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Alcune considerazioni conclusive: l’egemonia dei giudici

DALLA “TIRANNIA DEI VALORI” ALLA TIRANNIA DEI GIUDICI NELL’ESEMPIO TEDESCO

5. Alcune considerazioni conclusive: l’egemonia dei giudici

La gerarchia di valori a cui si perviene attraverso la ‘metamorfosi’ dei diritti fondamentali, soggetta peraltro a continui mutamenti a seconda di opinabili valu-tazioni del giudice63, finisce non per esaltarne – come pure si sostiene ritenendoli così capaci di 'magnificare' decisamente il momento applicativo64 - ma per depo-tenziare il significato costituzionale dei diritti fondamentali65: questi vengono in-vero a caratterizzarsi per un forte grado di indeterminatezza, flessibilità e, conse-guentemente, cedevolezza66.

Con il processo di denormativizzazione del parametro costituzionale quale de-riva dalla trasposizione del piano delle norme al piano dei principi-valori, il rischio è che quel medesimo parametro possa essere ‘creato’ dallo stesso organo che inve-ce dovrebbe assicurarne l’esistenza e il rispetto67. Al contempo, la svalutazione della Costituzione, della “sua capacità di dire qualcosa”68 rispetto al caso concreto e

61 Cfr. Ronald Dworkin, Taking rights seriously, Harvard University Press, Cambridge, 1978, p. XI.

L’autore, evidenziando l’incapacità del giuspositivismo di tenere in reale considerazione l’effettiva pratica giudiziaria – di cui pone in particolare risalto l’esistenza di standards giuridici, ovvero i principi, che vanno oltre il diritto prodotto dalla statuizione - esalta la libertà del giudice che nel decidere i vari casi deve tenere come punto di riferimento le esigenze della comunità: in quest’ottica i diritti degli individui possono recedere per essere trasposti, secondo una logica utilitaristica, in "necessità" politiche della comunità.

62 Carlo Amirante, cit., p. 299.

63 Ha messo per primo in rilievo questo aspetto Carl Schmitt, “La tirannia dei valori”, Rass. Dir.

pubbl., 1970, p. 6

64 Cfr Peter Häberle, Veffarsung als öffentlicher Prozess, Duncker und Humblot, Berlin, 1978, p. 155.

65 Su questo profilo, in particolare nella giurisprudenza costituzionale italiana, v. Roberto Bin, Diritti e argomenti - Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale, Giuffrè, Milano, 1992, p. 4 e ss.

66 Sul punto, v. specificamente, Stenlio Mangiameli, “La ‘laicità’ dello Stato tra neutralizzazione del fattore religioso e ‘pluralismo confessionale e culturale’ (a proposito della sentenza che segna la fine del giuramento del teste nel processo civile)”, Dir. Soc., 1997, p. 27 ss.

67 Sul punto vedi anche Francesco Rimoli, “Costituzione rigida, potere di revisione e interpretazione per valori”, Giur. cost., 1992, p. 3777

68 Cfr. Roberto Bin, “Che cos’è la Costituzione”, Quad. cost., 2007, p. 27

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al conflitto che questo implica, porta lo stesso giudice costituzionale a eludere il prodotto della fase di intermediazione tra il momento della Costituzione e quello del caso concreto dato dall’atto normativo del legislatore ordinario69. Il giudice costituzionale con la sostituzione della tradizionale tecnica della 'sussuzione' con quella del bilanciamento giunge infatti ad adottare, pur non avendo il potere per farlo – essendo esso solo lo “strumento” per assicurare l'osservanza della Costitu-zione - una soluCostitu-zione ‘salomonica’ arbitraria70, arrogandosi una facoltà di decisione che si fonda sul riferimento a elementi che sono al di là non solo del testo ma dello stesso diritto. Queste entità assiologiche tanto invocate non sono così agevolmente individuabili a priori nell’ambito del diritto, apparendo peraltro l'uso del termine

‘valori’ improprio a più di qualche autore71 anche in relazione all'interpretazione. Il problema dei valori è così in primo luogo concettuale.

