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Come è noto, si fa, infatti, risalire ad Erodoto la prima suggestione – divenuta poi col tempo una sorta di stereotipo culturale – della divisione fra un Occidente

culla della democrazia e sede naturale di sviluppo delle libertà individuali ed un Oriente teatro dei più opachi regimi dispotici. Secondo L. Canfora17, questo stereo-tipo avrebbe funzionato come “mito fondatore della democrazia ateniese”, aval-lando – nel momento in cui la Grecia vinceva la seconda guerra persiana – “il mito manicheo per cui a Oriente, cioè in Persia, sono tutti schiavi, tranne il Gran Re, mentre in Occidente, e cioè ad Atene e nelle città sue alleate, gli uomini sono liberi ed eguali, e si afferma e comanda chi vale di più”18.

In prosieguo di tempo, una nuova ondata volta a rafforzare queste linee di in-terpretazione dei rapporti tra Oriente e Occidente si è avuta nel 1800 quando un pensatore, campione del liberalismo, come John Stuart Mill si è spinto a sostenere che, ai fini delle vicende storiche britanniche, la vittoria dei Greci sui Persiani nella celeberrima battaglia di Maratona dovesse considerarsi più importante della batta-glia di Hastings19, volendosi cosi sottolineare come la salvaguardia della libertà e della democrazia occidentale si fondasse innanzitutto sulla sconfitta del dispotismo orientale.

Lo stereotipo poi era ed è cosi radicato da aver superato anche l’epopea di Ales-sandro Magno il quale, unificando sotto il proprio controllo terre di Oriente e di

15 Sia consentito questo rinvio a Pasquale Ciriello, “Bioetica e società multiculturale”, in Lorenzo Chieffi (a cura di), Il multiculturalismo nel dibattito bioetico, 2005, p. 38. Sul punto v. anche Alessandra Facchi, cit., p. 140ss.

16 Secondo la notissima opera di Samuel Huntington dove a pag. 5, dell’ediz. Italiana si legge: “la politica mondiale sta entrando in una nuova fase e gli intellettuali non hanno esitato a offrire visioni di ciò che sarà. La mia ipotesi è che la fonte di conflitto fondamentale non sarà sostanzialmente né ideolo-gica, né economica. Le grandi divisioni dell’umanità saranno legate alla cultura”. Proprio sul punto Fred Dallmayr, cit.,p. 59 ha osservato come la ricostruzione di Huntington rispecchi una visione legata al vecchio ‘sistema westfaliano’, a sua volta fondato sull’idea che la politica internazionale si riduca ad una spietata per il potere plasmata sul modello amico/nemico.

17 Intervista sul potere, a cura di Antonio Carioti, Laterza, Bari, 2013, p. 70ss.

18 Ibidem.

19 V. anche luogo ult. cit. La battaglia di Hastings ebbe luogo il 14/10/1066 ed ebbe, come noto, quale protagonista Guglielmo il Conquistatore.

Occidente ed avviando la civiltà ellenistica, tipico esempio di connubio Est/Ovest20, avrebbe dovuto – in teoria – rappresentare l’unificazione del mondo antico e inne-scare una nuova lettura dei rapporti fra queste aree territoriali.

Venendo all’oggi, il tema della tutela dei diritti umani è venuto inevitabilmente calandosi nel quadro più generale della rinascita di un islamismo militante, pronto a sostenere – anche con la forza, nelle sue frange più estreme – i valori del Corano, la sovraordinazione della Sharia dinanzi a qualsiasi forma di ordinamento codifica-to dagli uomini.

In questa fase siamo pienamente immersi e, dunque, la domanda che si pone è come sostenere la battaglia dei diritti umani in questo nuovo scenario.

Realisticamente, credo che si debba muovere dall’accettazione di alcuni dati di fatto (o, se si vuole, di alcune circostanze che a me paiono presentarsi come dati di fatto). Anche qui, mi limito a menzionarne soltanto un paio.

