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associati per opere giovanili e l'incremento della fede alle dipendenze dei vescovi e dei parroci;

Nel documento DON BOSCO (pagine 109-112)

essi, stato reale, in contrapposizione allo stato legale, affermavano di essere il novantanove per cento della popolazione ritiratasi dalla vita politica con

4. associati per opere giovanili e l'incremento della fede alle dipendenze dei vescovi e dei parroci;

(") Cooperatori Salesiani, p. 9.

(3) L. GASTALDI, Letfere pastorali, commemorazioni funebri e ponegirici, lett. past. del 5 ott. 1873, Torino, p. 267 s: « L a carità cristiana è quella che mostra in tutta la sua esten- sione la verita dell'antichissimo proverbio: Vis unita fortior; le forze unite accrescono cia- scuna la sua potenza..

.

Questo spirito di associazione diede prove solenni del suo vigore sino dai orimi esordi della santa Chiesa Cattolica: nei suali sorsero ben tosto varie società ~~~ ~ ~ intente, quale ad una, quale ad altra opera di carità cristiana u: da confrontare col primo paragrafo della Unione Cristiana (p. 1 ) e dei Cooperatori Sulesiani (p. 3).

(35) Cf. la voce Letlure Cattoliche, in Indice M B , p. 234.

(36) Cooperatori Salesiani, La Congregazione Salesiana vincolo di unione, Torino 1876, p. 5 ; di cui è data una esegesi più esplicita in Bibliofilo Cattolico 3 (agosto 1877), p. 1 s.

5.

lega per controbattere, specialmente con la stampa, anticlericali e protestanti;

6.

unione per promuovere l'elevazione morale e civile della gioventù.

Questi progetti sono nuclei per sé ben individualizzabili, quasi altrettanti pianeti in cerca di un sistema in cui gravitare, ma che dalle circostanze e dal desiderio di Don Bosco stesso vengono spinti a muoversi in due campi, i cui centri d'attrazione e di equilibrio potevano essere sorgente d'impulsi non sem- pre tra loro componibili.

Per agire sulle Chiese d'Italia in base a una pianificazione unitaria in teoria bisognava essere non il superiore di una congregazione religiosa, ma, ad esempio, una commissione episcopale nazionale, o un'assemblea generale del clero, così come per tanti anni era avvenuto in Francia, ovvero l'Opera dei Congressi, i cui sforzi si orientarono appunto a superare concorrenze, a poten- ziare Comitati parrocchiali e diocesani alle dipendenze di un Comitato centrale permanente. L'opera dei Cooperatori, sorta in parte dalle stesse istanze che portarono alla organizzazione dell'opera dei Congressi, assumendo strutture e finalità affini poneva per ciò stesso i presupposti per un contrasto ai quale bisognava dare una soluzione (").

Per agire per scopi filantropici su base plnralistica e a scala mondiale, bisognava studiare un'organizzazione come quella dei Rotary o dei Lyon's Clubs; ovvero una vera e propria ((massoneria cattolica » (secondo quel che avrebbe detto Pio IX a Don Bosco)(").

Sarebbe stato comunque necessario porsi a tavolino per chiarire e de- cantare le idee, studiare la possibilità di unioni distinte, anche se coordinate.

Sarebbe stato necessario a fianco di Don Bosco un teorizzatore che lo aiutasse a porre in luce le intime aporie di un'associazione multipla che sapeva di mo- vimento, di società, di terz'ordine, di semplice clima di simpatia e di favore dato senza impegni.

Tutto questo non ci fu, almeno come teorizzazione consapevolmente orga- nizzata. Così la eventuale chiarificazione delle idee e la gerarcbizzazione delle attività venne affidata alla dialettica dei fatti P')).

3. 11 cammino

delle idee

Nei primi anni, tra il 1875 e

ii

1 8 8 5 , a differenza di quanto nei contempo faceva per le Figlie di Maria Ausiliatrice, Don Bosco si accollò personalmente l'onere di agitare le idee e arruolare aderenti alla Cooperazione Salesiana.

