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I1 risuscitato di Don Bosco e altri risuscitati della tradizione agio- grafica cattolica

Nel documento DON BOSCO (pagine 140-145)

La secondogenita, Giadnta Maria Geltrude sposò Giuseppe Vittorio De- tomatis (&e poi divenne proprietario del « Gelso Bianco ») nella chiesa del

3. I1 risuscitato di Don Bosco e altri risuscitati della tradizione agio- grafica cattolica

Per ipotesi si potrebbe supporre che l'episodio

di

Carlo sia del tutto fit- tizio. Don Bosco avrebbe narrato ai giovani un fatto accaduto a S. Filippo Neri, riportato dalla biografia del Bacci, ma poi il clima di venerazione avrebbe

(n) Circostanza che potrebbe coincidere col Carlo di Don Bosco: Carlo Vinzia morl alle otto del mattino. Circostanza interessante: a tutte lettere si trova scritto che Carlo Vinzia morì il uenti; il decesso fu dichiarato il ventiquattro; la sepoliura awenne il venti- cinaue. L'atto è sottoscritto dal vicecurato Domenico Massa (altra coincidenza col Cado della tradizione).

I1 venti dovette colpire colui che fece la trascrizione per la Curia, dove Patto reca anche per la morte il giorno ventiquattro; questa data porta il decesso insolitamente vicino alla sepoltura che ordinariamente dora aweniva due giorni dopo a morte. Ad ogni modo, l'una o l'altra data per sé non incide sulle possibili coincidenze col Carlo di DB.

( W ) Nacque il 7 luglio 1809; era figlio di Giambattista e Maria Parodi; quando venne estratto per il servizio militare esercitava la professione di cameriere: Provincia di Novara, Classe deii'anno 1809, Lista d'estrazione del mandamento di Orta, n. 28; asse- gnato nel 1829 al corpo di artiglieria (Torino, Arch. di Stato, sezioni riunite).

(81) Anche per questo fratello di Carlo ci si basa su notizie incerte e il campo rimane aperto alle supposizioni.

(8') AS, 132, Oratorio, 5; pubblicato sulle MB 4, p. 122 s nota

operato la trasposizione da Roma a Torino, da S. Filippo a Don Bosco, dal secolo

XVI

al secolo

XIX.

Come

ii

Carlo

di

Don Bosco, anche il giovanetto Paolo de' Massimi caris- simo a Filippo Neri, mori senza che il santo potesse assisterlo:

«Suo padre gli chiuse gli occhi, e il curato della parrocchia, che gli aveva dato l'Olio santo e raccomandata l'anima, se n'era partito. Quei di casa avevano preparato l'acqua per lavarlo ed i panni per vestitlo, quando, essendo passata maz'ora, arrivo il S. Padre, a cui Fabrizio si fece incontro piangendo e dissegli:

-

Paolo è morto..

.

Entrò poi Filippo in camera, dove stava il morto fanciullo, si gettò sulla sponda del letto, facendo un mezzo quarto d'ora di orazione colla solita palpita- zione del cuore e trem'ore del corpo; prese poi dell'acqua santa e la spruzzò sul viso del figliuolo, gittandogliene alquanto in bocca: indi soffiandogli in volto con mettergli la mano in fronte, lo chiamò con alta e sonora voce due volte:

-

Paolo, Paolo;

-

alla cui voce il giovinetto subito, come da un sonno risvegliato, apri gli occhi e disse: - Padre, io mi era scordato d'un peccato, e però vorrei confes- sarmi.

-

Allora il santo Padre fece allontanate quelli ch'erano intorno al letto.

. .

Per ultimo il santo Padre gli domandò se motiva volentieri, e rispose di sl .

. .

onde il santo Padre gli diede la benedizione dicendo:

-

Va, che tu sia benedetto.

prega Dio per me.

Subito con volto placido e senza alcun movimento tornò a morire nelle braccia del santo Padre »(a).

