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I diritti fondamentali: dalla affermazione alla restrizione della misura di tutela

DALLA “TIRANNIA DEI VALORI” ALLA TIRANNIA DEI GIUDICI NELL’ESEMPIO TEDESCO

1. I diritti fondamentali: dalla affermazione alla restrizione della misura di tutela

Nell’era della globalizzazione volta a ‘pesare’ e commisurare qualunque inte-resse ed esigenza, i diritti fondamentali sono ancora conquiste ottenute dal popolo quali baluardi di difesa dell’individuo rispetto all’ingerenza del potere pubblico come erano in origine?

Concepiti come limitazione necessaria del potere politico d’imperium già a parti-re dal Medioevo1 – sia pure allora attribuiti agli individui soltanto in conseguenza dell’appartenenza o meno ad un ceto - i diritti fondamentali sono in effetti il risul-tato di una conquista nonché l’esito di un processo politico2 che vede il suo culmi-ne, sul finire del settecento, con l’affermazione dei diritti, riconosciuti a qualunque soggetto3, contro la supremazia dello Stato. In particolare, è nel ben noto testo della Rivoluzione francese, la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, che emerge la concezione giusnaturalistica dei diritti dell’uomo, assegnati come tali, ossia per natura, a chiunque (art. 1)4 ed eccezionalmente limitabili soltanto dalla legge, dovendosi nei suoi limiti muovere la stessa attività dei giudici (art. 5)5. Qui, sottesa alla volontà di riservare la definizione e la disciplina delle limitazioni della sfera di libertà individuali al solo atto del Parlamento, è chiaramente una

1 In tal senso, Maurizio Fioravanti,Appunti di storia delle Costituzioni moderne. Le libertà fondamentali, Giappichelli, Torino,1995, p. 23.

2 Così, Guy Scoffoni,“L’émergence et l’affirmation des droits de l’homme” , in Louis Favoreu et al.., Droit des libertés fondamentales, Dalloz, Paris, 2009, p. 17 e ss.

3 Sulla ricostruzione, nella sua evoluzione, della nozione di diritti fondamentali e, in particolare, secondo una “nozione storicistica”, una nozione “individualistica” e una nozione “statualistica”, v.

Paolo Caretti,I diritti fondamentali. Libertà e diritti sociali, Giappichelli, Torino, 2002, p. 3 e ss.

4 “Gli uomini nascono e rimangono liberi ed uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune”.

5 “La legge ha il diritto di vietare solo le azioni nocive alla società. Tutto ciò che non viene vietato dalla legge non può essere impedito e nessuno può essere costretto a fare ciò che essa non ordina”.

funzione di garanzia, essendo la legge intesa come strumento di mediazione della sovranità popolare. Tradotta oggi, in tutte le vigenti Costituzioni europee del do-poguerra, nell’istituto della riserva di legge, questa garanzia deve essere attuata nel rispetto della Costituzione, quest'ultima a sua volta tutelata da un organo apposi-tamente creato a tal fine, la Corte costituzionale.

È in quest’ottica che i diritti fondamentali, come si accennava, implicando in origine un ‘limite’ rispetto all’onnipotenza del potere statale, hanno tradizional-mente l’obiettivo primario di proteggere il cittadino ‘contro’ lo Stato; postulano cioè un comportamento negativo, un’astensione dal fare, ovvero la non ingerenza dei poteri pubblici nella sfera delle libertà dei singoli. Si è parlato in tal senso di

‘competenza negativa’ dello Stato, secondo una visione propria innanzitutto dello Stato liberale di diritto, a differenza delle nuove forme di tutela delle libertà attiva-te in particolare con lo ‘stato sociale’ affermatosi nell’immediato secondo dopo-guerra: queste forme trovano espressione nei ‘diritti sociali’ e, corrispondendo a prestazioni positive, vedono una ‘competenza attiva’ dello Stato, giacché per essere effettivamente garantite, richiedono un suo intervento.

Tuttavia da diverso tempo, e qui si ritorna al quesito iniziale per darvi una pri-ma seppure sompri-maria risposta, è in atto un cambiamento riguardante la sfera d’azione del legislatore nonché dei giudici in merito ai diritti fondamentali, cam-biamento talmente radicale da finire con il mettere in seria discussione non solo il modello di tutela dei diritti fondamentali ma la loro stessa concezione e nozione.