Anzitutto, occorre prendere atto del diverso ruolo che alla persona umana viene riconosciuto all’interno di queste differenti realtà culturali e politiche. Infatti, a fronte di un individualismo sempre più intenso venutosi ad affermare in Occidente specie a seguito dell’indebolimento (e del crollo) di molti corpi intermedi che, da sempre, avevano funto da collante, da lubrificante dei rapporti tra singoli e poteri pubblici, si riscontra ancora nei Paesi islamici una palese subordinazione dell’interesse individuale a quello del clan di appartenenza, della famiglia, della società intera, in una logica comunitaristica oggi da noi quasi abbandonata. Ciò che, come noto, ha posto dei problemi (specie in alcune realtà economicamente più arretrate cosi dell’Africa come dell’Asia) per la stessa affermazione della nozione di Stato, vista la rottura di certi sistemi di relazione che essa imponeva, pur non avendo – nell’immediato – meccanismi alternativi per sostituirli21: problemi questi che, a maggior ragione, si riflettono sull’individuazione della miglior strategia da seguire in funzione di un’efficace garanzia dei diritti umani.

In secondo luogo, occorrerebbe abbandonare al più presto il pregiudizio secon-do cui l’Occidente – e solo l’Occidente – si muoverebbe, nei suoi rapporti con que-ste differenti civiltà, in difesa di valori alti e nobili, di ideali comunque non com-mensurabili con quelli espressi da altre culture. Possiamo, ad esempio, sostenere davvero che, terminata la guerra fredda e avviatasi almeno in parte la scomposi-zione del quadro mediorientale originato dal secondo conflitto mondiale, le politi-che dell’Occidente verso quell’area siano state sempre ispirate a parametri cosi

20 Intervista sul potere, cit., p.76

21 Sul punto, cfr. anche le osservazioni di Giuseppe Cataldi.,cit., il quale (p. 20) osserva altresì come

“le élites di molti Paesi africani hanno avuto facile gioco nello strutturare l’ordinamento interno secondo il modello dello Stato sovrano, senza però quel bilanciamento offerto, nei Paesi occidentali, del sistema interno ed internazionale di tutela dei diritti individuali. I conflitti etnici, le guerre civili che contraddi-stinguono l’epoca attuale trovano la loro causa anche in questa situazione”.

Società globalizzata e diritti umani: una convivenza difficile? 25

illuminati? In un suo recente intervento, Vittorio Emanuele Parsi22, passando rapi-damente in rassegna alcuni eventi particolarmente significativi (crisi di Algeria 1991, rivolta di Gaza nel 2006) e ponendo ben in evidenza le reali motivazioni delle nostre politiche (paura che un governo del FIS avrebbe messo in discussione i vitali contratti di idrocarburi già stipulati col regime precedente; preoccupazione che un governo palestinese islamista avrebbe contribuito a far franare la fragile architettu-ra della presenza U.S.A. in Medio Oriente basata sulla centarchitettu-ralità degli accordi di Camp David etc.), cosi icasticamente conclude: “L’atteggiamento americano e oc-cidentale verso l’islamismo politico, cosi incoerente ed ondivago alla luce dei ‘valo-ri’, diventa invece ben più coerente, se letto, tradizionalmente, in termini di inte-ressi”23.

A ben vedere, e con tutte le precauzioni che la delicatezza della materia impone, il tema di fondo sembra essere quello – anch’esso largamente risalente nel tempo – della compatibilità fra democrazia (occidentale) e composito pianeta dell’Islam.

Tema che rimanda ad una ‘rottura’ che non può essere trascurata.

Si vuol dire, cioè, che, nei rapporti tra religione e politica, mentre in Occidente si è compiuto, sia pur tra innumerevoli sussulti e travagli, un percorso di separa-zione all’insegna del “dare a Cesare quel che è di Cesare…”24, nei Paesi islamici tutto questo non c’è stato. In queste aree territoriali l’interpretazione del Corano si è sostanzialmente fermata all’XI secolo, ponendo le basi per un conflitto tra reli-gione e processi di modernizzazione che è ben lungi dall’essere risolto.

