Dopo la scomparsa di Ludovico II il potere regio ed imperiale subì una crisi lunga e complessa, mentre si svolgevano mutamenti profondi nelle strutture politiche e sociali (230); antiche famiglie, che già avevano fatto parte della nobiltà di governo dell’impero carolingio, entrarono in crisi: alcune scomparvero non solo dalla scena politica, ma anche fisicamente (231); altre furono duramente avversate dal potere regio, che si appoggiò ad alcune di quelle nuove, come fece il re Ugo, che si impegnò decisamente contro la grande nobiltà (232), mentre il fenomeno delle immigrazioni, che (228) Si tratta probabilmente di un giudice della città, distinto dai giudici imperiali: Padoa Schioppa, Aspetti cit., p. 15.
(229) Settia, Pavia cit., pp. 124-125.
(230) Tabacco, La storia cit., pp. 113 ss.; Fumagalli, Terra cit., pp. 81 ss.; Fumagalli, Il Regno cit., pp. 171 ss.
(231) Fumagalli, Terra cit., pp. 103 ss. (232) Ibidem, p. 93.
non si era interrotto per l’età carolingia, continuò anche durante il periodo dei re italici (233) fino ad Ottone I (234).
Come era avvenuto anche in passato, uomini di modesto pre- stigio, pur sempre appartenenti ai gruppi delle minoranze domi- nanti, alcuni immigrati di recente, poterono affermarsi per le loro doti personali, particolarmente quelle di guerrieri, oltre che per i legami vassallatici con persone potenti e con gli stessi sovrani: valgano gli esempi dei capostipiti delle tre famiglie marchionali piemontesi – Anscarici, Aleramici e Arduinici –, di tradizione etni- co-giuridica franca (235): Anscario I, proveniente dalla Borgogna, è qualificato come marchio all’inizio dell’ultimo decennio del secolo IX (236); Aleramo, che è figlio di un conte Guglielmo e non sembra di immigrazione molto recente, è conte dal quarto decennio del secolo X (237); uno dei due fratelli ‘arduinici’, giunti in Italia «de sterilibus montibus» tra IX e X secolo, Rogerio, divie- ne conte di Auriate (238) e il figlio, Arduino il Glabro, marchese nella seconda metà del secolo X (239). Ricordiamo, infine, il fran- co Milone, vassallo di Berengario I nel primo decennio del secolo, poi conte di Verona verso il 930 e infine marchese nei primi anni Cinquanta (240), dal cui nipote Egelrico, figlio di suo fratello
(233) Hlawitschka, Franken cit., pp. 76, 85, 88-89. (234) Ibidem, p. 96.
(235) Dati riassuntivi e comparazione delle vicende in G. Sergi, Anscarici,
Arduinici, Aleramici: elementi per una comparazione fra dinastie marchionali, in Formazione e strutture dei ceti dominanti nel medioevo: marchesi, conti e viscon- ti nel Regno Italico (secc. IX-XII), Roma, 1988, pp. 15-16.
(236) Hlawitschka, Franken cit., pp. 128-130.
(237) R. Merlone, Prosopografia aleramica (secolo X e prima metà del XI), «Bollettino storico-bibliografico subalpino», 81 (1983), p. 466.
(238) Hlawitschka, Franken cit., pp. 254-255. (239) Ibidem., pp. 136-138.
Manfredo, conte di Lomello (241), discendono i conti veronesi detti di San Bonifacio (242).
L’ascesa politica degli uomini più o meno ‘nuovi’ fu favorita dalla crisi, anche biologica, della nobiltà di tradizione carolingia (243), una crisi che investiva la struttura stessa del gruppo parenta- le od ordo, caratteristica di tale nobiltà: il gruppo parentale era pre- minente rispetto alle singole famiglie, che erano prive di una sede individuale per la propria casata e i cui esponenti, quando non vivevano alla corte del re, rivestivano cariche pubbliche in varie regioni dell’impero franco (244).
Con le nuove famiglie in ascesa, di immigrazione recente o meno, presenti nel regno, si affermarono altre di tradizione longo- barda che avevano mantenuto o conseguito una posizione sociale di un certo rilievo, poggiante su consistenti basi patrimoniali e su qua- lificati uffici ecclesiastici ed anche su rapporti matrimoniali con le famiglie ‘franche’, di grande (245) o anche di piccola nobiltà (246), (241) Ibidem, pp. 233-234; R. Pauler, I conti di Lomello, in Formazione e
strutture cit., pp. 189-190.
