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Un grande comunicatore sull’Europa

In quell’inizio gennaio 1977 i nuovi commissari Cee provenienti dalle varie capi-tali europee erano accolti a Bruxelles da telecamere e folti gruppi di giornalisti, di-plomatici e funzionari della loro nazionalità. In disordinati capannelli essi facevano dichiarazioni di alto profilo sul loro futuro impegno europeo e sull’importanza del-l’incarico ricevuto.

Non così Lorenzo Natali. Arrivò, come un passeggero qualunque da Roma accom-pagnato da un suo collaboratore. Raccolse egli stesso la sua grande valigia dal nastro ba-gagli e la porse all’autista che si era nel frattempo presentato. Era l’unica persona che lo attendeva. Si dileguarono assieme nel completo anonimato. Né quel giorno né nelle set-timane successive vi furono echi di impegnative dichiarazioni del neo-vicepresidente.

La comunicazione, l’immagine, i rapporti con i media non furono sua preoccupa-zione immediata. Da politico di lunga esperienza, gli era chiaro che ciò che contava all’inizio era la sostanza del suo nuovo incarico. Si concentrò quindi nella battaglia per ottenere competenze importanti all’interno della Commissione (battaglia vinta solo parzialmente). Si impegnò per stabilire relazioni di collaborazione con il presi-dente e i suoi colleghi più prestigiosi. Costituì una squadra di collaboratori, il “Gabi-netto”, che combinavano forte lealtà personale e buona conoscenza del funziona-mento della tecnocrazia di Bruxelles.

Chevallard durante una conferenza stampa nella sala stampa della Cee con accanto il capo del governo spagnolo Sotelo e Natali

Natali non era sconosciuto a Bruxelles. Anzi. I giornalisti, italiani e non, avevano imparato a conoscerlo qualche anno primo, quando, ministro dell’Agricoltura, si era rivelato pugnace protagonista delle riunioni mensili. All’epoca l’agricoltura rappre-sentava la punta avanzata dell’integrazione europea. La scena di Bruxelles era ogni anno dominata dalla saga della fissazione annuale dei prezzi garantiti per i singoli prodotti agricoli e dalle misure ad essi connesse. Ad inizio anno iniziava, sulla base delle proposte della Commissione, un aspro negoziato che si chiudeva normalmente qualche mese più tardi nella cosiddetta “maratona” finale, una riunione fiume cioè in cui, alle prime luci di un mattino, i ministri, affaticati e soddisfatti, annunciavano un accordo complessivo sulle misure per la prossima campagna agricola.

Natali, forse primo dei ministri italiani, si era distinto per il suo attivismo. Sosteni-tore forte della politica agricola comunitaria, aveva però difeso gli interessi italiani con determinazione, portando a casa successi di rilievo in termini di finanziamenti comu-nitari. Ministro francese dell’Agricoltura era il giovane Jacques Chirac, quello tedesco il leader democristiano bavarese Ertl. Natali aveva alternato intelligenti alleanze e bat-taglie con ciascuno di loro, attirando su se stesso l’attenzione del mondo mediatico di Bruxelles. Il gruppo di corrispondenti italiani aveva apprezzato quel ministro che rompeva con la tradizionale passività (se non impreparazione) dei rappresentanti di Roma. Natali stesso aveva capito quanto era importante l’arena mediatica e si era atti-vamente adoperato a spiegare le sue posizioni alla stampa italiana e non solo.

In questo inizio di mandato da commissario egli aveva invece contenuto i suoi con-tatti con i media di Bruxelles al minimo indispensabile. Non si era sottratto al dovero-so incontro con l’insieme dei giornalisti italiani per presentare le sue nuove competen-ze. Rispondeva alle rare telefonate dell’uno o l’altro corrispondente facendo prova di evasività a fronte delle loro domande. Aveva raccomandato ai suoi collaboratori massi-mo riserbo nei confronti dell’esterno. Unico tra i commissari non aveva attivato un suo ufficio stampa, riservandosi la scelta a tempo debito di un suo portavoce di fiducia.

Privilegiava la comunicazione sulle proprie attività a Bruxelles tramite i suoi tradizio-nali catradizio-nali romani e abruzzesi. Incontrava i giortradizio-nalisti “amici” durante le sue quasi set-timanali visite in Italia.

Come ai tempi in cui era stato ministro dell’Agricoltura, egli comprese rapida-mente quanto fosse importante per la statura di un commissario la sua immagine pubblica. Era necessario, aldilà della qualità della sua azione, praticare una buona comunicazione, a cominciare dall’influentissimo microcosmo mediatico di Bruxelles.