Mentre si può infatti molto chiaramente definire la norma giuridica in senso ampio come il significato di un insieme di enunciati che rendono obbligatorio, vietato o permesso un certo insieme di azioni, non altrettanto chiaro è invece che cosa potrebbe esattamente significare “valore” in un contesto giuridico, dato che il diritto, in via di principio, non dovrebbe essere altro che un insieme sistematico di norme: queste nel ‘modo’ in cui organizzano le azioni, preferendone una rispetta ad un’altra, implicano già un processo valutativo e procedono ad una valutazione.

I valori dunque non si trovano in quanto tali nell’ordinamento giuridico. Cosicché questi o vanno intesi come 'valori normativi', ossia come concetti o principi desu-mibili logicamente dal sistema normativo e volti a individuare gli elementi di fon-do caratterizzanti un sistema costituzionale e quindi sono un sinonimo di norma-principio, in tale ottica inutili 'cloni' dei principi costituzionali72. Oppure possono essere concepiti come 'parametri' precedenti al diritto positivo. In quest'ultimo caso allorché si fa cioè riferimento ai valori come qualcosa di diverso dalla norma, in definitiva al di fuori di questa, il fine sotteso a quest’operazione, in ambito giuridi-co, è però quello di cercar di promuovere atteggiamenti che non sono oggetto di permessi, obblighi o divieti per il diritto, attribuendo un ampio margine di discre-zionalità, nel caso concreto, ad un organo, quello della Corte costituzionale, non

69 Sulla ‘mediazione’ tra i casi concreti e i principi costituzionali segnata da atti imputabili a organi stabiliti dalla Costituzione e sul dissenso deciso con l’interpretazione della Costituzione per valori, ibidem, p. 30 e ss.

70 Jürgen Habermas, Faktizität und Geltung, Frankfurt, 1994, 316

71 Gaetano Azzariti, “Interpretazione e teoria dei valori: tornare alla costituzione”, L'interpretazione della legge alle soglie del XXI secolo, A. Palazzo (a cura di), Jovene, Napoli, 2001, p. 238 laddove sostiene che “solo la secolarizzazione del valore nel principio (…) rende questo utilizzabile dal giurista interprete della Costituzione”

72 In merito all’utilizzo dell’espressione “valori” e in particolare sui suoi due alternativi significati (come principi fondamentali dell’ordinamento, “formalizzati nella Costituzione perché patrimonio indisponibile” oppure con valenza di principi generali “non riducibile a regola definita, rilevante come tecnica di interpretazione più che per lo specifico suo contenuto”), v. anche Francesco Bilancia,

“Emergenza, interpretazione per valori e certezza del diritto”, Giur. Cost., 1993, p. 3036.

legittimato ad adottare decisioni politiche e ancor più, in un sistema che si fonda sul principio di democrazia, privo dei caratteri della rappresentatività. A tutto ciò si aggiunga che il principio di proporzionalità invocato dalla giurisprudenza, ma anche dalla dottrina non è affatto presente nella Costituzione italiana, come nean-che in quella tedesca o francese (l’unico caso in Europa, a quanto ci consta, è quello della Grecia).

Sono tanti dunque i punti di perplessità che l’introduzione di questa nuova

“tecnica ricostruttiva ed interpretativa della Costituzione”73 muove.

In primis quello riguardante l’oggettività del diritto.

Se questa 'univoca' tecnica ha l’indubbio pregio di immettere nell’ordinamento un’elevata dose di adattabilità degli interventi del giudice, ha però anche l’effetto

“boomerang” di minare gravemente la certezza del diritto74, trattandosi di inter-venti logicamente non prevedibili – giacché non scritti, né generali ed astratti, in-somma positivizzati - che si traducono in norme create ex novo discrezionalmente dal giudice costituzionale senza alcun collegamento semantico-sostanziale con la norma, vale a dire ben al di fuori e al di là di ogni riferimento testuale ad essa. La Corte costituzionale si tramuta così da garante ad arbitro della Costituzione, illegit-timamente restringendo e usurpando altri poteri sanciti dalla Costituzione75.

