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La soppressione delle comunità religiose dava il colpo di grazia alle soprawi- venze della letteratura neo-guelfa che si era appropriata anche del monachesimo

Nel documento DON BOSCO (pagine 67-71)

per esaltare il Cristianesimo e il Medioevo in reazione al disprezzo che su di loro avevano lanciato gli illuministi. Chateaubriand in Francia e Dandolo in Italia avevano illustrato in termini ammirati l'opera civilizzatrice del Mona- chesimo occidentale, «che

è

- scriveva Gioberti nel Primato - per essenza travagliato e indirizzato a promuovere direttamente la cultura degli nomini

»,

ed

è

squisitamente italiano,

<(

in quanto nacque in Italia per opera di Bene- detto

» (l5).

Balmes trasse motivo dall'opera dei monaci e dei religiosi missio-

('2) 11 Galantuomo, p. 59s.

(0) D. MASSÈ, Il caso di coscienza del Risorgimento italiaso dalle origini alla Con- ciliazione, Alba 1946 (p. 267): il Massè scrivendone, si rende partecipe dei sentimenti espressi allora dai cattolici intransigenti.

(M) Cosl Guglielmo AWDISIO, Questioni politiche, Napoli 1854, Q. 14, riferito da JEMOLO, Scfitti vari di storia religiosa, p. 336 nota.

(l5) GIOBERTI, Del primato morale e civile degli italiani, Bmsseiie 18443, p. 194. Cf.

2. Valore e

limiti

della legge soppressiva nella mente di

Urbano

Rattazzi

La legge del

29

maggio

1855

così com'era formulata e motivata dal Rat- tazzi non voleva essere antidericale, non gallicana, non ispirata a eventuale spirito di rivincita del clero secolare sul regolare, non avversa alla Chiesa, non contraria alla giustizia e all'equità, non favorevole al comunismo, non sacrilega, non lesiva del diritto altrui.

I1 punto di partenza delle sue argomentazioni giuridiche e

di

filosofia del diritto era un presupposto giurisdizionalista, che stabiliva come primaria e prevalente nell'ordiine esterno l'autorità civile quale era configurata storica- mente dalle unità stataii.

Come realtà esterna la Chiesa sopravveniva nello Stato, vi era accolta, vi era accettata e diveniva per legge civile un ente morale nello Stato. « La Chiesa

-

affermava Rattazzi

-

non venne introdotta nello Stato che per assenso deil'autorità civile »

Conseguentemente anche le corporazioni ecclesiastiche rispetto allo Stato e al suo potere, erano entità secondarie e dipendenti. Esse avevano perciò una doppia personalità morale: una che veniva dall'autorità spirituale che le riconosceva come enti morali da lei promananti con h a l i t à religiose, e l'altra dall'autorità statale.

La legge di soppressione non avrebbe per nulla attentato alla personalità che le corporazioni religiose ripetevano dalla Chiesa, ma avrebbe soltanto reciso e annullato la personalità civile(=).

I n secondo luogo la legge non sarebbe stata lesiva della lihertà indivi- duale, né della libertà di associazione, né favorevole al comunismo. La legge non comportava l'espulsione degli individui: essi avevano piena e libera fa- coltà « di radunarsi e

di

darsi a quel genere di vita che loro torni a grado »

('%

Rattazzi infatti riconosceva nella personalità individuale un soggetto di diritto primario rispetto allo Stato, un'entità giuridica nella sua radice e nella sua consistenza più forte che non quella del potere civile, perché anteriore nel- Roma esposti a nome de' zelanti della ecclesiastica liberld alla Santitd di Pio V I dal giure- consulto Spanzotti membro del Collegio di legge nell'Universitd nazionale, Torino, tip.

Canfari 1852; Carlo Antonio PILATI, Riflessioni di un italiano sopra la Chiesa..

.

, Torino, tip. Canfari 1852; P. C. BOGGIO, La Chiesa e lo Stato in Piemonte, esposizione sto- rico-critica dei rapporti fra la S. Sede e la Corte di Sardegna. .

