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L’Accordo di Parigi: il primo accordo giuridicamente vincolante sul clima mondiale

Il Paris Climate Agreement è stato definito un accordo storico in occasione della sua conclusione, avvenuta nel dicembre 201547.

L’Unione Europea ha contribuito alla sua rapida entrata in vigore, avvenuta il 4 novembre 201648.

46 Fonte: www.lifegate.it

47 L’Accordo è stato così definito dall’allora Segretario delle Nazioni Unite Ban Ki Moon, come riporta F. Scalia, L’Accordo di Parigi e i “paradossi” delle politiche dell’Europa su clima e energia, in Rivista di Diritto e Giurisprudenza, n. 6, 2016, pp. 1-25.

48 L’UE ha fatto ratificare, con una procedura straordinaria, ovvero applicata solo all’Accordo di Parigi, dal Consiglio dell’UE, l’Accordo, depositando presso la sede dell’ONU gli strumenti di ratifica il 4 ottobre 2016. Tale decisione ha permesso di soddisfare in tempi brevissimi i requisiti richiesti per l’entrata in vigore dell’Accordo stesso: la ratifica da parte di almeno 55 parti firmatarie, responsabili di almeno il 55% delle emissioni mondiali di gas a effetto serra. Questa decisione si è rivelata, negli anni, provvidenziale, considerato che il nuovo Presidente degli Stati Uniti, recentemente eletto, è dichiaratamente contrario all’attuazione degli impegni di Parigi e, con buona probabilità, non avrebbe ratificato l’Accordo. Così ricorda F. Scalia, in L’Accordo di Parigi e i “paradossi” delle politiche dell’Europa su clima e energia, cit. p. 3-4.

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L’Accordo di Parigi costituisce indubbiamente un grande successo; esso rappresenta un importante momento di passaggio e di evoluzione rispetto al suo predecessore, il Protocollo di Kyoto, caratterizzato da un impianto concettuale e normativo rigido che, a quasi vent’anni dalla sua adozione, non rispecchiava più le esigenze della comunità internazionale.

L’Accordo si propone di superare le rigidità del Protocollo di Kyoto e di decretarne il graduale superamento nell’ambito delle iniziative globali nella lotta contro i cambiamenti climatici, realizzate in attuazione degli obiettivi e dei principi sanciti dalla Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici del 1992, che ancora oggi costituisce la base dell’azione internazionale in materia49.

Esso rappresenta il culmine di un lungo processo negoziale iniziato all’indomani dell’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto. Infatti, sin da allora era stata avvertita l’esigenza di definire il periodo post-2012, dal momento che il Protocollo disciplinava una riduzione delle emissioni solo per il quinquennio 2008-2012.

L’obiettivo iniziale dei negoziati internazionali in materia di cambiamenti climatici relativi al periodo post-2012 era quello di pervenire ad un nuovo accordo internazionale in occasione della COP

49 M. Montini, Riflessioni critiche sull’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, in Rivista di Diritto Internazionale, n. 3, 2017, pp. 719-741.

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di Copenaghen del 2009. Malgrado le forti aspettative degli Stati e della società civile nei confronti di tale incontro, le Parti non riuscirono a trovare un accordo complessivo sul regime giuridico in materia di cambiamenti climatici successivo al 2012, ma solo un accordo parziale, definito Accordo di Copenaghen, dalla natura più politica che giuridica, privo di valore vincolante.

A ben vedere, però, va riconosciuto che l’Accordo di Copenaghen, prima tappa fondamentale verso l’Accordo di Parigi, pur nella sua forma embrionica e provvisoria, conteneva già alcuni importanti elementi di novità rispetto al Protocollo di Kyoto che, dopo essere stati perfezionati negli anni successivi, sarebbero poi confluiti nell’Accordo di Parigi.

Il più importante elemento di novità contenuto nell’Accordo di Copenaghen, che in questo senso già proponeva un netto allontanamento dal Protocollo di Kyoto, era rappresentato dall’abbandono dell’approccio top-down, che prevedeva obblighi vincolanti di riduzione delle emissioni di gas serra solamente a carico delle Parti dell’allegato I del Protocollo, corrispondenti ai Paesi industrializzati. Tale approccio veniva sostituito da uno più flessibile, caratterizzato da un’architettura bottom-up, basato su impegni stabiliti volontariamente dalle singole parti contraenti, controbilanciato però

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dalla partecipazione attiva di tutti gli Stati della comunità internazionale alla riduzione globale delle emissioni50.