Osservò i benefici che il suo collega Etienne Davignon, molto attivo nel curare le re-lazioni pubbliche nei palazzi comunitari, traeva in termini di immagine e di autorità in seno alla Commissione. Il presidente Jenkins, criticato per le sue discriminatorie scelte di comunicazione, vedeva invece la sua autorevolezza scossa dalle campagne stampa contro di lui in alcuni paesi. Natali realizzava che la sua competenza in mate-ria di allargamento della Comunità a Grecia, Spagna e Portogallo aveva un rilievo

di Bruxelles.

Dopo i primi mesi da commissario, Natali giunse alla conclusione che una buona comunicazione a Bruxelles era non solo ineludibile, ma anche elemento essenziale per il successo nel suo incarico. A questa intuizione, non così elementare allora, Na-tali ne aggiungeva un’altra, ancor meno scontata. Lui, politico di successo nella pri-ma Italia democristiana, era cresciuto tra le pratiche – diciamo – addomesticate del-l’informazione in una provincia del Mezzogiorno e nella capitale italiana del dopo-guerra. Ebbe l’intelligenza di capire rapidamente che a Bruxelles il gioco mediatico era diverso. Quello che contava era la sostanza dei fatti, la loro carica di novità, il lo-ro essere notizia. Non c’era rendita di posizione, a differenza che a Roma, per il fatto di occupare una posizione ministeriale o un alto incarico di partito. Contava altresì la trasparenza dei comportamenti, la non discriminazione, la disponibilità. A differen-za che a Roma, a Bruxelles erano scarsamente rilevanti complicità di interessi o “ami-cizie” con esponenti – giornalisti o editori – del mondo della comunicazione.

Prendono corpo nella seconda parte del 1977 i lineamenti della politica di comu-nicazione che Natali svilupperà con grande successo nel decennio successivo. Sarà un grande commissario non solo per la qualità della sua azione, ma anche per la im-magine di grande operatore europeo acquisita sui media di tutta Europa. La sala stampa della Commissione di Bruxelles diventa il teatro in cui sempre più spesso e più sicuro egli si presenta. Comincia a scendere regolarmente dal suo tredicesimo piano per conferenze stampa in cui rivela una non comune qualità di comunicatore.

Giostrando abilmente tra l’italiano, il francese e lo spagnolo, risponde conciso e per-tinente alle domande. Non cade in auto-celebrazioni. È sobrio nel riferire sulle ini-ziative decise dalla Commissione. Non rifugge dai contatti personali. Il tutto accom-pagnato da quegli sguardi penetranti e da quelle espressioni calorose che rivelano tutta l’energia dell’uomo investito di responsabilità europee in cui crede fortemente.

Inizia a frequentare regolarmente i giornalisti italiani. Li invita nella loro totalità a incontri in cui commenta l’attualità comunitaria nelle sue implicazioni italiane. Sono gli anni dei primi passi verso il mercato e verso la moneta unica. Sono gli anni delle prime grandi difficoltà italiane a tenere il passo, con il tasso di cambio della lira in ca-duta, le tentazioni protezionistiche e il sorgere del terrorismo. Natali non banalizza i problemi e le deficienze delle classi dirigenti italiane. Trasmette però un messaggio rassicurante quanto alla comprensione di Bruxelles e al ruolo fondamentale dell’Ita-lia nella Comunità che si allarga verso il sud.

Naturalmente si sviluppano rapporti personali privilegiati, aldilà delle testate di appartenenza. Franco Papitto di Repubblica, Arturo Guatelli del Corriere della Sera, per non citare che loro, stabiliscono una relazione umana che si traduce in frequenta-zioni sociali, oltre che nella discussione sulle questioni di attualità. L’abitazione di

Na-tali, in un delizioso angolo della Bruxelles aristocratica, diventa teatro di ricevimenti e cene dove i giornalisti si mescolano alla diplomazia e all’alta dirigenza comunitaria.