. ,

Torino, tip. Sebastiano Franco 1854, 2 vol.

(24) RATTAZZI, Discorsi, p. 29. T3evidente l'a5nità con la fomula del Cavour «libera Chiesa in libero Stato D, sulla quale già esiste un'abbondante letteratura. Cf. AUBERT, Il pontiiicato di Pio IX,

5

54, ed. it., p. 128 S. Pare perciò che non si possa dei tutto sotto- scrivere la valutazione deii'AunERT (1. C,, § 53, ed. c., p. 127): « Questa legislazione..

.

[sulla soppressione delle corporazioni] s'ispirava non tanto al principio liberale della sepa- razione della Chiesa e dello Stato, quanto alla tradizione giacobina e regalista, preocni- Data d i afiermare i diritti sovrani dello Stato.. . D. Era anche Dresente in chiave liberale fa cura a garantire la libertà dell'individuo e degli enti morali.

(=) RATTAZZI, Discorsi, p. 29.

(26) RATTAZZI, Discorsi, p. 6.

l'ordirne di natura e quindi più sacra, perché più vicina a Dio, da cui tutti gli altri beni

-

compresa la natura sociale

-

vennero « creati per sopperire ai bisogni degli individui »(n). LO Stato dunque non era il mostro che ingoiava l'individuo, o ne violava i diritti, perché per natura era costituito per tutelare e regolare

i

diritti dei singoli membri della comunità: modo di vedere che esalta i valori individuali, anteponendoli a quelli societari; che, storicamente, aveva alle sue radici le concezioni contrattualistiche del Sei-Settecento.

Secondo Rattazzi dunque non si poteva argomentare contro la legge af- fermando che col sopprimere il diritto alla proprietà delle corporazioni religiose si poneva un principio eversivo di qualsiasi altro genere di proprietà.

E

inoltre non si poteva affermare che la legge era lesiva

di

diritti della Chiesa e individuali. Non ledeva diritti della Chiesa, perché i beni delle corpora- zioni non erano propriamente della Chiesa e il termine ecclesiastico che si adoperava, poteva dare origine ad ambiguità. Quanto infatti possedevano le corporazioni era nello Stato, reso fruttifero o fatto deperire nello Stato, rego- lamentato da leggi statali. Non ledeva i diritti degli individui, perché questi avendo abdicato volontariamente, mediante il voto di povertà al titolo di dominio, erano riconosciuti, anche dallo Stato, come nullità individuali, non capaci di diritti di uso e usufrutto a titolo individuale.

Soppresse perciò Ie corporazioni religiose, i beni ch'esse possedevano divenivano adespoti, senza che alcun privato potesse reclamarli, senza che la Chiesa potesse rivendicarli; divenivano perciò di dominio pubblico

Nella loro redistribuzione le autorità civili si sarebbero fatte uno scrupolo

di

agire equamente. I1 Piemonte per Statuto si riconosceva confessionale, e Rattazzi per lo meno riconosceva la realtà sociale piemontese, in cui la con- fessione cattolica era quella della maggioranza. Beni, quindi, che erano ecde- siastici, sarebbero stati adibiti per necessità ecclesiastiche.

E

queste erano ur- genti. Lo Stato aveva chiesto invano comprensione alle autorità ecclesiastiche.

(n) RATTAZZI, Discorsi, p. 25.

RATTAZZI, Discorsi. D. 22-27: « C i vien mossa l'accusa di volere con Questo progetto' distrurre ia società, annientare neile sue radici il diritto di proprietà sul -quale riposa l'ordine sociale, di voler anche aprir la via al socialismo, al comunismo, d i voler disconoscere la volontà dei fondatori

. . .

di voler commettere un vero latrocinio (p. 22)

. . .

Ma quando trattasi di conporazioni religiose o stabilimenti ecdesiastici, il fatto 6 che la proprietà spetta ad esseri fittizi, ad esseri creati dalla legge; e siccome è la legge che li creò e li mantiene h vita, così G evidente che la legge stessa può distruggere ciò che ha creato..

