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La regolazione del mercato dei certificati dei gas serra: le cosiddette "Borse dei Fumi"

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A mia nonna, il cui ricordo è la mia forza.

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I

INDICE

Introduzione... pag. V

CAPITOLO I

Le iniziative internazionali per contrastare i cambiamenti climatici: l’avvio di un mercato globale delle emissioni

1. La Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC)... pag. 1 2. Il Protocollo di Kyoto: la creazione dei certificati di emissione di gas

serra... pag. 7

2.1 I meccanismi flessibili e i crediti di emissione... pag. 13 2.2 Problematiche e risultati... pag. 21

3. L’Accordo di Parigi: il primo accordo giuridicamente vincolante sul clima mondiale... pag. 23

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II

CAPITOLO II

La regolazione del mercato europeo delle emissioni di gas serra e la sua evoluzione

1. Profili introduttivi... pag. 35 2. L’istituzione e la regolazione del sistema europeo di scambio delle quote di emissione: la Direttiva 2003/87/CE Emission Trading System (ETS)... pag. 37 2.1 I Registi e il Mercato delle Quote... pag. 45 2.2 Valutazioni critiche... pag. 48 3. La Direttiva 2004/101/CE: la modifica del sistema Emission Trading

e il riconoscimento dei crediti derivanti dai meccanismi flessibili del Protocollo di Kyoto... pag. 53 4. Il Pacchetto Clima-Energia “20-20-20”: nuove modifiche al sistema Emission Trading... pag. 59

4.1 La Direttiva 2009/29/CE: il nuovo Emission Trading Scheme... pag. 61 5. Il Quadro Clima-Energia 2030 e la Direttiva 2018/410/UE di

revisione del funzionamento del sistema Emission Trading... pag. 69

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III

CAPITOLO III

Il diritto interno tra riduzione delle emissioni e regolamentazione del del mercato dei certificati di emissione dei gas serra

Sezione I

1. Dalle prime misure per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra alla ratifica italiana del Protocollo di Kyoto con Legge n. 102/2002... pag. 75 1.2 Il Piano Nazionale per la riduzione dei livelli di emissione di gas serra... pag. 79 2. Il problematico recepimento della Direttiva 2003/87/CE Emission Trading istitutiva del sistema comunitario di scambio delle quote di emissione... pag. 83 2.1 La completa attuazione della Direttiva 2003/87/CE: il D.Lgs. 4 aprile 2006 n. 216... pag. 89 3. Il D.Lgs. 30/2013: il recepimento della Direttiva 2009/29/CE... pag. 93 4. La natura giuridica delle quote di emissione nell’ordinamento italiano... pag. 96 5. La Borsa italiana delle emissioni... pag. 102

Sezione II

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IV

certificati di emissione: la coraggiosa risposta della Regione Veneto... pag. 106 7 Il Decreto Ministeriale Burden Sharing: il primo vero coinvolgimento

dei governi locali... pag. 110 8 Il Patto dei Sindaci... pag. 115

Conclusioni... pag. 122

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V

Introduzione

La tematica della regolazione del mercato dei certificati di emissione dei gas ad effetto serra risulta essere, inevitabilmente, legata alla riflessione sui cambiamenti climatici affrontata a livello internazionale, comunitario e nazionale.

Sin da quando esiste la Terra, le alterazioni climatiche si sono sempre verificate ma, negli ultimi decenni, in seguito ad un considerevole aumento delle attività antropiche, sono avvenute molto più rapidamente. Ciò ha causato l’intensificazione dell’effetto serra, ossia l’aumento, in atmosfera, della concentrazione di gas serra, Green House Gases che, impedendo al calore del sole di disperdersi, ha prodotto l’innalzamento della temperatura globale.

Al fine di contenere il problema e cercare di porvi un qualche rimedio, si è resa così necessaria la ricerca e l’adozione di strumenti idonei da un lato alla preservazione e tutela dell’ambiente, e dall’altro al contemporaneo e continuo sviluppo di un’economia di mercato sempre più globale.

Lo scopo dell’elaborato sarà quello di illustrare il faticoso percorso, iniziato in sede internazionale, che ha condotto alla creazione e all’attuazione di politiche e meccanismi di mercato finalizzati alla riduzione delle emissioni di gas serra in atmosfera,

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principale causa delle alterazioni climatiche, e delle modalità con le quali è stato istituito e regolato il mercato delle emissioni, che ha conseguentemente preso vita.

Particolare attenzione sarà rivolta alle azioni e agli strumenti predisposti sia dall’Unione Europea, in vista del raggiungimento dell’obiettivo di riduzione delle emissioni climalteranti, che dall’Italia, attraverso il recepimento, seppur in ritardo e con evidenti difficoltà, delle direttive europee in materia.

Il primo capitolo si occuperà delle iniziative internazionali per contrastare i cambiamenti climatici, per il tramite delle quali è stato dato avvio ad un mercato globale delle emissioni.

La Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), in vigore dal 1994, rappresenta il primo atto normativo internazionale dedicato alla soluzione del problema dei cambiamenti climatici. Essa stabilisce, al suo interno, la necessità di giungere ad una stabilizzazione della concentrazione di gas serra nell’atmosfera, richiedendo a tutti i Paesi firmatari un impegno diversificato in base alla condizione degli stessi, industrializzati o in via di sviluppo, nell’adozione di efficaci strategie di mitigazione.

Il percorso a cui dà avvio la Convenzione Quadro prosegue con l’adozione, dopo lunghe trattative, nel 1997, del Protocollo di Kyoto, primo strumento attuativo dell’omonima Convenzione.

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VII

Le misure ed i meccanismi dallo stesso previsti verranno così esaminati. Tra questi, l’imposizione di obiettivi di riduzione vincolanti soltanto a carico dei Paesi industrializzati; l’indicazione dell’ammontare massimo di quote di emissioni assegnate a ciascun Paese; la possibilità di ricorrere a meccanismi flessibili basati sul mercato volti a facilitare il raggiungimento degli obiettivi di riduzione, permettendo anche il commercio e lo scambio delle quote.

Emergeranno inevitabilmente le criticità del Protocollo, che non è riuscito a coinvolgere il maggior numero possibile di Paesi, rivolgendosi soltanto a quelli industrializzati, e che ha predisposto una modalità di allocazione delle quote che non ha portato ad una evoluzione del sistema creato.

L’analisi si concluderà, poi, con il recente Accordo di Parigi, primo accordo giuridicamente vincolante sul clima mondiale, che ha introdotto importanti novità. Prima tra queste, il superamento della distinzione tra Paesi industrializzati e non, e il conseguente obbligo di partecipazione attiva di tutti gli Stati della comunità internazionale alla riduzione globale delle emissioni.

L’Accordo migliora e perfeziona il meccanismo di scambio delle quote di emissione creato dal Protocollo di Kyoto, ponendosi in tal senso come lo strumento attuale più idoneo a sostenere la sfida della lotta ai cambiamenti climatici, pur presentando anch’esso delle

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ombre: manca un efficiente sistema sanzionatorio, diverso quindi dal blando “name and shame” previsto nell’Accordo stesso.

Nel secondo capitolo sarà esaminata la risposta dell’Unione Europea alle richieste di riduzione di emissioni climalteranti provenienti dalla comunità internazionale, con particolare attenzione all’istituzione, alla regolazione e all’evoluzione del mercato europeo dello scambio delle quote di emissione.

La Comunità europea, firmataria del Protocollo di Kyoto, si è impegnata in prima linea nella riduzione delle emissioni.

Infatti, non attendendo neppure l’ufficiale entrata in vigore del Protocollo, già dal gennaio 2005 l’Unione Europea ha istituito, mediante la Direttiva 2003/87/CE, un sistema europeo di scambio di quote di emissione denominato Emission Trading System.

Tale sistema si basa sull’identificazione di un tetto massimo di emissioni totali consentite per ciascuno Stato membro, a fronte di una riduzione totale per l’intera Unione Europea, da ripartirsi in un determinato numero di quote di emissione commerciabili, assegnate gratuitamente alle imprese soggette alla Direttiva dall’Autorità Nazionale Competente attraverso apposita autorizzazione.