(37) Contrasto che si profilò con una certa evidenza in Italia tra il 1940 e il 1950, quando fu posto iJ prohlema del coordinamento tra le forze laiche in Italia attorno al nucleo dell'Azione Cattolica. Di riflesso anche nell'interno della Società Salesiana si studiò il problema delle relazioni tra Azione Cattolica e Compagnie religiose ereditate per tradi- zione da S. Giovanni Bosco.

(38) Mi3 13, p. 624. DB lo avrebbe detto a Don Angelo Rigoli, parioco di Somma Lombardo nel 1876: CERIA, Annali, 1, p. 224.

(39) DB effettivamente se ne preoccupò parecchio, perché considerò l'opera dei Coope- ratori come un n affare molto importante D. I suoi collaboratori prestarono la loro opera in

Riscontrata a Torino l'opposizione di mons. Gastaldi, che organizzava per quanto poteva attorno alla curia metropolitana e alla sua persona le iniziative cattoliche, si rivolge a vescovi benevoli, prima ad Albenga, poi a Genova (*).

Presto passa a Roma, cosi come aveva fatto per la Società Salesiana, per avere una approvazione autorevole della prima sede e conseguentemente la possibilità di aprire ai Cooperatori Salesiani le porte di tutte le diocesi.

Organizzata la tipografia salesiana di Sampierdarena, vi porta a stampare il primo regolamento della sua associazione, chiamata dei

Coopeuatoui Salesiani,

forse anche per distinguersi dalla locale

Associazione Cattolica di S. Fuancesco di Sales.

Dovunque egli si rechi a portare la buona novella della cooperazione ot- tiene simpatie, solidarietà e consensi: tiene personalmente almeno settantanove conferenze, di cui ventotto in Francia. Dovunque fa conoscere le numerose iniziative dei Salesiani ed ottiene sussidi. Invia il

Bollettino salesiano

« a chi vuole e a chi non vuole » e, dove c'è speranza di una maggiore adesione, aggiunge il diploma di Cooperatore salesiano. I1

Bollettino,

inviato gratuita- mente, penetra nelle case di ricchi e di poveri; arriva nella cascina dei Roncalli a Sotto il Monte e sul tavolo del conte di Cbamhord. Pio IX, Leone XIII, vescovi illustri, cardinali, insigni scrittori o pubblicisti come Cesare Cantù, Antonio Stoppani, l'ungherese Antonio Lonkay e il tedesco Giovanni Mehier accettano di essere annoverati tra i Cooperatori. Ricchi mandano offerte consi- stenti che permettono di inviare il

Bollettino

anche ai poveri e di portarne la tiratura a quote rispettabili. Ali'edizione italiana, vivente Don Bosco, si ag- giungono quella francese e spagnola ("). Si può dire che il

Bollettino,

le molte maniera subordinata. Appunto per questo, ci pare, l'organizzazione dei Cooperatori è uno di quei fatti che maggiormente manifestano in DB l'uomo pratico, che costruisce specialmente in base all'intuito, alla straordinaria capacità assimilativa e organizzativa. « D a circa due anni ci lavoro attorno

-

affermò DB nel 1876

-

. . . H o già fatto un altro progetto, che in questi due anni maturerò e, assicurata l'esistenza deli'opera dei Cooperatori Salesiani, lo metteremo fuori: sarebbe da fare quasi direi un terz'ordine per le donne, non però aggre- gate a noi, ma associato alle Figlie di Maria Ausiliatrice » (Cronaca di D. Barheris, 19 febhr.

'76; MB 11, p. 73). I Cooperatori invece ammisero anche cooperatrici e del Terz'ordine femminile non si fece null'altro.

(") Cooperatori Salesiani ossia u n modo pratico per giovare al b u m costume e alla ciuile societd, Albenga, tip. vescovile 1876, 34 p.; Cooperatori Salesiani. . .

.

S. Pier d'Arena - Torino

-

Nizza Marittima - Buenos Ayres 1876 (con l'approvazione della Curia arciv.

di Genova,ma con i caratteri tipogratici divaidocco: cosa che irritò mons. Gastaldi), 1877'. . .;

Coopératem Salésiens ou moyen pratique de se rendre utile à la socidté en favorisant les bonnes moeurs, Turin, impr. et libr. Sdésienne 1876 (e in copertina: imprimerie et libr.