Si appoggia sempre più alle strutture di informazione dell’istituzione. Nomina non senza esitazioni il suo portavoce. Abituato ad addetti stampa che erano delfini o seguaci di partito, si affida questa volta allo sconosciuto sottoscritto, persona espres-sa dall’establishment informativo dell’istituzione. Persona senza alcuna affinità di partito né di background professionale. Fatta faticosamente la scelta, Lorenzo Nata-li dà fin dall’inizio piena fiducia al suo portavoce. Lo ingloba nella cerchia più ristret-ta dei suoi collaboratori. Gli manifesterà crescente simpatia, incuriosito anzi dalle differenze personali che emergono nella sempre più intensa frequentazione. Nasce così un rapporto umano, che porterà il sottoscritto dalla stima per il commissario al-l’affezione (e forse anche qualcosa di più) per la persona di Lorenzo Natali.

In giro per l’Europa si appoggia ai locali uffici di informazione per briefing e in-contri con la stampa. L’ufficio della Commissione a Roma diventa gradualmente il tramite della sua presenza nella capitale. Al suo interno, una piccola squadra organiz-za e da risonanorganiz-za alle sue attività. Gianni Letta, allora direttore del Tempo di Roma (giornale molto letto in Abruzzo), resta suo contatto privilegiato per dare rilievo a sue attività particolarmente rilevanti per la regione. “Di questo ne parlo a Letta” era frase definitiva che spegneva gli ardori comunicativi dei collaboratori di Bruxelles.

Si convince con il passare del tempo che l’altra capitale mediatica ed economica d’Italia, Milano, necessita di maggiore presenza informativa delle Istituzioni euro-pee. Prende così corpo il progetto di istituire una rappresentanza Cee anche a Mila-no, progetto che Natali condurrà a termine con l’inaugurazione della rappresentanza qualche anno dopo. La cerimonia nel 1982 vede tutta la Milano che conta, presiden-te del Consiglio (il milanese d’adozione Spadolini) compreso, raccolta attorno a Na-tali. È per lui l’inizio di un’esperienza nuova. All’inizio riluttante, quasi intimorito, diventa poi regolare ospite della città. Ogni volta incontra un piccolo gruppo di gior-nalisti con cui si intrattiene sugli sviluppi dell’integrazione europea. È sorpreso dalla domanda di Europa e dal dinamismo della città. Gli succede di porre lui stesso do-mande ai suoi interlocutori su economia e finanza, rivelando insospettate curiosità.

Natali si afferma nel frattempo sempre più come “uomo forte” della Commissione Jenkins. L’“ampliamento” della Comunità alle nuove democrazie del sud, pezzo forte delle sue competenze, diventa elemento centrale di tutte le politiche comunitarie. Si tratti di agricoltura, di flussi finanziari, di movimento delle persone, di ammoderna-mento industriale, le iniziative comunitarie devono tenere conto della futura dimensio-ne mediterradimensio-nea della Comunità. E Natali dimensio-ne diventa il co-protagonista. L’allargamen-to della Comunità da 9 a 12 paesi membri rende necessario un rafforzamenL’allargamen-to delle sue procedure decisionali. Rende altresì indispensabile una migliore presa in conto del suo impatto sugli altri paesi del bacino del Mediterraneo. Natali diventa così personaggio centrale nelle iniziative di rimodellamento istituzionale e di lancio di una nuova

politi-fornisce le linee guida per fare dell’adesione di Grecia, Portogallo e Spagna – come poi effettivamente fu – una “success story” per la Comunità e per i tre paesi aderenti.

Il che non lo distrae nel frattempo dal puntiglioso negoziato con ciascuno di quei pae-si sul loro ammodernamento interno e sulle condizioni della loro adepae-sione. Frequenti sono le sue visite in ciascuno dei tre paesi. Si pone il problema del calendario di adesione. Fati-cosamente e in coerenza con il suo realismo politico, Natali giunge alla conclusione che la Grecia merita una corsia preferenziale. Stringe quindi i tempi del negoziato in modo da fir-mare solennemente ad Atene il Trattato di adesione nell’estate 1980. Ciò significa condan-nare Spagna e Portogallo ad una lunga anticamera (firmeranno il Trattato nel 1985).

L’altro pezzo forte del portafoglio di Natali è la responsabilità per la politica ambien-tale. Si tratta di un settore nuovo, non previsto dai Trattati. Le competenze di Bruxelles derivano in questa fase, oltre che dal fatto che, per definizione, l’inquinamento non co-nosce frontiere, dalla necessità di normative comuni che non falsino la concorrenza degli operatori dei vari paesi europei. Niente nelle esperienze passate aveva preparato Natali a responsabilità in questo settore nuovo. Eppure vi si appassionò immediatamente. Quali-tà dell’acqua e dell’aria, gestione dei rifiuti furono temi che lo videro in prima linea nella elaborazione e decisione di misure comunitarie. Temi spesso molto complessi e di forte tecnicità videro l’impegno di Natali a padroneggiarli perfettamente in vista delle regolari riunioni ministeriali. Diversi pomeriggi domenicali furono da lui spesi in compagnia dei dirigenti “ambiente” della Commissione che gli spiegavano implicazioni e portata delle varie proposte che avrebbe l’indomani difeso di fronte ai ministri nazionali. Fu così che in quegli anni la politica comunitaria in materia di ambiente fece grandi progressi.

