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Cose da Pazzi: dal Museo Civico Bizantino al Museo Nazionale L’istituzione del Museo Civico Bizantino di Ravenna fu un progetto ardentemente perseguito

di una frontiera

IV. Una città in cerca di immagine: la riesumazione della Felix Ravenna

IV.3.4 Cose da Pazzi: dal Museo Civico Bizantino al Museo Nazionale L’istituzione del Museo Civico Bizantino di Ravenna fu un progetto ardentemente perseguito

dall’artista Enrico Pazzi90. Scultore ottocentesco nativo di Ravenna (1818-1899), dopo un eclettico apprendistato nella sua città operò a lungo a Firenze (sue alcune sculture decorative e monumenti sepolcrali della chiesa di Santa Croce). Pazzi fu una personaggio romantico e ribelle, tanto da arrivare quasi alle mani con Ignazio Sarti, suo maestro all’Accademia di Belle Arti ravennate e da rompere anche il forte legame instaurato con il maestro senese Giovanni Duprè. Liberale, anticlericale e patriota, militò nelle file della «Giovine Italia» e a Bologna combatté contro gli austriaci nella Legione degli Studenti. Vinse riconoscimenti nazionali e mise a frutto le sue abilità artistiche in opere pubbliche, la più famosa delle quali è il monumento a Dante Alighieri che campeggiava al centro di Piazza Santa Croce a Firenze e che ispirò anche Giorgio De Chirico91, ma notevole è da ritenersi anche il suo monumento allo statista Luigi Carlo Farini a Russi. Lavorò al servizio di committenti nobili realizzando monumenti funerari a Ravenna, Firenze e anche all’estero nonché ritratti per esponenti di casati romagnoli come i Rasponi, i Corradini, i Facchinetti; si adoperò inoltre anche come scultore di busti di grandi letterati, nonché come falsario. Tra le sue numerose passioni, che spaziano dalla natura all’anatomia, alla letteratura dantesca,

88 NOVARA 2004, pp. 155-191.

89 Gardella soffriva di dolori articolari e di una incombente cecità che andava ad aggravare la vista limitata ad un solo occhio che lo affliggeva fin dall’infanzia (cfr. minuta di lettera di Odoardo Gardella indirizzata a Georges Rohault de Fleury: BCR, CG, X/19).

90 L’accurata ricostruzione dell’attività artistica e culturale di Enrico Pazzi è stata oggetto della tesi di laurea in Conservazione dei beni culturali della dott.ssa Silvia Pacassoni nell’a.a. 2001/02 (Università di Bologna, relatore prof. S. Tumidei). Una sintesi del lavoro sugli aspetti connessi al Museo Civico Bizantino è disponibile in PACASSONI 2003.

91 Nel 1971 la statua è stata spostata nel sagrato della basilica di S. Croce. In uno scritto parigino del 1912 De Chirico dichiara di esservisi ispirato per il suo capolavoro Enigma di un pomeriggio d’autunno (SCARDINO 1991, pp. XVIII-IXX).

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rimase sempre costante quella per Bisanzio, suggellata con lo splendido corteo Onorio che

esilia la sorella Galla Placidia, che gli fece vincere per la seconda volta il Pensionato per

Roma.

Negli anni Quaranta dell’Ottocento fu coinvolto insieme al disegnatore Majoli nell’iniziativa che stava portando avanti lo stimato bibliotecario della Classense don Paolo Pavirani, ossia quella di riprodurre figurativamente i sarcofagi bizantini sparsi per la città di Ravenna. Pavirani ne aveva già ritratti una settantina, Pazzi e Majoli ne disegnarono altri, mentre il faentino Angelo Marabini ebbe l’incarico di inciderli. Sfortunatamente l’idea di pubblicare a fascicoli tale raccolta fu abortita perché non si raccolse il numero di firme sufficienti a costituire l’associazione che avrebbe dovuto occuparsene92, ma nel frattempo essa aveva istillato nella mente di Pazzi un nuovo progetto.