Salésienne, S. Pierre d'Arene-Turin-NiceBuenos Ayres). Per le relazioni non facili tra DB e mons. GASTALDI: MB 11, p. 78-83.

(4) Si vedano le lettere del Mehler e del Cantìi sul Bollettino Salcri/zao 9 (1885) p.

166; 12 (1888) p. 63; biglietto dello Stoppani a DB iE AS 126.2; carteggio tra DB e il Lonkay in AS 123 (copia dattiloscr.). Nomi di cooperatori insigni in CERIA, I Cooperatori Salesiani. U n po' di storia, Torino 1952, p. 54-56. Da aggiungere: Marianna, imperatrice d'Austria, di cui si parla in una lettera (non spedita) di DB all'imperatore Francesco Giuseppe (AS 131.01) e che si trova neli'elenco dei cooperatori defunti: Bulletin salésien 8 (1885) p. 36.

circolari spedite, le biografie del d'Espiney e del Du Boys determinarono la scoperta mondiale di Don Bosco, uomo straordinario, dotato

di

carismi sopran- naturali, Vincenzo de' Paoli del secolo

XIX.

Fino al 1874 i Salesiani costi- tuivano una congregazione a raggio regionale, sparsa in Piemonte, in Liguria e poco più, non presa in considerazione dal primo Congresso dei cattolici ita- liani (che per gli oratori e i patronati additò ad esempio le opere di Venezia e della Lombardia). Dopo quella data, specialmente dopo 1'80, potevano ambire e osare un confronto con gli antichi rispettabili Ordini religiosi, diffusi in tutto

il

mondo, articolati in famiglia religiosa maschile, femminile e in terz'ordine (").

Si fecero più frequenti i giovani raccomandati a Don Bosco da ecclesiastici e laici, si m~ltipiicaron~ le richieste di case in varie città e nazioni; crebbero le domande di ascrizione a qualcuna delle tre famiglie(").

Don Bosco avvertì

il

successo e non temette il sottoporsi a viaggi massa- cranti e a strapazzi d'ogni sorta. Specialmente nell'ultimo lustro della sua vita si trascinava logoro e sfinito per le città d'Italia, dove i suoi figli lo sostituivano come conferenzieri; andava come uno che più non si apparteneva, reliquia vivente per i Cattolici che in lui ammiravano e veneravano colui che aveva avuto una fede altamente operativa in tempi tanto difficili; si trascinava davanti agii occhi di chi voleva scoprire in lui il segreto del successo, fremere al contatto del divino che si avvertiva in lui, dare il proprio obolo per sentirsi schierato tra i gloriosi confessori della fede. Dovunque egli andasse, le chiese si riempi- vano, scrosciavano applausi, si scatenava l'entusiasmo. Egli dovunque propo- neva la cooperazione salesiana e le adesioni si moltiplicavano a diecine e a migliaia (").

Quando però si cercava di premere per organizzare oratori o catechismi in parrocchie e diocesi, ecco che si manifestavano perplessità e suscettibilità.

L'organizzazione appariva fortemente poggiata su Don Bosco e sui direttori delle Case salesiane; appariva quindi come una forza centrifuga rispetto a quelle diocesane.

Don Bosco a questo proposito ribadisce l'idea

di

associazione bivalente, che avrebbe dovuto rispondere agli stimoli della duplice polarizzazione, ma in termini diversi: « Ho studiato molto - avrebbe detto a Don Lemoyne

il

16 febbraio 1884

-

sul modo di fondare i Cooperatori Salesiani. I1 loro vero scopo diretto non è quello di coadiuvare i Salesiani, ma di prestare aiuto d a Chiesa, ai Vescovi, ai Parroci sotto l'alta direzione dei Salesiani nelle opere di beneficenza, come i catechismi, educazione di fanciulli poveri e simili. Soc- correre i Salesiani non è altro che aiutare una delle tante opere che si trovano nella Chiesa Cattolica. È vero che ad essi si farà appello nelle urgenze nostre,

( 0 ) Confronti e qualifiche chc si leggono già su libri c opuscoli che citammo neli'in- troduzionc: del Leonari, del Du Boys, dello Spinola . .

.

