Dopo gli ufficiali pubblici, maggiori e minori, e dopo gli sca- bini, sono registrati nel collegio due ecclesiastici, rivestenti un ufficio rilevante nelle rispettive chiese cittadine: sono Andrea, arcidiacono della chiesa di Trento, e Audone, arcidiacono della chiesa di Verona.
Il primo partecipa, in rappresentanza del vescovo Heimperto, alla sinodo mantovana dell’827 (289); null’altro conosciamo di lui, stante l’assenza di documentazione trentina per il periodo.
Dell’arcidiacono veronese Audone, poi vescovo, siamo in grado di seguire le tappe principali della sua ‘carriera’ ecclesiasti- ca, sulla scorta di una documentazione che ci mostra anche il suo interessamento costante per il monastero di S. Maria in Organo.
Verona fu uno dei centri sui quali i re carolingi esercitarono un controllo maggiore, ponendovi precocemente conti di prove- nienza transalpina (290) e, soprattutto, imponendo sul seggio epi- scopale quattro vescovi alamanni, che si succedettero per mezzo Bordone, Città cit., p. 58; per altri sculdasci astigiani è ipotizzabile una naziona- lità transalpina, considerando indizi di varia natura, sui quali tralasciamo di sof- fermarci. Gli sculdasci non sono documentati oltre l’inizio del secolo X: Bordone, Città cit., p. 44, ipotizza che la loro scomparsa sia attribuibile al disinte- resse degli Anscarici. La constatazione che alcuni sculdasci si dichiarano vassalli di conti transalpini è un forte indizio circa la loro appartenenza a queste naziona- lità: così avviene per Verona (Fainelli, Codice diplomatico cit., I, n. 292, 884 dicembre 19: nel caso specifico uno degli sculdasci appare come esecutore testa- mentario di un Franco; sono presenti all’atto due Alamanni e due Franchi). Nel territorio veronese gli sculdasci, già numerosi, scompaiono dopo l’età di Berengario I: Castagnetti, Minoranze etniche cit., p. 83.
(289) MGH, Concilia aevi Merovingici et Karolini, voll. 2, Hannover, 1893- 1906, II, n. 47. Cfr. Rogger, Monumenta liturgica cit., p. 42.
secolo: Egino, Ratoldo, Notingo e Billongo (291).
Il clero cittadino, pur privato nei fatti della possibilità di accede- re all’episcopato, continuò ad essere costituito da elementi di estra- zione locale e di tradizione longobarda o italico-longobarda. A Verona fu arcidiacono per quasi tutta la prima metà del secolo IX Pacifico, di presumibile nazionalità longobarda (292): di lui sono note l’attività a favore della costruzione o ricostruzione di chiese e monasteri, del culto dei santi e dell’attività scrittoria (293).
Dopo la seconda metà del secolo poté divenire vescovo il lon- gobardo Audone. Egli appare quale diacono in Verona nell’829, nell’atto di acquistare da un altro diacono e da certo Lupo una sors ovvero una porzione di pascolo sui monti Lessini, per la somma, non indifferente per l’epoca, di 180 denari: si dichiara figlio del defunto Grauselberto Langobardus (294). Assiste anche un suo vassallo, indice, già di per sé, di una condizione sociale di presti- gio e nello stesso tempo della diffusione iniziale di istituzioni fran- che anche presso la popolazione longobarda (295).
Nella zona dei Lessini possedeva ampiamente il monastero di S. Maria in Organo, i cui beni già all’inizio del secolo IX giunge- vano fino al territorio di Ala (296), nella medesima valle Lagarina,
(291) Castagnetti, Minoranze etniche cit., pp. 17-19.
(292) C. G. Mor, Dalla caduta dell’Impero al Comune, in Verona e il suo
territorio, II, Verona, 1964, p. 70.
(293) R. Avesani, La cultura veronese dal sec. IX al sec. XII, in Storia della
cultura veneta. 1. Dalle origini al Trecento, I, Vicenza, 1976, pp. 251-257; P.