Le

circostanze affini tra i'episodio di Don Bosco e quelio di Filippo Neri sono davvero notevoli: il chiamare due volte per nome, la confessione, il chie- dere

ai

fanciullo se è contento d i morire. Si hanno inoltre argomenti troppo grandi per ritenere che Don Bosco conosceva ed esponeva ai suoi giovani la vita di S. Filippo Neri

Uno dei particolari che manca è

il

cattivo sogno, che invece si trova in un episodio analogo dei Dialoghi di S. Gregorio Magno, riferito in un'opera che Don Bosco usò citare: il

Magnum theatrum uitlre humanae

del Beyerlinck.

Riferisce il Beyerlinck:

4 Severus sacerdos, vocatus ad cujusdam aegrotanis cunfessionem audiendam, cum paulum tardius venisset, vita defunctum offendit. Eaque de re vehementer anxius, et d i c t u s , lamentis cadaveri incumhens, cum acerrime fietet, rwixit qui jacebat mortuus, dixitque: se, dum ab impiis spiritihus ad ,horrenda tenebrarum loca raptim traheretur ah angelo protinus dimitti, atque corpori restitui jussum, quod diceret, Deum id Severi lachrymis indulsisse. Igitur uhi confessus est, peracta septem dierum poenitentia, iternm ohiit » (85).

(83) Pietro Giovanni BACCI, Vlta di S. Filippo Neri, lih. 111, cp. XI (vol. 11, Monza 1851, p. 219s: è un'edizione di cui esistevano parecchi esemplari a Valdocco). La cuinci- denza tra l'episodio di S. Filippo Neri e quelio di D. Bosco è rilevata dal gesuita Giovanni Franco in una lettera a Don Lemoyne, Roma, 24 febbraio 1891, MB 3, 501 S.

t") Don Bosco ne fece panegirici e assimilò sue sentenze. Cf. Indice MB, 601.

L. BEYERLINCK, Magnum theatuum vitae humanae, alla voce Resurrectio (6, Ve- uetus 1707, 1198/C), dove è riportato anche il caso occorso a S. Francesco d'Assisi riferito

Davanti a questi e ad altri simili testi si è tentati di asserire che la riani- mazione di chi ha bisogno

di

assoluzione sacramentale sia un luogo comune dell'agiografia cattolica, parallelo a quello dei miracoli eucaristici comprovanti la presenza reale e da ciò si è ancora indotti a negare ogni fondamento oggettivo al fatto del giovane Carlo. Ma per giungere a questo occorrerebbe scalzare testimonianze

di

gran peso, come quelle d i Don Bologna, della marchesa Fas- sati e di Don Lemoyne, che si rifanno direttamente a Don Bosco e ne descri- vono il comportamento come di chi è stato in causa in un avvenimento real- mente accadiito.

Prima di giungere a conclusioni, tutto sommato, è molto più saggio esa- minare meglio le vie attraverso le quali il fatto ci è stato tramandato e soppe- sare più attentamente le testimonianze.

Una di queste vie è stata

la

catechesi e la predicazione di Don Bosco.

Non sembra, anzitutto, ch'egli vi sia ricorso con gran frequenza. Inizialmente dovette esporre il fatto fuori deli'Oratorio; e, se ne parlò anche a Valdocco, dovette esprimersi in termini tali, da non far sospettare che vi era implicato.

Diversamente non ci si spiegherebbe come mai Carlo Tomatis abbia potuto ignorare che si attribuisse a Don Bosco la risurrezione temporanea di un giovane.

La tradizione delYOratorio dovette essere duplice: quella tra gi'intimi di Don Bosco e quella tra i giovani e i meno vicini alle confidenze del Santo.

I

primi (Rua, Cagliero, Bonetti, Buzzetti

. .

.) dovettero essere persuasissimi che Don Bosco era stato

il

sacerdote che aveva confessato Carlo; persuasCssimi anche che si sia trattato di vera risurrezione.

La tradizione dei meno intimi (Bisio) appare indiretta; o se diretta (Bo- logna), fondata sul racconto che ne fece Don Bosco in prediche.

