TRA BIOETICA E DIRITTI UMANI
EUROPEO E IN QUELLO ITALIANO
3. La protezione dei richiedenti asilo criminalizzati in ragione dell’orientamento sessuale nell’Unione europea
Venendo all’Unione europea, va da subito rilevato che l’approccio tendenzial-mente favorevole che emerge dalla Carta dei diritti fondamentali, che all’art. 21 sancisce il divieto di discriminazioni in ragione delle “tendenze sessuali”, e dai documenti di soft-law adottati dal Parlamento europeo32, non si è tradotto in una
27 Cfr. Sabine Jansen, Thomas Spijkerboer, Fleeing Homophobia, 2011.
28 Corte EDU, R.A. c. Francia, ricorso n. 49718/08, decisione di radiazione dal ruolo dell’8 febbraio 2011.
29 Corte EDU, D.B.N. c. Regno Unito, ricorso n. 26550/10, decisione di radiazione dal ruolo del 31 maggio 2011.
30 Corte EDU, K.N. c. Francia, ricorso n. 47129/09, decisione di radiazione dal ruolo del 19 giugno 2012 (caso parzialmente esaminato il 2 settembre 2009).
31 Regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo, sostituito dal regolamento (UE) n. 604/2013 del 26 giugno 2013.
32 Risoluzione del Parlamento europeo del 18 aprile 2012, con la quale gli Stati membri sono espressamente inviati “a concedere asilo a chi sfugge alle persecuzioni nei paesi in cui le persone LGBTI
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normativa soddisfacente con riguardo alla tutela dei richiedenti asilo perseguitati in ragione dell’orientamento sessuale33. Infatti, la nuova direttiva 2012.33.UE (cd.
‘qualifiche’)34 ha confermato i contenuti della direttiva 2004.38.CE35 senza apporta-re sostanziali modifiche, che invero, come avapporta-remo modo di illustraapporta-re, saapporta-rebbero state opportune.
La direttiva, allineandosi alla Convenzione di Ginevra del 1951, definisce ‘rifu-giato’ il
“cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un deter-minato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese; oppure apolide che si trova fuori dal paese nel quale aveva precedentemente la dimora abi-tuale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno” (art. 2, lett. d).
Pertanto, per poter beneficiare dello status di rifugiato, il richiedente deve di-mostrare di essere a rischio di persecuzione in caso di ritorno nel Paese di origine. La direttiva definisce in termini di ‘persecuzione’ quegli atti che, per loro natura o frequenza, sono sufficientemente gravi da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, in particolare dei diritti per cui qualsiasi deroga è esclusa a norma dell’articolo 15, paragrafo 2, della CEDU36; o anche una somma di diverse misure che producono analogo effetto (art. 9, par. 1). Inoltre specifica che gli atti di persecuzione possono assumere anche la forma di: a) atti di violenza fisica o psichica, compresa la violenza sessuale; b) provvedimenti legislativi,
sono considerate alla stregua di criminali, prendendo in considerazione i timori di persecuzione ben fondati dei richiedenti e affidandosi alla loro auto-identificazione di lesbiche, gay, bisessuali o transessuali” (par. 113). Si veda anche il documento del Consiglio dell’UE del 24 giugno 2013, Orientamenti per la promozione e la tutela dell'esercizio di tutti i diritti umani da parte di lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuali (LGBTI), nel quale l’attenzione viene posta sulla dimensione esterna della lotta alla discriminazione nei confronti di dette persone.
33 Lo stesso Parlamento europeo ha evidenziato, nella Risoluzione del 4 febbraio 2014 sulla tabella di marcia dell'UE contro l'omofobia e la discriminazione legata all'orientamento sessuale e all'identità di genere, che l’UE manca di una politica globale per la tutela dei diritti fondamentali delle persone LGBTI ed ha invitato la Commissione, gli Stati membri e le Agenzie pertinenti ad adottarne una per i prossimi anni.
34 Direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011 recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (rifusione).
35 Direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, sostituita dalla direttiva 2011/95/UE del 13 dicembre 2011.
36 Art. 2, diritto alla vita; art. 3, divieto di trattamenti e pene inumani e degradanti; art. 4, divieto di schiavitù e lavoro forzato; art. 7, principio di legalità e irretroattività dei delitti e delle pene.
ministrativi, di polizia e/o giudiziari, discriminatori per loro stessa natura o attuati in modo discriminatorio; c) azioni giudiziarie o sanzioni penali sproporzionate o discriminatorie (art. 9, par. 2). In tale definizione possono ben essere fatte rientrare le normative che criminalizzano l’orientamento sessuale, così come le sanzioni volte a punire le relazioni tra persone dello stesso sesso. Peraltro, all’art. 10, par. 1, lett. d), viene espressamente ammesso che “un particolare gruppo sociale può in-cludere un gruppo fondato sulla caratteristica comune dell’orientamento sessuale”.
