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di una frontiera

III. Prime interpretazioni

III.1.3 Alcune considerazioni generali

In linea generale va ricordato che in Italia, così come nel resto d’Europa, fu proprio durante la fine del Cinquecento che la storiografia iniziò il suo processo di riscatto dalle arti del Trivio (grammatica, retorica e dialettica), guadagnandosi gradualmente autonomia critica e metodologica in un mondo in cui la narrazione storica si identificava ancora nel credo cristiano67. Alle preziose opere di Vincenzo Carrari e Girolamo Rossi va riconosciuta la capacità di utilizzare il glorioso passato tardoantico e altomedievale di Ravenna per collegare da un lato la storia della città a quella della Legazione romagnola, dall’altro la storia della regione esarcale-romagnola al più ampio contesto del Papato e dell’Impero.

Le ragioni dell’intensificazione storiografica e culturale che più strettamente caratterizzò Ravenna durante l’ultimo scorcio del XVI secolo sono da imputare ai tentativi di indebolimento del prestigio storico della città, concretizzatisi in primo luogo con l’istituzione di una nuova metropoli ecclesiastica, quella di Bologna, per la cui guida venne scelto il nome di un presule prestigioso e a cui vennero fatte afferire, oltre alla stessa diocesi bolognese, anche quelle di Imola, Modena, Reggio Emilia, Parma, Piacenza e persino Cervia. L’antica potenza della chiesa ravennate era ormai da alcuni anni in declino a causa dell’incapacità di gestire i rapporti tra chiese locali e Santa Sede così come le innovazione organizzative introdotte dal Concilio di Trento. Il colpo di grazia le fu assestato in occasione del concilio metropolitico ospitato a Ravenna nel 1582, durante il quale Gabriele Paleotti, influente cardinale e vescovo di Bologna, si rifiutò di sottoscrivere la propria dipendenza dagli arcivescovi metropolitici di Ravenna (rapporto di suffraganeità); di lì a poco il suo concittadino papa Gregorio XIII emise il decreto con il quale revocava tale dipendenza e lo nominava arcivescovo di Bologna e metropolita delle diocesi sopraelencate68.

Detto questo le opere coeve degli storici locali possono essere lette come vere e proprie “reazioni” agli avvenimenti descritti, concretizzatesi negli sforzi atti a dimostrare il primato di Ravenna attraverso la sua remota tradizione, le sue glorie cittadine e la loro eco ad ampio raggio. Non si trattò di una polemica, né nei contenuti né nei modi, in quanto in nessuna delle opere storiche prodotte si viene meno all’obbedienza al principio di autorità religiosa e politica del papa ribadito dalla Controriforma.

Le poderose Istoria di Romagna e Storie ravennati non devono avere inciso molto sul tradizionale potere storicamente detenuto dalla chiesa ravennate che non venne mai più ripristinato, ma certamente avranno nutrito l’orgoglio civico degli abitanti di quelle terre.

66 VASINA 1978,pp. 79-129, in part. pp. 86-88. 67 VASINA 1997,p. IX.

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Girolamo Rossi si rivolgeva a un pubblico colto, Vincenzo Carrari a una audience più popolare, ma entrambi, anche attraverso la rete di relazioni ecclesiali e municipali che intessero, «assunsero la consapevolezza anche di una identità civica e comunitaria di Ravenna e dei Ravennati»69. Oggi possiamo affermare che mediante i loro scritti entrambi coltivavano l’intento di agire sulla memoria culturale, e non solo della società ravennate, bensì quantomeno del contesto romagnolo.

