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L’Africa e la patria europea

Conosciutici con Lorenzo in Abruzzo, incontratici poi alcune volte a Roma, il no-stro rapporto fu subito cordiale e sincero, ma inizialmente episodico. Nel corso del mio primo mandato di parlamentare europeo (1979-1984) questi contatti occasiona-li non ebbero particolari salti di quaoccasiona-lità.

Ci frequentammo – invece – e conquistammo rapporti davvero amichevoli, du-rante la seconda legislatura europea, quella che ha visto Natali a fianco di Jacques Delors come suo principale “senior minister”, come direbbero gli inglesi, oltre che a capo della politica di sviluppo europea.

Sono stati cinque anni di contatti assidui, di dialogo serrato, ma anche di franchi scontri politici, sia sulle scelte europee nei confronti dei paesi in via di sviluppo, sia sul fronte delle riforme istituzionali necessarie per rilanciare il progetto di integrazio-ne del contiintegrazio-nente.

Sul primo terreno, era in pieno svolgimento la campagna radicale contro lo ster-minio per fame nel mondo, sulla scia di una storica risoluzione del Parlamento

euro-Marco Pannella in un intervento al Parlamento europeo

peo per “cinque milioni di vivi subito”, che chiedeva un impegno straordinario del-l’Europa e dei suoi Stati membri e che portò, nel 1985, all’adozione in Italia della

“Legge Piccoli”, con la creazione di un Fondo straordinario gestito dal Dipartimen-to per la cooperazione allo sviluppo.

Per quanto riguarda il secondo ambito, erano gli anni dell’approvazione del “pro-getto Spinelli”, quel Pro“pro-getto di Trattato per un’Unione europea a forte impronta fe-derale, sul quale noi radicali eravamo schierati in prima linea accanto ad Altiero, a volte lasciato solo dal suo stesso partito.

In un contesto cosi propizio, si cementò con Natali una solidarietà, una comunan-za di analisi, una complicità cui non era estranea la comune origine abruzzese, che mi portava a salutarlo in dialetto. Una sintonia che vista dall’esterno poteva apparire singolare, fra un “cavallo di razza” democristiano, come allora venivano chiamati gli uomini di punta della Dc, e un radicale come il sottoscritto.

Tutto sembrava separarci: Natali con il suo agire a volte felpato, la sua prudenza, la sua operosità non ostentata, la sua convinzione che il procedere per piccoli passi fosse spesso la migliore ricetta per far progredire la causa europea – causa che pure ci univa; e io che davo l’impressione di essere tutto l’opposto: irruento, sanguigno, appassionato, dando letteralmente “corpo” alle battaglie che conducevo in Europa e in Italia, convinto che “domandare l’impossibile” fosse prova di grande realismo (e ne sono convinto tuttora) e potesse facilitare peraltro quei “piccoli passi” cari a Na-tali – e naturalmente anche a me.

Il nostro vero incontro, come dicevo prima, si è realizzato con l’ultimo “portafo-glio” europeo di Lorenzo Natali, negli anni 85-89, quello di responsabile della politi-ca con i paesi in via di sviluppo, segnatamente con i paesi dell’Afripoliti-ca, Caraibi e Paci-fico membri della “Convenzione di Lomé”, che garantiva loro un rapporto privile-giato con l’Europa. Io come membro assiduo della Commissione sviluppo del Parla-mento europeo, nonché dell’Assemblea parlamentare che riuniva i deputati dei pae-si associati con i parlamentari europei, lui come interlocutore istituzionale privilegia-to di questi due organismi.

Il suo predecessore, Edgard Pisani, aveva reagito con un atteggiamento di suffi-cienza alla nostra battaglia, finalizzata a ottenere un aumento significativo delle risor-se destinate a sconfiggere fame e malnutrizione nell’Africa sub-sahariana; e a procla-mare un vero e proprio “diritto di ingerenza umanitaria” – battaglia peraltro condi-visa dalla maggioranza assoluta dei membri del Pe. Pisani aveva risposto con vaghe promesse e con una proposta irrisoria di aumento del bilancio comunitario.