Si esamineranno poi le varie modifiche alla Direttiva Emission Trading, a partire dalla Direttiva 2004/101/CE, cosiddetta Linking, che risolve il problema del collegamento del sistema comunitario di

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IX

scambio di quote di emissione con i meccanismi flessibili del Protocollo di Kyoto.

Seguirà così l’analisi della Direttiva 2009/29/CE che, introducendo importanti novità nel sistema Emission Trading, istituisce un unico tetto comunitario per le emissioni e l’allocazione delle quote attraverso il meccanismo della vendita all’asta (Auction). Tale Direttiva è contenuta nel Pacchetto Clima-Energia “20-20-20”, con il quale l’Europa ha alzato l’obiettivo di riduzione delle emissioni fino al 20% entro il 2020, incentivando anche l’utilizzo delle energie rinnovabili.

In conclusione, sarà proposto l’esame del Quadro Clima-Energia 2030, con il quale la Comunità europea ha confermato il proprio impegno nella lotta al cambiamento climatico e nella diminuzione delle emissioni di gas serra, aumentando ancora l’obiettivo di riduzione al 40% entro il 2030, e della recente Direttiva 2018/410/UE di ulteriore revisione del funzionamento del sistema di Emission Trading.

Il terzo ed ultimo capitolo tratterà del recepimento nel diritto interno delle direttive europee e della conseguente regolamentazione interna del mercato dei certificati di emissione dei gas serra.

In primis, sarà messo in luce il ritardo col quale il legislatore italiano ha recepito tutte le direttive europee in materia. Infatti, la Direttiva Emission Trading e la successiva Direttiva di modifica Linking

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hanno avuto completa attuazione soltanto nel 2006, con D.Lgs. n. 216, e la Direttiva 2009/29/CE soltanto nel 2013, con D.Lgs. n. 30.

Ne è conseguita una evidente impreparazione delle imprese italiane ad operare all’interno del sistema europeo di scambio delle quote di emissione.

Particolare attenzione sarà prestata poi alla mancata identificazione, da parte del legislatore nazionale, sulla scia del legislatore europeo, della natura giuridica delle quote di emissione, lasciando incertezza in materia, colmata soltanto dall’analisi condotta dalla dottrina, giunta a ritenere le stesse come un bene giuridico immateriale.

La ricerca si concentrerà inoltre sull’analisi della Borsa Italiana dei Fumi, operativa dall’aprile 2007 e oggi gestita dal Gestore del Mercato Energetico, mercato all’interno del quale ogni operatore può acquisire e vendere quote.

Infine, sarà esaminato il ruolo rivestito dagli Enti Territoriali nel raggiungimento degli obiettivi prefissati dal Protocollo di Kyoto. In tal senso, un particolare riferimento sarà fatto alla Legge Regionale Veneto del 1 giugno 2006 n. 6, di promozione dell’omonimo Protocollo e del sistema di Emission Trading, al Decreto Ministeriale Burden Sharing del 2012, con il quale le Regioni e le Provincie autonome di Trento e Bolzano si sono impegnate ad integrare gli

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strumenti di governo del territorio con la predisposizione di strumenti di contenimento delle emissioni e di promozione delle energie rinnovabili, e al Patto dei Sindaci, iniziativa lanciata dalla Commissione Europea nel 2008 al fine di coinvolgere attivamente le città italiane nella lotta al cambiamento climatico.

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Capitolo I

LE INIZIATIVE INTERNAZIONALI PER CONTRASTARE I CAMBIAMENTI CLIMATICI: L’AVVIO DI UN MERCATO

GLOBALE DELLE EMISSIONI

1. La Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC)

Il cambiamento climatico in atto e le conseguenti strategie di mitigazione o di adattamento sono tra le più importanti tematiche di cui ha dovuto e deve ancora oggi occuparsi la comunità internazionale.

Nell’ultimo secolo si è verificato un aumento della temperatura globale media provocato da ciò che viene definito “effetto serra”, una elevata concentrazione di gas serra (GHG, Green House Gases)1 presenti nell’atmosfera che impediscono al calore del Sole, riflesso sulla Terra, di disperdersi verso lo spazio esterno, alterando così il delicato equilibrio sul quale si basa il clima nel nostro pianeta2.

La prima tappa fondamentale della riflessione globale in materia di preservazione e conservazione del sistema climatico, e più in generale

1 I gas serra sono essenzialmente costituiti da vapore acqueo (H2O), metano (CH4), clorofluorocarburi (CFC), protossido di azoto (N2O) e anidride carbonica (CO2).

2 B. Annicchiarico, A. Costa, Protocollo di Kyoto e mercato europeo dei diritti di emissione dei gas ad effetto serra, in Studi e Note di Economia, n. 2, 2007 pp. 233-255.

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degli equilibri ambientali, è stata la Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente Umano (United Nations Conference on Human Environment), tenutasi a Stoccolma nel 1972, nella quale è iniziata a maturare l’idea di dover conciliare l’uomo, e il suo sviluppo economico e sociale, con l’ambiente.

Ma l’effettiva presa di coscienza della urgente necessità di adottare misure idonee alla salvaguardia del pianeta si è avuta in conseguenza al primo rapporto dell’Intergovernative Panel on Climate Change (IPCC)3 del 1990, che individuava quale causa principale del riscaldamento globale, osservato durante gli ultimi cinquant’anni, un accresciuto livello di concentrazione in atmosfera di gas a effetto serra provenienti da attività antropiche.

Basandosi su tale rapporto, nel 1992, nell’ambito della Conferenza di Rio (UN Conference on Environment and Development, c.d. Earth Summit) è stata approvata la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change – UNFCCC)4, primo trattato ambientale internazionale dedicato

3 L’IPCC è un gruppo intergovernativo indipendente, istituito nel 1988 da due organismi delle Nazioni Unite, l’Organizzazione Meteorologica mondiale (WMO) ed il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) allo scopo di studiare e monitorare i cambiamenti climatici. 4 L’UNFCCC è entrata in vigore il 21 marzo 1994 ed è stata ratificata, ad oggi, da centonovantasei stati.

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specificatamente alla soluzione del problema dei cambiamenti climatici5.

L’obiettivo principale della Convenzione è il conseguimento della stabilizzazione della concentrazione di gas serra nell’atmosfera in misura tale da impedire qualsiasi pericolosa interferenza delle attività umane sul clima6.

Essa si focalizza sulla necessità di adottare efficaci strategie di mitigazione dell’alterazione climatica mediante l’adozione di particolari politiche industriali ed economiche di riduzione dell’anidride carbonica7, prevedendo uno scenario di stabilizzazione dei gas a effetto serra nel lungo periodo (2050-2100) tale da non arrecare oltremodo danno al pianeta e alle generazioni future8.

La Convenzione stabilisce tra i principi guida la necessità dei Paesi aderenti di condividere l’onere nella lotta ai cambiamenti climatici, pur accertando tale onere in forma diversificata, in virtù del “principio della

5 La terminologia “cambiamenti climatici” è stata utilizzata per la prima volta nell’art. 1 della UNFCCC, intendendo per tale “qualsiasi cambiamento di clima attribuito direttamente o indirettamente ad attività umane, il quale altera la composizione dell’atmosfera mondiale e si aggiunge alla variabilità naturale del clima osservata in periodi di tempo comparabili”.

6 Articolo 2 della UNFCCC.

7 L’anidride carbonica è ritenuta dall’IPCC il principale gas responsabile dell’effetto serra.

8 B. Annicchiarico, A. Costa, Protocollo di Kyoto e mercato europeo dei diritti di emissione dei gas ad effetto serra, cit. p. 236.

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responsabilità comune ma differenziata” (Common but differentiated responsabilities, Cbdr): tutti i paesi, con le loro emissioni, producono effetti globali, ma di grado diverso, in proporzione al loro livello di industrializzazione9.

È da evidenziare, infatti, che i Paesi industrializzati, pur ospitando una bassa percentuale della popolazione mondiale, sono responsabili del maggior quantitativo di emissioni annuali di gas a effetto serra.