Nonostante il successo anche europeo ottenuto con la riedizione postuma delle Historiae per la prestigiosa collana internazionale di Antichità e Storie cittadine (Leida, 1722) curata da J.G. Graevius e P. Burmannus70, l’opera non riuscì a sottrarre Ravenna dall’isolamento e dalla marginalità non solo politica ma anche culturale in cui giaceva intrappolata ormai da secoli71. Probabilmente un’edizione italiana avrebbe segnato un punto di arrivo per la storiografia ravennate e un’occasione per una sintesi critica della storia cittadina mentre invece i prodotti dell’erudizione, che pure si successero intensamente per tutto il Seicento e parte del Settecento, non bissarono mai i livelli raggiunti da Rossi e Carrari.

III.2L

E PRIME GUIDE STORICHE DELLA CITTÀ

A partire dagli inizi del XVII secolo in Italia iniziò a diffondersi una nuova tipologia di opere di letteratura artistica, costituita dalle cosiddette “guide”; si tratta di una categoria specifica di prodotti editoriali pensati per essere strumenti di viaggio e di conoscenza delle città d’arte. Destinate sia a “forestieri” in visita sia a un pubblico colto di abitanti locali, riscossero particolare fortuna nel corso del Settecento con la diffusione tra gli intellettuali e i nobili del nord Europa della consuetudine del Grand Tour in Italia. Le opere considerate come le prime “guide storiche” della città di Ravenna risalgono al 1678 e furono pubblicate poco dopo le guide di città come Roma, Firenze, Bologna e Brescia: Lustri ravennati (parte prima) di Serafino Pasolini e soprattutto Ravenna ricercata di Girolamo Fabri.

L’imponente opera del teologo e canonico lateranense Serafino Pasolini (1649-1715) è scandita in sette parti secondo un criterio cronologico, partendo dall’anno 640 dopo il Diluvio Universale (a questa data Pasolini riconduce la fondazione di Ravenna)72 fino ad arrivare, con le prosecuzioni successive, all’anno 1713. Ai fini di questo studio interessa la prima parte, a sua volta suddivisa in cinque libri, dedicata a padre Alessandro Paci da Tolentino, abate generale dei Canonici Lateranensi. Essa copre l’arco cronologico compreso tra la data della supposta fondazione di Ravenna e l’anno Mille, e potremmo dire si tratti della parte più riassuntiva, in quanto l’autore scende maggiormente nel dettaglio man mano che ci si avvicina all’età in cui vive. Lustri Ravennati può essere descritta come un’opera “ibrida”, in quanto nella presentazione degli eventi storici vengono incastonate delle brevi descrizioni di luoghi ed

69 VASINA 2007,p. XIII.

70 VASINA 1978,pp. 79-80, n. 2. 71 VASINA 1997,p. XII.

72 La data si dice corrispondere al 1665 a.C., e dunque anticipare la fondazione di Roma di 913 anni: PASOLINI 1678, pp. 4-5.

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edifici, disseminando la narrazione di miracoli e prodigi, agiografie, informazioni su reliquie e indulgenze.

Pasolini fu autore anche di un’altra opera, Huomini illustri di Ravenna antica, data alle stampe nel 1703, il cui primo libro fornisce notizie su santi, beati e fondatori di altre religioni; il secondo tratta di papi, imperatori e imperatrici, re e regine, arcivescovi, vescovi, prelati e auditori della Romana Rota; il terzo di teologi, filosofi, «morali e canonisti», matematici, medici, oratori e poeti; il quarto di storici e giuristi; il quinto e ultimo di uomini d’arme73. Ma è Girolamo Fabri (1627-1679), teologo canonico della chiesa ravennate, l’autore di quella che viene considerata la prima guida vera e propria della città di Ravenna, destinata a condizionare tutta la successiva letteratura di viaggio locale. Fabri in precedenza aveva già dato alle stampe Le sagre memorie di Ravenna antica (1664), suddivisa in due parti: la prima dedicata alla descrizione degli edifici e dei luoghi sacri della città e dei suoi dintorni, la seconda alle vite degli arcivescovi ravennati, di cui è fornito un catalogo cronologico aggiornato da Apollinare fino alla data di stampa. Nel primo tomo si descrivono puntualmente tutte le chiese della città e quelle principali sparse nel suo territorio di afferenza, riportando origini e fondazioni, informazioni su iscrizioni, pitture, sculture e sepolcri custoditi, ma anche sugli ordini regolari presenti nel territorio e sui loro monasteri, oltre a narrare le vite di santi e beati della città. Tuttavia le descrizioni storico-artistiche dei monumenti elencati sono chiaramente funzionali alla celebrazione della grandezza e delle prerogative della Chiesa ravennate e l’intento ecclesiale-devozionale è immediatamente percepibile.

