Né vivere né morire195 è apparso per la prima volta nella collana
Narratori italiani diretta da Niccolò Gallo per Mondadori nel 1963 e
ne è stata fornita una ristampa già l’anno successivo.
L’opera registra subito un certo successo tra il pubblico e un deciso interessamento da parte della critica letteraria, tanto che è candidato dalla giuria italiana e da quella francese al Prix International de Littérature.
Inoltre nel 1969 esce presso Gallimard la versione in lingua francese, intitolata Ni vivre ni mourir196.
Infine, nel volume di Isbn197 edizioni è riproposta la versione del 1963.
Sin dalla sua prima uscita questo nuovo romanzo di del Buono non passa inosservato, registrando numerosi commenti e recensioni. Renato Barilli segnala subito la particolarità della narrazione, che procede per una successione casuale e disarticolata di pensieri e di temi, senza alcuna segnalazione esteriore, e che rischia di causare lo smarrimento del lettore, sottolineando altresì che “se il romanziere contemporaneo frantuma la psicologia, rendendola molto più mobile che non in passato, d’altra parte è ben attento a fornire tutto un sistema di guide, di ponti, di vie che consentano al lettore di avventurarsi in
195 OdB, Né vivere né morire cit.
196 OdB, Ni vivre ni mourir, Gallimard, Paris, 1969. 197 OdB, L’antimeridiano cit.
59 quel mare informe”198
. Emilio Tadini considera Né vivere né morire il libro più maturo e più importante di del Buono e soprattutto un’opera di rilievo nell’ambito della narrativa contemporanea; egli sottolinea come “quella che poteva essere una amara ascesi al rifiuto, al vuoto, si rivela al contrario come una furibonda avidità di concretezza”199, poiché questo romanzo è caratterizzato da “un narratore vero, padrone dei suoi personaggi, di tutte le loro storie, di una vicenda intricata e limpida come la realtà”200
. L’aspetto metaletterario, il fatto che autore, lettore e personaggi siano posizionati sul medesimo livello, è evidenziato anche nella recensione di Teresa Buongiorno, che considera quello di del Buono “un modo di serrare la realtà, un modo di sperimentare per via immaginativa le possibili alternative d’una situazione morale e culturale ben determinata. La situazione cioè dell’uomo italiano d’oggi”201
.
A distanza di anni, Giorgio Pullini descrive l’opera come un riesame della produzione precedente e una trascrizione in chiave critica, quale sintesi e superamento al tempo stesso di quanto l’autore ha scritto sino a questo momento; la novità risiede nel fatto di attingere gli elementi del racconto non direttamente dalla vita ma dalla realtà già trasfigurata e deformata nelle opere letterarie precedenti. Tuttavia, se da un lato Pullini rende merito alla bravura e all’intelligenza dello scrittore, il quale elabora una prova magistrale dal punto di vista tecnico, dall’altro dichiara la fragilità comunicativa dell’opera, chiusa in “una
198 R. Barilli, L’informatore, vicende nuove e antiche nei romanzieri d’oggi, in «Corriere della
Sera», 17 novembre 1963, p. 9.
199
E.Tadino, Da una vecchia storia un bel libro nuovo, in «Corriere d’Informazione», 3 ottobre 1963, p. 5.
200 Ibidem.
60 intellettuale e manieristica esercitazione”202, che fa del testo un’opera di laboratorio, nella quale il lettore, soprattutto se digiuno delle precedenti prove letterarie, rischia di smarrirsi o comunque fa fatica ad intendere il senso complessivo della materia esposta. Il commento termina con un invito allo scrittore, sostenendo che “c’è bisogno di chiudere il libro che egli è andato scrivendo, con ottimi risultati, negli ultimi anni, e di aprire un’altra pagina sulla vita”203
.
Sergio Antonielli204, invece, sostiene esattamente la tesi opposta, ovvero considera il romanzo come metafora del labirinto, immagine che però ha il merito di riassumere la vita dell’uomo moderno e anche la letteratura contemporanea e di comunicare una coscienza del romanzo al passo con i tempi.
Sulla stessa linea si configura il giudizio di Giorgio Taffon, individuando nuovamente come “il racconto […] si fa metaracconto, nel tentativo di indagare le ragioni del proprio narrare”205
, ma anche considerando il “Romanzo come necessità di un’autoindagine inquieta e sempre inappagata”206
, dunque legata alla vita stessa dell’autore, quale uomo e scrittore insieme.
Negativo risulta essere invece il giudizio nel Dizionario critico della
letteratura italiana del Novecento207 dove viene messo in luce come in
questo romanzo “la struttura diventa inestricabile e labirintica, avanzante e retrocedente, confuso e non più dipanabile il filo”208
e
202
G. Pullini, Oreste del Buono. Né vivere né morire, in Volti e risvolti del romanzo italiano
contemporaneo, Mursia, Milano, 1971, p. 172.
