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Facile da usare180 è stato pubblicato per la prima volta nella collana

Universale Economica di Feltrinelli nel 1962; sul retro di copertina

sono presenti alcune riflessioni, presumibilmente attribuibili all’autore, volte a spiegare la dicitura “racconti in continuità” inserita nel titolo e a evidenziare la novità della struttura di questo libro rispetto a quelli precedenti di del Buono, poiché “I cinque racconti qui raccolti possono essere letti di seguito come un breve romanzo: tuttavia, a sua volta, questo breve romanzo fa parte d’un romanzo più grosso, l’unico che l’autore va scrivendo”181

.

Inoltre il volume reca due giudizi sulla prima pagina di copertina; Carlo Bo sostiene che “Leggere del Buono significa sentire prima di tutto l’importanza di questa musica che rifà veramente il mondo della realtà in un monologo impietoso e continuato”182

, mentre Alberto Asor Rosa puntualizza che “Del Buono va assai lontano, ma eccellente è soprattutto laddove si tratta di rivelare il volto corrotto e mediocre di una speranza, di un desiderio, di un anelito apparentemente puro. In casi come questi egli manifesta una crudeltà di analisi, una tale feroce volontà di conoscenza quali raramente abbiamo conosciuto nella nostra narrativa contemporanea”183

.

Le prime recensioni sottolineano subito l’evoluzione formale dello scrittore e il suo approdo ad uno stile sempre più personale, come nota

180

OdB Facile da usare cit.

181 Ibidem.

182 C. Bo, in OdB, Facile da usare, Feltrinelli, Milano, 1962, p. 1. 183 A. Asor Rosa in OdB, Facile da usare, Feltrinelli, Milano, 1962, p. 1.

52 Teresa Buongiorno dicendo che “la posizione di del Buono nella nostra narrativa è precisa e personale, fin dal suo esordio, quando egli già si mostrava avviato su una via differente dalle correnti neorealistiche allora di moda. […] Quello che è fondamentale è la purificazione delle figure […] E, soprattutto, la purificazione dell’espressione, ove ogni premessa intellettualistica, intuibile e non dichiarata, resta riassorbita dalla storia , fermo l’accento sul ritmo della frase”184

.

Del quarto racconto, L’infedele, è stata tratta una silloge televisiva, trasmessa il 17 ottobre 1962 dal Secondo Canale della Rai, con la regia di Giacomo Colli.

Invece, l’opera intera è stata ripubblicata da Isbn Edizioni185

nel 2009 nella collana Novecento Italiano seguita da una postfazione di Ermanno Paccagnini e nel 2011 nel volume186 che raccoglie parte delle opere dell’autore; entrambe le pubblicazioni costituiscono mere riproduzioni del testo originale.

Paccagnini, nella postfazione della seconda edizione dell’opera, pone subito l’accento sulla stravaganza della produzione letteraria di del Buono, quale aspetto meritevole di una figura importante ed eclettica della cultura italiana, e fornisce un breve ritratto dell’autore, rintracciando brevemente tutti i suoi interessi e i suoi contributi. Per quanto riguarda Facile da usare, viene definito come “testo terminale di un percorso narrativo, oltre che apice stilistico, a dispetto della

184

T. Buongiorno, Oreste del Buono o della continuità, in «La Fiera Letteraria», 30 dicembre 1962, p. 3.

185 OdB, Facile da usare, Isbn Edizioni, Milano, 2009. 186 OdB, L’antimeridiano cit.

53 dimenticanza che di tale testo fanno le storie letterarie, forse solo perché non romanzo ma, almeno ufficialmente e dichiarativamente, libro di racconti […] pur con tutte le ambiguità insite nella stessa presentazione d’autore”187

.

Anche la riedizione dell’opera è accolta favorevolmente dalla critica, che illustra l’attualità di del Buono nell’ambito del panorama letterario odierno; ad esempio, Stefano Gallerani presenta l’opera come “un’alternativa possibile, la sola, forse, per quanto complessa, alle narrazioni massimaliste”188

, mentre Fabio Canessa sintetizza la trama del romanzo definendola come “Un monologo franto e nervoso […] che racconta con prosa febbricitante ma lucida la confusione sentimentale ed esistenziale di un uomo senza qualità, codardo, disorientato, adultero, bugiardo e abulico”189.

Questi racconti presentano la ormai tipica trama delle vicende di un protagonista maschile, un intellettuale e giornalista, che si divide tra la moglie, una donna alla quale è legato solo dall’abitudine di un rapporto ormai spento e stanco, e l’amante, una ragazza molto più giovane di lui che rappresenta l’emblema della vitalità e della freschezza. Gli avvenimenti sono ambientati in una città grigia, buia e piovosa, descrizione che assomma sia caratteri oggettivi che qualità morali; infatti la città è presentata come “il regno dello squallido vuoto interiore che Oreste del Buono legge nella borghesia cittadina in

187 E. Paccagnini, La sintassi del disagio, in OdB, Facile da usare, Isbn edizioni, Milano, 2009, p.

111.