.

Questo un diritto che innegabilmente spetta ailo Stato sopra i beni tutti che trovansi posti nel suo territorio. Tuttavolta che non esiste colui, il quale possa vantare un diritto di proprietà privata sopra certi beni, lo Stato siibentra nella prnprieta dei beni abbandonati (p. 24). . . Per altra parte è manifesta i'intrinseca diversità che passa tra la proprietà individuale, e la proprietà che spetta ad un ente morale, a una individualità creata dalla legge. Quando trattasl di una proprietà privata, l'individuo proprietario ri- conosce il suo diritto daila stessa natura (p. 25).

.

. i membri delle comunità reiigiose fa- cendo assolutamente voto di povertà non possono, per effetto del loro voto, elevare ragioni né di proprietà, né di dominio, n4 di usufrutto, né di uso sopra i beni dello stabilimento a cui essi appartengono (p. 24) r .

Non potendo provvedere diversamente alle necessità dei parroci poveri e del clero di Sardegna, aveva agito unilateralmente, sopprimendo la personalità civile delle corporazioni religiose meno « utili ».

Questo modo

di

agire era dunque necessario, giusto ed equo. Rattazzi ricordava a questo punto qualche motivo delle notissime lotte giurisdizionali settecentesche tra il Piemonte e Clemente XI. Allora Vittorio Amedeo

I1

si era fatto scrupolo di dichiarare agli esecutori delle sue volontà, che gli even- tuali interventi vendicativi di Roma non sarebhero stati giusti: scomuniche, sospensioni, interdetti erano da considerarsi inefficaci. « Siamo preparati

-

aveva scritto nel 1707 Vittorio Amedeo 11, e Rattazzi lo ricordava

-

a qualunque estremità d'ingiustizia ? cui fosse mai per indursi Sua Santità, il che tuttavia non è da supporsi; e che prima di passarne all'effettuazione vi penserà ella seriamente per non recare un sì gran scandalo al mondo, et ugual sfregio al suo pontificato; mentre deve attendersi a trovare in questa parte ogni maggior fermezza nel sostegno della giustizia e ragione, che sì palpabimente milita a favor nostro »; « mentre devesi tenere per indubitato, che non si mancherebbe da questa parte di contrapporre quei rimedi che sono in mani di quell'autorità, che i sovrani tengono unicamente da Dio » (").

Ragionamenti sottili che, accentuando in termini unilaterali i poteri del- l'autorità pubblica territoriale, esprimevano la decisa volontà di venire alla soppressione delle corporazioni religiose ritenute inutili.

3. Prime istanze e primi progetti di Don Bosco

Don Bosco dunque attorno al 1855, quando si acuì in lui l'esigenza di su- scitare collaboratori e continuatori della sua Opera, si trovava di fronte a tali fatti e a tale mentalità, che impegnava tutti per le complesse e disparate ripercussioni politiche e religiose. Egli d'altronde non era rimasto estraneo.

Aveva osato intervenire indirettamente facendo giungere all'orecchio di Vittorio Emanuele I1 il messaggio che sentiva venire dall'alto: segni premonitori di castighi divini, anche per la sacra persona del Sovrano, se questi non si fosse opposto ai disegni di coloro che, nel linguaggio clericale erano considerati indi- stintamente settari (").

I

suoi messaggi, sinistri, ma rispettosi, rispondevano allo stato d'animo di quanti allora erano persuasi della sacralità del Sovrano e amavano dire a se stessi e agli altri, che Vittorio Emanuele

I1

era stato ingan- nato, aveva finito per trovarsi impastoiato dalle sette, avrebhe agito diversa- mente, se fosse stato più previdente, se, in quei frangenti, si fosse sentito più libero.