Tuttavia, a suscitare perplessità è la definizione di ‘particolare gruppo sociale’ of-ferto dalla direttiva, posto che per essere considerato tale un gruppo deve rispetta-re due rispetta-requisiti (art. 10, lett. d):
- i membri del gruppo devono condividere una caratteristica innata o una storia comune che non può essere mutata, oppure una caratteristica o una fede che è così fondamentale per l’identità o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi (approccio cd. ‘delle caratteristiche protette’), e
- il gruppo deve possedere un’identità distinta nel paese di cui trattasi, perché vi è percepito come diverso dalla società circostante (approccio cd. ‘della per-cezione sociale’).
Il legislatore dell’UE, nell’utilizzare la congiunzione e, si è discostato dalle indi-cazioni dell’Alto Commissariato delle NU per i rifugiati, ad avviso del quale le suddette condizioni devono essere lette come alternative e non come cumulative37. La lettura restrittiva della norma in questione è stata confermata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea in una sentenza del 7 novembre 201338, con la quale si è invero pronunciata sulla direttiva 2004.38.CE, e non su quella attualmente in vigore. Si consideri tuttavia che la pronuncia conserva tutta la sua rilevanza dal momento che la norma oggetto di interpretazione è rimasta invariata nella nuova direttiva ‘qualifiche’. Le domande di pronuncia pregiudiziale erano state avanzate dal Raad van State belga e vertevano sull’interpretazione dell’art. 9, par. 1, lett. a), in combinato disposto con l’art. 9, par. 2, lett. c) e dell’art. 10, par. 1, lett. d) della di-rettiva 2004.38.CE. All’origine della pronuncia vi erano i casi di tre richiedenti asi-lo, originari rispettivamente di Sierra Leone, Uganda e Senegal, che affermavano di essere stati oggetto di reazioni violente da parte delle loro famiglie e dei loro am-bienti sociali, nonché di atti di repressione da parte delle autorità statali dei Paesi d’origine, a causa del loro orientamento sessuale. Sebbene il Ministero belga per l’immigrazione e l’asilo avesse accertato che nei Paesi di origine le relazioni omo-sessuali sono punite severamente – in Sierra Leone con pena detentiva da dieci anni all’ergastolo, in Uganda con pena detentiva fino all’ergastolo e in Senegal con
37 UNHCR, Guidelines on International Protection No. 9, cit.
38 Corte di giustizia dell’UE, cause riunite C-199/12 a C-201/12, X., Y. E Z. c. Minister voor Immigratie en Asiel, sentenza del 7 novembre 2013.
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la detenzione da uno a cinque anni – ai ricorrenti era stato negato lo status di rifu-giato in quanto non avevano provato sufficientemente i fatti e le circostanze invo-cate. Essendo state impugnate le decisioni di diniego, i casi erano giunti all’attenzione del Raad van State, il quale aveva posto alla Corte di Lussemburgo i seguenti quesiti: 1) se le persone omosessuali costituiscono un determinato gruppo sociale ai sensi dell’art. 10, lett. d); 2) qualora la risposta al primo quesito fosse stata affermativa, quali atti di persecuzione possono giustificare il riconoscimento dello status di rifugiato, e se si possa esigere dalle persone omosessuali di mantenere un atteggiamento riservato al fine di evitare la persecuzione; 3) se il mero fatto di qua-lificare come reato le relazioni tra persone dello stesso sesso e di sanzionarle con la detenzione possa di per sé costituire persecuzione e giustificare il riconoscimento dello status di rifugiato.
Il giudice di Lussemburgo ha dato una risposta positiva nel merito del primo quesito, riconoscendo che l’esistenza di una legislazione penale, come quella in vigore nei Paesi di origine dei ricorrenti, che sanzioni le relazioni tra persone dello stesso sesso, consente di affermare che tali persone costituiscono un determinato gruppo sociale ai sensi dell’art. 10, par. 1, lett. d). Nondimeno ha confermato la lettu-ra restrittiva della disposizione or olettu-ra richiamata, dichialettu-rando che
“un gruppo è considerato un ‘determinato gruppo sociale’ qualora siano soddisfatte
… due condizioni cumulative. Da un lato, i membri del gruppo devono condividere una caratteristica innata o una storia comune che non può essere mutata oppure una caratteristica o una fede che è così fondamentale per l’identità che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi. Dall’altro, tale gruppo deve avere la propria identità, nel Paese terzo di cui trattasi, perché vi è percepito dalla società circostante come diverso” (par. 45, corsivo aggiunto).