Non è controllahiie i'eventuale tradizione del fatto per altre vie, anche se non è da porre in dubbio che queste ci siano state: Giuseppe Buzzetti, ri- guardo al quale sappiamo quanto ha asserito Don Lemoyne: teste « auricolare di chi era stato presente » e il Fratello delle Scuole Cristiane, che forse si rifà alla predicazione di Don Bosco (86).

da S. Bonaventura. Un caso &ne è alla voce Mors (5, Venetiis 1707, 268/E). I1 Beyerlinck riassume il testo orig. di S. Greg., Dial., I, cp. XII: ML 77, 212s; ed. Moricca, Romae 1924, p. 68 S.

( 8 6 ) D. Lemoyne descrive con molti particolari il colloquio tra D. Sala e il Fratello:

«Andando a Pama ud 1889 incontrò sulla ferrovia un vecchio Fratello delle Scuole Cri- stiane che era di casa religiosa a Parma. Venuto a patlare di D. Bosco il buon Fratello gli narrò come egli si trovasse in Torino maestro di classe elementare nel 1848, 1849 e come fosse cosa certa e provata la risurtezioue momentanea di un giovanetto già estinto»

(MB 499113-19). In base a indagini fatte cortesemente su nostra richiesta da frate1 Francexc Ghcrzi della Casa Generalizia dei Fratelii, si ricava che nessuno dei religiosi residenti a Parma nel 1889 poté essere stato maestio a Torino prima del 1867: da tale anno fino al 1878 vi si trovò Fr. Massimo (Paolo Mazzi), nato a Repsio Emilia nel ..

1848.

Con tutta probabilità D. Sala, andando a Parma, si trovò sul treno col superiore della provincia torinese dei Fratelii, alla cui giurisdizione apparteneva anche la casa di Panna:

Fratel Genuino (Giovanni Battista Andorno). Fratel Genuino era quasi conterraneo di

Anche incontroliabili sono le vie, per le quali si è potuto diffondere a Roma l'eco del ((miracolo », a cui allude Don Bonetti nei suoi Annali.

Tra le varie redazioni pervenuteci quella delle MB, come abbiamo docu- mentato, per quanto sia la più nota, non appare la più fedele alla narra- zione di Don Bosco. Su di essa si sono sedimentati elementi che, espunti, ci porterebbero a riudire il fatto, quale lo esponeva il Santo.

Varie aggiunte, anzi, non sembrano avvicinarsi ad una ricostruzione veri- simile deli'episodio.

Per un ritorno al racconto di Don Bosco e al fatto oggettivo sarebbe auspicabile che si adottassero le relazioni Fassati e Documenti

I I I

anche se di quest'ultima non con?sciamo esattamente i precedenti; in essa certo è da espungere per lo meno l'asserzione che il Gelso Bianco sia stato teatro del fatto.

Soprattutto la redazione Fassati getta luce sul comportamento di Don Bosco coi giovani e col dottor d'Espiney. Coi primi Don Bosco adoperava l'episodio in ordine ad un probkma educativo e religioso: la sincerità col confessore e l'assoluta necessità di superare con lui ogni rispetto umano. Nella catechesi di Don Bosco è frequentissima l'insistenza su tale argomento.

Effettivamente il fatto si prestava ad impressionare nel senso voluto da Don Bosco; ma quanti ne conoscevano il protagonista, quanti avevano presenti la moltiplicazione delle castagne e delle ostie o le grazie straordinarie operate per intercessione di Maria SS. Ausiliatrice, istintivamente erano portati a pen- sare che il risveglio di Carlo era stato un miracolo. Questa interpretazione divenne l'anima del racconto, nel Dom Bosco del d'Espiney.

Don Bosco protestò probabilmente perché consapevole della inconsistenza di molte circostanze narrate dal medico nizzardo, ma forse anche perché egli stesso era incerto sull'entità delle cose.

Una ricostruzione del fatto non dovrebbe dimenticare o travisare quello che poté essere lo stato d'animo di Don Bosco. Deve, comunque, esprimere il comportamento in quei termini di naturalezza che invece risultano compro- messi da quanto le MB attinsero dal d'Espiney.

Qualcosa è emerso a proposito di Don Lemoyne e del suo metodo nell'in- tessere il testo delle MB.

