossana e S. Sebastiano..

. ,

Torino 1901. Don Pietro Ponte è spesso nominato neUe biografie deUa Bado o in qude deila seconda superiora generale delle Suore di S. Anna, Maria Enrichetta Dominici (1829-1896).

tempo: il teologo Giacinto Carpano (1821-1894), Don Pietro Ponte (1821- 1892) e Don Giuseppe Trivero (1816-1894), i quali, dopo il catechismo fatto in chiesa, conducevano i giovani nel cortile interno del Convitto e distribuivano pane e talvolta anche fette di salame ("). Ma la loro attività dovette avere dei predecessori al Convitto, se è vero che il gruppo degli spazzacamini fu il primo (O tra

i

primi?) ad avere l'assistenza religiosa dei convittori, giacché i tre sacerdoti, più giovani di Don Bosco, furono suoi colleghi o di qualche anno più giovani al Convitto stesso.

Certo è che alcune espressioni di Don Bosco sulle origini dell'oratorio

(O delI'Opera degli Oratori) sono da prendere in senso alquanto più ristretto di quello che i termini ovviamente potrebbero suggerire: 1'8 dicembre 1841 non fu l'origine digli Oratori e dei Catechismi per giovani a Torino; ma sol- tanto quella delle opere ch'ebhero lui come fondatore, o, per lo meno, come principale continuatore (*).

Finito il triennio del Convitto, Don Cafasso propose a Don Bosco di rimanere come ripetitore, oppure di andare cappellano all'ospedaletto di S. Fiomena, istituito dalla marchesa Barolo. Don Bosco forse avrebbe voluto continuare al Convitto la sua permanenza e l'opera dei Catechismi; impian- tare magari un Oratorio; ma secondo quanto c'informa Don Berto (che asse- risce di averne avuto confidenza da Don Bosco), Don Cafasso non voleva affatto("), forse perché, anche con Don Bosco, si oppose alla tendenza a trasformare

il

cortile e qualche locale del Convitto in chiassoso ritrovo di giovani con non poco disturbo agli studi e al raccoglimento. Don Cafasso poté aver messo Don Bosco nell'alternativa: o fare il ripetitore al Convitto rinun- ziando all'oratorio (troppo distraente, se occupazione principale), oppure an- dare altrove, dedicandosi totalmente ai giovani. Cosi Don Cafasso, prima ancora della marchesa Barolo, avrebbe messo al bivio Don Bosco, ma forse non in termini così drastici e perentori, e certamente dopo che il suo pupillo ebbe la certezza di una sistemazione. Se è vera la testimonianza di Don Berto, può essere interessante notare che Don Bosco amò sottacere la cosa, forse nella persuasione che il renderla palese avrebbe offiiscata la figura tutta splendore che aveva fatta conoscere di Don Cafasso.

E

invece il fatto metterebbe in luce le doti di prudenza e preveggenza che si riconoscevano al Cafasso.

Don Bosco scelse ciò per cui si sentiva più propenso e per cui certamente

(39) NICOLIS DI ROBILANT, V i t a del venerabile Giuseppe Cafusso, p. 10.

(4) Può indurre in errore, ad esempio, quanto DB fa dire in un dialogo il 27 aprile 1865: <<Gli Oratori nella loro origine (1841) non erano altro che [adunanze di giova- netti..

.

I1 primo Oratorio è quello ove noi ci troviamo, detto di S. Francesco di Sales.

Dopo questo se ne apri un altro a Porta Nuova; quindi un altro più tardi a Vanchiglia, e pochi anni sono quello di S. Giuseppe a S. Salvario » (G. Bosco, Meraviglie della Mudre di Dio invocuta sotto il titolo di Maria Ausiliatrice.

. .

, Torino 1868 (LC), p. 163; MB 8, p. 1037). l?. invece esatto quanto DB scrisse neile più antiche redazioni delle Regole della Società di S . Francesco di Sales. Origine di questa Società: «Fin dali'anno 1841 il Sac.

Bosco Gioanni si univa ad altri ecclesiastici.

. .

» (AS 022 1, p. 3; MB 5, p. 931).

('l) Scrittura autogr. in AS 123 Cafasso.

aveva più affetto dopo il triennio di esperienza positiva tra la gioventù di Torino. Nella scelta emerse ancora una volta il clima religioso che lo condi- zionò. Don Bosco fu persuaso che nel consiglio di Don Cafasso gli veniva ma- nifestata la volontà di Dio; anche se, confessa Don Bosco:

« A prima vista sembrava che tale consiglio contrariasse le mie inclinazioni, perciocche la direzione di un Ospedale, il predicare e confessare in un istituto di oltre a quattrocento giovanette mi avrebbero tolto il tempo ad ogni altra occupazione.

Pure erano questi i voleri del cielo, come ne fui in appresso assicurato »(q2).

Anche Don Cafasso, da parte sua, avrebbe manifestato la medesima per- suasione: <( Andate col

T.

Borrelli

. . .

lavorerete

. . .

Intanto Dio vi mrtterà tra mano quanto dovrete fare per la gioventù »

("1.

