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Fra gli obblighi degli uomini liberi, dotati di una base econo- mica, anche modesta, appaiono, accanto al servizio militare e alla manutenzione degli edifici pubblici – ponti e chiese plebane, ad esempio –, anche la partecipazione e la custodia del placito (304). E ai placiti essi effettivamente si recavano, come prova la registra- zione degli uomini liberi provenienti da località comprese in un ampio raggio intorno alla sede del processo: ricordiamo, perché vicini anche per struttura documentaria al nostro, due placiti svol- tisi in territorio piacentino negli anni 854 (305) e 879 (306), illu- strati dal Fumagalli anche in relazione all’affluenza degli uomini

(303) Ibidem, I, n. 219, 860 agosto 5.

(304) Tabacco, I liberi cit., pp. 103-104 e passim; Fumagalli, Un territorio cit., pp. 1-2; Gasparri, Strutture militari cit., pp. 712-716.

(305) Doc. dell’anno 854, citato sopra, nota 211. (306) Doc. dell’anno 879, citato sopra, nota 285 ex.

liberi da molte località del distretto (307).

I quindici uomini liberi, che presenziano al placito, contri- buendo, da un lato, a completare, sia pure in modi sostanzialmen- te passivi, il collegio giudicante, dall’altro lato, a custodire il pla- cito stesso, provengono tutti, per quanto ci è dato conoscere, da località del comitato trentino alcune delle quali già sono state menzionate in relazione agli scabini. Le elenchiamo, disponendo- le da nord a sud: Meano, Fornace, Civezzano, Pergine, sulla sini- stra dell’Adige, a nord e ad est di Trento: ad esse possiamo aggiungere Prissianum. A sud di Trento, sono menzionate Marco, sempre sulla sinistra del fiume, e sulla destra, Villa Lagarina. Il fatto che tutte le località identificate, relative ai liberi astanti, siano situate nel comitato trentino rafforza l’ipotesi che Prissianum, donde proveniva lo scabino Hagilo, debba corrispon- dere a Pressano presso Lavis.

Delle località sulla sinistra dell’Adige, sopra Trento, alcune, Meano e Pressano, vengono a gravitare verso la valle dell’Adige e la città; altre, Fornace e Civezzano, sulla via che, partendo da Trento attraverso Pergine, qui nominata, giunge a Feltre, da cui proveniva lo scabino Aldo. Una zona omogenea, dunque, e ampia- mente rappresentata. Non è detto che non si potesse cogliere l’oc- casione, offerta dalla convocazione di un importante placito, quali erano quelli presieduti da un missus regio, per risolvere altre con- troversie, riguardanti possessi e uomini di questa zona.

L’area di provenienza degli uomini liberi al placito è, in ogni caso, più ristretta rispetto a quella degli scabini, due dei quali, pro- venendo da Feltre e Garda, sono esterni al comitato, e a quella degli ecclesiastici – l’arcidiacono Audone proviene da Verona –, a conferma di una presenza degli astanti, non qualificati, funzionale

essenzialmente all’accertamento eventuale delle condizioni reali di uomini e beni, che fossero implicati nelle controversie specifiche.

Al termine della seconda fase del processo, dopo locopositus, scabini e sculdasci, si sottosegnano diciannove persone, non iden- tificabili con scabini e sculdasci, poche delle quali mostrano di sapere scrivere: tra queste si pone un Pietro, che di mano propria si sottoscrive tra gli scabini Aldo e Carenziano.

L’identificazione dei sottoscrittori non è facile, poiché solo uno di loro, il primo dell’elenco, Gundelberto de Marcha, è conno- tato dal luogo di provenienza o residenza: una pratica adottata nei placiti, i cui testimoni non vengono connotati, solitamente, dalla località, presupponendosi la loro identificazione con i testi elencati fra i componenti del collegio e gli astanti, per i quali con frequenza appare la connotazione mediante un toponimo. Oltre a Gundelberto, scartiamo i sottoscrittori i cui nomi parimenti non sono accostabili ad alcuno dei quindici astanti alla prima seduta: essi sono – disposti in ordine alfabetico per facilitare i raffronti – Gumpaldo, Lampaldo, Riperto, Sigifrido, Sigone, Sivero, Stabili, Teuterich. Sono in tutto nove, poco meno della metà dei sottoscrit- tori non qualificati.

Per i rimanenti dieci sottoscrittori possiamo avanzare proposte di identificazione con altrettante persone elencate fra il gruppo dei quindici astanti alla prima seduta, avvertendo, tuttavia, che non si possono escludere omonimie per persone diverse: i due Andelberto con Andelberto e Andelberto di Villa; Autperto con Autperto; Blando con Blando di Civezzano; Giso con Giso di Prissianum; Heriberto con Heriberto; Ortari con Ortari di Fornace; i due Pietro, quello che si sottoscrive fra gli scabini, e l’altro che non sa scrive- re, con Pietro di Villa Lagarina e Pietro di Marco; Yihsone – una presumibile e rara variante grafica della forma di base Iso/Isso –, forse anche fideiussore, con Yihsone di Marco.

La presenza di dieci nomi degli astanti nella seconda seduta, corrispondenti ad altrettanti nomi dei presenti nella prima seduta,

appare di per sé già indicativa di una partecipazione di alcune per- sone ad entrambe le sedute, pur se non si possono escludere casi di omonimia, particolarmente per quanto concerne i nomi più diffusi, come Eriberto, Giso e Pietro. Maggiore affidabilità offre l’identifi- cazione di Blando con Blando di Civezzano, di Ortari con Ortari di Fornace e di Yihsone con Yihsone di Marco, poiché i tre nomi sono poco diffusi: non compaiono, ad esempio, nei placiti dalla fine del secolo VIII alla metà del X (308); dal che possiamo ragio- nevolmente prospettare anche per i sottoscrittori Blando, Ortari e Yihsone, non connotati dal luogo, la presenza ad entrambe le sedu- te, come erano presenti scabini e sculdasci: dapprima menzionati per funzione nella descrizione del secondo collegio giudicante, poi ricordati per nome e funzione – tranne uno, Aldo – fra i sottoscrit- tori (309).

Rimangono esclusi dalla seconda seduta gli ecclesiastici e i vassalli, che non vengono ricordati né per funzione né, tantomeno, per nome. La mancata menzione di vassalli dai componenti il col- legio giudicante della seconda seduta, confermata dall’assenza della qualifica fra i sottoscrittori – osservazione analoga vale per gli arcidiaconi –, induce a ritenere che nessun vassallo fosse stato effettivamente presente o, almeno, ricordato in qualche modo, mentre nella prima seduta era registrato il vassallo del duca. Dal che possiamo dedurre che il gruppo dei dieci sottoscrittori che pos- sono essere identificati, con maggiore o minore attendibilità, con dieci del gruppo degli ultimi quindici astanti alla prima seduta, non erano vassalli, come non lo dovevano essere i rimanenti cinque astanti. Questa considerazione rafforza ulteriormente quanto ci

(308) Manaresi, I placiti cit., I, “Indici”.

(309) I diciannove sottoscrittori con almeno cinque partecipanti alla prima seduta, con loro non identificabili, portano il totale degli uomini liberi registrati come presenti nelle due fasi del processo a non meno di ventiquattro, calcoli che non coincidono con quelli di Cipolla, Antichi possessi cit., p. 286.

accingiamo a dimostrare nel prossimo paragrafo circa la condizio- ne non vassallatica dei quindici astanti alla prima seduta.