La Convenzione distingue così i Paesi industrializzati o con economia in transizione, indicati nell’Allegato I (Annex I Parties)10, che hanno assunto l’impegno di ridurre, congiuntamente o individualmente, le emissioni di gas serra11, dai Paesi poveri e in via di sviluppo, indicati nell’Allegato II (Non-annex II, c.d. PVS), poiché le politiche e i provvedimenti per proteggere il sistema climatico dai cambiamenti causati dalle attività umane devono adeguarsi alle specifiche condizioni

9 G. Deboni, Il CDM e la sua applicabilità in Brasile. Il protocollo di Kyoto e la direttiva europea, in Rivista Giuridica dell’Ambiente, n. 1, 2005, pp. 71-101. 10 Attualmente i paesi dell’Allegato I sono quarantuno, tra i quali: Australia, Austria, Belgio, Bielorussia, Canada, Croazia, Danimarca, Estonia, Federazione Russa, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Grecia, Irlanda, Islanda, Italia, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Monaco, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Stati Uniti d’America, Svezia, Svizzera, Turchia, Ucraina, Ungheria, Unione Europea.

11 La possibilità di una realizzazione congiunta degli impegni presi prefigura l’idea dello scambio dei diritti di emissione che sarà poi sviluppata nelle successive negoziazioni internazionali, e più precisamente nel Protocollo di Kyoto (si veda § successivo).

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di ciascun paese, con la consapevolezza che lo sviluppo economico e la lotta alla povertà rimangono priorità per i Paesi in via di sviluppo12.

La ragione di tale trattamento differenziato è riportata indirettamente nel preambolo della stessa Convenzione.

Gli odierni Stati industrializzati hanno accumulato immensi benefici economici per aver avuto la possibilità di avviare il loro processo di sviluppo in un’epoca in cui non si teneva conto degli effetti negativi sull’ambiente derivanti dall’uso dei combustibili fossili; questa possibilità ha prodotto enormi danni all’ambiente e ha posto oggi questi Stati in una posizione avvantaggiata rispetto a tutti gli altri, e in particolare rispetto agli Stati che solo recentemente hanno cominciato a svilupparsi.

La Convenzione Quadro, contenendo principi generali e dichiarazioni di intenti, non pone alle nazioni contraenti obblighi giuridicamente vincolanti per le emissioni di gas serra, ma prevede un percorso a tappe segnato da aggiornamenti, ovvero i protocolli, cui spetta il compito di porre ai Paesi aderenti limiti obbligatori di emissione; a tale scopo è prevista la convocazione annuale di una Conferenza delle Parti (COP)13, con il compito di verificare i progressi

12 A. Savaresi, M. Davide, Cambiamenti climatici e negoziati: una prospettiva italiana, in Ambiente e Sviluppo, n. 4, 2012, pp. 357-362.

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fatti, gli impegni assunti e di promuovere l’effettiva implementazione della Convenzione.

Le Parti, dal canto loro, si impegnano al rispetto degli obblighi generici derivanti dall’adesione, adottando politiche nazionali idonee alla riduzione delle emissioni di gas serra.

Come si evince, la preoccupazione, sempre più incessante, per le sorti del pianeta ha portato ad una collaborazione globale per la sua difesa.

Pur riconoscendo che la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici ha il merito di aver individuato le criticità sulle quali intervenire, gettando le basi per la creazione e lo sviluppo di un meccanismo di regolazione delle emissioni climalteranti, la sua natura di trattato non giuridicamente vincolante ha fatto dubitare fortemente, almeno inizialmente, circa il suo reale impatto sulla comunità internazionale14. Nonostante tali diffidenze, la Convenzione è ad oggi ritenuta la base dell’azione internazionale sul cambiamento climatico.

14 M. Bothe, E. Rehbinder, Climate Change Policy, Utrecht, Eleven International Publishing, 2005.

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2. Il Protocollo di Kyoto: la creazione dei certificati di emissione di gas serra

All’indomani della Conferenza Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, l’identificazione di strumenti efficaci di mitigazione dell’alterazione climatica è stata oggetto di numerosi dibattiti in sede di Conferenza delle Parti, soprattutto per le possibili ripercussioni sul sistema produttivo, sulla concorrenza e sullo sviluppo economico dei singoli Paesi15.

Già nella prima sessione della Conferenza delle Parti, tenutasi a Berlino nell’aprile 1995, emerse chiaramente che gli impegni esistenti finalizzati alla riduzione delle emissioni erano in realtà inadeguati, e non avrebbero permesso di raggiungere l’obiettivo stabilito dalla Convenzione.

Conseguentemente, con il cosiddetto Berlin Mandate, fu creato un gruppo di lavoro incaricato di dare avvio a delle negoziazioni volte al rafforzamento degli obiettivi della stessa Convenzione tramite la redazione di un protocollo che, da un lato, fissasse al suo interno degli obiettivi quantificabili di riduzione e limitazioni delle emissioni in

15 B. Annicchiarico, A. Costa, Protocollo di Kyoto e mercato europeo dei diritti di emissione dei gas ad effetto serra, cit., p. 234.

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atmosfera per il periodo successivo al 2000 e, dall’altro, elaborasse politiche e misure in relazione a tali obiettivi16.

Dopo lunghe trattative, nel dicembre 1997, a Kyoto, la terza Conferenza delle Parti si concluse con l’adozione dell’omonimo Protocollo, primo strumento globale attuativo della Convenzione che ha stabilito obiettivi specifici di riduzione delle emissioni di gas serra nocivi per l’equilibrio atmosferico17.

L’obiettivo del Protocollo, inizialmente fissato per il periodo quinquennale di riferimento 2008-2012 (First Commitment Period), è quello di ridurre complessivamente le emissioni antropiche di gas serra del 5,2% rispetto a quelle del 1990, anno di riferimento (baseline).

All’interno di tale soglia, i singoli Paesi firmatari hanno obblighi di abbattimento diversificati, in ragione del principio di responsabilità comune ma differenziata18, già stabilito dalla Convenzione.

16 V. Jacometti, Lo scambio di quote di emissione. Analisi di un nuovo strumento di tutela ambientale in prospettiva comparatistica, Milano, Giuffrè, 2010.

17 Per riduzione delle emissioni di gas climalteranti si deve intendere una “riduzione netta cioè in termini di bilancio tra quanto complessivamente aggiunto all’atmosfera e quanto complessivamente sottratto”, così come stabilito dall’art. 3 del Protocollo.

18 L’obiettivo di riduzione del 5,2% rappresenta solo il valore medio a cui gli Stati sono chiamati a concorrere in varia misura, oscillando dall’8% per l’UE, che ha optato per una ripartizione interna differenziata come stabilito dalla Decisione europea 2002/358/CE, al 7% previsto per gli USA, al 6% previsto per il Giappone.

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È lo stesso Protocollo che individua i gruppi di Paesi con obblighi di abbattimento differenziati.

Il primo raggruppamento comprende i Paesi industrializzati e con economie in transizione; il secondo raggruppamento comprende i Paesi in via di sviluppo, è posto in deroga e non deve rispettare alcun impegno di riduzione derivante dal Protocollo19. Ciò trova la sua giustificazione in un duplice ordine di motivi; nonostante l’introduzione di restrizioni del livello delle emissioni possa seriamente compromettere la loro crescita economica, il maggior onere deve essere sostenuto dai Paesi industrializzati, in quanto considerati dalla UNFCCC i principali responsabili dell’inquinamento mondiale da gas serra dalla Rivoluzione Industriale ad oggi20.

Il sistema creato dal Protocollo prevede quindi l’assegnazione ai soli Paesi sviluppati o con economie in transizione di un ammontare massimo di emissioni che sono autorizzati a rilasciare in atmosfera, gli Assigned Amount Units (AAUs), altrimenti detti “certificati di emissione di gas serra”.

19 Come previsto dall’art. 3 del Protocollo. In ogni caso, i Paesi in via di sviluppo devono comunque rispettare gli impegni di riduzione previsti dalla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici del 1992, confermando così la loro partecipazione all’obiettivo generale della lotta ai cambiamenti climatici.