L’opera di Girolamo Fabri, così come quella di Serafino Pasolini, è esemplificativa degli intenti didascalici assegnati alle cronache di eventi storici, i quali vengono infarciti di exempla di santi e martiri locali atti a suscitare la devozione popolare. Entrambi operanti in pieno Seicento, si dedicarono ad opere compilative e alla risistemazione di materiali già noti senza volere o forse potere ricorrere ad alcuna documentazione inedita74, rievocando in maniera apologetica i fasti della città e privilegiando, come già sottolineato, soprattutto quelli sacri.

Invece nella Ravenna ricercata – che Fabri stesso dichiara di avere estratto in gran parte dalla propria opera precedente – l’intento devozionale, comunque presente ad esempio nella narrazione di eventi miracolosi legati ai luoghi descritti o nell’elenco delle reliquie custodite, è meno palese e ostentato. Così gli edifici di culto vengono ridotti di numero e non sono gli unici a venire elencati; inoltre, per andare incontro alle esigenze del lettore, si adotta l’originale soluzione degli “itinerari”. Fabri ne elabora tre differenti, percorribili in tre giornate di visita: per la prima giornata si propone la visita alla parte occidentale della città, per la seconda la parte orientale, mentre per la terza si suggerisce un percorso fuori le mura, che interessi le valli, le pinete e punti storicamente importanti come quello dell’ambientazione della Battaglia di Ravenna del 1512.

Nell’incipit dell’opera si dichiara subito l’attributo di «antica» di cui Ravenna può vantarsi, assieme al suo essere «degnissima sopra le altre città tutte della bella Italia per le sue

73 PASOLINI 1703.

74 Va ricordato che l’alluvione del 27 e 28 maggio 1636 devastò molto del patrimonio archivistico e bibliografico cittadino: cfr. CORTESI 1977-1978.

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anticaglie di esser veduta»75; insomma Ravenna per numero e valore delle antichità possedute è detta seconda solo a Roma. Fabri dichiara di avere compilato l’opera nelle sue ore di riposo dai pubblici affari spinto soltanto dal «desiderio ben grande di palesare al Mondo le glorie della mia Patria»76, affinché essa non passi per non avere nient’altro di nobile «se non l’esserlo già stata»77: insomma, la consapevolezza delle bellezze monumentali custodite nella propria città si fa orgoglio civico.

Sebbene risulti insolito per la nostra concezione odierna di “guida”, Ravenna ricercata era ancora del tutto priva di immagini (fatta eccezione per la riproduzione di alcuni monogrammi rilevati su sculture e architetture), mancanza a cui ovvieranno i suoi eredi e continuatori, più o meno dichiarati. Tra di essi si ricorda Vincenzo Maria Coronelli (1650-1718), frate minore conventuale, enciclopedista e Maestro Cosmografo della Repubblica di Venezia, che attorno al 1706 realizzò una sintetica trattazione dei venti monumenti cittadini principali del passato e del presente78. Un’introduzione alle vicende storiche e alla situazione contemporanea della città precede l’elenco dei monumenti, a ciascuno dei quali è dedicata una breve scheda con dati sulla fondazione e informazioni architettoniche e decorative, affiancata ad una riproduzione dell’edificio impaginata a fronte. Il testo riprende alcuni passi di Girolamo Fabri, mentre le ventiquattro tavole in rame costituiscono il vero valore aggiunto dell’opera. Un paio di anni dopo, Coronelli ristampò senza sostanziali modifiche l’intero testo di Fabri (per giunta senza mai citarlo, e aggiungendovi soltanto tre nuovi edifici innalzati dopo il 1676) arricchendolo di oltre quaranta incisioni raffinate e preziose (alcune dedicate alle decorazioni musive) e intitolandolo Ravenna ricercata, antico-moderna, accresciuta di memorie ed ornata

di copiose figure79.