Nel 1843 infatti Pazzi partorisce un’idea bizzarra, ossia quella di dare vita a un cimitero monumentale – che sarebbe stato unico in Italia – delle urne funerarie antiche, da collocare di fianco al cimitero in corso d’uso nei pressi della Pineta di Ravenna, a sua volta celebrata da Dante e da Byron. Prima di sottoporre il progetto al Comune l’artista ne scrive a don Paolo Pavirani, provando a testarne l’accoglienza. Nella lettera egli osserva che numerose urne di gran pregio, pur suscitando l’invidia di altre città d’arte, siano disseminate in luoghi non sempre convenienti (in un’altra lettera Pazzi ricorderà come alcune fungano da abbeveratoi negli orti93): esse «fanno la storia quasi completa del risorgimento artistico dell’era cristiana» e raccoglierle in un luogo ad esse preposto renderebbe giustizia «alla importanza e alla civiltà della nostra Ravenna», oltre che costituire una sorgente d’ispirazione per gli artisti contemporanei. La proposta non venne accolta ma nella lettera a Pavirani si legge che i costi

92 PAZZI 1887, p.19.

93 Nella lettera del 1881 al Consiglio comunale per la realizzazione del Museo Civico Bizantino: PAZZI 1887,p. 241.

Fig. 8 - Onorio imperatore che esilia da Ravenna sua sorella Galla Placidia (1848). Ravenna, Liceo Artistico (PAZZI 1887).

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sarebbero stati irrisori dato che sarebbe bastato semplicemente recintare il campo libero e radunarvi dentro i materiali; la parte architettonica di nuova introduzione – per la quale Pazzi redasse un prospetto94 – ovviamente avrebbe dovuto «essere in stile bizantino, per

stare in armonia con i sarcofagi»95. Nel 1877 Pazzi torna a Ravenna, dove inizia a progettare un museo «di cose antiche e monumentali», che nascerà nei primi anni Ottanta dell’Ottocento come Museo Civico Bizantino, con la creazione di una Commissione speciale nel 1881, l’individuazione della sede nei chiostri di Classe in città nel 1883 e infine, nel 1884, la nomina di Pazzi a direttore, ruolo che ricoprirà fino al 1898, quando la direzione passerà nelle mani di Corrado Ricci.

L’idea prende vita dall’insoddisfazione per la noncuranza in cui giacciono i monumenti e gli oggetti d’arte ravennati e in difesa dell’immagine imperiale di una città ormai decaduta96. Pazzi non può tollerare il rischio che vada dilapidata o venduta al migliore offerente «tanta eredità di preziosi avanzi d’arte» e inizia così, per sua stessa ammissione, un’intensa opera di sensibilizzazione dei suoi concittadini attraverso articoli di giornali, lettere agli amici, esortazioni a chi ricopriva ruoli decisionali, incontri e conversazioni97.

Il museo che ha in mente Pazzi

per la massima parte sarà bizantino, radunandovi tutto che in molti luoghi si trova qui,

nascosto agli sguardi del forestiere, inosservato all’istesso cittadino: frammenti di rilievo, terre cotte, avanzi di mosaico da volte, da mura, da pavimenti, capitelli, iscrizioni, trafori, mensole etc. Se ne ha delle epoche romane, del trecento, quattrocento, cinquecento; ma i più sono di stile bizantinesco, che in nessuna altra città si può studiare, se non fra noi: perché noi qui avemmo la fede degli imperatori d’Oriente, i loro palazzi, le più insigni basiliche. (…) La creazione di questo museo sarà proprio una novità giacché musei della scuola di Bisanzio non sono in alcun paese, per quantunque più insigne di questo qui; non a Firenze, non a Roma98.

La gestazione del museo sarà lunga: può dirsi iniziata con la richiesta di finanziamento inoltrata, su invito di Pazzi, il 14 giugno 1877 al Ministero dell’Istruzione Pubblica da parte del regio delegato straordinario del Comune. Da Roma rispondono che i fondi non ci sono,

94 Riportato in PAZZI 1887, Appendice Documenti, Documento XXVII, p. 403.

95 La lettera di Enrico Pazzi a don Paolo Pavirani del 10 maggio 1843 è riportata in PAZZI 1887, Appendice

Documenti, Documento II, pp. 322-323.

