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Il principio di proporzionalità tra giudici europei e potere ‘creativo’

DALLA “TIRANNIA DEI VALORI” ALLA TIRANNIA DEI GIUDICI NELL’ESEMPIO TEDESCO

2. Il principio di proporzionalità tra giudici europei e potere ‘creativo’

Come si diceva, il legislatore può restringere la sfera dell’autonomia privata spostando il limite, in maniera più o meno significativa, a favore della confinante sfera dei poteri pubblici; i diritti fondamentali possono così recedere di fronte ad un interesse generale elevato dalla legge a interesse ‘superiore’. Introdotte dap-principio, agli inizi del secolo scorso, ai soli fini di pubblica sicurezza, oggi le nor-me recanti tali restrizioni possono riguardare non più soltanto il diritto di polizia bensì l’intera sfera d’azione della pubblica amministrazione.

Non sempre così pacifico è, però, nella pratica questo processo limitativo.

La norma recante un diritto fondamentale può entrare in conflitto con un altro disposto normativo proprio a causa della restrizione imposta da quest’ultimo al diritto fondamentale in nome delle acclamate esigenze pubbliche. In tal caso la soluzione oggi più utilizzata chiama in causa il principio di proporzionalità. Tale principio, implicante un conflitto tra norme di pari rango, impone al giudice l’osservanza di una sorta di ‘struttura analitica’12 al fine della risoluzione del con-flitto tra diritto fondamentale e interesse collettivo. Il giudizio c.d. di bilanciamento di interessi che infine ne deriva si fonda così sulla necessaria valutazione di ele-menti rispondenti a domande volte a chiarire: in primo luogo, se la limitazione prevista dalla norma persegua uno ‘scopo legittimo’ ovvero se le misure richieste, nel conseguire lo scopo, siano ‘idonee’ (si verifica, cioè, se il legislatore è legittima-to ad adottare la misura al fine di perseguire l’interesse collettivo e se i mezzi adot-tati sono razionalmente connessi agli obiettivi politici dichiarati13); poi se le misure siano ‘necessarie’, nel senso di non esser disponibile un altro mezzo egualmente efficace ma con effetti meno incisivi nella sfera del singolo; infine se queste misure siano ‘proporzionate’ in senso stretto rispetto alle esigenze pubbliche fatte valere dal legislatore, o meglio, se considerate tutte le condizioni qui invocate la limita-zione del diritto fondamentale risulti giustificata dalla esigenze ritenute superiori dalla norma14.

Introdotto a livello europeo innanzitutto dalla giurisprudenza della Corte di giustizia – con una prima sentenza del 1956 sia pure non menzionandolo espres-samente15 - e in seguito anche dalle norme del diritto europeo con il Trattato di

12 Cfr. Mattias Kumm, “Constitutional Rights as Principles: On the Structure and Domain of Consti-tutional Justice”, 2 INT’L J. CONST. L., 2004, p. 574, 579.

13 Sull’opportunità di considerare queste condizioni come due momenti distinti da valutare, v. Alec Stone Sweet – Jud Mathews, “Proportionality balancing and global costitutionalism”, Columbia Journal of Transnational Law 47, 74 (2008).

14 Cfr. Otto Pfersmann, “Les droits fondamentaux comme normes de degré supérieur” , in Louis Fa-voreu et al.., Droit des libertés fondamentales, cit., p. 50 e ss.

15 Cort. giust., 16.7.1956, in C-8/55, Fédération Charbonnière, in Racc., 1955-56, 199 ss. Il caso esami-nato verte su un atto dell’Alta Autorità CECA con cui erano stati fissati d’imperio i prezzi dei prodotti carboniferi: la Corte di giustizia in questa ipotesi giudicò non necessaria la misura adottata laddove, pur

Maastricht del 1992 (tuttavia quivi enunciato come elemento di ponderazione delle attività delle sole istituzioni comunitarie), oggi il principio di proporzionalità è ben presente e consolidato nel diritto dell’UE configurandosi come norma generale e sovra-ordinata. È invero citato dal Trattato, nella versione attualmente vigente, in più punti - come ad esempio agli artt. 12, lett. b e 69 TUE nonché all’art. 5 con una formula generale16 - in relazione ai poteri conferiti alle autorità non solo europee ma anche nazionali e continua ad essere invocato dai giudici di Lussemburgo come strumento fondamentale del controllo giurisdizionale. Attraverso la giurispruden-za europea il principio di proporzionalità è, infine, pervenuto nel diritto nazionale di vari Paesi europei, permeandone gli ordinamenti.

