Ho conosciuto e frequentato Lorenzo Natali nei lunghi anni della sua attività a Bruxelles come vicepresidente della Commissione (1977-1989), quando ero sul ver-sante della Rappresentanza permanente presso le Comunità.
L’avevo già incontrato, sempre a Bruxelles, all’inizio degli anni settanta, quando partecipava – come ministro – alle interminabili riunioni del Consiglio dell’Agricol-tura.
In quella prima fase cercava di migliorare l’equilibrio della politica agricola a fa-vore delle produzioni italiane. Avevamo appena avviato – nel 1969-70 – tale proces-so, con l’approvazione dei regolamenti vino e tabacco – di prevalente se non esclusi-vo interesse italiano. Ricordo che quello per il tabacco fu l’unico regolamento agrico-lo ad essere elaborato nel Comitato dei Rappresentanti permanenti invece che nel Comitato speciale Agricoltura, tanto era la resistenza “agricola” degli altri paesi alla sua definizione.
L’approvazione dei due regolamenti (vino e tabacco) avvenne nell’ambito di un
“pacchetto” finanziario che riguardava “le risorse proprie” della Comunità nel gen-naio 1970, in un Consiglio jumbo nel quale erano presenti i ministri degli Esteri (per l’Italia, Aldo Moro) del Tesoro (Emilio Colombo) dell’Agricoltura (Giacomo Sedati) dei Consigli jumbo sulle risorse proprie della Cee,
Pietro Calamia, giovane diplomatico, parla con Emilio Colombo, ministro del Tesoro. Al tavolo Aldo Moro ministro degli Esteri conversa con Pierre Harmel, ministro degli Esteri belga. Alla sua sinistra il ministro dell’agricoltura Giacomo Sedati
e delle Finanze (Giacinto Bosco). Ricordo l’episodio per sottolineare la complessità dei problemi che i ministri italiani dell’Agricoltura dovevano affrontare a Bruxelles.
Natali continuò quell’azione di riequilibrio a favore delle produzioni mediterra-nee e per le strutture agricole (che sarà poi ripresa con vigore da Giovanni Marcora), riuscì a stabilire rapporti di amicizia in particolare con Jacques Chirac, all’epoca mi-nistro dell’Agricoltura.
Giunto a Bruxelles nel 1977 aveva quindi, oltre al bagaglio politico della sua atti-vità parlamentare e di governo, anche questa diretta esperienza del funzionamento della macchina dei Consigli comunitari.
Come testimoniano i suoi collaboratori dell’epoca, scelse di tenere un profilo bas-so alla sua entrata nella Commissione, senza proclami, né promesse roboanti. Ma emerse gradualmente con una personalità affidabile, concreta, un punto di riferi-mento sicuro in seno alla Commissione.
La tragica vicenda del rapimento e dell’assassinio di Moro lo scosse profonda-mente, come tutti gli italiani, specialmente coloro che avevano lavorato con il grande Statista. Moro aveva partecipato con autorità a tante riunioni brussellesi ed aveva presieduto i Consigli dei Ministri del 1971 e del 1975 – compresi due dei primi Con-sigli europei di Capi di Stato e di governo.
Come ricorda nella sua testimonianza Chevallard, Natali si adoperò, con la sua carica europea, per far valere l’intransigente azione ed i successi dell’Italia nella lotta al terrorismo – allora interno! – nel rispetto della legalità democratica.
Natali si impegnava a fondo per i suoi incarichi nella Commissione, non solo per quelli la cui importanza era evidente – come quello per l’ampliamento a Grecia, Spa-gna e Portogallo – ma anche ad un portafoglio, allora considerato “minore” come l’am-biente. Eravamo alla fine degli anni settanta. Ma l’uomo politico di grande esperienza – e che sapeva ascoltare – si rese conto che l’ambiente sarebbe diventato uno dei temi più importanti per le relazioni internazionali e per lo stesso avvenire dell’umanità.
Con l’elezione diretta del Parlamento europeo nel 1979, Natali diventò il com-missario Responsabile per le relazioni con Strasburgo e poté assistere da vicino ad uno dei primi atti politici del Parlamento eletto: il respingimento del bilancio della Comunità nel 1980. L’onere di ricucire lo “strappo” spettò alla Presidenza italiana del primo semestre 1980. Me ne dovetti occupare personalmente, come presidente di turno del Comitato dei Rappresentanti permanenti aggiunti (che allora si occupa-va di bilancio) e ricordo l’infaticabile sua azione nei contatti con i principali leaders politici del Parlamento eletto. Era consapevole che dietro la fastidiosa gestione di una Comunità senza bilancio (con i dodicesimi provvisori) vi era stato un primo atto politico che avrebbe portato, in futuro, a modificare gli equilibri fra le Istituzioni eu-ropee. Ricordo anche la sua soddisfazione personale per come la Presidenza italiana fronteggiò la difficile situazione, giungendo ad una intesa ed alla approvazione del bilancio a fine giugno 1980.
mist che nel 1980 lo definiva uomo forte della Commissione) è stato certamente du-rante il terzo mandato – con Delors – che è diventato il vero punto di equilibrio del-la Commissione stessa. L’esperienza acquisita, il rapporto di fiducia con Delors, del-la passione per la causa dell’Europa gli consentirono un ruolo indispensabile nella Commissione. Perché le Istituzioni sono fatte di uomini e possono funzionare se gli uomini che ne fanno parte si intendono fra di loro. Fu, del resto, quel periodo 1985-1988 quello di maggior successo per l’integrazione europea. La positiva conclusione dei negoziati per l’allargamento alla Spagna e al Portogallo dette slancio politico alla costruzione europea, permise al Consiglio di Milano, la convocazione della prima Conferenza Intergovernativa dalla firma dei Trattati di Roma, la messa a punto in po-chi mesi dell’Atto Unico che, con l’obiettivo del mercato interno, poneva le basi dei successivi sviluppi verso la moneta unica ed i progressi verso l’Unione Politica.