(a) Riunite in gran parte nell'AS 381 (proposte di fondazioni).

(4) Ci si consenta soltanto di rimandare alle cronache dei suoi viaggi a Nizza, Milano, Roma, Marsiglia, Parigi, Barcellona

. . .

riportate puntualmente dal Bollettino salesiano, che attinge ad altri periodici o a carteggi di salesiani e amici.

ma essi sono strumento nelle mani del Vescovo

. . .

non si deve aver gelosia dei Cooperatori Salesiani, poiché sono cosa della diocesi, e... tutti i parroci dovrebbero con i loro parrocchiani essere Cooperatori P(*).

Ma si rimaneva ancora nell'affermazione generica delle finalità. Non si chiariva a sufficienza in che modo era da intendersi l'alta direzione salesiana, in che modo i Salesiani dovevano intervenire nelle opere parrocchiali; in quale senso, in quali tipi di opere, laici

di

un'associazione religiosa dovevano consi- derarsi strumento nelle mani del vescovo, venire incontro alle «urgenze » dei Salesiani e a quelle diocesane soprattutto, quando i Cooperatori non erano né cattolici né cristiani.

Specialmente quando si entra in quest'ultimo campo, non sembra che Don Bosco si ponga

il

problema di una chiarificazione teoretica circa la com- possibilità di azione tra cattolici e non cattolici; e di più, compossibilità di associazione con protestanti ed ebrei, proprio mentre egli stesso altrove con- trappone al proselitismo protestante la resistenza cattolica(").

Nel 1881 venne inviato

il

diploma di cooperatore all'israelita milanese Augusto Calabia. I n precedenza il libretto d'iscrizione era stato inviato al- l'ebreo Lattes

di

Nizza Mare. Questi avranno letto il regolamento, vi avranno vista l'approvazione pontificia, le indulgenze lucrabili, l'allineamento ai terzi ordini. Ma non erano cattolici. Come dovevano comportarsi? I1 problema venne posto a Don Bosco, garbatamente, da Augusto Calabia:

« Le sono grato della fiducia ch'Ella mi dimostra coi farmi l'onore di ascri- vermi fra i Cooperatori salesiani..

.

ma Le fa osservare che io appartengo alla religione Mosaica, e con ciò ho detto tutto D (").

Don Bosco risponde sottolineando la singolarità « che un prete Cattolico proponga un'associazione di carità ad un Israelita! ».

Ma

rivolgendosi a lui, non intende far questione

di

credenze o di società religiose giuridicamente separate. Non parla nemmeno di Cristo, ma di carità e di Dio, ponendosi casi sul piano del suo interlocutore che crede in un Dio Padre Onnipotente. « La carità del Signore

-

scrive Don Bosco

-

non ha confini, e non eccettua alcuna persona

di

qualunque età, condizione e credenza. Fra i nostri giovani che in tutti sono 80.000 ne abbiamo avuti, e tuttora ne abbiamo, che sono Israeliti.

D'altro lato Ella mi dice che appartiene alla religione Mosaica, e noi Cattolici seguitiamo rigorosamente la dottrina di Mosé e tutti i libri che quel gran Profeta ci ha lasciati. Avvi in ciò disparità soltanto nella interpretazione di tali scritti » (").

Come si vede, anche Don Bosco in termini di gran candore esprime tutto:

convergenza di fede fino a un dato punto, che da se già base solida di carità

(45) MB 17, p. 25.

( M ) A Valiecrosia, ad esempio, e in America.

(q) Milano, 29 novembre 1881: AS 126.2; Epistofario 2247.

(M) DB ad A. Calabia, Torino, 4 dicembre 1881: AS 131.01; Epirtolario 2247.

universale e di possibile reciproca intesa e collaborazione. Non ignora i con- trasti e li pone in evidenza con delicatezza, accentuandone il valore soggettivo ed esistenziale, cioè sottolineando la disparità di interpretazione e, conseguente- mente, di coscienza religiosa.

Ma ritiene sufficiente quanto ha espresso a giustificazione della sua pro- posta di associazione caritativa, trovata valida ad esempio dall'israelita niz- zardo Lattes, il quale, scrive Don Bosco « è Israelita, ma uno de' più ferventi nostri Cooperatori n.