Questo principio, ad onore della verità, non è stato introdotto ex novo dai giudi-ci UE, pur essendo stato sviluppato soprattutto da questi: fu infatti importato, gra-zie al metodo della comparazione giuridica17, dal diritto tedesco18 che per primo lo ha elaborato. Poco noto, quando addirittura niente affatto conosciuto alle altre tradizioni giuridiche come la nostra, si tratta invero di un principio originariamen-te presenoriginariamen-te nel solo ordinamento giuridico originariamen-tedesco non riferendosi affatto il meto-do della comparazione - ameto-dottato dalla Corte europea al fine di desumere i principi generali dell’ordinamento allora comunitario (oggi europeo) - ai diversi sistemi giuridici facenti capi ai sei originari Stati fondatori della Comunità europea o per-lomeno alla maggior parte di essi. A questa preferenza metodologica, operata an-che in qualan-che altro caso, si aggiungono peraltro pure quelle, adottate con più

senza appellarsi espressamente al principio di proporzionalità, ritenne che l’Autorità avrebbe dovuto propendere, tra i vari mezzi idonei a conseguire lo scopo prefissato, a favore di quello meno invasivo e pregiudizievole per il privato.

16 In particolare al punto 4 ove si prevede che “in virtù del principio di proporzionalità il contenuto e la forma dell'azione dell'Unione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati”.

17 Esemplare nel senso del metodo della comparazione tuttavia dei diversi sistemi giuridici degli Stati membri – e non solo di alcuni o addirittura di uno soltanto - è la sentenza della Corte di giustizia nota come ‘Algera’ con cui la Corte nel risolvere il problema della revocabilità di un atto amministrativo tardivamente valutato come illegittimo, in mancanza di disposizioni specifiche al riguardo, fa richiamo al principio del legittimo affidamento giacché da “un esame di diritto comparato risulta che nei sei Stati membri un atto amministrativo creatore di diritti soggettivi non può, in linea di principio, venir revoca-to ove si tratti di atrevoca-to legittimo; darevoca-to che in tal caso l’atrevoca-to in parola fa sorgere un diritrevoca-to soggettivo, la necessità di salvaguardare il principio della certezza del diritto deve prevalere sull’interesse che l’Amministrazione potrebbe avere a revocare la decisione in parola”. Corte di giustizia, sentenza del 12 luglio 1957, Algera, C-7/56 e 3-7/57. In dottrina su tale tecnica e la sua scarsa applicazione – preferendosi comparazioni di pochi o persino di un solo ordinamento giuridico – v. Adelina Adinolfi, “I principi generali nella giurisprudenza comunitaria e la loro influenza sugli ordinamenti degli Stati membri”, Riv. it. dir. pubbl. com., 1994, p. 540.

18 In tal senso, vedi tra tutti, Diana Urania Galetta. Principio di proporzionalità e sindacato giurisdiziona-le nel diritto amministrativo, Giuffré, Milano, 1998, p. 11 e ss.. Id., “Il principio di proporzionalità comuni-tario e il suo effetto di “spill over” negli ordinamenti nazionali”, Nuove Aut., 2005, p. 541 ss.

Diritti fondamentali e principio di proporzionalità … 37

quenza, della comparazione sintetica19 nonché dell’acquisizione di principi tratti soltanto da ‘alcuni’ degli ordinamenti giuridici nazionali, se non addirittura da ordinamenti di Stati non membri.

La scelta metodologica ha un logico riverbero sul processo di elaborazione dello

‘strumentario interpretativo’ della Corte per come avviato sin dall’inizio dalla giu-risprudenza europea, sottendendo un’intenzione diversa da quella proclamata.