75 FABRI, 1678, pp. 1-2.

76 Ivi, pp. 3-4. 77 Ivi, p. 10.

78 CORONELLI 1706 (dedicata al Vicelegato di Romagna mons. Archinto). 79 CORONELLI 1708(dedicato al Cardinale legato Gualtieri).

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Figg. 1-6 - Alcune delle quaranta incisioni realizzate da V. Coronelli a corredo della Ravenna ricercata di G. Fabri, prima vera e propria guida della città (CORONELLI 1708).

In particolare:

1. I tre centri di Ravenna, Cesarea e Classe; 2. S. Giovanni Evangelista;

3. S. Vitale;

4. S. Apollinare in Classe; 5. Chiesa del S. Spirito;

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Più tardi, nel 1783, fu ancora una volta un religioso, l’abate Francesco Beltrami, poi Priore della chiesa di Sant’Alberto nei pressi di Ravenna, a pubblicare un’altra importante guida della città: Il forestiere istruito delle cose notabili della città di Ravenna, e suburbane della

medesima, che ricalca lo schema in tre giornate – due dedicate al centro città e una alle zone

limitrofe – proposto un secolo prima da Fabri. Nella dedica al conte Marco Fantuzzi l’opera viene definita un riassunto delle rarità della città e dei suoi immediati dintorni, mentre al lettore l’autore dice di ispirarsi a quei libri «che servono a istruzione de’Viaggiatori»80 di cui egli stesso si era avvalso nelle sue visite giovanili alle principali città d’Italia. Beltrami dichiara di volere accrescere ed aggiornare con le nuove informazioni conosciute le precedenti opere di Fabri e Coronelli; nell’introduzione, inoltre, dopo avere brevemente accennato alle origini e alle vicende politiche della città, sostanzialmente sottoscrive la considerazione, attribuita all’abate Bacchini, di Ravenna come emula della grandezza e magnificenza romana81. Purtroppo, dopo che i prìncipi vi ebbero levato la propria residenza, la sua floridezza così come la sua stessa popolazione cominciò a diminuire. Eppure, nonostante il successivo indebolimento politico impostole dai pontefici romani per aver osato contenderne la potenza, l’indebolimento commerciale causato dall’affermazione di Venezia, la decadenza del suo splendore dovuto a inondazioni ed altre vicissitudini, Beltrami la descrive ancora come ricca di cose talmente preziose da renderla mirabile a qualsiasi visitatore. Così, egli si adopera per la realizzazione della sua guida in tre giornate ai monumenti (non solo chiese, ma anche porte, piazze, abitazioni, palazzi, conventi, monumenti romani scomparsi e giardini) sorti a Ravenna e nei suoi dintorni soprattutto tra IV e VI secolo, rintracciando tutte le informazioni storiche, artistiche, epigrafiche, patrimoniali e letterarie allora disponibili. Si segnala che la terza giornata si apre con una lunga descrizione del mausoleo di Teoderico: riprodotto in una

80 BELTRAMI 1783, p. XV.

81 Ivi, p. 5.

Fig. 7 - Francesco Beltrami, Il forestiere istruito delle cose

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raffinata tavola accompagnato da una figura allegorica, in merito si accenna anche alla disputa sulla sua attribuzione82.