Don Bosco, essendo di San Paolo (Asti). Nacque il 7 giugno 1826, entrò nel noviziato il 10 febbraio 1843. Fu a Pinerolo dai gennaio 1844. Passò poi a Saluzzo, Racconigi e quindi nuovamente a Saluzzo. Nel 1847 venne inviato a Torino nella comunità di santa Pelagia e f u insegnante di scuola elementare superiore, dando prova di rare doti di educatore. Dal 1861 fu Visitatore del Distretto di Torino (o Provinciale). Morì 1'8 novembre 1901 a Torino.

Per quanto riguarda noi, supposto che si sia trattato di frate1 Genuino, è, tutto sommato, spiegabile che D. Sala e D. Lemoyne abbiano potuto fraintendere sulle attinenze del vecchio Fratello con la Casa di Parma. Può anche darsi che frate1 Genuino non abbia voluto far conoscere la sua qualità di superiore provinciale ed abbia semplicemente detto che andava nella « s u a » casa di Parma: «sua D, perche ne era superiore provinciale.

Don Lemoyne adoperò le sue fonti, per quelle parti in cui non erano in reciproca evidente contraddizione, come se fossero documenti complementari.

Ora, non pare che esse lo siano state nell'intenzione degli autori e tanto meno alcune, prese in sé, manifestano caratteristiche di complementarità.

L'infevmena di Pietro Enria, la Signwa

di

Giovanni Bisio, ad esempio, sembrano piuttosto frutto di confusione tra l'episodio del giovane risuscitato ed altre circostanze proprie dei suoi testimoni o di altri episodi concernenti Don Bosco: Enria era infermiere e di Stgnore si parla spesso in sogni di Don Bosco.

Cionondimeno le testimonianze su Carlo hanno un valore da non tra- scurare, in quanto esprimono come il racconto venne sentito e comunicato in varie circostanze da persone di cultura e stato d'animo diverso, quali Enria, d'Espiney, Don Rua, Don Lemoyne e gli altri che gravitavano attorno alla personalità di Don Bosco. Ma in ordine al fatto in

e al modo come venne presentato dal Santo hanno un valore diverso e subordinato, perché spesso fonti tardive e indirette.

Questo vale, ci sembra, anche a

proposito

delle MB. La loro redazione appare manchevole per due ragioni: sia perché risulta un agglomerato di brani dal valore storico disuguale; sia anche perché svela il mancato ricorso a fonti non contenute negli archivi salesiani, che sarebbero state utili per non incor- rere in inesattezze, sebbene riguardo a circostanze non sostanziali, alcune delle quali erano tuttavia evitabilissime. Se certi errori si fossero evitati $a allora, oggi forse si sarebbe potuto collocare nella storia in maniera soddisfacente il Carlo della tradizione.

Altre considerazioni sono suggerite dall'esame delle varie redazioni in ordine ad un lavoro critico su di esse.

È evidentemente meritevolissimo studiare come Don Lemoyne lavorò nel comporre le MB. Queste infatti conserveranno sempre un posto eminente sia per la conoscenza di Don Bosco, sia per studiare come lo vide un'epoca: la generazione che accompagnò il Santo in vita e ne prosegui l'opera immediata- mente dopo la sua morte; sia infine perché sono il documento, al quale quasi esclusivamente finora si sono ispirati devoti, agiografi e studiosi.

E

anche quanto mai utile portare alla conoscenza di altre fonti sulla vita di Don Bosco. Ma non bisogna dimenticare ch'esse ci possono dare il Santo nelia massima messa a fuoco solo quando si studiano nel loro complesso, non perdendo di vista la loro collocazione precisa nel tempo e l'analoga colloca- zione dei fatti ch'esse tramandano.

APPENDICE E DOCUMENTI

1. Dal « Dorn Bosco » di Carlo d'Espiney: « Lèvc-tai » (1881) (m).

Un jeune homme, élevé à Yoratoire, était mourant i Rome. Le malhei,reux avait perdi, la fai, et refusnit obstinbment de se confesser.

(87) D'ESPINEY, Dom BOSCO, Nice, 1881, p. 177 S.