Natali invece prese la cosa con ben altro impegno e con lui si sviluppò un dialogo che caratterizzò tutta la legislatura. Per la prima volta i diritti umani, l’aiuto diretto alle popolazioni senza passare necessariamente per i governi, l’importanza di pro-muovere una cultura democratica presso i nostri interlocutori e altro ancora, diven-nero oggetto di discussione e di riflessione, direzione di marcia, obiettivi certi. Molti sviluppi futuri della politica dell’Unione in materia, dalla nascita di Echo – la

struttu-che ha sostituito l’accordo precedente, sono stati ispirati anstruttu-che da quei dibattiti e da quelle riflessioni. Lorenzo riuscì a introdurli nella Commissione europea.

Si sentiva che amava quello che faceva, amava l’Africa e gli africani e ne era riama-to. C’era poi anche quel suo appassionato e generoso prodigarsi, a volte fino allo stre-mo, nel quale non fu certo difficile riconoscerci, credo anche da parte sua – di certo dalla mia – come forma “naturale” dell’intendersi e del comprendersi. Mi è capitato di sbarcare con lui in questo o quel paese dell’Africa nera e di vederlo accogliere co-me “papa Lorenzo”. Anche se sapevo essere lì abituale riservare questo trattaco-mento alle personalità in visita, ho sempre pensato che nel suo caso si rivelava poi non più mera liturgia ospitale, ma effettivo carisma. E sono sicuro che lo pensasse anche lui.

Con Lorenzo, oltre che di Africa, abbiamo parlato molto anche di Europa.

Dopo la battuta d’arresto imposta al Trattato Spinelli dalla Thatcher – e per la ve-rità non solo da lei – si giunse al cosiddetto “Atto Unico”, che ebbe sì il merito di dar vita al “grande mercato europeo”, via via sempre più ricco di politiche comuni, di re-gole e direttive; ma che ci fece concretamente mancare l’appuntamento con la storia:

l’allora possibile realizzazione degli “Stati Uniti d’Europa”, prima che il crollo del muro di Berlino e la paura di un’Europa troppo forte spingessero i governi e gli Sta-ti nazionali a una folle e perdente marcia indietro sul terreno dell’unificazione.

A quell’epoca, lo provocavo spesso anche su notizie abruzzesi, lo stuzzicavo fa-cendo spesso riferimento a “zio Remo”: lui lo capirebbe! era lo scherzoso ritornello di quei motteggi.

Lorenzo Natali fu un grande protagonista di quella stagione, in cui il “cantiere Europa” funzionò a pieno ritmo. La Commissione di Delors a inondarci di direttive, fedele al modello caro a Jean Monnet, secondo il quale si sarebbe arrivati al nostro stesso fine ma appunto “a piccoli passi”; e noi, io stesso, a incalzare, criticare, dibat-tere con Delors, Natali e gli artefici della storia europea che allora – probabilmente oggi non più – potevano far avanzare davvero il progetto comune.

Quando dico protagonista, non lo dico per un ricordo apologetico: egli era dav-vero seduto, accanto a Delors, nella “stanza dei bottoni” della Commissione euro-pea, proprio perché la sua esperienza e il suo impegno ne facevano un interlocutore privilegiato del presidente della Commissione e dei principali governi europei.

Questo è il mio ricordo di Lorenzo Natali. Un uomo che ha lottato con forza per le sue convinzioni, le ha difese con tenacia, le ha portate a compimento quando ha potuto, ad esempio con il suo ruolo decisivo nei negoziati per l’adesione di Spagna e Portogallo.

Lorenzo ha onorato la sua terra – l’Abruzzo – e il suo paese – l’Italia – in tutto il mondo, e ha concretamente contribuito a costruire l’ideale di una comune Patria europea.