Nel terzo mandato, Natali assunse anche l’importante incarico della Cooperazio-ne allo sviluppo, che dagli originari paesi africani, comprendeva oltre sessanta paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico.
La conclusione dei negoziati di adesione della Spagna e del Portogallo nel primo semestre 1985 era stato essenzialmente un affare tra Stati membri e si tradusse in uno straordinario successo della Presidenza italiana, sotto l’occhio benevolo della Com-missione. Natali vi aveva contribuito nei lunghi anni del negoziato (iniziato nel 1977) con la sua appassionata azione nelle regioni più direttamente coinvolte dalla prospet-tiva dell’ampliamento con aspettative e interessi diversi – soprattutto nella Francia meridionale e in Spagna. La calorosa testimonianza di Manolo Marin ne è una prova eloquente. Ma aveva presenti le preoccupazioni – soprattutto agricole – di altre po-polazioni della Comunità (i Programmi integrati mediterranei nacquero a questo scopo) e dei paesi della sponda sud del Mediterraneo. Questa azione rese in definiti-va possibile il successo finale del negoziato nel 1985.
Nella politica per la cooperazione allo sviluppo, con l’autorità ormai acquisita nella Commissione e nella Comunità, poté lanciare delle iniziative anticipatrici, ri-spetto alle maggiori organizzazioni internazionali, come la lotta all’Aids, l’incoraggia-mento al controllo delle nascite e l’aiuto al bilancio, come strul’incoraggia-mento di cooperazio-ne. Lucio Guerrato illustra bene nel suo contributo questa parte molto importante – ed ancora attuale – dell’azione di Natali a Bruxelles.
Ma vi era un altro aspetto della sua attività per la cooperazione allo sviluppo che mi aveva colpito: la sua familiarità con i leader politici dei paesi Acp. Ricordo un epi-sodio significativo, mi pare del 1987. A margine di un Consiglio Cee-Acp, durante un ricevimento, Dieter Frisch, solido Direttore generale della Cooperazione – che pure aveva avuto qualche attrito col commissario – volle dirmi con insolito slancio per un tedesco molto misurato e controllato con i diplomatici: “ho avuto
commissa-ri di grande qualità e personalità politica (il commissa-rifecommissa-rimento era a Claude Cheysson e a Edgard Pisani), ma nessuno è riuscito a stabilire un clima di fiducia con i governi Acp come Natali. Natali è una carta vincente per la Comunità e se, mi consente di dirlo, per l’Italia”.
Guardando i leaders Acp affollarsi intorno a Lorenzo Natali, avevo la conferma dell’esattezza del giudizio di Frisch. Erano la sua semplicità, la sua bonarietà ad ispi-rare simpatia e fiducia. Riflettevo come un uomo politico italiano – senza particolare esperienza internazionale – era riuscito a trovare, trapiantato a Bruxelles, un’autenti-ca dimensione internazionale. L’aveva certamente aiutato la collaborazione di un di-plomatico di carriera – Paolo Pensa – rimasto al suo fianco, come Capo di Gabinet-to, per i dodici anni dei tre mandati senza mai cercare di “giocare in proprio”, riser-vato e leale, ma vi era soprattutto la natura dell’uomo, che aveva voglia di capire e di fare, come dovrebbe essere il vero ruolo dell’uomo politico. E nella missione a Bru-xelles, Natali non aveva l’irrequietezza di tanti politici che pensano al “dopo” perché credeva ed amava quello che faceva – ho percepito rapidamente questo suo stato d’animo. Col passare degli anni, era sempre più fiero dei risultati ottenuti e dei rico-noscimenti che riceveva, ma non se ne vantava. Quando apparve chiaro che una quarta riconferma era difficile – malgrado l’insistenza di Delors – il suo cruccio prin-cipale era che in Italia non ci si fosse resi conto del ruolo che egli aveva ormai nella Commissione e nelle relazioni internazionali della Comunità.
Il nostro bel paese è spesso distratto, ma c’erano più banali ragioni politiche per ipotizzare l’avvicendamento.
Il male aveva cominciato a tormentarlo – ricordo che non poté venire al Consiglio europeo di Rodi, sotto Presidenza greca, nell’ottobre 1988. E Jacques Delors non lo sostituì con un altro commissario, presentandosi solo alla riunione, con un gesto di amicizia e riguardo nei suoi confronti.
Ebbi modo di spiegare il gesto di Delors a Ciriaco De Mita, allora presidente del Consiglio e presente a Rodi con Andreotti.
Dopo la dolorosa e immatura scomparsa, i riconoscimenti furono tanti; compreso quello di Giulio Andreotti, allora presidente del Consiglio, alla cerimonia di Bruxel-les, un anno dopo la scomparsa.
L’iniziativa, dettata da affetto familiare, della moglie Paola e delle figlie Maria Francesca e Elena, ha dimostrato, a distanza di venti anni, come il suo ricordo sia particolarmente vivo tra colleghi, collaboratori, giornalisti, tra tutti coloro che lo hanno conosciuto, e in particolare nelle Istituzioni europee.
Tutti si erano resi conto del ruolo di Lorenzo Natali in Europa e lo testimoniano spontaneamente e con amicizia, anche a venti anni dalla scomparsa.