4. DON BARBERIS, Sui proprietari del « Gelso Bianco » (1885-93) (M).

Ora padrone del Gelso Bianco in Torino via dei quartieri è il sigr Detomatis Vittorio

-

che ha tre figli Giuseppe, Enrico e Antonio: l'Antonio telegrafista d a stazione di Porta Susa.

Ma quarant'anni fa era padrone(91) di detto albergo il signore(92) Giuliano Giorgio abitante in via Bucheron n. 8 piano teno - Torino.

Figlio di questo signore è il signor Giuliano Domenico abitante in Bruino - cascina Milano.

Questa famiglia Giuliano è Svizzera: la mamma era dei Ferrero. Una delle figlie fu maritata al suddetto Detomatis.

Questo è quanto, bopo molte indagini fatte dai nostro confrareilo Eula di Valsalice, potei sapere riguardo ai padroni del Gelso Bianco (93).

Sac. Giulio Barheris.

5. PIETRO ENRIA, Deposizione al processo informativo diocesano per la heatificazione di Don Bosco - Appunti personali (1891-93)(").

D. Bosco una volta eslslendo fuori di Torino per qualche giorno, quando ritornò s-e a d i o che vi era morto un giovane che aveva un grande desiderio di confes[s]arsi da D. Bosco. Fu molto aflfllitto per quel giovane, domandò, e mesto sempF(95) che elral morto. Gli risposero che era già da parecchie ore. Allora d. Bosco andò nella infermeria, dove si trovava quel giovane morto, andò vicino al letto, lo chiamò per nome e il giovane aperse gli occhi e sciamò ho! ("1 d. Bosco lo aspettava, ho bisogno di confes[slarmi. Lo confessò. Dopo essersi confes[slato parlò un poco con d. Bosco e poi sorlrlidendo disse:

Arlrlivederci i l n l paradiso. E spirò. Questo fatto lo(") sentito da Buz[zletti Giuseppe e dal pittore Tomatis. Lo sentii anche a confermare dal medesimo d. Bosco.

Deposizione al processo informativo diocesano (30 gennaio 1893)(98)

Una volta D. Bosco ritornando a Torino, dopo una assenza di qualche giorno, trovò morto alcune ore prima un giovinetto, che aveva manifestato desiderio di confessarsi da

(m) ms. autogr. di Don Giulio Barheris, AS 123 Carlo.

(9') Padrone conetto da padrona.

(m) il signore corretto da la signora.

P3) Dalio schedario anagrafico della Segreteria generale dei Salesiani e dagli elenchi annuali della Congregazione si ricava che, vivente Don Giulio Barheris (1847-19271, vi fu solo un salesiano dal nome Eula: Vincenzo, nativo di Vilianova (Cuneo), che emise la professione religiosa il 26 settembre 1893, fu nel collegio di Valsalice in Torino nel 1893-94 e quindi uscì di Congregazione. La nota di D. Barberis suppone in esercizio il Gelso Bianco, il che fa pensare che le ricerche poterono essere state fatte dall'Eula anche prima;

cioè mentre era semplice domestico (famiglio) neii'istituto salesiano S. Giovanni Evange- lista di Torino (1885-1891) o ascritto a Valsalice (1891).

(9

autogr., AS 110 Enria, 1-2; p. 74s. L'ortografia dell'originale è assai scorretta, ci siamo permessi di ritoccare senz'altro la punteggiatura,

sempre = seppe.

("1 ho! = oh!

(97) 10 = l'ho.

PS)

AS 161.1/14, copia A, p. 45. . .

lui. Ciò sentito D. Bosco andò nell'infermeria per vederlo, andò vicino a lui e lo chiese per nome. Aliora quel giovane aperse gli occhi e disse:

-

Ah! D. Bosco io aspettava.

. .

Lo confessò, e poi gli disse:

-

Arrivederci in Paradiso ed il giovane spirò. Questo l'ho sentito a raccontare da Buzzetti e da Tomatis, questi è ancor vivo.

6. GIOVANNI BISIO, Deposizione al processo informativo diocesano per la beatificazione di Don Bosco (27 m a n o 1895)

(*l.