20 B. Annicchiarico, A. Costa, Protocollo di Kyoto e mercato europeo dei diritti di emissione dei gas ad effetto serra, cit. pp. 236-237.

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I Paesi ripartiscono poi i certificati tra le grandi imprese operanti principalmente nel settore dell’energia, dell’industria e dei rifiuti, che rispondono a determinati requisiti stabiliti dalle normative nazionali. Nel particolare caso in cui sia poi necessario compensare eventuali emissioni in eccesso è consentito il ricorso, alternativo o complementare, ad una serie di azioni quali: l’aumento dell’efficienza energetica dei sistemi produttivi (compreso l’utilizzo di fonti a più bassa intensità di CO2), il ricorso a specifici mercati per il commercio delle emissioni, oppure la realizzazione di specifici investimenti in grado di conferire i crediti di emissione.

La possibilità di ricorrere a strumenti differenti rispetto alla riduzione interna diretta ha una precisa ragione economica di fondo; infatti, pur trattandosi di regolamentare la concentrazione di una sostanza inquinante di tipo globale, i cui effetti si manifestano anche a chilometri di distanza, le imprese operanti devono poter tendere al perseguimento del “principio dell’efficienza”, secondo il quale ogni intervento dovrebbe essere realizzato laddove siano minori i costi di abbattimento delle emissioni. Non è rilevante, quindi, il luogo specifico dove sono realizzati gli abbattimenti, purché i costi di riduzione risultino minimizzati.

Il Protocollo di Kyoto è entrato in vigore soltanto il 16 febbraio 2005, dopo un lungo periodo di esitazione e titubanza.

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Per l’adozione erano richieste due essenziali condizioni: il deposito di cinquantacinque atti di ratifica che manifestassero il consenso degli Stati a vincolarsi e che tali Stati fossero responsabili di oltre il 55% della quantità totale delle emissioni21.

La mancata ratifica da parte degli Stati Uniti d’America, responsabili allora del 37% delle emissioni dei Paesi industrializzati, ha reso determinante, per l’entrata in vigore del Protocollo, l’adesione della Federazione Russa, responsabile del 17% delle emissioni totali, avvenuta nel novembre del 200422, che ha condotto al superamento della soglia richiesta23.

Il Protocollo ha regolamentato le emissioni di gas serra soltanto per il periodo successivo alla sua entrata in vigore, fino al 2012.

21 Art. 25 del Protocollo di Kyoto: “This Protocol shall enter into force on the ninetieth day after the date on which not less than 55 Parties to the Convention, incorporating Parties included in Annex I which accounted in total for at least 55 per cent of the total carbon dioxide emission for 1990 of the Parties included in Annex I, have deposited their instruments of ratification, acceptance, approval or accession.” 22 Come si nota, nonostante gli impegni assunti in seno alla UNFCCC, la Russia ha continuato a rimandare la ratifica del Protocollo. Ciò con l’obiettivo di ottenere una maggiore contropartita sul piano internazionale. Infatti, la Russia ha ratificato il Protocollo soltanto nel 2004, dopo che l’Unione Europea si è impegnata a sostenerne la candidatura presso l’Organizzazione mondiale del commercio. Così ricorda S. Rousseaux, Protection de la couche d’ozone et prèvention des changements climatique, in JCP Env., 2009.

23 F. Arecco, Il mercato dei diritti di emissione di gas ad effetto serra, in Commercio Internazionale, n. 15-16, 2005, pp. 5-10.

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Le COP più recenti sono state rivolte alla definizione degli obiettivi per il periodo post-Kyoto; la Conferenza di Copenhagen (COP 15, Dicembre 2009) ha lasciato molta delusione, non riuscendo a raggiungere alcun accordo. Anche la Conferenza di Cancun (COP 16, Dicembre 2010), non è riuscita ad organizzare un’azione coordinata tra gli Stati nazionali per il contrasto al cambiamento climatico, obiettivo non raggiunto neppure con la Conferenza di Durban (COP 17, Dicembre 2011).

Gli obiettivi del Protocollo di Kyoto sono stati rinnovati soltanto al termine della Conferenza di Doha (COP 18, dicembre 2012), nella quale solamente un gruppo ristretto di Paesi si sono impegnati a dar seguito agli scopi prefissati nel primo periodo di attuazione del Protocollo24.

Il secondo periodo di attività del Protocollo (Second Commitment Period) è iniziato il 1° gennaio 2013 e si protrarrà sino al 2020, mirando ad una riduzione delle emissioni in un range compreso tra il 25 e il 40% rispetto ai livelli del 1990.

I dati attuali sulla riduzione delle emissioni mostrano però che non stanno diminuendo secondo i livelli stabiliti dal Protocollo stesso.

24 Allegato al DEF 2017, Stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas serra, www.senato.it.

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2.1 I meccanismi flessibili e i crediti di emissione

Il Protocollo di Kyoto prevede la possibilità di ricorrere a diversi strumenti che consentono una maggiore flessibilità nel perseguimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.

In particolare, ai Paesi aderenti appartenenti al primo raggruppamento è permesso il ricorso ai cosiddetti “meccanismi flessibili” basati sul mercato, al fine di ridurre il livello delle proprie emissioni e di rispettare il proprio tetto massimo.

L’idea di base è quella di sfruttare il mercato per modificare il comportamento degli agenti ed incentivare la riduzione delle emissioni inquinanti. In tal senso, la flessibilità degli strumenti proposti consente ai soggetti coinvolti di poter perseguire il “principio dell’efficienza”: ogni intervento di riduzione delle emissioni dovrebbe essere realizzato laddove e nel momento in cui i costi di abbattimento siano minimi.

L’introduzione di elementi di flessibilità consente quindi che gli sforzi di riduzione di ogni singola impresa partecipante al mercato possano essere collocati in maniera economicamente efficiente sia nel tempo che nello spazio, offrendo la possibilità di potersi adeguare alle condizioni economiche del momento25.

25 B. Annicchiarico, A. Costa, Protocollo di Kyoto e mercato europeo dei diritti di emissione dei gas ad effetto serra, cit. pp. 237-238.

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Il Protocollo di Kyoto istituisce tre meccanismi principali per la riduzione delle emissioni climalteranti, da coordinare con misure interne decise dai singoli Governi.

Il primo meccanismo è denominato Joint Implementation, JI (meccanismo di attuazione/implementazione congiunta)26, e permette alle imprese dei Paesi con vincoli di emissione (Paesi industrializzati o ad economia in transizione) di realizzare progetti che mirano alla riduzione delle emissioni in altri Paesi con vincoli di emissione, con la volontaria adesione di questi ultimi27.

I progetti JI sono considerati "operazioni a somma zero" in quanto le emissioni totali permesse nei due paesi rimangono esattamente le stesse.

Lo scopo di tale meccanismo è di ridurre il costo complessivo d'adempimento degli obblighi di Kyoto dei Paesi dell’Allegato I,

26 Articolo 6 del Protocollo di Kyoto.

27 Il meccanismo Joint Implementation trae la sua origine dal meccanismo pilota delle Activities Implemented Jointly (AIJ), configurato nell’ambito della prima COP di Berlino nel 1995. Tale meccanismo era volto a promuovere investimenti da parte dei Paesi dell’Allegato I in una serie di progetti di riduzione delle emissioni di gas serra al di fuori dei propri confini, al fine di consentire loro di comprendere più chiaramente le implicazioni di tali progetti. Tuttavia, trattandosi di una fase pilota, si era escluso che tali progetti potessero attribuire ai Paesi dell’Allegato I crediti da utilizzare per il rispetto degli obblighi futuri. Così ricorda V. Jacometti, Lo scambio di quote di emissione. Analisi di un nuovo strumento di tutela ambientale in prospettiva comparatistica, op. cit. p. 148

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favorendo l'abbattimento delle emissioni lì dove è economicamente più conveniente.