96 BSF, FPCR, 618 CR 39: Lettera di Enrico Pazzi a Silvio Busmanti del 17 gennaio 1880 (cit. in PACASSONI 2003, p. 316, n. 3).

97 PAZZI 1887,p. 240.

98 Lettera che Pazzi indirizza al Consiglio comunale il 1 maggio 1881, pubblicata anche sui giornali locali e riportata nell’autobiografia dello scultore: PAZZI 1887,pp. 241-245 (il passo citato è a p. 242).

Fig. 9 - Progetto per il Cimitero monumentale di Ravenna “in stile bizantino” che avrebbe dovuto accogliere tutte le urne funerarie sparse per la città (PAZZI 1887).

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ma si dicono interessati a partecipare, per quanto permesso dalle loro disponibilità finanziarie, dopo una perizia dei lavori99. La sede individuata inizialmente è quella del convento di Santa Maria in Porto. Il progetto si concretizza maggiormente nel 1881 con l’istituzione di una «Commissione speciale» composta dai più noti eruditi ravennati del tempo che, su ordine del Comune, doveva raccogliere dati sulla quantità e qualità degli oggetti che sarebbero andati a costituire la raccolta museale100. Divenne così necessario promuovere il progetto presso i cittadini, in modo che essi lasciassero in deposito le proprie raccolte presso il museo; i primi a dare il “buon esempio” furono il conte Ferdinando Rasponi, il cardinale arcivescovo e la famiglia Lovatelli.

L’ostinazione di Pazzi viene messa a dura prova da false promesse e rapporti difficili con ministri e amministratori pubblici, nonché dalla presenza di agguerriti nemici che tentano di sabotare il suo progetto, con tanto di sopralluogo a sorpresa da parte di un commissario governativo mentre Pazzi (che stranamente non ne era stato neppure avvisato) si trovava a Firenze101 Nel 1885 arriva la svolta, con l’approvazione ufficiale mediante Regio Decreto della convenzione tra il Ministero della Pubblica Istruzione e il Municipio di Ravenna per l’istituzione di un Museo Nazionale, dato il valore riconosciuto agli «oggetti di antichità e d’arte» in possesso del Comune102. Il sentimento di orgoglio e il riconoscimento dell’identità nazionale caldamente promossi dal clima politico e culturale di fine Ottocento – che senz’altro furono una delle cause della trasformazione dell’originaria natura “civica” del museo in “nazionale” – preservarono tuttavia il forte legame dell’istituzione col territorio. Nella Convenzione infatti si legge che al Museo sono destinati a titolo di deposito perpetuo tutti gli oggetti d’antichità che il Comune già possiede (il nucleo dei marmi bizantini e rinascimentali e quello delle originarie raccolte classensi assemblate su impulso di Pietro Canneti) e dei quali può disporre liberamente, così come «potrà raccogliere in seguito a scavi in aree di sua (del Comune, n.d.r.) proprietà, o acquisire a sue spese»; dal canto suo il Governo «si obbliga a non trasportare mai gli oggetti stessi fuori da Ravenna, né in altro museo di Stato». Finanziariamente parlando, il Governo si assunse i tre quarti della spesa totale prevista per i lavori (L. 20.000); il restante quarto spettava al Comune, che avrebbe

99 ASCRa, Busta Speciale, 127/1 (cit. in PACASSONI 2003,p. 319).

100 Molti di essi sono già stati nominati nel corso di questa ricerca: oltre a Pazzi stesso, l’ingegnere Filippo Lanciani, l’ispettore regio Silvio Busmanti, gli ingegneri Romolo Conti e Alessandro Ranuzzi, lo storico Pier Desiderio Pasolini e un giovane Corrado Ricci; inoltre il letterato Gaspare Martinetti Cardoni, Carlo Tarlazzi, gli artisti Giulio Lovatelli e Camillo Maioli, Saturnino Malagola. L’elenco è nel verbale della seduta della giunta comunale del 1 dicembre 1881: ASCRa, Busta Speciale, 127/1, XV/8, protocollo n. 7843 (cit. in PACASSONI 2003,p. 319, n. 14).

