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Per pura ingratitudine

Per pura ingratitudine145 è pubblicato nel 1961 presso la casa editrice

Feltrinelli, nella collana Le comete. In realtà si tratta della raccolta in unico volume di due precedenti racconti lunghi o romanzi brevi:

L’amore senza storie146

e Un intero minuto147, editi rispettivamente nel 1958 e nel 1959 entrambi nella serie Scrittori d’oggi della collana

Universale economica di Feltrinelli. Queste tre opere, pertanto,

registrano il passaggio di Del Buono dalla casa editrice Mondadori alla Feltrinelli. Nel 1962 i diritti del romanzo vengono venduti a Gallimard, che pubblicherà il volume nella collana Du monde entier col titolo Ingratitude nello stesso anno, con la traduzione di Maddy Buysse. Infine, l’opera è riedita nel 2010 da Isbn edizioni148

, che ripropone la versione del 1961.

Le prime due opere riscuotono interessanti recensioni, come pure il volume finale, che viene accolto dalla critica come un nuovo esperimento, “una sorta di moderna tragedia in cui tutto si svolge sommessamente, senza fragore, in cui non esistono i vincitori perché tutti i protagonisti escono dalla vicenda umiliati e offesi”149

Dunque, Per pura ingratitudine si compone di tre parti distinte: la prima, Giulia, che racconta la relazione tormentata tra Dino, il protagonista, e Giulia, rappresenta l’adattamento di L’amore senza

storie; la seconda, Grazia, la quale ha come oggetto la storia di Dino e

145 OdB, Per pura ingratitudine cit. 146

OdB, L’amore senza storie cit.

147 OdB, Un intero minuto cit. 148 OdB, L’antimeridiano cit. 149 Sartorio, cit., p. 1624.

45 di Grazia, analogamente tormentata come la prima, costituisce la rielaborazione di Un intero minuto; infine, la terza, Dino, che narra l’incontro tra Giulia e Grazia, le quali si raccontano le rispettive esperienze e denigrano l’amante comune, personaggio che ricompare alla conclusione dell’opera, tramite una sola ma eloquente battuta, tesa a sottolineare l’importanza della figura dell’autore.

Abbiamo una testimonianza diretta della genesi compositiva di questa originale prova narrativa da parte dello stesso autore, il quale spiega come L’amore senza storie e Un intero minuto siano come “due capitoli di un componimento più vasto, destinato a narrare la formazione d’un personaggio, continuamente messo in discussione, continuamente modificato dai contrasti tra la sua immaginazione e la sua percezione della realtà”150

.

Barberi Squarotti151 dichiara che “Il monologo come unica misura del narrare costituisce l’aspetto tecnico più clamoroso di del Buono”152

facendo proprio riferimento alla particolare tecnica narrativa utilizzata dallo scrittore in Per pura ingratitudine; infatti, egli arriva a dire che questo monologo continuo, senza alcuna interruzione, risulta, in ultima analisi, “il vero oggetto del racconto”153, mentre i fatti hanno rilevanza scarsa, se non nulla. Questo giudizio critico però distingue nettamente le prime due parti, caratterizzate da una funzione eminentemente strutturale, dalla terza, dove i monologhi intrecciati

150 Accrocca, cit., p. 154.

151

G. Barberi Squarotti, Poesia e narrativa italiana del secondo novecento, Mursia, Milano, 1978, IV ed. (1961 I ed.).

152 Ivi, p. 389. 153 Ibidem.

46 delle due donne rendono più vivace la narrazione, giocata sull’alternanza di autocoscienza e coscienza altrui.

Siciliano154 sostiene che “L’amore senza storie (1958), Un intero

minuto (1959) e Per pura ingratitudine (1961) costituiscono tappe di

un processo di scavo”155

e che “In questi libri evasività, ottusità di un insieme sociale si rimandano ad echi in un tutto continuo che dalla pura reiterazione trae forza”156

.

Antonielli157, parlando del tipico procedimento ripetitivo per cui lo scrittore ritorna spesso su alcuni momenti della propria produzione, sostiene che “L’esempio maggiore in proposito è costituito dal rapporto fra L’amore senza storie, Un intero minuto e Per pura

ingratitudine”158, dal momento che “Con alcuni, non troppi

adattamenti, i due primi libri vanno a costituire la prima e la seconda parte di un complessivo libro tripartito”159

. Il critico nota inoltre come il rapporto che intercorre fra le tre opere “non è tanto quello di due parti pubblicate in anticipo rispetto a una terza, quanto quello di due racconti o meglio due blocchi narrativi autosufficienti, che vengono a comporsi in un tutto con una terza parte che non è aggiunta ma anch’essa un racconto autonomo: blocchi narrativi autonomi e complementari al tempo stesso, scomponibili e componibili almeno in parte anche con altri di altri libri all’interno di una sintesi narrativa […] mantenuta in bilico fra letteratura e vita”160

. Egli infine sottolinea

154 E. Siciliano, Prima della poesia, Vallecchi, Firenze, 1965. 155 Ivi, p. 101. 156 Ibidem 157 Antonielli, cit. 158 Ivi, p. 8891. 159 Ibidem. 160 Ivi, p. 8892.

47 come questo libro manifesti “una complessità di racconto tecnicamente ragguardevole”161

, “per intersezione di diversi piani, per compresenza di dialoghi effettivi e dialoghi raccontati, punti di vista ora di questo ora di quel personaggio, tempo di narrazione e tempo multiplo di eventi in atto ed eventi trascorsi”162

.