Altra tappa fondamentale che pone le basi per l’Accordo di Parigi è la Durban Platform, adottata nel dicembre 2011 in Sudafrica in conclusione della COP 17. Essa segna definitivamente il superamento del Protocollo di Kyoto; crollano le preclusioni dei Paesi in via di sviluppo di non assumere alcun obbligo di riduzione dei gas climalteranti, e non vi è più alcun riferimento alla distinzione tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo51.

La Durban Platform prevede che tutti gli Stati della comunità internazionale procedano insieme nel negoziato di un Accordo globale, che sarà quello di Parigi.

Sono queste le tappe che hanno condotto all’adozione dell’Accordo di Parigi, composto da due documenti: la Decisione (Decision) e l’Accordo di Parigi (Paris Agreement) vero e proprio, che formalmente costituisce un allegato della prima. Si tratta di atti separati, con diversa efficacia giuridica: solo l’Accordo è atto giuridicamente vincolante per tutta la comunità internazionale, ed in quanto tale

50 C. Carraro, D. Marinella, La difficile strada che passa per Parigi, in Rivista per lo sviluppo sostenibile, n. 2, 2015, pp. 223-232.

51 S. Nespor, La lunga marcia per un accordo globale sul clima: dal Protocollo di Kyoto all’Accordo di Parigi, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, n. 1, 2016, pp. 81-105.

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soggetto a ratifica. La Decisione, invece, prevede le iniziative che gli Stati dovranno porre in essere al fine di prepararsi all’entrata in vigore dell’Accordo52.

Le finalità perseguite nell’Accordo sono fissate chiaramente nell’articolo 2: esso non si propone semplicemente di raggiungere gli obiettivi stabiliti dalla Convenzione Quadro al fine di pervenire alla stabilizzazione delle emissioni di gas serra, ma di migliorarli. Se si tiene conto degli insuccessi accumulati sino a questo momento nel solo tentativo di avvicinarsi al traguardo della stabilizzazione, è evidente che la finalità dell’Accordo costituisce un impegno audace e ambizioso.

L’obiettivo generale di mitigazione, così come sancito nell’articolo 2, impone alle Parti di contenere l’aumento della temperatura globale media entro i 2° centigradi, ponendo in essere tutti gli sforzi possibili per procedere verso un contenimento ancora maggiore, dell’ordine di 1,5° centigradi53.

Elemento cruciale per il successo dell’Accordo di Parigi è stata l’istituzione dei contributi nazionali di mitigazione, indicati dall’acronimo INDCs (Intended Nationally Determined Contributions), corrispondenti agli impegni per la lotta al cambiamento climatico che

52 F. Scalia, L’Accordo di Parigi e i “paradossi” delle politiche dell’Europa su clima e energia, cit. p. 5.

53 M. Montini, Riflessioni critiche sull’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, cit. p. 726.

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tutti i Paesi, sia quelli industrializzati e sviluppati sia quelli in via di sviluppo, si impegnano ad adottare a partire dal 202054.

Tutti i Paesi sono dunque chiamati a contribuire. A tal proposito, le Parti, contestualmente alla comunicazione dei propri contributi nazionali, devono fornire le informazioni necessarie per assicurare la chiarezza e la trasparenza degli impegni determinati a livello nazionale55.

L’Accordo di Parigi riconosce l’importanza degli strumenti di mercato come mezzi di supporto per l’attuazione degli obiettivi che persegue, contemplandone all’articolo 6 due diverse tipologie.

La prima consiste negli approcci cooperativi che possono essere utilizzati dalle Parti, su base volontaria, per il raggiungimento e l’implementazione dei propri contributi nazionali di mitigazione in modo coordinato con altre Parti56. Tali approcci possono consistere nel trasferimento transnazionale di unità di mitigazione, da effettuarsi nel rispetto dei principi dello sviluppo sostenibile, dell’integrità ambientale e della trasparenza.