Nelle attuali esperienze statuali si assiste a una totale trasformazione della competenza dello Stato che da negativa va mutandosi in positiva, “addirittura in un compito, cioè nel dovere di intervenire”6, in alcuni casi persino senza alcuna limitazione laddove si invoca il diritto alla sicurezza-prevenzione. In questa ipotesi lo Stato ‘giocando in anticipo’ giacché reagisce in via preventiva contro un rischio solo eventuale, contro una mera pericolosità sociale dell’individuo (senza effettivi e reali elementi di prova a suo carico, si pensi in proposito ai provvedimenti adottati, dopo gli eventi dell’11 settembre 2001, ai fini della c.d. guerra al terrorismo), finisce col minare la certezza del diritto7 al contempo erodendo progressivamente la sfera di libertà del singolo. Questa tendenza trova espressione nel passaggio da una

6 Così, Erhard Denninger, Diritti dell’uomo e legge fondamentale, in Carlo Amirante (a cura di), Giappichelli, Torino, 1998, p. 90.

7 Ibidem. L’autore riporta, in particolare, un caso posto all’attenzione del Tribunale Costituzionale Federale il 16 ottobre 1977 laddove si trattava di dover decidere se il governo federale era tenuto a subire il ricatto di alcuni terroristi per salvare la vita di un ostaggio che minacciavano di giustiziare: di fronte all’appello del figlio al diritto alla vita e all’eguaglianza, giacché in un altro caso analogo il governo aveva ceduto alle istanze terroristiche, il Tribunale respinse l’istanza ritenendo che ogni governo è responsabile delle scelte da effettuare e che la determinazione dei mezzi necessari non può essere devoluta alla solo costituzione “perché altrimenti la reazione dello stato fin da principio diventerebbe calcolabile per i terroristi. Questo renderebbe impossibile allo stato una protezione efficace dei suoi cittadini”.

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strategia istituzionale di astensione a una logica di interventismo statale, spesso illimitato, proclive a spostare la linea di demarcazione che corre tra la sfera di azione degli individui e l’area di intervento dell’autorità pubblica a favore di quest’ultima: in quest’ottica è ben evidente la possibile e grave lesione che i diritti fondamentali possono subire, sottoposti a sempre più forti restrizioni sino ad arri-vare in taluni casi al limite della loro negazione, pur continuando a essere formal-mente inscritti in testi costituzionali.

Questo lavoro intende così porre in evidenza come, di fronte a taluni interventi del legislatore volti a disciplinare i diritti fondamentali tuttavia sostanzialmente al fine di svuotarli di contenuto piuttosto che per assicurarne un esercizio quanto più ampio possibile attraverso la migliore definizione dei confini già tracciati dai prin-cipi della Costituzione (nella cui osservanza la stessa legge, trattandosi di una fonte subordinata, deve agire), i giudici tendano ad assumere una duplice posizione: o finiscono, nella maggioranza dei casi, col suffragare gli ‘abusi’ del legislatore ri-spetto alle solenni affermazioni costituzionali, avendo forgiato a tal fine una teoria apposita, quella c.d. dei valori, su cui fondare il ‘bilanciamento’ degli interessi con-trapposti (tuttavia giungendo talora a oltrepassare lo stesso dettato legislativo).

Oppure, all’opposto, meno di frequente in questa fase storica, cercano di spostare la linea di confine tracciata tra autorità e libertà a vantaggio della libertà grazie al ricorso a clausole generali quali il principio di proporzionalità – che pure vede infine un operazione di bilanciamento – in tale ottica individuato da qualcuno co-me un principio che imporrebbe allo Stato un “obbligo di moderazione”8. Non restano tuttavia escluse anche in questo caso le ipotesi in cui si ammette la predo-minanza degli interventi pubblici. Un esempio in questo senso, relativo anche alla tendenza ‘protettiva-preventiva’ attuata in nome di una sicurezza pubblica che si traduce in realtà in controlimite dei diritti fondamentali, è la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 2001 che ha decretato, anche in virtù del principio di proporzionalità, la recessione del diritto di associazione politica a fronte della sicurezza nazionale9.

8 Michel Fromont, “République fédérale d’Allemagne: l’Etat de droit“, Revue droit publ., 1984, p.

1213.

