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Acqua alla gola107 esce per la prima volta nel 1953 ne La Medusa

degli italiani di Mondadori; una nuova edizione dell’opera appare nel

1992108 presso la casa editrice Ponte delle Grazie, che è ripubblicata nel 1995109. Le tre edizioni presentano il medesimo testo, il quale reca in calce la data di stesura: dicembre 1950 - maggio 1952. Infine, il romanzo è inserito nel 2010110 nella raccolta degli scritti delbuoniani della Isbn Edizioni, che riproduce la lezione del 1953.

Il romanzo narra il viaggio di nozze di Berto e Anna, una coppia decisamente male assortita, all’isola d’Elba, paese natale dell’uomo, attorno ai quali ruotano le banali vicende ed i pettegolezzi di famigliari e compaesani, i quali costituiscono un microcosmo cristallizzato nel tempo, senza possibilità di cambiamenti. Di Berto non viene offerta nel testo alcuna descrizione precisa, ma si capisce che riassume in sé tutti i tratti dell’inetto, al punto che la sua vicenda appare la storia di un’eterna vittima; egli ha una psicologia tormentata e difficile e si sente perennemente inferiore agli altri; per questo motivo, l’uomo soffre nel dubbio di non essere amato dalla moglie, pensando che ella gli preferisca Sergio, l’uomo di cui era innamorata prima che si conoscessero.

Come si può facilmente intuire, quando uscì, l’opera ebbe scarso successo di pubblico e di critica, poiché, incentrata su una personalità

107 OdB, Acqua alla gola, Mondadori, Milano, 1953. 108

OdB, Acqua alla gola, Ponte alle Grazie, Firenze, 1992.

109 OdB, Acqua alla gola, Ponte alle Grazie, Firenze, 1995.

110 OdB, Acqua alla gola, in O. del Buono, L’antimeridiano, Romanzi e racconti, Volume primo, a

37 così passiva e costituita da una vicenda così monotona e angosciante, non incarnava minimamente la richiesta di vitalismo ottimistico propria del tempo.

Tuttavia del Buono afferma che “Questo romanzo, per quanto sia il meno apprezzato dai miei recensori, ha rappresentato una svolta nel mio lavoro. Da allora mi son sentito più sicuro di quanto volevo, di quanto voglio fare”111

.

Infatti Manacorda112 nota subito che del Buono riesce a cogliere “l’involversi della situazione storica e psicologica scrivendo con

Acqua alla gola […] il romanzo della nuova sfiducia, della nuova

depressione, quella che nasce non dalla guerra appena finita ma da quella già di nuovo minacciata”, ovvero quella di Corea.

Antonielli113 definisce questo romanzo “uno dei racconti più notevoli degli anni intorno al 1950”114

ed un esempio del particolare tipo di autobiografismo operato dall’autore, sostenendo che “La stessa costruzione chiusa del discorso, fondata su una specie di unità di azione, di tempo e di luogo […], lontano dal risolversi in un atto di nostalgia formale, dà rilievo autobiografico a una vicenda che se fosse meno serrata apparirebbe meno credibile”115

. Egli inoltre sottolinea le evidenti analogie con il libro precedente: in entrambi “i personaggi

111 Accrocca, cit.

112G. Manacorda, Storia della letteratura italiana contemporanea (1940-1965), Editori Riuniti,

1974.

113 Antonielli, cit. 114 Ivi, p. 8888. 115 Ivi, pp. 8888-8889.

38 s’intrecciano in un balletto che allude a un’immagine dolorosa e frivola, precaria e tragica della vita”116

.

Successivamente, Taffon117 presenta l’opera come “un racconto in forma di diario, attento a scoprire anche le minime pieghe, i minimi moti psichici e sentimentali di una coppia di sposi, nei quali s’instaura fin dal viaggio di nozze il tarlo di una gelosia più immaginata che reale”118, che però costituisce l’incipit di una specie di “romanzo della

formazione di un personaggio, che è al contempo lo stesso scrittore che mescola finzione e realtà, romanzo e autobiografia, con tutta la carica, appunto, di finzione, che la stessa autobiografia contemporanea […] oggi comporta”119

.