203 Ibidem. 204 Antonielli, cit. 205 G. Taffon, cit., p. 260. 206
Ibidem.
207 E. Ghidetti, G. Luti, Dizionario critico della letteratura italiana del Novecento, Editori Riuniti,
Roma, 1997.
61 dove si asserisce che “la narrativa integrale di del Buono […] accomuna la banalità della nostra vita con fraseggi logori, laceri e monchi, con vuoti che sono facilmente restaurabili da parte del lettore”209
, concludendo con una nota generale sull’intera produzione dell’autore: “La costante ripetitoria di del Buono è nemica della bella pagina, distillata come un unicum e conclusa in se stessa”210
oltre che dominata dalla sfiducia nel narrare e, di conseguenza, nello stesso scrittore quale individuo.
In seguito Daniele Brolli riflette ancora sulla natura metaletteraria dell’opera, nella quale protagonista diventa il romanzo stesso e il suo autore, in un’operazione che porta del Buono “al tentativo di riorganizzare con un processo narrativo integrale la sua stessa vita di autore. Una specie di revisione della propria esistenza attraverso la disgregazione del romanzo e la confutazione dei libri scritti in precedenza”211
; egli riflette poi sulla già tanto discussa scrittura di del Buono, sulla peculiare sovrapposizione di pensieri e concetti, che si susseguono uno dopo l’altro e che si confondono, intreccio che è parallelo a quello delle storie e dei personaggi, che si alternano continuamente. Interessante è poi la riflessione finale sul rapporto tra pagina scritta e vita, in un “processo di verifica delle coincidenze tra l’universo romanzesco e quello vissuto”212
che “porta continuamente in scena l’autore per smentire, e quindi ribadire, la finzione”213
.
A conferma dell’importanza dell’opera, Bonino definisce il romanzo come “impresa più significativa dell’intera sua prima stagione 209 Ibidem. 210 Ibidem. 211 Brolli, cit., p. 365. 212 Ibidem. 213 Ibidem.
62 creativa”214, collegata all’esperienza europea del romanzo mimetico,
che considera la narrativa quale occasione per sconfiggere l’illusione della realtà; anche le sue osservazioni sono poi tese ad illustrare i motivi conduttori dell’opera: l’iterazione e la variazione, cioè la ripetizione sempre delle stesse tematiche ma attraverso la rivisitazione e la rielaborazione della materia già trattata nelle prove precedenti. Tuttavia, preminente risulta essere, anche secondo Bonino, la riflessione sul narrare; a questo proposito, appare interessante una sua osservazione, il fatto di considerare la “difficoltà meramente fisica […] metafora e completamento d’una difficoltà più sottile, quella ri- creativa”215
, difficoltà a cui del Buono non propone risposte univoche, rifugiandosi piuttosto nell’ironia.
Quindi, dall’insieme di questi giudizi, ora positivi ora negativi, risulta comunque evidente l’originalità della scrittura di del Buono, che ripropone i medesimi temi dei testi precedenti ma attraverso una nuova tecnica espositiva: un lungo e intricato monologo interiore all’insegna del labirinto, dimensione in cui si ritrovano accomunati autore e lettore, i quali smarriscono, pagina dopo pagina, se stessi e il senso di questa storia.
Interessante è l’atteggiamento dello scrittore che, prevedendo eventuali critiche da parte dei lettori nei confronti del suo nuovo lavoro, incarna tali opposizioni nella figura della moglie, dubbiosa e scettica dell’opera che il marito va scrivendo.
214 Bonino, cit., p. XX.
63 Caratteristica della narrazione è sempre il riferimento alle azioni della routine quotidiana, emblema della reiterazione nel tempo delle medesime realtà, quasi a voler dimostrare che la replicazione in letteratura degli stessi eventi e delle medesime dinamiche non è altro che il simbolo della ripetizione della vita reale. Infatti, per l’io narrante è più semplice trattare i problemi del protagonista della sua storia che affrontare le proprie difficoltà reali.
Inoltre, come già nei romanzi precedenti, del Buono opera un ritratto di una società chiusa nei propri interessi e non interessata alla realtà difficile e problematica del mondo esterno.
Il metodo narrativo è particolare, essendo costituito dalla giustapposizione di brevi e diversi flash di vita vissuta e di meri accenni al romanzo, senza spiegazioni e approfondimenti che ne chiariscano i significati.
Dunque, il tema metanarrativo è portato all’estremo attraverso la riproposizione delle pagine di un romanzo già pubblicato; nello specifico si tratta di Acqua alla gola216.
216 OdB, Acqua alla gola cit.
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