(242) A. Castagnetti, Le due famiglie comitali veronesi: i San Bonifacio e i
Gandolfingi-di Palazzo (secoli X-inizio XIII), in Studi sul medioevo veneto, a cura
di G. Cracco, Torino, 1981, pp. 44 ss. (243) Fumagalli, Terra cit., pp. 103 ss.
(244) Ibidem, pp. 126-127, con rinvio alla letteratura specifica. Per la pre- sentazione e la discussione degli studi recenti e delle diverse interpretazioni sul- l’aristocrazia in età carolingia e postcarolingia si veda R. Bordone,
L’aristocrazia: ricambi e convergenze ai vertici della scala sociale, in La storia. I grandi problemi dal medioevo all’età contemporanea. II/1. Il medioevo. I quadri generali, Torino, 1988, pp. 145-156.
(245) Hlawitschka, Franken cit., p. 95.
(246) V. Fumagalli, Vescovi e conti nell’Emilia occidentale da Berengario I
a Ottone I, «Studi medievali», s. III, 14 (1973), pp. 165-170; Bougard, Entre Gandolfingi cit., pp. 25-27.
preceduti da quelli tra famiglie di condizione modesta.
L’instaurarsi, poi, di rapporti vassallatici, già interni e verticali ai gruppi ‘etnici’, fra elementi di famiglie di tradizione longobarda e quelli di famiglie di origine transalpina (247), conferma l’inizio effettivo di un processo che porta alla caduta della discriminante etnica anche in ambito politico. Dapprima esso si attua tra famiglie di condizione non elevata, ché tali dovevano essere quelle dei due Franchi vassalli di Pietro figlio del giudice Paolo. Ma diviene effettivamente accertabile solo con la comparsa di persone di nazionalità longobarda fra i vassalli regi e imperiali: grosso rilievo assume, perciò, la vicenda del vassallo imperiale Autprando, fra- tello del vescovo bergamasco Garibaldo, cui abbiamo accennato, tanto più se si accetta la sua identificazione con l’omonimo fidelis e familiaris di Ludovico II, da questo inviato come messo a Bisanzio (248).
Il passo successivo, che sancisce l’affermazione politica, è costituito dall’assunzione di un ufficio pubblico, come quello (247) Keller, Adelsherrschaft cit., p. 314, afferma che i Longobardi poteva- no avere vassalli di origine franca, criticando la posizione del Hlawitschka,
Franken cit., che dall’esistenza di vassalli franchi ha dedotto l’origine transalpina
dei loro seniores (Keller, Adelsherrschaft cit., p. 314, nota 70); ma il Keller non porta alcuna documentazione in merito, né era facile rinvenirne, il che spiega la posizione del Hlawitschka, che d’altronde non si era proposto un’indagine sui personaggi ‘minori’, per quanto avesse proceduto ad una loro schedatura comple- ta. Solo l’attribuzione della nazionalità longobarda al senior Pietro, attribuzione che noi abbiamo dedotto dalla condizione di scabini, giudici e notai in età carolin- gia, permette ora di prospettare l’instaurarsi, almeno in un caso, di rapporti vas- sallatici ‘interetnici’, tanto più rilevanti in quanto si tratta non di vassalli longo- bardi di immigrati transalpini, ma di Franchi vassalli di un probabile Longobardo. Si veda anche Sergi, I rapporti cit., p. 148, che si limita a sottolineare la condizio- ne di Pietro quale figlio di un giudice; ibidem, p. 154, si sofferma sui giudici nel secolo X.
comitale (249), od anche più elevato, come quella di conte di Palazzo e marchese.
Valgano alcuni esempi. Giselberto I, di una famiglia scono- sciuta, appare per la prima volta nella documentazione come vas- sus et missus imperatoris nel 919, conte di Bergamo dal 922, conte palatino dal 926 (250), il primo, come annota il Hlawitschka (251), che, dopo un lungo predominio delle stirpi transalpine, riuscì ad inserirsi nei ceti e gruppi dominanti. I suoi due nipoti, figli di Lanfranco I, si uniscono in matrimonio con membri di grandi famiglie franche (252), di rango marchionale e ben più potenti dei Giselbertini (253): Giselberto II, conte di Bergamo dal 961 al 993 (254), sposa la figlia del marchese Arduino il Glabro; Franca nella prima metà del sec. X sposa il marchese e duca Almerico II (255).