Optando per il metodo della comparazione di pochi quando non di un solo ordi-namento da cui dedurre principi generali ‘flessibili’, come quello considerato – votati come sono questi, stante appunto la loro valenza interpretativa nei casi con-creti, a integrare il diritto nell’ipotesi di assenza di disposizioni specifiche ma an-che a costruire il sistema giuridico europeo nell’individuazione dei suoi caratteri essenziali - è evidente che l’intenzione della Corte non si mostra affatto quella di conseguire un ‘diritto comune’: i “principi generali comuni ai diritti degli Stati membri” cui ispirarsi nella determinazione dei principi generali dell’ordinamento europeo non sono insomma da identificarsi, nella visione della Corte di giustizia che pure ha invocato tale formula, con quelli effettivamente ‘condivisi’ da tutti gli ordinamenti nazionali. Questi sono invece ‘scelti’ dalla stessa Corte purché principi idonei, secondo la logica della “integrazione selettiva”20, a conseguire poi, nel caso concreto, la soluzione più ‘progressista’ o ‘funzionale’ , alla luce e in virtù delle finalità del Trattato. Si selezionano, cioè, quei principi che nel mostrarsi più idonei a conseguire gli obiettivi del Trattato, sono anche maggiormente in grado di agevo-lare il processo dinamico di integrazione del sistema giuridico europeo.

Palese qui l’obiettivo: non certo quello di conseguire realmente l’integrazione dei diversi ordinamenti giuridici - obiettivo divenuto poi quasi impossibile da per-seguire con l’allargamento dell’Unione a molteplici paesi con tradizioni giuridiche decisamente diverse - ma di ‘creare’ un diritto specifico, super partes e talora anche

‘estraneo’ alle tradizioni di molti paesi membri, purché rispondente e funzionale agli scopi del Trattato.

19 Nel senso di un richiamo generico agli ordinamenti giuridici degli Stati membri, v., ad esempio, Corte di giustizia, sentenza del 21 settembre 1989, Hoechst, C-46/87 e 227/88. Chiamata a decidere, in particolare, sul riconoscimento nell'ordinamento giuridico comunitario del diritto all'inviolabilità del domicilio delle persone fisiche e della sua eventuale estensione alle persone giuridiche, la Corte ha finito col riconoscere tale diritto per quanto attiene solo al domicilio privato ma non anche alle imprese.

A fronte dell'analisi comparativa effettuata dall'Avvocato generale – laddove si evidenziava che, “se la tutela del domicilio privato poteva dirsi estesa ai locali delle imprese commerciali negli ordinamenti tedesco, danese, spagnolo, francese, inglese ed italiano, al contrario della Grecia, Irlanda ed Olanda, non apparendo infine chiara la questione in Belgio, Portogallo e Lussemburgo” - i giudici si limitano a con-cludere, escludendo l’estensione alle persone giuridiche pure auspicata dall’Avvocato generale, che contro tale possibilità osta la considerazione che "i sistemi giuridici degli Stati membri presentano diffe-renze non trascurabili quanto alla natura e alla misura della tutela dei locali commerciali nei confronti degli interventi delle pubbliche autorità".

20 Su questa tecnica, v. Pieralberto Mengozzi, “Il diritto comunitario e dell'Unione europea”, Trattato di diritto commerciale e diritto pubblico dell'economia, vol. XV, Padova, 1997, p. 260 ss.

Già ab initio si profila chiaro il ruolo decisamente discrezionale che il giudice europeo viene ad assumere. Il suo potere piuttosto ‘creativo’, nel costruire l’impianto del diritto europeo, emerge con sempre più evidenza per poi diffonder-si, in forza della primazia del diritto dell'Unione, in tutti gli ordinamenti degli Stati membri in cui i principi dallo stesso individuati dovranno trovare applicazione, indipendentemente che si tratti di un sistema di common law o di civil law, questi ultimi ritrovandosi all’opposto sempre più uniformati tra loro e con il modello europeo21.

In quest’ottica non desta perciò perplessità neanche il fatto che il principio di proporzionalità, pur traendo origini dal diritto germanico, nell’impiego che ne fa la giurisprudenza europea, finisca col discostarsi a tal punto dal modello tedesco sotto più aspetti, come meglio si vedrà, da assumere caratteristiche proprie e ac-quisire piena autonomia22.

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