Le emissioni evitate grazie alla realizzazione dei progetti JI generano i cosiddetti “crediti di emissione” (Emissions Reduction Units, ERUs), certificati di emissione assegnati alle imprese e utilizzabili per l’osservanza degli impegni di riduzione imposti loro dal Paese di appartenenza, e detraibili dall'ammontare di quelli inizialmente assegnati a questo stesso Paese28.

Tuttavia, qualora le imprese assegnatarie non abbiano la necessità di utilizzare gli ERUs ricevuti hanno la possibilità di trasferire quelli eccedenti alle imprese di altri Stati industrializzati che invece ne necessitano, come pure in seguito acquistarne a loro volta29.

Tutti i paesi industrializzati possono potenzialmente ospitare progetti JI, ma i paesi con le economie in transizione, caratterizzati da bassi costi marginali di abbattimento, sono i naturali candidati per questo tipo di meccanismo30.

L’ammissione di un progetto al meccanismo JI è subordinata al rispetto del criterio di addizionalità: esso deve cioè produrre una

28 È stato previsto che i crediti derivanti dai progetti avviati prima del periodo 2008-2012 possano essere utilizzati solo a partire dal 2008. 29 P. Dé Capitani di Vemarcate, L’Emission Trading Scheme: aspetti contabili e fiscali, in Diritto e Pratica Tributaria, n. 1, 2010, pp. 15-49.

30 Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, in Joint Implementation, www.miniambiente.it

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diminuzione delle emissioni che sia additional rispetto a quella che si sarebbe verificata in ogni caso31, diminuzione valutata con riferimento alla baseline. È proprio la comparazione tra quanto emesso in assenza del progetto e quanto emesso in seguito alla realizzazione dello stesso che consente di valutarne l’addizionalità32.

L’attuazione dei progetti JI è cadenzata da alcune precise fasi. La prima si sostanzia nella redazione di un Product Design Document (PDDs), documento in cui devono essere contenute tutte le informazioni necessarie per la verifica dei requisiti di idoneità richiesti in capo ai partecipanti al progetto33, che essi dovranno poi inviare a una delle Entità accreditate indipendenti (i.e. Accredited Indipendent Entities, AIEs). Dette entità indipendenti sono società terze e indipendenti preposte alla validazione dei documenti relativi ai progetti e al controllo dei risultati di tali progetti.

In secondo luogo, i soggetti che vogliono partecipare al JI devono ottenere la “lettera di approvazione del progetto proposto”, necessaria

31 «Any such project provides a reduction in emissions by sources, or an enhancement of removals by sinks, that is additional to any that would otherwise occur », art. 6 del Protocollo di Kyoto.

32 E. Cicigoi, P. Fabbri, Mercato delle emissioni ad effetto serra. Istituzioni ed imprese protagoniste dello sviluppo sostenibile, Bologna, Il Mulino, 2007, p. 19. 33 Requisiti stabiliti dall’art. 33 della Decisione 9/CMP.1, Guidelines for the implementation of Article 6 of the Kyoto Protocol, adottata nell’ambito della COP di Montréal.

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sia per la sua messa in atto che per l’approvazione degli stessi soggetti che vi partecipano.

La terza fase è volta a verificare l’eleggibilità del progetto ai fini del JI34. Tale verifica è compiuta secondo due determinate procedure, note come Track 1 e Track 2. Se il Paese investitore soddisfa tutti i requisiti di idoneità35 per acquisire ERUs, allora la procedura di implementazione congiunta avverrà in modo semplificato, e quindi tutte le funzioni di controllo e verifica delle emissioni di gas serra effettivamente risparmiate verranno verificate dall’organo preposto del Paese investitore, che in seguito emetterà la quantità appropriata di ERUs (procedura denominata Track 1). Viceversa, la verifica delle riduzioni delle emissioni o dei miglioramenti degli assorbimenti dovrà essere effettuata da un organo indipendente e terzo rispetto alle Parti, il Comitato supervisore (Supervisory Committee) presso l’UNFCCC, coadiuvato dall’Ente accreditato, che determinerà se i requisiti pertinenti sono stati soddisfatti prima che la Parte ospitante possa emettere ERUs (procedura denominata Track 2)36.

34 P. Dé Capitani di Vemercate, L’Emission Trading Scheme: aspetti contabili e fiscali, cit. pp. 19-20.

35 Requisiti stabiliti al punto 21 della decisione 9/CPM.1.

36 E. Cicigoi, P. Fabbri, Il mercato globale delle emissioni ad effetto serra. Istituzioni ed imprese protagoniste dello sviluppo sostenibile, op. cit. p. 21.

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Il secondo meccanismo è denominato Clean Development Mechanism, CDM (meccanismo di sviluppo pulito)37 e consente ai Paesi industrializzati o ad economia in transizione e alle loro imprese di investire in progetti ad alta efficienza energetica o in progetti volti all’utilizzo di energie rinnovabili in Paesi in via di sviluppo, con la volontaria accettazione da parte dei secondi.

Lo scopo di tale meccanismo, come per il precedente, è l’abbattimento delle emissioni lì dove è economicamente più conveniente, e quindi la riduzione del costo complessivo d'adempimento degli obblighi derivanti dal Protocollo di Kyoto.

Le attività realizzate in Paesi in via di sviluppo comportano, per la messa in atto di chi le compie, minori oneri rispetto a quelli che le imprese dovrebbero sostenere per il loro svolgimento nel proprio territorio nazionale, in quanto i Paesi in via di sviluppo hanno generalmente costi inferiori.

In corrispettivo allo sforzo sostenuto per la delocalizzazione, le imprese investitrici ricevono dei crediti di emissione (Certified Emission Reductions, CERs), certificati attestanti le quantità di emissioni evitate

37 Art. 12 del Protocollo di Kyoto.

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grazie al progetto svolto, detraibili dall’ammontare delle emissioni nazionali38.

In particolare, affinché il progetto sia qualificabile ai fini del CDM, è necessario che, come per i progetti JI, sia di tipo addizionale rispetto alle altre attività, ossia porti una reale diminuzione di emissioni nocive rispetto a quelle che si sarebbero prodotte nel normale svolgimento di attività già esistenti39.

Preme rilevare che il CDM è l’unico meccanismo che prevede la partecipazione dei Paesi poveri o in via di sviluppo nel Protocollo, e rappresenta sia un contributo significativo da parte di questi Paesi per contribuire a mitigare le conseguenze dell’effetto serra sia una vera opportunità per svilupparsi in forma sostenibile40.

Il meccanismo di sviluppo pulito, la cui attuazione è cadenzata dalle medesime fasi previste per i progetti JI, presenta tre modalità diverse di progetti per la sua realizzazione: riduzione di emissioni di gas serra, emissioni evitate e assorbimento di emissioni.

Terzo ed ultimo meccanismo di politica ambientale previsto dal Protocollo di Kyoto per favorire una riduzione delle emissioni

38 P. Dé Capitani di Vemercate, L’Emission Trading Scheme: aspetti contabili e fiscali, cit. p. 22.

39 Art. 13, comma 5, lett. b) del Protocollo di Kyoto.

40 G. Deboni, Il CDM e la sua applicabilità in Brasile. Il protocollo di Kyoto e la direttiva europea, cit. p. 76.

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efficiente attraverso la minimizzazione dei costi di abbattimento è l’Internetional Emission Trading, IET (commercio internazionale dei certificati di emissione)41.

Il sistema IET prevede per i Paesi industrializzati che riducono le emissioni in misura maggiore al loro target, il diritto di vendere il surplus ad altri Paesi industrializzati che ne necessitano per rispettare gli impegni di Kyoto.

Questi diritti, rappresentati da Assigned Amount Units (AAUs) e cioè quote che vengono assegnate agli Stati in base all’obbligo di riduzione assunto dal Protocollo, possono essere acquistate da altri Stati che, invece, non riescono a rispettare il proprio obiettivo ed hanno quindi necessità di compensare questo maggiore fabbisogno, riallineando così il dislivello tra le quote di emissione possedute ab origine e quelle realmente rilasciate nell’atmosfera42.