Il conte Oberto, attestato negli anni 945-972, è conte di
(249) Hlawitschka, Franken cit., p. 74, che pone in luce come su circa novantasei conti, della maggiore parte, ben settantaquattro, è accertabile la prove- nienza o la tradizione familiare transalpina, mentre solo di sette è accertata la nazionalità longobarda. La loro affermazione, sottolinea l’autore, avviene nei momenti di maggiore crisi del regno – anni 921, 926, 945, 961 –: si tratta di Giselberto I di Bergamo e del figlio Lanfranco, di Raginerio di Piacenza, Ragimundo di Reggio, Oberto I, Adalberto-Atto e Tedaldo di Canossa. L’autore stesso si premura di avvertire, però, che non è ancora il caso di pensare ad una ascesa generalizzata delle stirpi longobarde.
(250) Hlawitschka, Franken cit., pp. 186-187; Jarnut, Bergamo cit., pp. 93- 94 e passim; F. Menant, Les Giselbertins. Comtes du comté de Bergame et comtes
palatins, in Formazione e strutture cit., pp. 124-126.
(251) Hlawitschka, Franken cit., p. 186. (252) Ibidem, p. 95.
(253) Menant, Les Giselbertins cit., p. 129. (254) Jarnut, Bergamo cit., p. 93.
(255) Hlawitschka, Franken cit., pp. 125-128; A. Castagnetti, Tra
‘Romania’ e ‘Langobardia’. Il Veneto meridionale nell’alto medioevo e i domìni del marchese Almerico II, Verona, 1991, pp. 54 ss. e passim.
Palazzo e poi marchese (256): da lui discese la linea obertina, che si divise negli Estensi e nei Malaspina (257). Nello stesso periodo veniva affermandosi il fondatore della dinastia canossia- na, Adalberto-Atto, che diviene conte all’inizio dell’impero di Ottone I (258), le cui vicende possono essere accostate a quelle di Oberto (259).
A Piacenza è conte nel terzo decennio del secolo il longobardo Raginerio (260), cui segue il franco Gandolfo, la cui figlia sposa Riprando di Basilicaduce, longobardo, creato conte da Ottone I (261): il figlio Gandolfo diviene conte di Verona nel 967 (262), il primo conte longobardo veronese (263), la cui discendenza con- tenderà l’ufficio comitale fino alla metà del secolo XI (264) ai
(256) Hlawitschka, Franken cit., pp. 244-245.
(257) C. Violante, Quelques caractéristiques des structures familiales en
Lombardie, Emilie et Toscane au XIe et XIIe siècles, in Famille et parenté dans l’Occident médiéval, Roma, 1977, tabella genealogica a p. 132, e C. Violante, Le strutture familiari, parentali e consortili delle aristocrazie in Toscana durante i secoli X-XII, in I ceti dirigenti in Toscana cit., p. 55, tav. VI; M. Nobili, Alcune considerazioni circa l’estensione, la distribuzione territoriale e il significato del patrimonio degli Obertenghi (metà secolo X - inizio secolo XII), in Formazione e strutture cit., tabella genealogica fra pp. 80-81.
(258) V. Fumagalli, Le origini di una grande dinastia feudale. Adalberto-
Atto di Canossa, Tübingen, 1971.
(259) L’accostamento fra Oberto ed Adalberto Atto è posto in risalto parti- colare da Nobili, Alcune considerazioni cit., pp. 80-81, che sottolinea la loro ‘lon- gobardicità’, che rappresenta la persistenza della ‘tradizione nazionale longobar- da’, caratterizzata dall’affermazione dei singoli e delle famiglie ‘dal basso’ ovve- ro dalla loro posizione di forza costituita da estesi e diffusi possessi e da clientele. (260) Hlawitschka, Franken cit., pp. 249-251; Bougard, Entre Gandolfingi cit., pp. 19-20.
(261) Ibidem, pp. 20-27.
(262) Castagnetti, Le due famiglie cit., p. 51. (263) Castagnetti, Minoranze etniche cit., p. 174 (264) Castagnetti, Le due famiglie cit., pp. 52-53, 58-60.
discendenti del fratello del franco Milone, noti poi come conti di San Bonifacio (265).
Ancora un esempio, anche se più tardo, per segnalare l’ascesa di Cuniberto, giudice pavese, discendente da giudici – il capostipi- te della famiglia è Pietro, giudice pavese nel periodo di Berengario I –, all’ufficio di conte di Lomello, ascesa assai significativa, se pur tarda, essendo avvenuta alla fine del secolo X (266).