Per Manacorda120 questo lavoro di del Buono “pare registri esemplarmente il delicato, e non univoco, passaggio da una letteratura dell’impegno […] ad una letteratura diversamente motivata”121; “Il

messaggio era chiaro: al momento delle grandi passioni comuni - il fascismo, l’antifascismo, la guerra, la tragedia nazionale - sta subentrando il momento in cui cominciano a pretendere di nuovo il loro spazio le passioni e i diritti, quali che siano, dell’individuo”122

. “La guerra di cui si parla è ormai quella di Corea […] che non suscita però, con le sue possibili conseguenze, né entusiasmi né ribrezzo e si fa solo o alibi per la propria sciocca vita o occasione di discorsi da spiaggia […] o distratto oggetto di notiziari radio mescolati alle 116 Ivi, p. 8889. 117 Taffon, cit. 118 Ivi, p. 259. 119 Ibidem. 120 Manacorda, cit. 121 Ivi, p. 7. 122 Ivi, p. 8.

39 cronache sportive”123

. Si tratta di “un tipico romanzo dei primi anni cinquanta, perché è la fedele, anche se quasi spietata, registrazione di un ritorno ad un modo di vivere emarginato per anni da cose di troppo più grandi”124

. Infine, Manacorda offre un ritratto dei due personaggi principali: Berto e Anna, e sottolinea come l’autore registri il fallimento “di tutte le illusioni che l’uomo possa nutrire su se stesso e sulla società”125

. Inoltre, egli evidenzia il mutato registro narrativo, “Non più fitte pagine senza fratture nemmeno tipografiche, ma pagine ariose alla vista intervallate da frequenti divisioni in agili capitoli”126

, che genera “un testo assai più godibile”127, snellito dall’uso di un

periodare breve e dall’introduzione del dialogo. In questo testo “Lo stesso uso della prima persona del protagonista […] appare come l’adozione di uno strumento in grado di permettere la confessione, l’autoscandaglio; […] realizza la prevalenza della psicologia sulla cronaca, del problema esistenziale sul problema storico”128

.

Anche Barberi Squarotti129 mette in luce l’estraneità di questo racconto dalla solita narrativa del dopoguerra; secondo lui, “La liberazione è avvenuta […] attraverso due forme di costruzione narrativa […]: da un lato, la concentrazione estrema del racconto sui rapporti dei due protagonisti […]; dall’altro, dietro ai protagonisti, la filigrana dei grandi nodi inventivi del romanzo novecentesco”130

come il viaggio, il confronto, ecc. Inoltre, anche qui la figura di Berto è

123 Ivi, pp. 7-8. 124 Ivi, p. 8. 125 Ivi, p. 11. 126 Ivi, p. 12. 127 Ibidem. 128 Ibidem.

129 G. Barberi Squarotti, Del Buono e l’amara isola, Tuttolibri, La Stampa, 17 ottobre 1992, p. 2; 130 Ibidem.

40 associata al personaggio dell’inetto, rabbioso poiché consapevole della propria inettitudine.

Opportunamente Brolli131 registra come nel corso di questa vicenda “tutti i rapporti tra le persone sono velati da egoismo e diffidenza”132

, ma soprattutto nota il fatto che “Con questo romanzo comincia a divenire evidente l’ossessione di del Buono per l’inutilità delle parole, per l’impossibilità della comunicazione, specie tra uomo e donna”133

. Vanagolli134 riflette invece sul ruolo assunto dal paesaggio nel testo e osserva come “L’Elba del romanzo si riduce a una spiaggia e a una pineta, oltre che al mare”135; “L’isola, insomma, viene

contemporaneamente proposta e negata, […] ad esaltarne il significato simbolico di mondo con la sua umanità malata”136, tuttavia “alla

meschinità, all’insensibilità e all’egoismo degli uomini, come pure all’insostenibilità dei drammi pubblici e privati, sembra contrapporsi, magari solo per un attimo, vincente, una benefica natura”137

; inoltre, queste sono cose che “il solo Berto riesce ad apprezzare”138

. Altre osservazioni sono poi mirate a identificare il clima del romanzo, molto simile a quello precedente, in cui prevalgono “ansia, disagio, angoscia”139

ed in cui “i flash back che costituiscono buona parte del tessuto del romanzo schiudono sipari di tristezza”140

. Infine, Vanagolli propone di indagare sul rapporto che intercorre tra questo racconto e la Deriva di Brignetti, di appurare “se le innegabili contiguità dei due 131 Brolli, cit. 132 Ivi, p. 363. 133 Ibidem. 134 Vanagolli, cit. 135 Ivi, P. 215. 136 Ibidem. 137 Ibidem. 138 Ibidem. 139 Ivi, p. 216 140 Ibidem.