Le Parti devono impegnarsi ad adottare un robusto sistema di contabilizzazione delle emissioni in modo da evitare il fenomeno della cosiddetta “doppia contabilizzazione” (double counting) delle spese. A tal

54 C. Carraro, D. Marinella, La difficile strada che passa per Parigi, cit. p. 226. 55 Art. 4, paragrafo 8 dell’Accordo di Parigi.

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fine, la COP dovrà in breve tempo stabilire delle specifiche linee-guida per la contabilizzazione delle emissioni di gas serra57.

È interessante rilevare che, onde evitare sovrapposizioni e confusioni con il precedente strumento dello scambio di emissioni (International Emissions Trading) previsto dal Protocollo di Kyoto, l'Accordo di Parigi utilizza una diversa terminologia per indicare le unità di riduzione delle emissioni che potranno essere scambiate, introducendo il concetto di Internationally Transferred Mitigation Outcomes, espressione che sostituisce quella, fino ad ora comunemente utilizzata, di “commercio di certificati, quote di riduzione delle emissioni”.

La seconda tipologia, introdotta dall'Accordo di Parigi, consiste in un nuovo meccanismo finalizzato a conseguire la mitigazione delle emissioni di gas serra, promuovendo al contempo lo sviluppo sostenibile.

Tale nuovo meccanismo di mercato, in assenza di una precisa denominazione contenuta nell'Accordo, viene comunemente indicato come Sustainable Development Mechanism, SDM (meccanismo di sviluppo di mercato)58, dal momento che si ispira chiaramente al precedente

57 M. Montini, Riflessioni critiche sull’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, cit. p. 727.

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meccanismo Clean Development Mechanism, CDM, elaborato dal Protocollo di Kyoto.

Sulla base di quanto già sperimentato con il CDM, mediante l'utilizzo del nuovo meccanismo SDM le Parti possono contabilizzare la riduzione delle emissioni di gas serra ottenute nel territorio di un'altra Parte contraente, per raggiungere gli obiettivi previsti dai propri contributi nazionali di mitigazione.

Vista la recente entrata in vigore dell’Accordo, la COP deve ancora designare un'autorità di supervisione per il funzionamento di questo nuovo meccanismo; allo stesso modo, essa deve ancora occuparsi di definire le regole, le modalità e le procedure per il suo funzionamento, basandosi magari sull'esperienza acquisita in questi anni sul funzionamento degli strumenti di mercato previsti dal Protocollo di Kyoto59.

Quindi, in assenza di un sistema struttura di effettivo monitoraggio e controllo degli obiettivi assunti dalle Parti nell’ambito dei loro contributi di mitigazione, l’efficacia dell’Accordo dipende dal buon funzionamento dell’Enhanced Transarency Framework (quadro di riferimento avanzato di trasparenza delle azioni) previsto dall’articolo 13 dell’Accordo: “scopo del quadro per la trasparenza delle azioni è di

59 M. Montini, Riflessioni critiche sull’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, cit. p. 727.

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fornire una comprensione chiara delle misure riguardanti i cambiamenti climatici alla luce degli obiettivi fissati dall’Accordo, in particolare chiarendo e rintracciando i progressi compiuti nel conseguimento dei contributi di mitigazione determinati a livello nazionale da ciascuna Parte”.

Sembrano dunque condivisibili le conclusioni tratte dalla dottrina60 sul valore dell'Accordo di Parigi, e, più in generale, sulla sua rilevanza nell'ambito del processo evolutivo di regolazione del mercato delle emissioni, seppur con alcune ombre.

Il più importante elemento positivo dell'Accordo di Parigi, come già evidenziato, è senza dubbio rappresentato dal superamento di fatto della rigida distinzione tra Paesi dell'allegato I della Convenzione Quadro e Paesi non appartenenti a tale allegato. Questa rigida distinzione, concepita venticinque anni fa, al tempo della conclusione della Convenzione, era divenuta ormai obsoleta.

L’Accordo, come visto, richiede poi a ciascuna Parte di determinare il proprio contributo nazionale di mitigazione, nel rispetto del principio delle responsabilità comuni ma differenziate, già delineato nel Protocollo di Kyoto, e delle rispettive capacità. Tale scelta ha avuto il merito di incoraggiare la comunità internazionale a sostenere

60 M. Montini, Riflessioni critiche sull’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, ibidem, pp. 733-734.

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l'adozione dell'Accordo, consentendo al contempo ai singoli Stati di mantenere un elevato livello di flessibilità nella definizione e nell'attuazione dei propri obiettivi nazionali.