188 S. Gallerani, Le confessioni mascherate, in «Alias», 6 giugno 2009, p. 28.

189 F. Canessa, E se del Buono fosse il J.D. Salinger del Belpaese?, in «Il Domenicale», 23 maggio

54 genere e milanese in particolare”190

. La storia è narrata attraverso “un monologo che si appoggia a uno sguardo impietosamente attento alle minuzie”191

perché sotto questi particolari si nasconde soltanto il nulla, il vuoto, una realtà senza consistenza e significato. Il punto di vista della narrazione è naturalmente quello dell’io, di “quel suo Io che è al tempo stesso reale e fantastico oltre che protagonista assoluto in quanto soggetto e al tempo oggetto stesso del suo narrare”192. L’opera si configura dunque come dominata dalla frammentarietà, sia della struttura, non unitaria bensì divisa in differenti sezioni, che della narrazione stessa, la quale procede a ritroso nel tempo e mette continuamente in luce la fatica dell’io protagonista nel dire, nel pensare e nel decidere, assumendo l’aspetto di un monologo caratterizzato dall’incertezza espositiva e dalla negatività di pensiero. Non a caso lo stesso Paccagnini nota come “la parola in assoluto numericamente più presente […] è l’avverbio ‘non’, che con le sue 630 presenze supera persino articoli, preposizioni, copule, congiunzioni”193

e come predominino i campi semantici della negatività e dell’incertezza, confermati anche dalla preminenza del modo condizionale per quanto concerne le forme verbali. I medesimi caratteri sono ribaditi anche dal ritmo della scrittura, continuamente interrotto dall’interpunzione, che provoca il persistente oscillamento del pensiero tra procedere e recedere, assumendo l’aspetto di una specie di balbettio. 190 Paccagnini, cit., p. 112. 191 Ivi, p. 113. 192 Ibidem. 193 Ivi, p. 115.

55 In conclusione, questo testo pare configurarsi quale approdo sia dal punto di vista del contenuto sia da quello dello stile, non consentendo però sviluppi ulteriori sulla stessa linea e prefigurando una futura svolta dell’autore, che Paccagnini individua nel romanzo successivo

Né vivere né morire, il quale inaugura nella produzione di del Buono

un nuovo orizzonte narrativo, intrapreso attraverso strade di volta in volta differenti ma sempre accomunate dalla riflessione sulla realtà, condotta ora con nostalgia ora con ironia.

Come sostiene Bonino, quest’opera può essere considerata come una sorta di prolungamento e al tempo stesso compendio di quella precedente, pur mantenendo la sua autonomia di lettura. Infatti, i vari capitoli ripropongono, a ritroso, le vicende di Per pura ingratitudine; il primo racconto fa riferimento alla vacanza trascorsa da Dino e Grazia, il secondo richiama la loro prima rottura, il terzo analizza la loro conflittuale e litigiosa convivenza e il quinto infine narra la loro separazione. Il quarto capitolo, intitolato L’infedele, costituisce invece l’unico elemento di novità dell’opera, poiché per la prima volta il protagonista è calato nella nuova dimensione della paternità, alle prese con la figlia Paolina, alla quale si alludeva solo nel romanzo precedente, attraverso una fotografia individuata dal protagonista, e che ora introduce il tema del rapporto tra padre e figlia, altro legame che provoca dubbi e incertezze nella mente del protagonista, perennemente accompagnato da un senso di inferiorità e di incapacità.

56 Come emerge dai contributi critici esaminati, risulta sempre più evidente la peculiarità dello stile personale di del Buono, che continua ad esaminare il suo soggetto privilegiato: l’io di un uomo inetto, insoddisfatto e perennemente in stato confusionale, indeciso tra mille dubbi e incertezze. Tuttavia, in questo lavoro c’è di più: questa inettitudine caratteristica del protagonista non è descritta soltanto come aspetto emotivo e psicologico, bensì si rivela anche nel suo risvolto concreto, nella fisicità del personaggio; egli infatti comincia ad osservare la propria persona allo specchio e a denunciarne tutte le imperfezioni e i segni lasciati dal tempo. Ne consegue l’insistenza sulla pesantezza morale e fisica dell’uomo, puntualmente messa a confronto con la freschezza e forza vitale del personaggio femminile. Il contatto con la donna è anche lo spunto per descrivere il contrasto tra il pensiero dell’amante e la sua conoscenza, tra l’immaginazione e la realtà, sempre con esito deludente.

Particolare è la tendenza dello scrittore a soffermarsi sui dettagli, ad esempio sui colori o sulle caratteristiche dei luoghi, proprio nel momento in cui all’io narrante pare sfuggire di mano la realtà, sempre più sfumata e inconsistente, fatta solo di bugie, di menzogne, di immaginazione.

Ovviamente, non può mancare nel romanzo la riflessione metanarrativa sul modo di scrivere dell’autore, di cui viene messa in luce la mania di riscrivere sempre la stessa storia, variando solo alcuni particolari, come se fosse un’autoanalisi, un’autocritica; il discorso metanarrativo si concentra, in realtà, sulla scrittura e riscrittura di una lettera, redatta da parte del protagonista per l’amante, ma è evidente

57 che la lettera costituisca il simbolo del romanzo delbuoniano. La ripetitività della scrittura tuttavia, afferma il narratore, non è altro che il risvolto letterario della ripetizione continua delle solite scene di vita quotidiana, una realtà opaca e banale; ma è anche vero il contrario, ossia che a volte l’io percepisce le cose reali come se fossero rappresentazioni irreali, staccate da lui. Dunque, così come è difficile rintracciare il fine ed il significato della vita reale, allo stesso modo, risulta complicato per lo scrittore prevedere la conclusione della storia da lui inventata: “[…] è già una fortuna capire come cominci una storia, ma riuscire a indovinare come finirà, sarebbe troppo”194

, non solo per il lettore, ma anche per il suo stesso autore.

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