Un sogno (o più sogni) fatti nell'emozione del distacco rinnovarono le immagini e i messaggi del sogno dei nove anni, cui si aggiungevano alcuni nuovi particolari. Non solo sognò di vedersi « in mezzo a una moltitudine

di

lupi, di capre e capretti, di agnelli, di pecore, montoni, cani ed uccelli », che poi si cambiavano in agnelli; ma vide anche «agnelli [che] cangiavansi in pastorelli » e «una stupenda e alta chiesa »: era ciò di cui forse ormai sentiva il bisogno: collaboratori e possibilità di disporre di un locale sacro tutto per sé e per i suoi giovani(").

5. Le

prediche

L'orientamento assunto dall'attività sacerdotalc di Don Bosco nel Con- vitto verso una pastorale valida e verso i giovani si rifletté anche sulla sua attività di predicatore.

Si potrebbe pensare che il materiale predicabile sia, tra i documenti che si posseggono di un sacerdote, il meno importante e il meno personale. Spesso infatti l'urgenza del lavoro, la consapevolezza che il proprio materiale non è destinato alle stampe, la fiducia nelle proprie risorse invitano alla compilazione più modesta e alla trascrizione meccanica di quanto si ha sottomano. Ma bisogna aggiungere d ~ e qualsiasi sacerdote impegnato nel proprio ministero raramente è di facile contentatura. Difficilmente si sofferma su testi che non sente in

(0) M0 p. 133.

(43) M0 p, 133. Nel 1835-36 il teologo Borel era, insieme al canonico Carl'Antonio Bossareiii di Rifreddo, direttore spirituale delle kuole di S. Francesco di Paola (Annuario stalistico-amminist~utivo della Divisione di Torino per l'anno 1836, Torino, tip. Gius. Fo.

dratti, p. 97). Nel 1844 risulta cappellano (o forse già rettore spirituale) deila casa reli- giosa di S. Maria Maddalena; morì il 9 settembre 1873 a 72 anni, commemorato atfettuosa.

mente sul Museo delle Missioni Cattoliche 16 (1873) p. 620 s; «semplice, popolare, modesto, lieto, umile ed atfettuoso chiamavanlo

. . .

sorridendo. . . il padre piccolo D.

("1 M0 p. 134-136.

consonanza con il proprio mondo interiore e quasi sempre trasfigura con l'accento personale quanto ha eventualmente trascritto. Può avvenire che egli abbia preso

in

prestito parole, periodi, pagine intere. Ma bisogna andar cauti prima di affermare che abbia fatto ciò, perché spinto da pigrizia o da superfi- cialità. Questo, per lo meno, non è lecito affermarlo del curato d'Ars, il cui materiale predicabile è quasi interamente di seconda mano, e che però, espresso da lui toccava gli spiriti e trascinava alla conversione (").

E

possiamo dire che ciò non fu pigrizia o superficialità in Don Bosco, la cui predicazione, sap- piamo, fu spesso modesta nella forma e nel contenuto e, ciononostante, capace

d i

legare alla sua persona giovani e adulti, e portarli a una più intensa pra- tica religiosa.

Le prediche che di lui possediamo sono in gran parte compilate nei primi anni di sacerdozio, cioè negli anni ch'egli trascorse al C ~ n v i t t o ( ~ ) .

I

temi che vi sono svolti sono effettivamente quelli comuni dei predicabili del Sette-Ottocento, trasparentissimamente legati agli schemi degli Esercizi spiri- tuali di S. Ignazio, alla produzione letteraria del Segneri e di S. Alfonso, che Don Bosco ricalca direttamente o da seguaci, come il gesuita piemontese del- l'inizio Settecento Rosignoli e il sacerdote ligure di inizio Ottocento Antonio Francesco Biamonti (").

Tra i documenti legati all'attività giovanile merita particolare attenzione il panegirico in onore di S. Luigi che Don Bosco compilò nel 1844 o forse prima("). Fonte, a quanto pare unica, è la V i t a

breve di

san Luigi Gonzaga scritta da Antonio Cesari, citata poi da Don Bosco nei Cenni su S. Luigi premessi alle Sei Domeniche in onore del santo, edite nel 1846 (4').

La trascrizione del testo è talora quasi letterale e a rilevarlo può bastare un semplice raffronto:

(45) J. GENET, L'énigme des sermons du Curé d'Ars, Paris 1960.

(M) AS 132 Prediche-Conferenze-Discorsi. Ne ricordiamo, a titolo di esempio, dcune, dei primi due anni di sacerdozio: AS 132 Prediche A/1: Fine dell'uomo (3 dic. 1841);

A/3 e Introduzione n (2 aprile 1842); Al4 Peccato mortale (17 aprile 1842); DI11 Visita- zione di Maria SS.: « La divozione di Maria è segno di predestinazione . . . », f. 2v:

« Visi~azione di Maria il 13 giugno 1842. Nel ritiro delle orfanelle »; A/5 Morte del peccatore (1" luglio 1842); A/6 Con la morte finisce il tempo e comincia l'eternità (17 luglio 1842); A/9 Istituzione dell'Eucaristia (12 agosto 1842); Al11 Felicità del Paradiso (30 giugno 1843). Cf. MB 4, p. 177 e 16, 9. 594-613.