È stato, infatti, osservato25 che “la teoria politica islamista rifiuta il concetto di democrazia… (perché) secondo Mawdudi – ma tutti i teorici islamisti concordano su questo punto – l’Islam è la vera antitesi della democrazia occidentale… (la qua-le) mette in discussione la sovranità divina contrapponendovi l’idea di sovranità popolare… minaccia poi l’unità della comunità musulmana… (giacchè) l’indivi-dualismo vanifica lo stesso principio costitutivo della umma fondata sull’unità dei credenti”.

Sono considerazioni che, a ben vedere, evidenziano come, accanto a preoccupa-zioni di natura religiosa, affiorano timori non meno importanti sugli effetti sociali che il diffondersi della democrazia potrebbe produrre: possibile crisi di

22 “Gli interessi e l’ipocrisia dei valori”, Il sole 24 ore, 18/8/2013.

23 Ibid.

24 Non si può, su questo tema, non fare un sia pur fuggevole accenno alla posizione recentemente assunta da Papa Francesco e sintetizzata nella lettera inviata a La Repubblica del 12/9/2013 in risposta ad alcun quesiti sollevati da Eugenio Scalfari. In questa lettera – che, secondo alcuni analisti, sarebbe anda-ta oltre i risulanda-tati del Concilio Vaticano II – il Papa osserva tra l’altro: “la fede cristiana, la cui incidenza sulla vita dell’uomo è stata espressa attraverso il simbolo della luce, spesso fu bollata come il buio della superstizione. Così tra la Chiesa da una parte e la cultura moderna dall’altra, si è giunti all’incomunicabilità. Ma è venuto ormai il tempo – e il Vaticano II ne ha aperto la stagione – d’un dialo-go senza preconcetti che riapra le porte per un serio e fecondo incontro”.

25 Renzo Guolo, L’Islam è compatibile con la democrazia?, Laterza, Bari, 2004, p. 57ss.

un’architettura sociale fondata prevalentemente su valori comunitari in favore di un’altra ispirata a modelli individualistici. Sullo sfondo, infine, si staglia ben visibi-le anche un effetto di reazione per il mancato accesso di queste popolazioni ad una modernità forse in parte anche anelata, sicchè “il rifiuto verso l’Occidente diventa uno strumento di riscatto collettivo”26.

Quanto sopra aiuta a spiegare – al di là degli errori di fondo, su cui non è qui possi-bile soffermarsi – quante difficoltà abbiano incontrato le politiche incentrate sul tentati-vo di ‘esportare la democrazia’27 anche attraverso il ricorso all’uso della forza.

Riservando alle conclusioni qualche considerazione su come coltivare una stra-tegia di diffusione e di tutela dei diritti umani all’interno di scenari cosi articolati, basti qui osservare che qualsiasi tentativo di eccessiva semplificazione nell’approc-cio a questi temi – secondo uno schema bianco/nero, per cui o si riesce ad instaura-re in questi Paesi una vera democrazia liberale, oppuinstaura-re tanto vale non farne niente – è una mera velleità destinata ad un inesorabile fallimento28. Solo un approccio gradualistico, che aiuti le società islamiche a superare certi snodi fondamentali – per esempio, in materia di rapporti tra religione e diritto, di relazioni fra i sessi, o di rispetto dell’identità di ciascun individuo – può essere foriero di sviluppi positi-vi, che sarebbero peraltro particolarmente importanti al fine di delineare un qua-dro più rasserenato delle relazioni internazionali, cancellando l’incubo – in realtà sempre incombente – dello “scontro di civiltà”29.

5. Avviandoci a conclusione, non possiamo non soffermarci su di un episodio

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