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La scomparsa politica dei Longobardi nella Langobardia settentrionale carolingia

Motivazioni ulteriori per non attribuire la condizione di vassi dominici al gruppo degli astanti, che precedono, né agli indetermi- (339) Doc. dell’anno 833, citato sopra, nota 210. Il raffronto con questo pla- cito senese è puramente indicativo, dal momento che le procedure giudiziarie di quest’epoca non costituivano un sistema coerente e uniforme, presentando carat- teri diversi da regione a regione, aspetto sottolineato da Wickham, Land disputes cit., pp. 112-113.

nati Teutisci e Langobardi, che seguono, derivano dalla considera- zione che, se le due attribuzioni fossero accettate, esse verrebbero ad indicare, nel primo caso in modo probabile, nel secondo caso in modo certo, la presenza di elementi di tradizione longobarda fra i vassalli regi, una presenza che, per di più, sarebbe assai ampia e di estrazione locale, nel primo caso, e che, nel secondo caso, anche se indeterminata nel numero, si presenterebbe come normale, proprio perché affermata in un’espressione di formulario.

Ciò contrasta con quanto risulta da una considerazione, anche sommaria, della situazione per le regioni settentrionali. Senza entrare nel merito del dibattito storiografico sulla presenza di Longobardi tra i vassalli imperiali e tra i conti, una presenza che studi recenti considerano non irrilevante, limitando, quindi, il carattere generalizzato dell’assunzione degli uffici comitali da parte degli immigrati transalpini (340), ricordiamo, dapprima, alcuni vassalli imperiali, per i quali sia possibile conoscere la loro nazionalità, in quanto dichiarata esplicitamente o deducibile, o affermare, in modo generico, la loro provenienza dalle regioni transalpine.

Un vassallo regio, poi imperiale, Ernosto di origine transalpi- na, probabilmente franco (341), agisce, con il fratello Hunger, in territorio milanese dal secondo decennio del secolo IX. Un vassal-

(340) G. Tabacco, L’avvento dei Carolingi nel regno dei Longobardi, in

Langobardia, a cura di S. Gasparri, P. Cammarosano, Udine, 1993, p. 397; G.

Sergi, I rapporti vassallatico-beneficiari, in Atti del 10° Congresso internazionale

di studi sull’alto medioevo, Spoleto, 1986, pp. 139 ss.; Gasparri, Strutture militari

cit., pp. 688-701; P. Bonacini, Dai Longobardi ai Franchi. Potere e società in

Italia tra i secoli VIII e IX, «Quaderni medievali», 35 (1993), pp. 39 ss.

(341) CDLang, n. 87, 812 aprile, Carpiano = MD, I/1, n. 4 vassallo regio;

CDLang, n. 102, 823 luglio 31: Ernosto vassallo imperiale. Sul personaggio si

veda Rossetti, Società cit., pp. 123-125; ed ora, Castagnetti, Immigrati nordici cit., t. c. note 100-101.

lo regio, Ragimberto, franco, si sottosegna ad una donazione del vescovo di Novara (342). Alla metà del secolo è attestato un vas- sallo imperiale alamanno, Warti, che ha beni in territorio verone- se (343). Franchi sono il vassallo imperiale Godiprando (344) e Gerulfo, ministeriale dell’imperatore (345), che agiscono nella Valtellina. Franco è il vassallo imperiale Seufredo, che vive nel Piacentino (346): egli va identificato con un omonimo, che in seguito sottoscrive, senza qualifica, un placito concernente la chie- sa piacentina, presieduto da un messo regio (347). Un’origine tran- salpina è attribuibile Grimoaldo, vasso e mansionario imperiale, che con la moglie Maria, longobarda, agisce in Pavia alla fine del- l’età carolingia (348).

Analoga sostanzialmente appare la situazione degli ufficiali

(342) C. Salsotto, Le più antiche carte dell’archivio di S. Gaudenzio di

Novara, Torino, 1937, n. 2, 848 gennaio 30, Novara.

(343) Fainelli, Codice diplomatico cit., I, n. 188, datato in forma dubitativa all’anno 853. Cfr. Castagnetti, Minoranze etniche cit., p. 35.

(344) CDLang, n. 230, 864 marzo, Mantello in Valtellina = MD, I/2, n. 113. (345) CDLang, n. 243, 867 aprile 16, senza luogo.