Ad avviso della Corte entrambe le condizioni sono soddisfatte, dal momento che è pacifico che l’orientamento sessuale di una persona costituisca una caratteri-stica così fondamentale della sua identità che essa non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi (par. 46). In quanto al secondo requisito, l’esistenza di una legislazione penale che colpisca specificamente le persone omosessuali consente di affermare che tali persone vengono percepite come diverse dalla società circostante, e pertan-to costituiscono un “gruppo a parte”(par. 48).
L’organo giurisdizione dell’UE ha poi preso in esame la terza questione pregiu-diziale (la seconda è stata considerata assimilata nella terza), giungendo alla con-clusione che “la mera esistenza di una legislazione che qualifica come reato gli atti omosessuali non può essere ritenuta un atto che incide sul richiedente in maniera così rilevante da raggiungere il livello di gravità necessario per ritenere che detta qualificazione penale costituisca persecuzione ai sensi dell’art. 9, par. 1, della diret-tiva 2004.38.CE” (par. 55). Può essere invece considerata persecuzione la pena de-tentiva comminata da una disposizione legislativa che sanziona le relazioni tra
persone dello stesso sesso, “purché essa trovi effettivamente applicazione nel Paese di origine” del richiedente asilo (par. 56). Tali passaggi appaiono particolarmente problematici posto che l’esistenza di legislazioni penali che criminalizzano le rela-zioni tra persone dello stesso sesso determina di per sé un clima di discriminazione e di intolleranza, se non di vera e propria violenza, indipendentemente dalla con-creta applicazione della legislazione stessa. Compito delle autorità statali dovrebbe essere quello di verificare non che la norma o la sanzione siano concretamente attuate, ma piuttosto se, tenuto conto della situazione personale del ricorrente e di quella generale del Paese di destinazione, ci si trovi di fronte a atti di persecuzione ai sensi dell’art. 9, par. 1. In tal caso al richiedente asilo dovrebbe essere riconosciu-to lo status di rifugiariconosciu-to39.
Apprezzabile invece che il giudice di Lussemburgo abbia escluso che al richie-dente asilo possa chiedersi di nascondere il proprio orientamento sessuale per evi-tare la persecuzione. Tale affermazione è particolarmente rilevante tenuto conto che alcuni Stati dell’Unione europea applicano il requisito della discrezione mal-grado ciò si ponga in contrasto con le indicazioni fornite dall’UNHCR. A tal ri-guardo va ricordato che alle statuizioni della Corte va riconosciuta efficacia erga omnes, sempre che si tratti di fattispecie analoghe a quella oggetto del giudizio40. Pertanto è da accogliere con favore l’effetto che la sentenza produrrà negli ordina-menti degli Stati membri.
4. La protezione dei richiedenti asilo criminalizzati in ragione dell’orienta-mento sessuale nell’ordinadell’orienta-mento italiano
Una posizione più attenta alla condizione dei richiedenti asilo LGBTI, rispetto a quella della Corte europea dei diritti umani, si registra nell’ordinamento italiano, nel quale il diritto d’asilo trova espressione già a livello costituzionale (art. 10 co.
3), sebbene abbia di rado trovato applicazione fino al recepimento del diritto co-munitario in materia, ed in particolare delle direttive 2004/83/CE (cd. ‘qualifiche’) e 2005/85/CE (cd. ‘procedure’)41. Attualmente il diritto d’asilo costituzionale può essere riconosciuto attraverso tre forme di protezione diverse ed alternative: lo
39 Sulla sentenza si rinvia a Simone Rossi, Sentenza della Corte di giustizia su tre aspetti del riconoscimento dello status di rifugiato fondato sull’orientamento sessuale, 2013, reperibile al sito
<www.retelenford.it>.
40 Cfr. la sentenza del 6 ottobre 1982 resa sulla causa C-283/81, Cilfit srl e Lanificio di Gavardo spa c.
Ministero della Sanità. In dottrina, tra i tanti, a Roberto Adam, Antonio Tizzano, Lineamenti di diritto dell’Unione europea, Torino, 2010.