Golinelli, Il Cristianesimo nella ‘Venetia’ altomedievale. Diffusione, istituziona-
lizzazione e forme di religiosità dalle origini al sec. X, in Il Veneto nel medioevo. Dalla ‘Venetia’ alla Marca Veronese, voll. 2, a cura di A. Castagnetti, G. M.
Varanini, Verona, 1989, I, pp. 287-292.
(294) Fainelli, Codice diplomatico cit., I, n. 131, 829 settembre 7, Verona. (295) Castagnetti, Minoranze etniche cit., pp. 54-56.
nella quale sono situati i beni degli uomini portati in processo, poco distante, soprattutto, da Avio, dal qual villaggio proveniva uno dei tre gruppi dei coltivatori delle terre monastiche. Dieci anni dopo, sempre in Verona, il diacono Audone effettuò una permuta di terre in Valpantena con l’abate del monastero di S. Maria in Organo (297): egli agiva come rector della chiesa di S. Martino di Valpantena, probabilmente la chiesa plebana di Grezzana (298).
Il conseguimento della dignità di arcidiacono risulta dal placito trentino e dalla sua sottoscrizione nell’846 al testamento del vescovo Billongo (299). Prima dell’855 egli fondò la chiesa di S. Lorenzo, su terre di sua proprietà in Sezano, in Valpantena (300), non distante da Grezzana e dalla pieve, di cui egli era stato rector, chiesa alla quale affluirono ulteriori donazioni (301), fino a che con un atto dell’860, il primo documento in cui Audone si qualifica come vescovo (302), egli beneficò largamente la stessa chiesa, con beni terrieri posti nelle (297) Fainelli, Codice diplomatico cit., I, n. 153, 839 marzo 7; cfr. anche n. 172, 844 febbraio 22: Audone diacono permuta terre in Valpantena con lo xeno- dochio di S. Zeno, amministrato dalla chiesa vescovile.
(298) Castagnetti, Minoranze etniche cit., p. 51, nota 39. Ad Audone la chie- sa era stata assegnata probabilmente in dotazione patrimoniale, una situazione che sarà più tardi designata quale beneficio ecclesiastico; al clero più elevato, quale era quello presso la cattedrale, i vescovi potevano affidare le chiese della diocesi, come ci mostra, un secolo dopo, una testimonianza di Raterio che aveva assegna- to appunto a un diacono una delle pievi rurali più ricche: F. Weigle (ed.), Die
Briefe des Bischofs Rather von Verona, Weimar, 1949, n. 33, 968 luglio in., p.
184; cfr. A. Castagnetti, La pieve rurale nell’Italia padana. Territorio, organizza-
zione patrimoniale e vicende della pieve veronese di San Pietro di ‘Tillida’ dal- l’alto medioevo al secolo XIII, Roma, 1976, p. 157.
(299) Fainelli, Codice diplomatico cit., I, n. 182, 846 dicembre 12. (300) Ibidem, I, n. 201, 856 aprile 29, e n. 217, 860 agosto 3.
(301) Ibidem, n. 197, 855 agosto 17; n. 208, 860 febbraio 21; n. 201, 856 aprile 29.
vicinanze, ma anche in zone lontane di pianura, assoggettandola al monastero di S. Maria in Organo. A questo monastero, due giorni dopo, con disposizione testamentaria (303), destinò ampia parte dei suoi beni.
I rapporti continui ed intensi fra Audone e il monastero vero- nese motivano largamente la sua presenza al placito trentino. Si noti che si tratta della sola sua presenza ad un atto pubblico, non potendosi constatare, per il resto, una sua partecipazione alla vita pubblica e, tanto meno, a quella politica, aspetti che non crediamo possano essere imputabili a difetto di documentazione: il longo- bardo Audone non svolge un ruolo pubblico e politico paragonabi- le a quelli svolti dai suoi predecessori alamanni, appartenenti ad uno dei gruppi ‘etnici’ dominanti.