Offre infine garanzie della cooperazione, sulla base del rispetto reciproco della buona coscienza di ciascuno:

«Ad ogni modo

-

soggiunge

-

io continuerò a spedirle il nostro Bollettino, e credo che non troverà alcuna cosa che offenda la sua credenza, e qualora ci6 succedesse oppure ne desiderasse la cessazione, non avrebbe che a darmene cenno.

Dio la benedica, la conservi in buona salute e mi voglia credere con rispetto e stima . . . D (q9).

I

Cooperatori dunque non erano soltanto a servizio assoluto dei vescovi e dei parroci per opere strettamente cristiane, come un terz'ordine, ma anche come una unione costruita su base pluralistica e avente come scopo una co- mune azione sociale.

Quando invece si rivolge ai Salesiani come educatori in collegi, Don Bosco pone loro innanzi i giovani che hanno completato il loro corso: è bene che questi vengano invitati a iscriversi tra i Cooperatori salesiani o, se artigiani, vengano indirizzati a qualche Società Operaia Cattolica (so). I n quest'ordine di cose il nucleo di idee che stimola Don Bosco pare sia quello del terz'ordine o del religioso al secolo, o anche soltanto l'intuizione del valore pedagogico che poteva avere il mantenere un legame affettivo e operativo tra gli educatoti e i loro antichi alunni.

Quando infine ha davanti a sé schiere di amici e benefattori, Don Bosco stende istintivamente la mano. Descrive minutamente l'espansione salesiana nel mondo fatta in grazia all'obolo da tante buone persone, descrive il bisogno dei missionari, il desiderio espresso dal Papa di costruire un Santuario a Roma in onore del S. Cuore di Gesù, la necessiti di contrapporre buona stampa a quella cattiva; si esprime con eloquenza per nulla tribunizia, anzi priva di apostrofi e talora povera

di

termini, compassata nei suoi schemi; ma che trae forza dall'inserire nel ritmato ripetersi di argomenti, di volta in volta, cifre sempre più alte di Salesiani, di case, di opere. Così avviene che molti che leg-

(49) Lettera di DB citata. Della medesima idea si fa portavoce lo stesso LEONORI:

Insomma ogni onesto uomo che desidera, e cerca i1 bene vero della umana società pub dirsi sia Cooperatore della Istituzione Salesiana »: Cenni sulla Società di S. Francesco di Sales, p. 41.

Deliberazioni del terzo e qtlarto capitolo generale della Pia Società Saleriana tenuti in Valsalice nel settembre 1883-86, 111,

4

2, Indirizzo religioso-morale N. 12, S. Benigno Canavese 1887, p. 20 e MB 18, p. 701.

gono il

Bollettino

o ascoltano le conferenze di Don Bosco istintivamente en- trano nella persuasione che la cooperazione consista nel sostenere finanziaria- mente le iniziative di Don Bosco e dei Salesiani nel mondo ('l).

L'adesione, comunque, in forza di vari titoli, venne ottenuta su vasta scala.

Non soltanto come frutto dell'opera personale di Don Bosco, ma molto anche in grazia allo stato d'animo dei Cattolici che in Europa e in America erano protesi a coalizzarsi e a ridare alla Chiesa l'antica posizione

di

prestigio.

È possibile fare, come è stato proposto, una storia del fervore religioso del secondo e terzo ventenni0 dell'Ottocento che porterebbe a rilevare dati che non corrisponderebbero a quelli di una storia della pratica religiosa

("1.

Analo-

gamente per l'ultimo trentennio del secolo il movimento dei Cooperatori Sale- siani potrebbe offrire dati per una storia dell'adesione alle opere sociali e religiose dei Cattolici. Adesione che per sé è un sintomo della stanchezza e del declino dell'anticlericalismo accanito. Si ponevano, gii nella fase dell'intransi- genza, i presupposti a un Cattolicesimo di azione sociale, che poteva avere, neli'intento dei propugnatori, lo scopo di creare una nuova base di simpatia alla Chiesa, e conseguentemente, di rievangelizzazione dell'Europa e dell'iimerica.

Nel documento DON BOSCO (pagine 109-112)