Con il riferimento poi ai "valori" che pure non possono trovare ‘concretizzazio-ne’ se non tramite norme, giacché queste norme - create in definitiva dal giudice a prescindere dal testo - non sono quelle della Costituzione, si perviene infine alla conseguenza che affermandosi che i valori inscritti nella Costituzione danno signi-ficato al testo al di fuori del signisigni-ficato dello stesso testo, in realtà si sta ragionando come se ci fossero due Costituzioni, quella del testo e un'altra nell’ "anticamera", una sorta di retro-costituzione76. Ne viene fuori una meta-Costituzione non scritta e niente affatto oggettiva – che va oltre alla distinzione tra costituzione formale e sostanziale - cui il giudice si riferisce direttamente77 così da ‘saltare’, si deve ribadi-re, la legge ordinaria, servendo i ‘valori’, piuttosto che a specificare il contenuto

73 Così Antonio Baldassare, “Costituzione e teoria dei valori”, Giornate in onore di angelo Falzea, Giuffrè, Milano, 1993.

74 Sul punto, con posizione fortemente critica, laddove si ritiene plausibile l’interpretazione applicativa dei valori materiali ma “con il limite invalicabile della Costituzione”, v. Francesco Bilancia, cit., p. 3040

75 Charles Fried, Two concept of interests: some reflections on the Supreme Court balacing text, Ha-ward law Review, 1963, p. 759

76 Cfr. Otto Pfersmann, “The only constitution and it's many enemies”, in: Andras Sajo, Renata Uitz (éd.), Constitutional Topography: Values and Constitutions, Eleven International Publishing, Utrecht 2010, pp. 45 e ss.

77 Sulla visione ‘totalizzante’ della Costituzione per la quale si pretende che tutto sia disciplinato da essa, v. Alessandro Pace, “Metodi interpretativi e costituzionalismo”, Quad. cost., 2001, p. 57 e ss. Quivi in particolare poi si veda l’attenta panoramica sui metodi adottati ai fini dell’interpretazione dei diritti fondamentali, dal metodo positivista a quello giuspositivista temperato sino alla teoria dei valori.

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delle norme costituzionali78 come poi tradotto nel dettato legislativo, a scavalcarne le prescrizioni tagliando fuori la stessa legge. Il che equivale a ‘rivoluzionare’ la competenza legislativa configurandola come una competenza governata da un principio – non costituzionale - che ne sancisce la minima capacità d'intervento e che quindi si pone come sua limitazione, quando non la escluda.

Per non dire infine che non esistendo nel campo dei principi un’unità di misura, non c’è qui una “moneta comune per rendere possibile un confronto tra principi”79. L'apertura del sistema dei diritti fondamentali alla società e ai 'valori' di cui questa sarebbe portatrice sconta insomma un prezzo decisamente elevato: quello di vedere posti sul piatto della bilancia diritti pure ritenuti sino a poco tempo fa quasi intoccabili – come il diritto alla libertà personale e alla salute – ben potendo poi pendere quella stessa bilancia, in maniera imprevedibile e discrezionale, soprattut-to nelle fasi di crisi – di ristrutturazione economica ma anche del diritsoprattut-to - a favore di interessi contingenti e pure squisitamente economici. Perché nell’era della libe-ralizzazione dell’economia e della competizione selvaggia tutto ha un costo, specie i diritti fondamentali80 e quindi tutto è valutabile, ponderabile e mercificabile anche l'incommensurabile come i diritti, poco importa poi non si tratti di beni materiali o servizi ma di semplici ideali positivizzati.

78 Sul ruolo dei valori come mezzo che indagando la realtà sociale può aiutare a puntualizzare il contenuto delle norme costituzionali ma non a superarne le prescrizioni, v. Alessandro Pace, “Diritti fondamentali al di là della Costituzione”, Pol. dir., 1/1993, p. 6 e ss.

79 Thomas Alexander Aleinikoff, “Constitutional Law inthe Age of Balancing”, Yale Law Journal 96, 1987, p. 973

80 In merito, S. HOLMES – C. R. SUNSTAIN, Il costo dei diritti. Perché la libertà dipende dalle tasse, tr. it., Bologna, 2000.

LAURA MONTANARI

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