(47) Carlo Gregorio ROSIGNOLI, Verità eterne esposte in letiioni, Milano 1688; A. F.

BIAMONTI, Serie di meditazioni prediche ed istruzioni ad uso delle sacre missioni e de' santi zpirituali esercizj, Milano 18402, 6 vol. (= Genova 18401).

(48) AS 132 Prediche.

. .

F/7. Incipit: Minuisti eum paulo minus ah angelis .

.

. D, minuta autogr. di DB e copia allogr. (edito in MB 16, p. 605-613). Accanto alla data di nascita, 9 mano 1568, DB scrisse in margine « 276 anni fa n.

(49) [G. Bosco], Le sei domeniche e la novena di san Luigi Gonzaga con un cenno sulla uita del Santo, Torino tip. Speirani e Ferrero 1846 (unico esemplare, insieme a un ms. in parte autogr. di DB, è in AS 133 Sei domeniche); 1854 (LC)

. . .

Don Bosco: Cesari:

Ordinò seco un digiuno

l

che il meno s'estendeva a tre giorni per settimana;

il venerdì in pane ed acqua;

l [ . . . l

quelli che gli fornivano il pranzo erano tutto stupore,

che di sì poco potesse regger la vita,

e lo reputavano ad un miracolo grande cui merce voleva Iddio

I mostrare quanto l'uomo possa

Ordinò seco un digiuno, il men di tre giorni per

settimana,

e '1 venerdì in pane ed acqua

[...l

que' medesimi che lo fornivano del pranzo 1.

. .l

erano trasecolati, che di si poco potesse regger

la vita;

r '1 reputavano ad un cotal miracolo, col quale volea Dio

mostrare, quanto uom possa. (n)

I1

motto del panegirico, Minutsti r u m paulo mtnus a b angelrs, ,annunzia chiaramente il tema ( e la persuasione) di Don Bosco: in Luigi tutto fa ua- sparire l'opera assolutamente gratuita di Dio, a cui però il giovane collaborò con piena dedizione, sicché Dio gli concesse la vita eterna e, prima ancora, la lieta morte del giusto. Luigi era un esemplare dato dalla divina bontà alla gioventù.

I1

panegirico, che preso in sé è senz'altro di assai modesta fattura, ha un qualche valore, se posto nella prospettiva della vita e degli scritti di Don Bosco, in quanto appare già carico di alcuni temi che saranno caratteristici del santo. La vocazione dei giovani alla santità, che nel panegirico è presentata in forma dimessa, diverrà uno dei temi dominanti della biografia di Domenica Savio. La morte del giusto sarà quasi sempre presentata da Don Bosco in termini avvincenti, in contrasto con quella del peccatore, secondo una tematica idealizzatrice che è quasi più sotto I'inRusso della letteratura su S. Luigi (alimentata da considerazioni del Vecchio Testamento e della predicazione popolare), che non sotto quello del dramma di Cristo Crocifisso.

Un'analisi più particolareggiata delle prediche giovanili di Don Bosco, metterebbe in luce molti altri temi che diventarono tipici del suo modo di pensare e di esprimersi. Tra l'altro da esse appare già che Don Bosco non si prepara ad essere il conferenziere come Frayssinous, o il classico quaresimalista

(a) A. CESARI, Vita breve di san Luigi Gonzaga scritta nouellamente, p;., l , cp. 5, Pia- cmia 1829, p. 39; MB 16, p. 607 S. Ii testo di DB non deriva dal Cepari, che sembra sia direttamente ricalcato dal Cesati: «Per ordinario digiunava almeno tre dì della setti- mana..

.

Ma per ordinario mangiava tanto poco, che stupite alcune persone della Corte, come potesse vivere, risolvettero un giorno, senza ch'egli lo sapesse, di pesare ii cibo, ch'era solito di prendere in pasto, le quali hanno deposto con giuramento, che fatto il bilancio, che fra pane, e companatico non arriva al peso d'un oncia per volta

. . .

» (CEPAP& Vita dell'angelico giovane S. Luigi Gonzaga. . .

,

pt 1, cp. 7, Torino, presso Gius. Rameletti 1787, p. 65 s).

come il Segneri, o il nuovo predicatore apologista dell'etl romantica che pre- dica le bellezze della fede come Gioachino Ventura o il genio della civiltà cristiana alla Chateaubriand o alla Balmes; egli sarà di preferenza il catechista che dilucida i principi del Catechismo in forma popolare, sia che parli a ragazzi, che a gente

di

campagna o agli accademici dell'Arcadia.

Giustamente la predicazione

di

Don Bosco sarà accostata a quella di Antonio Rosmini per questa tendenza didascalica, che in Don Bosco è propriamente frutto dell'esperienza catechistica ('l).

6. Gli anni del Convitto, tempo di risanamenlo interiore e di matura-

Nel documento DON BOSCO (pagine 47-50)