41 Direttiva 2005/85/CE del Consiglio del 1° dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, sostituita dalla direttiva 2013/32/UE del 26 giugno 2013.
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status di rifugiato, la protezione sussidiaria e quella umanitaria42. In tutte e tre le ipotesi il richiedente asilo ha diritto di ingresso e soggiorno nel territorio italiano al fine di far esaminare la sua situazione dalle autorità competenti e non può essere respinto alla frontiera43. Le prime due forme di protezione sono comuni agli Stati membri della UE e possono essere riconosciute, allo straniero o all’apolide che abbia avanzato domanda, in seguito alla valutazione, di natura tecnica e non poli-tico-discrezionale, della competente Commissione territoriale per il diritto d’asilo.
La procedura è unitaria: l’esame è infatti volto ad accertare, in via prioritaria, se sussistano gli elementi per il riconoscimento dello status di rifugiato e, solo in su-bordine, qualora questi non vengano riscontrati, viene valutata la possibilità di concedere la protezione sussidiaria, fattispecie introdotta nell’ordinamento italiano con la direttiva 2004/83/CE44. Laddove, poi, l’accertamento dia esito negativo, sia per quanto concerne lo status di rifugiato, sia per quanto concerne la protezione sussidiaria, ma la Commissione ritenga che sussistano i “seri motivi” richiamati dall’art. 5 co. 6 del d.lgs. 286/1998, gli atti vengono trasmessi al Questore perché rilasci un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Come precisato in una im-portante ordinanza della Suprema Corte45, al Questore residua il compito di dare attuazione alla deliberazione della Commissione senza alcun margine di valuta-zione autonoma al riguardo.
Va da subito detto che l’Italia, nel recepire, con il d.lgs. 251/2007, la direttiva comunitaria 2004/83/CE, ha espressamente fatto ricadere tra le ipotesi di persecu-zione che legittimano il riconoscimento dello status di rifugiato i “provvedimenti legislativi, amministrativi, di polizia o giudiziari” (art. 7, par. 2, lett. b), qualora siano sufficientemente gravi da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali (art. 7, par. 1, lett. a). Inoltre, tra i motivi di persecuzione di cui all’art. 8 del suddetto d.lgs., viene annoverato proprio l’orientamento sessuale, che rappresenterebbe la caratteristica comune di un “particolare gruppo sociale”
degno di protezione (lett. d). Ne consegue che le commissioni territoriali e, in su-bordine, i giudici (dinanzi ai quali è possibile impugnare la decisione di diniego), debbano accogliere la domanda di protezione presentata dal richiedente asilo quando è dimostrabile che lo stesso possa subire danni alla sua incolumità
42 Oltre che, in via residuale e solo eventuale, attraverso la protezione temporanea, adottata con un provvedimento generale emanato dal Governo (ex art. 20 TU sull’immigrazione) o dal Consiglio dell’UE (sulla base della Direttiva 2001/55/CE del Consiglio del 20 Luglio 2001 sulle norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell'equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell'accoglienza degli stessi).
43 Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, sentenza n. 26253 del 15 dicembre 2009.
44 Chiara Favilli, “La protezione internazionale nell’ordinamento dell’Unione Europea” e Paolo Bonetti, “Il diritto di asilo nella Costituzione italiana”, in Chiara Favilli (ed.), Procedure…, cit.
45 Corte di cassazione, Sezioni Unite Civili, ordinanza n. 11535 del 19 maggio 2009, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, n. 3/2009, pp. 140 e ss.
fisica nel Paese di origine in ragione dell’orientamento sessuale (art. 7, par. 2, lett.
a), a maggior ragione quando tali danni derivino da una previsione normativa46. Se le Commissioni territoriali e i giudici di merito47 si sono conformati da subito a tale orientamento garantista, la posizione della Corte di cassazione è stata, fino a tempi recenti, equivoca, come si ricava in particolare da due sentenze, la n. 16417/2007 (cass. civ.) e la 2907/2008 (cass. pen.). Con la prima48 il Supremo giudice, nel pro-nunciarsi su di un caso riguardante un cittadino senegalese fuggito dal Paese di origine in ragione del proprio orientamento sessuale, aveva fornito importanti chiarimenti sulla nozione di ‘persecuzione’, termine con il quale deve intendersi
“una forma radicale e spietata di lotta contro una minoranza, che si manifesta con maltrattamenti, soprusi, coercizioni e modalità comunque contrarie alla tutela dei diritti umani” e che può essere attuata anche sul piano normativo. Aveva inoltre precisato che perché via sia persecuzione è sufficiente la semplice previsione del comportamento che si intende contrastare come reato punibile con la reclusione.