(346) Falconi, Le carte cit., n. 24, 855 giugno 1, Fabbiano; Galetti, Le carte cit., n. 28, 833 gennaio, ma la datazione è da attribuire all’anno 863: G. Petracco Sicardi, La lingua e le formule delle carte piacentine altomedievali, in Galetti, Le

carte cit., p. 113, nota 11, e F. Bougard, Entre Gandolfingi et Obertenghi: les comtes de Plaisance aux Xe et XIe siècles, «Mélanges de l’École Française de

Rome. Moyen Age», 101 (1989), p. 41. Seufredo va pertanto aggiunto all’elenco dei vassalli imperiali che assistono a placiti missatici.

(347) Volpini, Placiti cit., n. 5, anni 878-884.

(348) F. Gabotto, A. Lizier, A. Leone, G. B. Morandi, O Scarzello (edd.), Le

carte dell’Archivio Capitolare di Santa Maria di Novara. I. (729-1034), Pinerolo,

1913, n. 16, 887 luglio 31, Pavia. Per l’attribuzione di una nazionalità transalpina a Grimoaldo e longobarda alla moglie, si veda Castagnetti, Immigrati nordici cit., t. c. note 212-214.

comitali, i quali, in larga parte, potevano essere costituiti da vas- salli regi e imperiali, pur se nella documentazione, pubblica e pri- vata, viene, in genere, precisato l’ufficio pubblico rivestito, non la condizione vassallatica (349). Per quanto ci risulta, pressoché tutti i conti conosciuti, preposti al governo delle città e dei loro territori nell’Italia settentrionale, sono di provenienza transalpina. Un solo conte, cui però non è affidato il governo di un territorio specifico, è sicuramente longobardo: si tratta di Aione (350), dapprima con- dannato alla confisca dei beni dal re Carlo per la sua ribellione e la sua fuga presso gli Avari, poi perdonato e reintegrato nei suoi pos- sessi, ubicati nei territori del Friuli, di Vicenza e di Verona (351); Aione divenne in seguito conte, come si deduce da un privilegio imperiale dell’809 (352). Ad un secondo conte, Leone, attivo al servizio di Lotario I, sono attribuite nascita italica e probabile nazionalità longobarda (353): anche a Leone non fu affidato il governo di un comitato (354).

Gli altri esempi addotti per mostrare la sopravvivenza sul piano politico di esponenti di rilievo della società longobarda per i primi tempi della dominazione carolingia concernono le regioni dell’Italia centrale, la Tuscia, soprattutto Lucca, e il ducato spoleti-

(349) Ganshof, Charlemagne et les institutions cit., pp. 389-390. Le qualifi- che di vassallo per i conti appaiono solitamente dopo la fine dell’età carolingia: Castagnetti, Minoranze etniche cit., pp. 73 ss., per i conti veronesi.

(350) Un profilo di Aione è delineato da Hlawitschka, Franken cit., pp. 113-114.

(351) DD Caroli Magni, n. 187, 799 febbraio 2. (352) DD Caroli Magni, n. 209, 809 luglio 7.

(353) Bullough, Leo cit., pp. 238-239; ma Hlawitschka, Franken cit., pp. 57, 219-220, attribuisce al conte Leone una provenienza franca.

(354) E. Besta, Milano dopo la conquista franca, in Storia di Milano cit., II, p. 394. La tesi che Leone fosse conte di Milano o del Seprio è sostenuta da Bullough, Leo cit., pp. 235-237, seguito da altri studiosi.

no, ove la presenza di Longobardi tra gli ufficiali maggiori è dovu- ta, probabilmente, più che ad una continuità effettiva nell’esercizio del potere pubblico, ad un ricambio effettuato non tra Longobardi e Franchi, ma tra Longobardi, privati degli uffici, e nuovi Longobardi, ai quali gli uffici furono attribuiti per l’adesione poli- tica mostrata verso i conquistatori (355).

Verso la metà del secolo IX l’affermazione di transalpini nelle funzioni pubbliche è totale (356), mentre continua il fenomeno delle immigrazioni (357). Anche gli ufficiali inferiori, quando ne sia fornita la nazionalità, risultano appartenere, in genere (358), ai gruppi dominanti di Franchi ed Alamanni.