Scegliere di dedicare la propria opera al conte ravennate Marco Fantuzzi83 per la sua attività di insigne studioso e di politico impegnato a favore del progresso civile e culturale della sua città fu senz’altro un atto significativo, che non a caso suscitò le ire del Cardinale legato Luigi Valenti Gonzaga: si sottoscriveva il personale impegno di Fantuzzi a restituire prosperità alla città di Ravenna oppressa dall’ormai cronico malgoverno pontificio e al contempo si dichiarava la propria indipendenza nei confronti delle diffuse forme di deferenza verso i Cardinali legati. La guida di Beltrami in effetti fu la risposta alle nuove istanze scientifico-culturali di cui l’Illuminismo era stato portatore: le fonti vengono vagliate in maniera critica, le credenze religiose non vengono più sentite come verità assolute e si ricorre alle più recenti pubblicazioni anche di altri settori (senza escludere le scienze naturali, la litografia, la geologia, etc.) per integrare il più possibile le conoscenze possedute. Per le medesime ragioni il concetto stesso di «cose notevoli» viene allargato ai materiali edilizi antichi, ai moderni strumenti matematici o chirurgici o alle piante esotiche. L’intento di Beltrami era quello di restituire non la bellezza di singole opere d’arte, bensì il complesso tessuto storico-artistico della città ravennate, anche attraverso i suoi risvolti economici, religiosi e sociali84.

82 Cfr. infra, III.3.2.

83 Cfr. infra, III.4. 84 BARBIERI 1985.

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La facilità di consultazione, la precisione delle notizie riportate, la chiarezza di linguaggio e stile impiegati contribuirono al successo dell’opera dell’abate, tanto da rendere necessaria una riedizione aggiornata già otto anni dopo, e da farne a sua volta un modello per altre guide successive elaborate sulla sua falsa riga, come quelle ottocentesche di Francesco Nanni, Gaspare Ribuffi, Silvio Busmanti nonché la prima guida di Corrado Ricci85.

85 NANNI 1821;RIBUFFI 1835;RICCI 1878;BUSMANTI 1883.Essi poterono però avvalersi della possibilità di visionare opere, chiese e complessi monastici che ai tempi di Beltrami erano ancora sotto il vincolo di clausura.

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Infine, nel 1852, il sacerdote Antonio Tarlazzi (dn-dm) riprese nuovamente l’opera seicentesca per aggiornarla e dare alle stampe così le Memorie Sacre di Ravenna in continuazione di quelle

pubblicate dal canonico Girolamo Fabri, che vennero ulteriormente corredate di due nuove

appendici nell’arco di una ventina di anni86.

III.3F

ERMENTI SETTECENTESCHI

Destinata a lasciare un segno indelebile negli esiti culturali della città fu l’attività del monaco camaldolese Pietro Canneti. Nativo di Cremona (1659-1730), a Ravenna entrò nell’ordine nel 1684 e nel 1704 diventò abate del monastero di Classe. Divenuto anche segretario dell’Accademia dei Concordi fatta rivivere nella città ravennate, avrebbe voluto farne un punto di riferimento per altri istituti letterari della penisola, dal momento che vi erano affiliati anche intellettuali di rilievo nazionale. Egli fu impegnato per quarant’anni nella raccolta di un imponentissimo corpus di trascrizioni di manoscritti, dati e biografie per una storia dell’ordine camaldolese; alla sua volontà si deve la rinascita di quella che diventerà l’istituzione culturale cittadina più importante, ossia la Biblioteca Classense. Riorganizzata e ingrandita, la Libreria di Classe, allora direttamente collegata con le strutture educative del monastero, venne dotata di una preziosa raccolta di codici e incunaboli. La scuola, aperta al pensiero cattolico più moderno, all’influenza del razionalismo e degli ultimi sviluppi scientifici europei, divenne uno dei migliori centri benedettini. Tuttavia i suoi tentativi di elevare la produzione culturale locale ad esiti meno provinciali e più innovativi fallirono: ci si continuava ad attardare nella produzione di opere agiografiche corredate di annotazioni teologiche e morali, per lo più dedicate a principi e potenti87.