Anche Luti163 si sofferma sulla particolarità di quest’opera che, sviluppando “una ricerca in tre tempi”164

, dimostra in modo esemplare “Il metodo della ripetizione e dell’aggancio strutturale tra un libro e l’altro”165

.

Taffon166 parte dalla considerazione della struttura dell’ultima opera, che costituisce “un gioco ad incastro fra le varie storie”167

, per arrivare a mettere in discussione alcune caratteristiche della narrazione, ad esempio, il monologo continuo ed estenuante che, “se da una parte rappresenta una novità tecnica ragguardevole, dall’altra spesso raggela l’iter narrativo, fino a ridurlo ad un incessante chiacchiericcio di fondo”168

; inoltre egli riscontra come sia “questo il limite di un po’ tutti i romanzi successivi di D. B., che […] crescono su se stessi a dismisura”169, considerandolo probabilmente come “la conseguenza

diretta, e forse ineludibile, dell’aver scelto la prospettiva del Bildungroman, dove un unico personaggio si fa, pur se sotto

161 Ibidem.

162

Ibidem.

163

Narratori italiani del secondo Novecento, a cura di G. Luti, La vita, le opere, la critica, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1985.

164 Ivi, p. 85. 165 Ibidem. 166 Taffon, cit. 167 Ivi, p. 259. 168 Ibidem. 169 Ibidem.

48 angolature e proiezioni sempre differenti, centro permanente dell’organizzazione stessa del discorso della storia”170

.

Brolli171 preferisce sottolineare la posizione che riveste quest’opera all’interno della ricerca delbuoniana: “una svolta radicale […] dove il linguaggio comincia a girare a vuoto, vorticosamente, senza mai riuscire a dir nulla di definitivo, interrompendosi di continuo e diventando il protagonista di una spirale di compiaciuta incomunicabilità”172

; infatti, nel corso del racconto si incontrano “Uomini e donne che si parlano, interagiscono e falliscono immancabilmente qualsiasi tentativo di comunicazione”173

poiché “Esiste una coscienza che tenta di emergere, di entrare in contatto con l’altro: ma appena si affida alla parola vede naufragare le sue intenzioni, si frantuma in mille motivi d’incomprensione”174

. In conclusione, egli insiste sull’unicità di del Buono nel panorama letterario, sostenendo che, anche a causa della versatilità intellettuale e della trasversalità dei suoi interessi, “la sua posizione sfugge alla classificazioni”175

.

Sartorio176 evidenzia l’originalità di questa nuova opera delbuoniana, della quale “l’assoluto protagonista è l’uomo con le sue inquietudini”177

ed in cui prevalgono le vicende interne ai personaggi

170 Ibidem. 171 Brolli, cit. 172 Ivi, pp. 363-364. 173 Ibidem. 174 Ibidem. 175 Ibidem. 176 Sartorio, cit. 177 Ivi, p. 1623.

49 rispetto a quelle esterne, che costituiscono solo un riflesso del loro sentire. Inoltre, ella osserva come, contrariamente all’abitudine di accostare la ricerca dell’autore a quella dell’école du regard, Del Buono proceda attraverso proprie personali scoperte linguistiche e tematiche e non per imitazione di modelli stranieri.

In conclusione, pare che con questo romanzo del Buono approdi con maturità ad una propria ed originale scrittura, che trae spunto dalla prova immediatamente precedente e che si perfezionerà in quelle successive. Infatti è qui incrementato l’uso del monologo interiore, un continuo e incessante dialogo della voce narrante con se stessa, con tanto di domande e risposte. Tuttavia, proprio nel momento in cui si affina la tecnica narrativa dell’autore, questi introduce la propria autodefinizione come scrittore fallito, il quale non è tagliato per questo mestiere ma continua a farlo con ostinazione, entro il quadro complessivo di una narrativa italiana contemporanea piuttosto deludente. Si legge nel testo: “gli scrittori italiani annoiano sempre, ma con lui è peggio […] come giornalista è bravino […] i romanzi non sono il suo forte, per la verità è proprio negato, per scrivere romanzi occorrerebbe un poco di fantasia e lui non ne possiede un briciolo”178

.

Inoltre, sono inseriti nel testo numerosi riferimenti alle proprie opere: il riferimento ad un romanzo non pubblicato poiché in esso lo scrittore non era riuscito a comunicare ciò che voleva; la citazione di alcuni passi di un racconto; il proposito della composizione di un romanzo

50 che riproponesse questa medesima storia; il riferimento ad uno dei primi capitoli di un suo nuovo libro.

Molte sono anche le riflessioni sulla narrativa e sul romanzo in generale, sul rapporto tra realtà e immaginazione, tra persona e personaggio, su come la narrativa sia il prodotto di convenzioni sensate mentre la vita sia priva di significato.

Originale però è soprattutto il riferimento alla storia che sta narrando, ai dubbi sul suo epilogo, paragonato a quello dei romanzi precedenti, e alle caratteristiche dei suoi personaggi, legati al ricordo di persone realmente incontrate. Questo meccanismo è portato all’estremo, sino alle ultime pagine, nelle quali entra in scena direttamente la figura dell’autore: “In fondo […] potrei parlare un poco io, ora… Le conclusioni non spettano all’autore?”179

.

179 Ivi, p. 378.

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