Questo sistema consente ai soggetti, come le imprese, che hanno ridotto le loro emissioni in misura pari alla quota assegnata, di commercializzare l’eccedenza disponibile ad altri soggetti che hanno, invece, maggior difficoltà a rispettare i propri impegni43.

41 Art. 17 del Protocollo di Kyoto.

42 E. Lucchini Guastalla, Il trasferimento delle quote di emissione di gas serra, in Nuova giurisprudenza civile commentata, n. 5, 2005.

43 G. Deboni, Il CDM e la sua applicabilità in Brasile. Il protocollo di Kyoto e la direttiva europea, cit. p. 74.

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È evidente che con tale meccanismo ogni soggetto del mercato partecipante all’IET cercherà di migliorare il proprio sistema produttivo al fine di vendere l’eccesso sul mercato, con effetti positivi anche per l’ambiente.

Tuttavia, l’Emission Trading, se non sottoposto a limitazioni di alcun genere, introduce la possibilità, per i Paesi che vi ricorrono, di limitare, o evitare del tutto, interventi interni di abbattimento delle emissioni. E ciò non è senz’altro sempre positivo, soprattutto se i Paesi considerati sono caratterizzati da inefficienza energetica e, pertanto, vi sono margini per interventi di miglioramento del sistema energetico.

Concludendo, dall’analisi svolta è possibile affermare che grazie al Protocollo di Kyoto si è senza dubbio creato un mercato delle emissioni, all’interno del quale possono essere venduti e/o acquisiti i certificati di emissione.

2.2 Problematiche e risultati

Il Protocollo di Kyoto ha suscitato un ampio dibattito all’interno della dottrina44, che da subito ha evidenziato l’esistenza di alcuni problemi strutturali.

44 S. Berret, Una critica al Protocollo di Kyoto, in Rivista Giuridica dell’Associazione Rossi-Doria, n. 4, 2014, pp. 1-12.

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Il limite più grande è identificato nell’introduzione di vincoli solo per i Paesi sviluppati o ad economia in transizione, mentre i dati scientifici da più parti raccolti mostrano come siano in realtà i Paesi in via di sviluppo quelli più pericolosi per le future emissioni45.

Le cifre dell’impegno di riduzione delineate, da un punto di vista scientifico, appaiono ancora troppo poco consistenti per incidere veramente sulla situazione già troppo critica dell’atmosfera.

È evidente poi la poca incisività tecnico giuridica degli impegni: prima della dead-line del 2008-2012 il Protocollo non definisce tappe intermedie di verifica. Inoltre, pur stabilendo che i target di riduzione sono vincolanti per i Paesi industrializzati e con economie in transizione, non vengono stipulate sanzioni per il caso di non rispetto dei parametri.

Da un’analisi più approfondita del Protocollo è inoltre palese la sua incompletezza, soprattutto per quanto riguarda gli strumenti flessibili. Mancano aspetti organizzativi, istituzionali, procedurali e finanziari che dovrebbero regolare meglio i tre sistemi; ad esempio, per l’IET è palese che un mercato delle emissioni richiede un set di regole chiaramente definito, delle istituzioni di controllo e dei meccanismi di gestione, altrimenti non è in grado di funzionare.

45 La Cina, rientrante tra i PSV, è responsabile di una elevata percentuale di emissioni globali.

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Tuttavia, il Protocollo rappresenta, al di là della reale bontà degli effetti che ha portato, e pur con tutti i suoi limiti sia scientifici che normativi, un punto di partenza molto importante per la risoluzione dei problemi relativi al clima e allo sviluppo sostenibile, se non direttamente, almeno indirettamente, perché innesca un processo di cooperazione internazionale che apre la strada ai successivi accordi46.

3. L’Accordo di Parigi: il primo accordo giuridicamente vincolante sul clima mondiale

Il Paris Climate Agreement è stato definito un accordo storico in occasione della sua conclusione, avvenuta nel dicembre 201547.

L’Unione Europea ha contribuito alla sua rapida entrata in vigore, avvenuta il 4 novembre 201648.

46 Fonte: www.lifegate.it

47 L’Accordo è stato così definito dall’allora Segretario delle Nazioni Unite Ban Ki Moon, come riporta F. Scalia, L’Accordo di Parigi e i “paradossi” delle politiche dell’Europa su clima e energia, in Rivista di Diritto e Giurisprudenza, n. 6, 2016, pp. 1-25.

48 L’UE ha fatto ratificare, con una procedura straordinaria, ovvero applicata solo all’Accordo di Parigi, dal Consiglio dell’UE, l’Accordo, depositando presso la sede dell’ONU gli strumenti di ratifica il 4 ottobre 2016. Tale decisione ha permesso di soddisfare in tempi brevissimi i requisiti richiesti per l’entrata in vigore dell’Accordo stesso: la ratifica da parte di almeno 55 parti firmatarie, responsabili di almeno il 55% delle emissioni mondiali di gas a effetto serra. Questa decisione si è rivelata, negli anni, provvidenziale, considerato che il nuovo Presidente degli Stati Uniti, recentemente eletto, è dichiaratamente contrario all’attuazione degli impegni di Parigi e, con buona probabilità, non avrebbe ratificato l’Accordo. Così ricorda F. Scalia, in L’Accordo di Parigi e i “paradossi” delle politiche dell’Europa su clima e energia, cit. p. 3-4.

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L’Accordo di Parigi costituisce indubbiamente un grande successo; esso rappresenta un importante momento di passaggio e di evoluzione rispetto al suo predecessore, il Protocollo di Kyoto, caratterizzato da un impianto concettuale e normativo rigido che, a quasi vent’anni dalla sua adozione, non rispecchiava più le esigenze della comunità internazionale.

L’Accordo si propone di superare le rigidità del Protocollo di Kyoto e di decretarne il graduale superamento nell’ambito delle iniziative globali nella lotta contro i cambiamenti climatici, realizzate in attuazione degli obiettivi e dei principi sanciti dalla Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici del 1992, che ancora oggi costituisce la base dell’azione internazionale in materia49.

Esso rappresenta il culmine di un lungo processo negoziale iniziato all’indomani dell’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto. Infatti, sin da allora era stata avvertita l’esigenza di definire il periodo post-2012, dal momento che il Protocollo disciplinava una riduzione delle emissioni solo per il quinquennio 2008-2012.

L’obiettivo iniziale dei negoziati internazionali in materia di cambiamenti climatici relativi al periodo post-2012 era quello di pervenire ad un nuovo accordo internazionale in occasione della COP

49 M. Montini, Riflessioni critiche sull’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, in Rivista di Diritto Internazionale, n. 3, 2017, pp. 719-741.

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di Copenaghen del 2009. Malgrado le forti aspettative degli Stati e della società civile nei confronti di tale incontro, le Parti non riuscirono a trovare un accordo complessivo sul regime giuridico in materia di cambiamenti climatici successivo al 2012, ma solo un accordo parziale, definito Accordo di Copenaghen, dalla natura più politica che giuridica, privo di valore vincolante.

A ben vedere, però, va riconosciuto che l’Accordo di Copenaghen, prima tappa fondamentale verso l’Accordo di Parigi, pur nella sua forma embrionica e provvisoria, conteneva già alcuni importanti elementi di novità rispetto al Protocollo di Kyoto che, dopo essere stati perfezionati negli anni successivi, sarebbero poi confluiti nell’Accordo di Parigi.

Il più importante elemento di novità contenuto nell’Accordo di Copenaghen, che in questo senso già proponeva un netto allontanamento dal Protocollo di Kyoto, era rappresentato dall’abbandono dell’approccio top-down, che prevedeva obblighi vincolanti di riduzione delle emissioni di gas serra solamente a carico delle Parti dell’allegato I del Protocollo, corrispondenti ai Paesi industrializzati. Tale approccio veniva sostituito da uno più flessibile, caratterizzato da un’architettura bottom-up, basato su impegni stabiliti volontariamente dalle singole parti contraenti, controbilanciato però

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dalla partecipazione attiva di tutti gli Stati della comunità internazionale alla riduzione globale delle emissioni50.