Don Bosco inoltre, volente o nolente, si era compromesso con la pub- blicazione di un opuscolo che già nel titolo sintetizzava l'opinione dei cle- ricali:

I Beni della Chiesa come si rubino e quali ne siano le conseguenze pel bavone di Nilinse con brerie appeizdice sulle vicende pnrticolaui del Pie-

monte(" ).

Anch'egli era stato attaccato dalla stampa anticlericale e protestante più

di

una volta dal 1850 in avanti per la pubblicazione degli

Avvisi ai Cattolici.

La

Storia d'Italia

apparsa nel 1856 e riedita nel 1859 aveva meritato a Don Bosco dalla

Gazzetta del Popolo

l'accusa di reazionario austriacante, antigo- vernativo (").

Ogni sua eventuale deliberazione era dunque condizionata dalle riper- cussioni che avrebbero potuto avere sugli anticlericali. Nella quiete del suo mondo interiore Don Bosco proiettava in un contesto sacro i suoi desideri. Già nel 1844, come egli stesso riferisce, aveva visto in sogno agnelli trasformarsi in pastori, svolgendo cosi un motivo già iniziato nel sogno dei nove anni, che fa pensare all'esegesi che negli ambienti cattolici più devoti al papa, si dava allora

al

linguaggio metaforico del Cristo:

pasce agnos meos, pasce oves meas,

guida tutti i miei fedeli, guida anche tutti i pastori della mia Chiesa. Anche Don Bosco sentiva attraverso

il

linguaggio figurato del sogno &era destinato ad avere sotto di sé molti giovani, vari dei quali si sarebbero trasformati in pastorelli e lo avrebbero aiutato nell'opera educativa: così come nella Chiesa, anche all'oratorio i pastori sarebhero derivati dalla trasformazione di ele- menti del gregge

(9

Nel 1855 Don Bosco poti rendersi conto che il sogno si avverava: gli Oratori e

il

pensionato di Valdocco avevano dato chierici per la diocesi.

Alcuni abitavano con lui e già lo aiutavano. Ma come avrebhe potuto tenere uniti a sé questi chierici più fedeli? I n genere i giovani, finiti i loro studi sarebbero ritornati alle loro case; i chierici, giunti al sacerdozio, sarebbero stati inviati dalle legittime autorità a un determinato ministero; oppure, se liberi, si sarebbero orientati a qualche opera come insegnanti o cappellani.

La Congregazione per gli Oratori, di cui parlava nel 1852 mons. Fransoni, forse alcuni anni dopo non era più una realtà operante. Coloro che si erano prestati negli Oratori di S. Luigi e dell'Ange10 Custode e che forse erano membri della Congregazione, come il teologo Rossi, il teologo Roberto Mu- rialdo,

il

canonico Nasi, il teologo Chiatellino, chi prima chi poi, si erano dedicati ad altre attività.

Don Bosco ormai doveva costruire con nuovi elementi, con nuovo me- todo e su nuove basi, attento a non lasciarsi colpire dalle leggi contro le corpo- razioni religiose. Egli peraltro allora sarebbe stato al sicuro tanto quanto i Fratelli delle Scuole Cristiane, istituendo una società che avesse come scopo l'educazione della gioventù e del popolo. Ma lo sarebbe stato anche più tardi?

Nel caso che avesse voluto unire a sé i nuovi collaboratori con vincoli religiosi non sarebbe stato meglio legarseli con voti privati o con semplice promessa? Quale tipo di voto doveva fare emettere? Voto di obbedienza, di

(311 LC. a. 3. fasc. 3 e 4. 10 e 25 a~rile 1855. Torino. Libr. Sales. 18832. Nilinre è pseudonimo di ~oilin de ~ l a n j .

(32)

Gazzetta

del popolo, 18 ottobre 1859. Cf. MB 6, p. 286-289.

T.

il somo che DB colloca al 1844. ~ r i r n a di recarsi all'Os~edaletto di S. Filo-

mena: MO p. 132s.

castità e di povertà, ma in segreto e obbliganti in coscienza e senza effetti pub-

Nel documento DON BOSCO (pagine 67-71)