Mi raccontò lo damigella Teresa Martano, or defunta, insigne benefattrice deii'oratorio, che nei primi anni che io era all'oratorio, un giovane dimorante in Torino venuto amma- lato gravemente, desiderò istantemente di confessarsi da D. Bosco, ma essendo questi as-

( sente morì senza ricevere i sacramenti. Arrivato D. Bosco a Torino gli si disse che quel giovane Luigi, di cui non ricordo il cognome, l'aveva chiamato per confessarsi e che era morto da poche ore. D. Bosco ciò udito, corse subito a vederlo. Entrato nella casa, incontrò la madre che gli disse piangendo, che il suo Luigi l'aveva tanto sospirato per confessarsi, e che era morto da sei ore, senza ricevere i sacramenti. Allora D. Bosco chiese di vederlo, e avvicinatosi al suo letto, gli scoprì il volto e lo chiamò per nome due volte. La seconda volta il giovane aperse gli occhi ed esclamò: O h lei, D. Bosco! l'ho sospirato tanto! Ha fatto bene a venire a vedermi e svegliarmi, perche ho fatto un sogno tanto brutto che mi ha molto spaventato. Mi pareva d'essere sull'orlo d'una fornace, e vedeva tante hrutte bestie che mi volevano gettar dentro, ma vi era una signora che si oppose dicendo aspet- tate, non è ancora giudicato. E durò per molto tempo quella lotta quando lei D. Bosco mi ha svegliato.

. .

D. Bosco allora disse di farsi coraggio e di confessarsi, come difatti si confessò. Finita la confessione D. Bosco gli disse: non aver più paura che quelle bestie non ti faranno più alcun male, e che egli non era più destinato per questa terra. Difatti il giovane chiuse gli occhi e morl. Questo fatto l'ho pure udito da alcuni dei primi allievi deliOratorio.

7. DON RUA, Deposizione al processo informativo diocesano (1895)(lm).

Mentre io frequentavo le classi elementari presso i Fratelli delle scuole cristiane in Torino, D. Bosco veniva sovcnte a confessare. Ricordo di averlo sentito una volta a raccon- tarci nella predica, che un giovanetto di nome Carlo erasi ammalato gravemente, ed essendo in pericolo di morte, fu cercato il confessore, il quale non si trovò. Intanto il fanciullo venne a morire, ed arrivato il confessore, trovò i parenti in pianto perche era morto il loro figlio e non aveva potuto parlare al suo confessore.

Questi lo pregò di volerlo condurre al letto dei defunto, e chiamatolo per nome lo vide aprire gli occhi e lo sentì a dire: « O h ! Lei che è qui! oh benvenuto! è arrivato a tempo per salvarmi giacche mi trovavo perseguitato da mostri orribili che volevano cacciarmi in una fornace ».

l Allora il confessore fritti ritirare i parenti, ascoltò la sua confessione, e datagli l'asso- luzione il fanciullo si addormentò nel Signore.

(99) AS 161.1125, copia A, p. 43 S.

(1") AS 161.1/26, copia A, p. 345 S.

I n seguito intesi a raccontare questo fatto da varie persone attribuendolo a D. Bosco stesso, dimodoché valendomi deila confidenza che aveva con lui, lo richiesi una volta (mentre io era già prete, o per lo meno prossimo al presbiterato) se fosse proprio esso I'autore di quel fatto che a lui veniva attrihuito. Egli mi rispose: e I o non ho mai detto che fossi io l'autore di quel fatto». Non andai più oltre, bastandomi il vedere che non negava che fosse esso, ma solo negava di averlo attrihuito a se stesso; n6 volendo per altra pane abusare della sua confidenza. Ignoro altri particolari al riguardo.

8. DON GARINO: «Deposizione del signor Carlo Tomatis ì> (1901)(lQl).

Tomatis di Fossano non ricorda punto né la moltiplicazione delle ostie, né la risur.

Tomatis di Fossano non ricorda punto né la moltiplicazione delle ostie, né la risur.

Nel documento DON BOSCO (pagine 140-145)