Sempre agli inizi del Settecento alcuni storici locali declinano per Ravenna il filone dei repertori alfabetici degli scrittori compaesani. Tra di essi si ricorda Pier Paolo Ginanni, autore dei due tomi delle Memorie storico-critiche degli Scrittori Ravennati (1769), in cui si rintraccia una certa metodologia archeologica nella ricerca antiquaria che sembra aspirare ad un adeguamento al più moderno e vivace panorama nazionale. Le sue Memorie infatti sono il primo repertorio biobibliografico di centinaia di autori, considerati ravennati per nascita o per adozione e molti dei quali fino ad allora pressoché sconosciuti, tuttora probabilmente rimasto il più valido88. Benedettino come Canneti, Ginanni riordinò gran parte dei fondi pergamenacei dell’Archivio arcivescovile cittadino e redasse regesti di più di 9000 documenti, spinto dalla volontà, destinata a rimanere insoddisfatta, di pubblicare un Codice diplomatico della Chiesa

ravennate e una Storia degli arcivescovi.

Per il resto tutto il XVIII secolo vide la produzione di uno svariato numero di indagini particolari, per lo più raccolte di testi e documenti, che di fatto influivano ben poco sul clima socio-politico dell’epoca.

86 TARLAZZI 1852;TARLAZZI 1869;TARLAZZI 1876.Per l’esteso utilizzo della guida di G. Fabri cfr. CARNOLI 2012. 87 DOMINI 1989;CASANOVA 1979.

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Da tale uniformità si distacca l’opera Antichi edifizi profanj di Ravenna pubblicata nel 1762 (sebbene l’imprimatur risalga al 1758) dal giureconsulto Antonio Zirardini (1725-1785) e tesa, in maniera originale, all’analisi archeologica dei monumenti civili e pubblici. Il metodo critico adottato, volto alla raccolta e all’analisi minuziosa di qualsiasi tipo di monumento riconducibile all’antichità, può dirsi in un certo senso precursore della grande stagione della filologia ottocentesca. La particolare attenzione riservata al patrimonio monumentale di età romana inserisce l’opera nel filone inaugurato dalla tradizione umanistica di Biondo Flavio89. Zirardini del resto si era già occupato anche degli edifici di culto della stessa città, forse in maniera ancora più puntuale, fornendo per ciascuno di essi la documentazione storica fino al tardo medioevo; tale lavoro confluì nel De antiquis sacris Ravennae aedificiis, pubblicato postumo dal nipote Claudio soltanto nel 1908-1909, con le appendici sull’antico porto della città, sul centro di Classe e sul suburbio di Cesarea.

Zirardini è considerato il primo archeologo ravennate, capace di unire osservazione diretta dei resti materiali e ricerca archivistica, correggendo informazioni errate presenti in autori precedenti e tramandando notizie sulla situazione dei monumenti ravennati nel XVIII secolo che sarebbero altrimenti andate perdute. Sin dai primi anni di studi umanistici e poi giuridici Zirardini dimostrò particolare interesse per le “patrie memorie”, appassionandosi alla lettura di storici locali come Spreti, Rossi e Tomai. Durante la sua permanenza a Roma si dedicò all’approfondimento degli scrittori greci e latini e, una volta tornato nella città natale, rinunciò alla carica di pretore per continuare i suoi studi, compatibilmente con la cattedra di diritto civile che l’aveva reso molto stimato anche fuori città. Le sue lezioni, gli studi forsennati e le opere lo resero molto noto90, tanto che la sua casa fu nominata per decreto pubblico tra le più illustri della città, il suo ritratto fu posto nella sala del Senato ravennate e, alla sua morte, fu accompagnato da una folla di concittadini in una delle maggiori chiese della città91.

Edifizj profani è dedicata all’abate Taddeo dal Corno, discendente dell’autore della Ravenna