Natali si mostrò molto lucido nel comprendere l’importanza decisiva del supporto dell’opinione pubblica per l’azione di Bruxelles in materia ambientale, soprattutto a fronte delle tante resistenze alle iniziative nazionali. Comprese cioè che Bruxelles po-teva fare significativi passi avanti in materia, disturbando corposi interessi consolida-ti, solo beneficiando di una spinta forte da parte dei media e dell’associazionismo civi-le. Poteva contare anche sulla complicità dei ministri nazionali dell’Ambiente. Egli ve-niva regolarmente in sala stampa a spiegare e divulgare le proposte della Commissio-ne. Era disponibile per la stampa durante le riunioni ministeriali. Incoraggiava l’invi-to a Bruxelles dei primi specialisti di questioni ambientali negli organi di informazio-ne. Promuoveva il dialogo regolare con i rappresentanti delle associazioni ambientali-ste, a volte coinvolgendosi personalmente. Non stupisce che i tecnici dell’ambiente di Bruxelles lo adottarono rapidamente come loro indispensabile leader.

La fine degli anni ‘70 è epoca dura per l’Italia. Alle difficoltà economiche si ag-giunge un terrorismo che insanguina come in nessun altro paese europeo. Nel marzo 1978 mentre partecipa ad una conferenza sull’ampliamento al Collège d’Europe di Bruges Natali è raggiunto dalla notizia del rapimento di Aldo Moro e dell’eccidio

della sua scorta. Nel lasciare precipitosamente il consesso accademico, dice sempli-cemente che è per l’Italia un momento drammatico. Ma, il paese ha più che mai biso-gno di Europa. È messaggio che ripeterà a fine mattinata a Bruxelles alla stampa in-ternazionale. Comincia un suo lavorio tra dirigenza italiana e vertici comunitari volti ad assicurare al paese la totale solidarietà europea. Si spende Natali, anche nei mesi successivi, per far valere all’opinione pubblica internazionale i successi che l’Italia ot-tiene nella lotta al terrorismo, nel rispetto assoluto della legalità democratica.

Egli è percepito come “uomo forte” della Commissione anche per la debolezza della Presidenza Jenkins. Il presidente è indebolito non solo dalle virulente critiche al-la sua gestione, ma anche dall’essere espressione di un paese, il Regno Unito, sempre più critico e passivo nei confronti della costruzione europea. Era logico che in seno al-la Commissione si formasse un gruppo ristretto di potere a supplire alle carenze del presidente. I media e gli ambienti diplomatici di Bruxelles vedono in Lorenzo Natali una delle eminenze grigie. Sarebbe lui al centro di un nocciolo duro di membri della Commissione (Davignon, Ortoli, Haferkamp e altri) che di fatto guidano le delibera-zioni della Commissione. La sua immagine ne esce rafforzata di conseguenza.

Lo è ancor più dal fatto che all’indomani della prima elezione diretta del Parlamento europeo nel giugno 1979 la Commissione lo nomina responsabile delle relazioni con lo stesso. È incarico non solo di grande prestigio, ma anche di notevole peso politico. Impli-ca che Natali diventa il tramite per le relazioni tra la Commissione e il nuovo autorevolis-simo Parlamento europeo. Diventa l’interlocutore privilegiato dei tanti leader europei che siedono a Strasburgo. Egli, malgrado le altre sue incombenze, cerca di essere presente as-siduamente durante le sessioni plenarie. Nell’atmosfera più informale delle riunioni parla-mentari, crescono altresì le occasioni di suoi contatti con giornalisti di vari paesi. Ogni tanto fa un giro nella sala stampa del Parlamento intrattenendosi con l’uno o l’altro sull’at-tualità dell’Aula. Le cene nei ristoranti alsaziani sono momenti di incontri più rilassati, co-sì come lo sono gli ultimi drink con collaboratori e giornalisti nel bar dell’hotel “Sofitel”.