41 romanzi siano da leggere esclusivamente come il coinvolgimento di questi nostri scrittori in una temperie culturale o non anche come il segno di contatti interpersonali e mirati”141.

In conclusione, come già hanno dimostrato i diversi ma solidali apporti critici, la stessa N. del Buono142 dichiara che “Acqua alla gola, […] per linguaggio, costruzione e contenuti costituirà l’imprinting delle opere successive”143 del padre.

Bonino144 sottolinea lo scandaglio psicologico dell’interiorità del protagonista, perennemente scosso da dubbi e incertezze, nei confronti del passato, dal momento che in famiglia era ritenuto un buono a nulla, così come verso il presente, percorso dai dubbi e dalla gelosia nei confronti della precedente relazione della moglie, e il futuro, in merito al proprio matrimonio. La gelosia infatti accompagna il personaggio per tutto il corso della propria vita, dapprima manifestandosi nei confronti del fratello, considerato in famiglia come l’incarnazione della perfezione, e successivamente nei confronti della moglie, la quale riscuote il consenso dei parenti. Inoltre è sintomatica la fine del romanzo, che ritrae il protagonista come non amato, non compreso e, dunque, infelice.

A mio parere, è evidente che con questa prova del Buono voglia compiere una scelta precisa come narratore, dimostrando originalità nella trama e maturità nella scrittura. Tant’è vero che dal punto di vista contenutistico, ad una prima lettura questo romanzo rischia di

141 Ivi, p. 217

142

N. del Buono, cit.

143 Ivi, p. XL. 144 Bonino, cit.

42 apparire banale e inconsistente, un noioso racconto di episodi di vita quotidiana; tuttavia, ad un’attenta riflessione si avverte l’intensità del messaggio: l’isolamento dell’uomo contemporaneo nel suo limitato universo personale e l’astrazione completa dagli eventi esterni, dalla storia che lentamente ma inesorabilmente va avanti nonostante tutto. Insomma, pare un ammonimento dell’autore nei confronti di chi non ha imparato la lezione degli eventi storici del passato, illustrati dalla grande stagione letteraria precedente del Neorealismo. Col passaggio ad un’epoca nuova, si è persa la solidarietà tra gli uomini ed il piacere dello stare assieme; le persone ormai sono esclusivamente concentrate sulle proprie occupazioni e sui propri drammi, paradossalmente banali e insignificanti, se paragonati a quelli del passato. Tutto questo perché si insinua nella psiche umana la mancanza di fiducia in se stessi, il senso di inferiorità nei confronti dell’altro, che diviene dunque nemico, la paura di ogni cosa, dalla più problematica alla più insignificante. Questa tematica diviene ancora più importante poiché sottolineata varie volte dalla voce stessa del protagonista, il quale concepisce la propria vita come misera cosa nei confronti degli eventi del mondo, nonostante sia sempre concentrato sulle proprie vicende personali.

Dunque, in parte è già presente in questo racconto la metafora della vita come matassa ingarbugliata, immagine che ben presto si trasformerà nelle future pagine dello scrittore in quella del labirinto. Quindi, seppur concentrato sullo scavo psicologico del protagonista, questo romanzo appare un ritratto corale di una piccola società, ristretta ed isolata in se stessa, che si configura allo stesso tempo come rifugio e prigione.

43 Per quanto riguarda la tecnica narrativa, i numerosi flash back vivacizzano la narrazione, così come i frequenti dialoghi tra i personaggi; questi però sono intervallati da momenti di riflessione, nei quali vengono riconsiderati i fatti passati e le stesse frasi precedentemente pronunciate, in una ripetizione ossessiva.

La scrittura, inoltre, costituisce un altro mezzo con cui si completa la caratterizzazione del protagonista: attraverso insiemi di frasi spezzate risultano infatti tangibili i tentennamenti, le incertezze dell’uomo e la sua confusione interiore.

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