Altra tappa fondamentale che pone le basi per l’Accordo di Parigi è la Durban Platform, adottata nel dicembre 2011 in Sudafrica in conclusione della COP 17. Essa segna definitivamente il superamento del Protocollo di Kyoto; crollano le preclusioni dei Paesi in via di sviluppo di non assumere alcun obbligo di riduzione dei gas climalteranti, e non vi è più alcun riferimento alla distinzione tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo51.

La Durban Platform prevede che tutti gli Stati della comunità internazionale procedano insieme nel negoziato di un Accordo globale, che sarà quello di Parigi.

Sono queste le tappe che hanno condotto all’adozione dell’Accordo di Parigi, composto da due documenti: la Decisione (Decision) e l’Accordo di Parigi (Paris Agreement) vero e proprio, che formalmente costituisce un allegato della prima. Si tratta di atti separati, con diversa efficacia giuridica: solo l’Accordo è atto giuridicamente vincolante per tutta la comunità internazionale, ed in quanto tale

50 C. Carraro, D. Marinella, La difficile strada che passa per Parigi, in Rivista per lo sviluppo sostenibile, n. 2, 2015, pp. 223-232.

51 S. Nespor, La lunga marcia per un accordo globale sul clima: dal Protocollo di Kyoto all’Accordo di Parigi, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, n. 1, 2016, pp. 81-105.

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soggetto a ratifica. La Decisione, invece, prevede le iniziative che gli Stati dovranno porre in essere al fine di prepararsi all’entrata in vigore dell’Accordo52.

Le finalità perseguite nell’Accordo sono fissate chiaramente nell’articolo 2: esso non si propone semplicemente di raggiungere gli obiettivi stabiliti dalla Convenzione Quadro al fine di pervenire alla stabilizzazione delle emissioni di gas serra, ma di migliorarli. Se si tiene conto degli insuccessi accumulati sino a questo momento nel solo tentativo di avvicinarsi al traguardo della stabilizzazione, è evidente che la finalità dell’Accordo costituisce un impegno audace e ambizioso.

L’obiettivo generale di mitigazione, così come sancito nell’articolo 2, impone alle Parti di contenere l’aumento della temperatura globale media entro i 2° centigradi, ponendo in essere tutti gli sforzi possibili per procedere verso un contenimento ancora maggiore, dell’ordine di 1,5° centigradi53.

Elemento cruciale per il successo dell’Accordo di Parigi è stata l’istituzione dei contributi nazionali di mitigazione, indicati dall’acronimo INDCs (Intended Nationally Determined Contributions), corrispondenti agli impegni per la lotta al cambiamento climatico che

52 F. Scalia, L’Accordo di Parigi e i “paradossi” delle politiche dell’Europa su clima e energia, cit. p. 5.

53 M. Montini, Riflessioni critiche sull’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, cit. p. 726.

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tutti i Paesi, sia quelli industrializzati e sviluppati sia quelli in via di sviluppo, si impegnano ad adottare a partire dal 202054.

Tutti i Paesi sono dunque chiamati a contribuire. A tal proposito, le Parti, contestualmente alla comunicazione dei propri contributi nazionali, devono fornire le informazioni necessarie per assicurare la chiarezza e la trasparenza degli impegni determinati a livello nazionale55.

L’Accordo di Parigi riconosce l’importanza degli strumenti di mercato come mezzi di supporto per l’attuazione degli obiettivi che persegue, contemplandone all’articolo 6 due diverse tipologie.

La prima consiste negli approcci cooperativi che possono essere utilizzati dalle Parti, su base volontaria, per il raggiungimento e l’implementazione dei propri contributi nazionali di mitigazione in modo coordinato con altre Parti56. Tali approcci possono consistere nel trasferimento transnazionale di unità di mitigazione, da effettuarsi nel rispetto dei principi dello sviluppo sostenibile, dell’integrità ambientale e della trasparenza.

Le Parti devono impegnarsi ad adottare un robusto sistema di contabilizzazione delle emissioni in modo da evitare il fenomeno della cosiddetta “doppia contabilizzazione” (double counting) delle spese. A tal

54 C. Carraro, D. Marinella, La difficile strada che passa per Parigi, cit. p. 226. 55 Art. 4, paragrafo 8 dell’Accordo di Parigi.

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fine, la COP dovrà in breve tempo stabilire delle specifiche linee-guida per la contabilizzazione delle emissioni di gas serra57.

È interessante rilevare che, onde evitare sovrapposizioni e confusioni con il precedente strumento dello scambio di emissioni (International Emissions Trading) previsto dal Protocollo di Kyoto, l'Accordo di Parigi utilizza una diversa terminologia per indicare le unità di riduzione delle emissioni che potranno essere scambiate, introducendo il concetto di Internationally Transferred Mitigation Outcomes, espressione che sostituisce quella, fino ad ora comunemente utilizzata, di “commercio di certificati, quote di riduzione delle emissioni”.

La seconda tipologia, introdotta dall'Accordo di Parigi, consiste in un nuovo meccanismo finalizzato a conseguire la mitigazione delle emissioni di gas serra, promuovendo al contempo lo sviluppo sostenibile.

Tale nuovo meccanismo di mercato, in assenza di una precisa denominazione contenuta nell'Accordo, viene comunemente indicato come Sustainable Development Mechanism, SDM (meccanismo di sviluppo di mercato)58, dal momento che si ispira chiaramente al precedente

57 M. Montini, Riflessioni critiche sull’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, cit. p. 727.

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meccanismo Clean Development Mechanism, CDM, elaborato dal Protocollo di Kyoto.

Sulla base di quanto già sperimentato con il CDM, mediante l'utilizzo del nuovo meccanismo SDM le Parti possono contabilizzare la riduzione delle emissioni di gas serra ottenute nel territorio di un'altra Parte contraente, per raggiungere gli obiettivi previsti dai propri contributi nazionali di mitigazione.

Vista la recente entrata in vigore dell’Accordo, la COP deve ancora designare un'autorità di supervisione per il funzionamento di questo nuovo meccanismo; allo stesso modo, essa deve ancora occuparsi di definire le regole, le modalità e le procedure per il suo funzionamento, basandosi magari sull'esperienza acquisita in questi anni sul funzionamento degli strumenti di mercato previsti dal Protocollo di Kyoto59.

Quindi, in assenza di un sistema struttura di effettivo monitoraggio e controllo degli obiettivi assunti dalle Parti nell’ambito dei loro contributi di mitigazione, l’efficacia dell’Accordo dipende dal buon funzionamento dell’Enhanced Transarency Framework (quadro di riferimento avanzato di trasparenza delle azioni) previsto dall’articolo 13 dell’Accordo: “scopo del quadro per la trasparenza delle azioni è di

59 M. Montini, Riflessioni critiche sull’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, cit. p. 727.

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fornire una comprensione chiara delle misure riguardanti i cambiamenti climatici alla luce degli obiettivi fissati dall’Accordo, in particolare chiarendo e rintracciando i progressi compiuti nel conseguimento dei contributi di mitigazione determinati a livello nazionale da ciascuna Parte”.

Sembrano dunque condivisibili le conclusioni tratte dalla dottrina60 sul valore dell'Accordo di Parigi, e, più in generale, sulla sua rilevanza nell'ambito del processo evolutivo di regolazione del mercato delle emissioni, seppur con alcune ombre.

Il più importante elemento positivo dell'Accordo di Parigi, come già evidenziato, è senza dubbio rappresentato dal superamento di fatto della rigida distinzione tra Paesi dell'allegato I della Convenzione Quadro e Paesi non appartenenti a tale allegato. Questa rigida distinzione, concepita venticinque anni fa, al tempo della conclusione della Convenzione, era divenuta ormai obsoleta.

L’Accordo, come visto, richiede poi a ciascuna Parte di determinare il proprio contributo nazionale di mitigazione, nel rispetto del principio delle responsabilità comuni ma differenziate, già delineato nel Protocollo di Kyoto, e delle rispettive capacità. Tale scelta ha avuto il merito di incoraggiare la comunità internazionale a sostenere

60 M. Montini, Riflessioni critiche sull’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, ibidem, pp. 733-734.

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l'adozione dell'Accordo, consentendo al contempo ai singoli Stati di mantenere un elevato livello di flessibilità nella definizione e nell'attuazione dei propri obiettivi nazionali.