Dopo la scomparsa di Ludovico II il potere regio ed imperiale subì una crisi lunga e complessa, mentre si verificavano mutamen- ti profondi nelle strutture politiche e sociali (359). Antiche fami- glie, che già avevano fatto parte della nobiltà di governo dell’Impero carolingio, entrarono in crisi; alcune scomparvero non solo dalla scena politica, ma anche fisicamente (360); altre furono duramente avversate dal potere regio, che si appoggiò ad alcune di (355) Bonacini, Dai Longobardi cit., p. 40, che passa in rassegna gli studi specifici.

(356) Hlawitschka, Franken cit., pp. 54 ss.; a p. 58 e nota 21, l’autore sotto- linea che in Italia settentrionale, nel periodo 830-875, fra conti e marchesi manca- no del tutto Langobardi e Romani; una rassegna sommaria in Bonacini, Dai

Longobardi cit., pp. 44-46.

(357) Hlawitschka, Franken cit., p. 23-66. Si veda anche quanto anche noi abbiamo occasionalmente notato: sopra, t. c. note 117 ss.

(358) Cfr. sopra, t. c. note 196-197, per visconti e gastaldi cittadini; t. c. nota 288 per sculdasci.

(359) G. Tabacco, La storia politica e sociale, in Storia d’Italia, a cura di R. Romano e C. Vivanti, II/1, Torino, 1974, pp. 113 ss.; V. Fumagalli, Il Regno

Italico, Torino, 1978, pp. 171 ss.

quelle nuove, come fece il re Ugo, che si impegnò decisamente contro la grande nobiltà (361), mentre il fenomeno delle immigra- zioni continuò anche durante il periodo dei re ‘nazionali’ (362) fino ad Ottone I (363).

Con le nuove famiglie in ascesa, di immigrazione recente o meno, presenti nel regno, si affermarono altre di tradizione lon- gobarda che, dopo avere mantenuto o conseguito una posizione sociale di un certo rilievo, poggiante su consistenti basi patrimo- niali e su qualificati uffici ecclesiastici, stavano ascendendo ulte- riormente, fino a che alcuni loro membri divennero vassalli imperiali. Solo verso la fine del regno di Ludovico II abbiamo testimonianza certa di un vassallo imperiale di nazionalità longo- barda: si tratta di Autprando, fratello del vescovo Garibaldo di Bergamo (364). Il passo successivo, che sancisce l’affermazione politica, è costituito dall’assunzione di un ufficio pubblico, come quello comitale (365), od anche più elevato, come quello di conte di Palazzo e marchese.

Quanto delineato rafforza la difficoltà di accettare la presenza di Langobardi tra i vassalli regi del placito trentino. Se escludiamo

(361) Ibidem, p. 93.

(362) Hlawitschka, Franken cit., pp. 76, 85, 88-89. (363) Ibidem, p. 96.

(364) Jarnut, Bergamo cit., pp. 32-34.

(365) Hlawitschka, Franken cit., p. 74, che pone in luce come su circa novantasei conti, della maggiore parte, ben settantaquattro, è accertabile la prove- nienza o la tradizione familiare transalpina, mentre solo di sette è accertata la nazionalità longobarda. La loro affermazione, sottolinea l’autore, avviene nei momenti di maggiore crisi del regno negli anni 921, 926, 945, 961: si tratta di Giselberto I di Bergamo e del figlio Lanfranco, di Raginerio di Piacenza, Ragimundo di Reggio, Oberto I, Adalberto-Atto e Tedaldo di Canossa. L’autore stesso si premura di avvertire, però, che non è ancora il caso di pensare ad una ascesa generalizzata delle stirpi ‘longobarde’.

i vassi dominici dall’espressione «et aliis vassi domnicis tam Langobardi quam et Teutisci», la parte rimanente dell’espressione va riferita al gruppo di uomini liberi, senza nome e in numero indeterminato, che sarebbero stati presenti al placito. Costoro sarebbero appartenuti ai due gruppi, indicati complessivamente in Teutisci e Langobardi, cui appartenevano tutti coloro che erano stati nominati in precedenza: presidente, missus del duca, scabini, sculdasci, vassallo del duca, ecclesiastici, uomini liberi dei villaggi trentini, che svolgevano un ruolo attivo o passivo nelle varie fasi processuali, secondo una prassi consolidata.

14. I Teutisci del placito trentino nella prospettiva della genesi