L’omosessualità, infatti, va considerata "come condizione dell'uomo degna di tute-la, in conformità ai precetti costituzionali", assunto da cui discende che la libertà sessuale va “intesa anche come libertà di vivere senza condizionamenti e restrizio-ni le proprie preferenze sessuali”, in quanto espressione del diritto, tutelato dall’art. 2 della Costituzione, alla realizzazione della propria personalità. Quando, tuttavia, la Corte di legittimità è passata ad applicare al caso concreto i principi sopra richiamati, dopo aver precisato che le norme sanzionatrici dell’omosessualità
“sono in astratto persecutorie”, ha poi prospettato una problematica distinzione tra la sanzione penale prevista con riferimento alla “qualità dell’agente” e quella riferi-ta “alle pratiche che dalla stessa eventualmente conseguano”. Tratriferi-tasi, a nostro avviso, di una interpretazione particolarmente restrittiva, oltre che inconsistente, dal momento che traccia una demarcazione difficilmente riscontrabile nella realtà:
le sanzioni penali, infatti, puniscono generalmente delle condotte collegate all’omosessualità, non l’orientamento omosessuale in astratto49.
Tale posizione è stata richiamata nella sentenza della prima sezione penale n.
2907/200850, concernente un cittadino marocchino che aveva disatteso l’ordine del questore di lasciare il territorio italiano per il timore di subire persecuzione in ra-gione del proprio orientamento sessuale una volta rientrato nel Paese di origine. Il
46 Sul punto cfr. le criticità rilevate da Marco Balboni, op. cit.
47 Tra gli altri, Tribunale di Trieste, sentenza n. 304/2009; Trib. di Torino, sentenza n. 426/2010; Trib.
di Milano, n. 195/2012.
48 Suprema Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, sentenza n. 16417 del 16 aprile 2007 (depositata il 25 luglio 2007).
49 Sul punto si rinvia altresì al commento di Marco Winkler, La VI sezione civile della Cassazione torna sul tema della protezione internazionale per orientamento sessuale, 2012, reperibile al sito
<www.penalecontemporaneo.it>.
50 Suprema Corte di Cassazione, Sezione Prima Penale, sentenza n. 2907 del 23 novembre 2008 (depositata il 18 gennaio 2008).
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supremo giudice ha escluso che dall’art. 19, par. 151, possa ricavarsi un divieto au-tomatico di espulsione; sarebbe piuttosto compito del giudice al quale il caso è rimesso svolgere un’attenta valutazione dell’assoluta inesigibilità dell’ottempe-ranza all’ordine del questore da parte del ricorrente. A tal fine, andrebbe verificato se il codice penale marocchino sanzioni penalmente l'omosessualità “come pratica personale” o piuttosto “la manifestazione esteriore di ‘impudicizia sessuale’”. Solo nel primo caso sussisterebbe il rischio grave ed inaccettabile di persecuzione di cui all’art. 19 c. 1 d.lgs. n. 286/98, dal quale deriva il divieto di allontanamento dello straniero.
Finalmente, con l’ordinanza n. 15981/201252, il Supremo giudice supera la di-stinzione precedentemente operata tra precetti penali, e riconosce incontestabil-mente che la sola previsione, nell’ordinamento del Paese di origine del richiedente asilo, di una norma che criminalizza l’omosessualità costituisce un motivo fondato perché possa essere attribuita una forma di protezione al richiedente asilo, senza la necessità di dimostrare che la norma in questione venga applicata. L’ordinanza sopra richiamata si pone come precedente53 in una materia che, come si diceva, solo negli ultimi anni, con il recepimento delle direttive comunitarie, ha subito una
Finalmente, con l’ordinanza n. 15981/201252, il Supremo giudice supera la di-stinzione precedentemente operata tra precetti penali, e riconosce incontestabil-mente che la sola previsione, nell’ordinamento del Paese di origine del richiedente asilo, di una norma che criminalizza l’omosessualità costituisce un motivo fondato perché possa essere attribuita una forma di protezione al richiedente asilo, senza la necessità di dimostrare che la norma in questione venga applicata. L’ordinanza sopra richiamata si pone come precedente53 in una materia che, come si diceva, solo negli ultimi anni, con il recepimento delle direttive comunitarie, ha subito una