Un ulteriore elemento positivo di notevole rilevanza che caratterizza l'Accordo di Parigi, e che lo differenzia dal Protocollo di Kyoto, è rappresentato dal fatto che esso istituisce un quadro di riferimento normativo di durata potenzialmente infinita, dal momento che prevede un sistema di revisione periodica.

Tale sistema prevede infatti che ogni cinque anni le parti rivedano i propri contributi nazionali di mitigazione e che si svolga in parallelo, ad opera dalla Conferenza delle Parti, la revisione periodica dello stato di attuazione globale dell'Accordo (global stocktake).

La flessibilità insita in questo sistema potrebbe consentire all'Accordo di Parigi di rimanere in vigore per un lungo periodo di tempo, permettendogli di adattarsi gradualmente alle eventuali mutate circostanze, legate sia al progresso delle conoscenze scientifiche, sia all'evoluzione degli equilibri politici e di mercato a livello internazionale. Inoltre, tale sistema flessibile potrà altresì consentire alle parti di aumentare gradualmente il loro impegno concreto nella lotta contro i cambiamenti climatici, senza dovere per questo rivedere l'impianto dell'Accordo o dovere affrontare le inevitabilmente lunghe e complesse procedure di emendamento delle sue disposizioni.

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Accanto a elementi positivi dell'Accordo, ve ne sono però anche alcuni negativi.

In tal senso, in particolare, deve essere sottolineato il fatto che il raggiungimento dell'obiettivo generale di contenimento dell'aumento della temperatura media globale previsto dall'Accordo di Parigi è affidato in massima parte al rispetto dei contributi nazionali di mitigazione che sono determinati dalle stesse parti contraenti su base del tutto volontaria. Questa circostanza, unita al fatto che ad oggi l'Accordo non prevede né un efficace sistema di monitoraggio e verifica del rispetto degli obblighi a carico delle parti, ma solamente un meccanismo di trasparenza, nell'ambito del quale sarà possibile un controllo soltanto indiretto ed ex-post, né un meccanismo sanzionatorio efficiente, prevedendo un meccanismo name and shame61, denota quanto

sia elevato il rischio che tale sistema risulti troppo debole per garantire un'effettiva attuazione dei propri contributi nazionali da parte degli Stati.

Di conseguenza, l'effetto cumulativo dei contributi di mitigazione sulle emissioni di gas serra totali potrebbe risultare del tutto inadeguato per il raggiungimento dell'obiettivo generale previsto dall'Accordo di Parigi.

61 Meccanismo sanzionatorio secondo il quale gli inadempienti sono segnalati per nome e biasimati.

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L'esistenza concreta di tale rischio sembra peraltro confermata dalle analisi preliminari svolte sui primi contributi nazionali di mitigazione annunciati dalle Parti contraenti. Dette analisi, per il momento, attestano l'inadeguatezza dei contributi nazionali rispetto all'obiettivo di mantenere l'aumento della temperatura media globale entro i 2° centigradi o addirittura di tendere verso il più ambizioso obiettivo del contenimento entro 1,5° centigradi.

L'unico elemento di speranza in tale contesto è legato al fatto che, partendo dalle risultanze del combinato disposto del sistema di revisione periodica dei contributi nazionali di mitigazione e del sistema di revisione periodica dello stato di attuazione globale dell'Accordo (global stocktake), le Parti potranno, nel corso del tempo, aggiornare i loro sforzi individuali e collettivi nella lotta contro i cambiamenti climatici, senza dover modificare l'Accordo di Parigi.

Sulla base delle considerazioni sopra esposte è possibile concludere che l'Accordo di Parigi, malgrado le sue luci e le sue ombre, debba essere complessivamente valutato come uno strumento potenzialmente idoneo a raccogliere la sfida dei cambiamenti climatici nei prossimi decenni, nell'ambito di una comune volontà delle Parti, ma nel rispetto delle loro rispettive circostanze ed esigenze, certi del fatto che la strada da percorrere sia ancora molto lunga e accidentata.

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Capitolo II

LA REGOLAZIONE DEL MERCATO EUROPEO DELLE