L’Economist consolida nel 1980 questa immagine positiva di Natali con un profilo, molto lusinghiero, a lui dedicato in quanto uomo forte della Commissione. Era raro che il prestigioso settimanale londinese spendesse elogi verso rappresentanti delle Isti-tuzioni bruxellesi. Ancor più raro che personalità italiane figurassero tra i beneficiari del suo apprezzamento. Natali era presentato non solo come personalità di potere a Bruxelles, ma anche come propugnatore di una più stretta unione politica europea, che avrebbe dovuto includere anche una difesa comune. Nessuna notazione critica da parte del settimanale su questa ambizione, insensata per l’opinione pubblica anglosas-sone. Fu un profilo che egli apprezzò intensamente. A tal punto che lo fece tradurre immediatamente in italiano e lo inviò ai suoi collaboratori a Roma.

La prima metà degli anni ‘80 è periodo grigio dell’integrazione europea. Domina-to dall’intransigenza di Margaret Thatcher decisa ad ottenere un rimborso sul contri-buto britannico al bilancio europeo, esso non vede iniziative spettacolari. Alla

Com-sione politica necessaria a dare nuovo impulso alla costruzione europea.

Natali è confermato vicepresidente della Commissione con la responsabilità oltre che per l’ampliamento a Spagna e Portogallo, per la “politica globale mediterranea”.

Al posto dell’incarico per l’ambiente gli viene affidato il portafoglio della informazio-ne. Le sue energie si concentrano sull’ampliamento, mobilitandosi sul fronte del-l’opinione pubblica interna di certi paesi europei. È quanto sta dietro l’etichetta “po-litica globale mediterranea”. Crescono in Francia e in Italia i timori che l’adesione della molto dinamica Spagna significhi un pregiudizio forte per certe produzioni agricole mediterranee (vino, agrumi, olio, etc.) che sono di vitale importanza per l’economia di certe loro grandi regioni. Il rischio forte in Francia è che i rappresen-tanti di queste regioni in Parlamento facciano mancare il loro voto, indipendente-mente dal loro colore politico, al provvedimento di ratifica del futuro Trattato di adesione della Spagna. Bisogna quindi mettere in piedi un’iniziativa che copra l’in-sieme delle regioni mediterranee, a partire da quelle interne all’attuale Comunità.

D’accordo con le autorità di Parigi e di Roma Natali si mobilita, innanzitutto va-rando a Bruxelles un programma di aiuti alle regioni mediterranee della Comunità in previsione dell’adesione spagnola. È un pacchetto consistente di incoraggiamento al-la riconversione a produzioni agricole e allo sviluppo di altre attività. Natali si impe-gna personalmente a ”vendere” questo programma agli ambienti interessati e ad at-tenuare di conseguenza la loro ostilità all’ampliamento. Prende il giovedì sera l’aereo a Bruxelles per Tolosa, Bordeaux e Montpellier dove l’indomani spiega ad autorità locali e a rappresentanti di categorie produttive che la Comunità europea si preoccu-pa di loro e che non devono avere timori per l’adesione della Spreoccu-pagna. Sono riunioni in cui Natali, uomo politico della provincia del sud, risulta straordinariamente con-vincente. Non solo non ci sono contestazioni, ma è ascoltato attentamente. Lui stes-so sembra prendervi gusto. Si vede ad un certo punto costretto a rifiutare gli inviti pressanti delle autorità di Parigi a visitare i vari angoli del sud francese.

L’ampliamento mette sempre più in risalto le sfide politiche e istituzionali per la Comunità. Natali accentua nella sua comunicazione questa problematica. Insiste sem-pre più sulla necessità che la nascente Comunità a 12 si doti di istituzioni e di proce-dure di decisione rafforzate. Molto lo divide da Altiero Spinelli. Eppure egli si ritrova immediatamente al fianco di Spinelli quando questi lancia nel 1980 la sua al momen-to velleitaria iniziativa per un Trattamomen-to costituzionale sull’Unione europea. Non manca occasione, specialmente durante le sessioni di Strasburgo del Parlamento europeo, per appoggiare la iniziative spinelliane presso i suoi interlocutori politici e di stampa.

Natali il comunicatore non riesce invece ad appassionarsi alla sua nuova responsabi-lità per la gestione dell’informazione europea. Ha le sue idee in materia, ma è con

Natali il comunicatore non riesce invece ad appassionarsi alla sua nuova responsabi-lità per la gestione dell’informazione europea. Ha le sue idee in materia, ma è con