9 Sentenza Corte europea dei diritti dell’uomo, 31 luglio 2001, Affaire Refah Partisi (Parti de la pros-périté) et autres c. Turquie (Requêtes n. 41340/98, 41342/98, 41343/98, 41344/98). Con questa pronuncia la Corte ha in definitiva respinto i ricorsi presentati dal partito politico Refah (del benessere) e da alcuni suoi esponenti contro la Repubblica Turca che ne aveva disposto lo scioglimento, non ravvisando nella fattispecie in esame un’ipotesi di violazione degli artt. 9, 10, 11, 14, 17 e 18 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e degli artt. 1 e 3 del Protocollo n. 1. In particolare della Convenzione la Corte ha richiamato l’art. 11, comma 2, ritenendo che le restrizioni predisposte dal potere pubblico turco all’esercizio dei diritti tutelati dalla stessa Convenzione costituissero «misure necessarie, in una società democratica, per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, la difesa dell’ordine e la prevenzione dei disordini e dei reati, per la protezione della salute e della morale o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui» e dunque “répondaient à un besoin social impérieux et étaient proportionnées au but légi-time poursuivi”.

Quello che infine si evidenzierà è che, in entrambi i casi, il giudice, in particola-re quello costituzionale (sia esso nazionale o sovranazionale), attraverso strumenti elaborati ad hoc, giunge ad arrogarsi un potere che costituzionalmente non gli spet-ta. Piuttosto che esercitare una funzione interpretativa della legge sembra assume-re tutt’altro ruolo che quello giudicante, appropriandosi di una funzione di tipo propriamente legislativa. In altre parole, la tendenza in atto quasi ovunque10, per la verità giunta quasi ad esaurimento quanto all’approdo finale, è quella dell’auto-attribuzione da parte dei giudici di una competenza che va ben oltre quella previ-sta dalle Costituzioni contemporanee: se in questi testi i giudici sono individuati come organi preposti ad assicurare il ‘rispetto’ del dettato legislativo - laddove ovviamente quest’ultimo si ponga in ossequio ai principi costituzionali nei cui binari deve determinarsi la sostanza dei diritti medesimi – nella pratica essi giun-gono ad appropriarsi del potere, riservato costituzionalmente al legislatore cui finiscono col surrogarsi, di definizione dello stesso contenuto dei diritti, talora persino contra legem. Peraltro, mentre in Italia questo fenomeno è più recente, in Germania, come vedremo, il processo di spostamento dell’asse del potere legislati-vo ha preso avvio da diverso tempo e in maniera molto più esplicita.

Come meglio si dirà, a tal fine, due sono in particolare i presupposti su cui fa leva la giurisprudenza soprattutto costituzionale. Innanzitutto, quello secondo cui la previsione costituzionale sui diritti fondamentali sarebbe una norma c.d ‘aperta’, ovvero al tempo stesso indeterminata e suscettibile di molteplici interpretazioni. In secondo luogo, la natura non assoluta dei diritti fondamentali, ben potendo essere questi limitati da altri valori di pari rango costituzionale, ridotti come sono i primi a principi-valori.

Il risultato finale è un cambiamento radicale dello scenario presente invece nelle elaborazioni novecentesche sui diritti fondamentali11. In una sola espressione: una

“rivoluzione concettuale” che scardina l’idea stessa dei diritti fondamentali, reg-gendosi su un bilanciamento di interessi ovvero, per tradurlo in termini più con-creti, su un’operazione volta a ‘pesare’, con un’unica improponibile misura, diritti fondamentali e interessi di qualunque natura.

10 Sul principio di proporzionalità, alla base di questa tendenza, come principio di giustizia costitu-zionale universalmente accettato, vedi Nicholas Emiliou, The principle of proportionality in european law: a comparative perspective, London: Kluwer Law International, 1996, p. 21.

11 Sul punto, in particolare sullo “smantellamento delle direttrici di orientamento, attraverso le quali le costituzioni della democrazia pluralistica si erano sforzate di comporre in equilibrio le ragioni del conflitto e quelle de consenso” ritenuto tuttavia dall’A., con le dovute cautele, “non eludibile, se si pretende che l’autoorganizzazione della società produca prestazioni di inclusione sociale e non soltanto dinamiche antagoniste ed esclusive”, v. Paolo Ridola, “I diritti fondamentali nelle democrazie pluralistiche: l’eredità del novecento”, Ritorno al diritto, p. 80 ess. L’autore peraltro effettua un’interessante ed approfondita ricostruzione teorica dei diritti pubblici a partire dalla loro elaborazione come diritti pubblici soggettivi nel liberalismo giuridico passando per la critica della dogmatica tardoliberale dei diritti nella giuspubblicistica tedesca weimariana sino ai giorni nostri.

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