Un ulteriore elemento positivo di notevole rilevanza che caratterizza l'Accordo di Parigi, e che lo differenzia dal Protocollo di Kyoto, è rappresentato dal fatto che esso istituisce un quadro di riferimento normativo di durata potenzialmente infinita, dal momento che prevede un sistema di revisione periodica.

Tale sistema prevede infatti che ogni cinque anni le parti rivedano i propri contributi nazionali di mitigazione e che si svolga in parallelo, ad opera dalla Conferenza delle Parti, la revisione periodica dello stato di attuazione globale dell'Accordo (global stocktake).

La flessibilità insita in questo sistema potrebbe consentire all'Accordo di Parigi di rimanere in vigore per un lungo periodo di tempo, permettendogli di adattarsi gradualmente alle eventuali mutate circostanze, legate sia al progresso delle conoscenze scientifiche, sia all'evoluzione degli equilibri politici e di mercato a livello internazionale. Inoltre, tale sistema flessibile potrà altresì consentire alle parti di aumentare gradualmente il loro impegno concreto nella lotta contro i cambiamenti climatici, senza dovere per questo rivedere l'impianto dell'Accordo o dovere affrontare le inevitabilmente lunghe e complesse procedure di emendamento delle sue disposizioni.

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Accanto a elementi positivi dell'Accordo, ve ne sono però anche alcuni negativi.

In tal senso, in particolare, deve essere sottolineato il fatto che il raggiungimento dell'obiettivo generale di contenimento dell'aumento della temperatura media globale previsto dall'Accordo di Parigi è affidato in massima parte al rispetto dei contributi nazionali di mitigazione che sono determinati dalle stesse parti contraenti su base del tutto volontaria. Questa circostanza, unita al fatto che ad oggi l'Accordo non prevede né un efficace sistema di monitoraggio e verifica del rispetto degli obblighi a carico delle parti, ma solamente un meccanismo di trasparenza, nell'ambito del quale sarà possibile un controllo soltanto indiretto ed ex-post, né un meccanismo sanzionatorio efficiente, prevedendo un meccanismo name and shame61, denota quanto

sia elevato il rischio che tale sistema risulti troppo debole per garantire un'effettiva attuazione dei propri contributi nazionali da parte degli Stati.

Di conseguenza, l'effetto cumulativo dei contributi di mitigazione sulle emissioni di gas serra totali potrebbe risultare del tutto inadeguato per il raggiungimento dell'obiettivo generale previsto dall'Accordo di Parigi.

61 Meccanismo sanzionatorio secondo il quale gli inadempienti sono segnalati per nome e biasimati.

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34

L'esistenza concreta di tale rischio sembra peraltro confermata dalle analisi preliminari svolte sui primi contributi nazionali di mitigazione annunciati dalle Parti contraenti. Dette analisi, per il momento, attestano l'inadeguatezza dei contributi nazionali rispetto all'obiettivo di mantenere l'aumento della temperatura media globale entro i 2° centigradi o addirittura di tendere verso il più ambizioso obiettivo del contenimento entro 1,5° centigradi.

L'unico elemento di speranza in tale contesto è legato al fatto che, partendo dalle risultanze del combinato disposto del sistema di revisione periodica dei contributi nazionali di mitigazione e del sistema di revisione periodica dello stato di attuazione globale dell'Accordo (global stocktake), le Parti potranno, nel corso del tempo, aggiornare i loro sforzi individuali e collettivi nella lotta contro i cambiamenti climatici, senza dover modificare l'Accordo di Parigi.

Sulla base delle considerazioni sopra esposte è possibile concludere che l'Accordo di Parigi, malgrado le sue luci e le sue ombre, debba essere complessivamente valutato come uno strumento potenzialmente idoneo a raccogliere la sfida dei cambiamenti climatici nei prossimi decenni, nell'ambito di una comune volontà delle Parti, ma nel rispetto delle loro rispettive circostanze ed esigenze, certi del fatto che la strada da percorrere sia ancora molto lunga e accidentata.

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35

Capitolo II

LA REGOLAZIONE DEL MERCATO EUROPEO DELLE EMISSIONI DI GAS SERRA E LA SUA EVOLUZIONE

1. Profili introduttivi

Le tematiche relative alla lotta ai cambiamenti climatici hanno sempre goduto di molta considerazione all’interno delle politiche comunitarie.

L’Unione Europea, sin dalla sua nascita, si è impegnata nella “promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell'ambiente, a livello regionale o mondiale, e in particolare, a combattere i cambiamenti climatici”1. Pertanto, non stupisce l’attenzione dedicata al perseguimento degli obiettivi previsti dal Protocollo di Kyoto, considerato la base di partenza indispensabile per la lotta contro i cambiamenti climatici2.

Il Protocollo di Kyoto è stato ratificato dall’Unione Europea e da tutti gli Stati membri il 31 maggio 2002 a seguito della Decisione del

1 TFUE, Titolo XX, articolo 191.

2 P. Fabbri, Mercato delle emissioni ad effetto serra, disponibile su dspace-unipr.cineteca.it, 2008, pp. 1-32.

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Consiglio 2002/358/CE3, entrando ufficialmente a far parte del diritto europeo.

Conformemente a quanto disposto dall’omonimo Protocollo, l’UE si è impegnata a ridurre, nel periodo 2008-2012, le emissioni di gas ad effetto serra dell'8% rispetto ai livelli del 1990.

Tale obiettivo è stato ripartito in maniera vincolante e differenziata fra gli Stati membri4 in base al già esistente Accordo sulla ripartizione degli oneri (EU Burden Sharing Agreement), siglato dal Consiglio europeo dei Ministri dell'Ambiente nel giugno 19985.

Nella distribuzione di obiettivi differenziati fra i diversi Stati membri sono stati tenuti in considerazione, per ciascun Paese, il livello di crescita economica, l'efficienza del sistema energetico-produttivo e la struttura industriale. Di conseguenza, maggiori oneri di riduzione sono stati quindi attribuiti ai Paesi che, nel 1990, avevano una struttura produttiva a bassa efficienza energetica, responsabili per questo di una maggiore quantità di emissioni di gas ad effetto serra6. Viceversa, a Paesi

3 Decisione 2002/358/CE del Consiglio, del 25 aprile 2002, riguardante l’approvazione, a nome della Comunità europea, del Protocollo di Kyoto allegato alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e l’adempimento congiunto dei relativi impegni (G.U.U.E. 15 maggio 2002 n. L 130).

4 Articolo 4 del Protocollo di Kyoto.

5 Per un confronto si veda Documento 9702/1998 del 19 giugno 1998 del Consiglio dell’Unione Europea che rispecchia l’esito dei lavori del Consiglio “Ambiente” del 16-17 giugno 1998, Allegato I.

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ad alta efficienza energetica sono stati assegnati oneri di riduzione più contenuti7.

L’Europa inizia così il suo cammino verso l’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas climalteranti, che in qualche decennio la porterà ad acquisire la leadership in materia.

2. L’istituzione e la regolazione del sistema europeo di scambio delle quote di emissione: la Direttiva 2003/87/CE Emission Trading System (ETS)

La Comunità Europea, non attendendo l’ufficiale entrata in vigore del Protocollo di Kyoto, avvenuta il 16 febbraio 2005, ha istituito, a partire dal 1° gennaio 2005, un sistema che regola, in modo del tutto simile all’Emission Trading internazionale (IET) previsto nel Protocollo, lo scambio di quote di emissioni tra le imprese situate nei Paesi membri e di conseguenza un mercato per le emissioni su scala comunitaria8, in modo da consentire il buon funzionamento del mercato interno e da impedire distorsioni concorrenziali che potrebbero derivare da regimi nazionali distinti di emission trading.

7 P. Fabbri, Mercato delle emissioni ad effetto serra, cit. p. 13. 8 P. Fabbri, Mercato delle emissioni ad effetto serra, ibidem, p. 13.

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