101 Pazzi riporta la vicenda nella sua autobiografia: l’inviato governativo (un «pittore»), a cui non poté spiegare il progetto che in effetti a quei tempi era ancora più nella sua testa che nella realtà, ratificò le obiezioni che venivano fatte all’istituzione museale nascente dai suoi detrattori. I “contrari” all’impresa sostenevano che il locale adibito fosse inadatto, il suo adeguamento impossibile o che comunque avrebbe avuto esiti pessimi, e che i reperti da esporre fossero scarsi per numero e pregio. Pazzi si recò di persona a Roma per incontrare il Ministro e il senatore Fiorelli e riuscì ad ottenere una nuova ispezione (da parte dei commendatori Bernabei e Buongiovannini che si fermarono a Ravenna qualche giorno per raccogliere tutti i dati necessari a stilare una valida relazione), che invece andò a buon fine (PAZZI 1887,pp. 265-276).

102 ASCRa, Busta Speciale, 127/1, XV/8, protocollo n. 2299: Convenzione fra il Ministero della Pubblica Istruzione e il Municipio di Ravenna del 3 marzo 1885, approvata mediante Regio Decreto il 25 luglio successivo.

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fornito anche scaffali, vetrine e simili di cui avrebbe potuto disporre; il servizio museale e le future acquisizioni di patrimonio venivano assunte nel bilancio ministeriale. Come sede del museo viene designato l’ex convento e chiesa di Classe in città103, i cui necessari lavori di adeguamento vengono assunti dal Governo e affidati alla direzione di Pazzi104. Pazzi si rammaricò dell’indisponibilità del monumentale chiostro di Santa Maria in Porto che era stato la sua prima opzione, ceduto al Ministero della Guerra come sede del Comando di un Corpo d’armata; la sede del monastero classense, sebbene adatta ad ospitare il nascente museo, gli sembrò meno sontuosa e troppo poco capiente soprattutto in vista delle future acquisizioni della collezione. Fece presente inoltre l’urgenza di nominare una «commissione intelligente» che classificasse cronologicamente i manufatti, procedesse ad ordinarli e a progettare criteri e modalità di esposizione105. Pazzi venne nominato Direttore del nascente museo il 1 gennaio 1884 e cinque giorni dopo Ricci si dimise dalla Commissione per la formazione del Museo Bizantino nominata nel 1881. Una fuoriuscita abbastanza clamorosa, che nelle poche righe inviate al sindaco di Ravenna viene addotta a una varietà di ragioni non meglio specificate; vi si legge però una certa offesa nel rassicurare retoricamente sul minimo danno causato dalla sua futura mancanza, in un’impresa già iniziata «senza che dell’opera mia e del consiglio si sia mai mostrata la necessità»106.

Tra il 1884 e il 1887 si compirono i lavori di riadattamento degli ambienti della sede classense che Pazzi dirigerà da Firenze, sua città d’adozione, attraverso una fittissima corrispondenza con i suoi collaboratori; egli redigerà anche piante in cui è annotato un puntuale progetto di allestimento con la disposizione di sarcofagi bizantini, iscrizioni, oggetti bizantini, terrecotte, oggetti romani, oggetti sacri, materiali “risorgimentali”107. Il primo nucleo della raccolta museale comprendeva 180 oggetti che furono demanializzati un anno dopo l’avvio dei lavori; lo riporta Pazzi in una lettera al Ministro della Pubblica Istruzione del 1884 a cui allega anche una pianta, in cui si dice già instaurato «il Museo di Ravenna, che dalla importanza e quantità degli oggetti adunati e adunabili, pertinenti all’epoca bizantina, porta il nome di bizantino»108. Il Museo, ormai Nazionale, fu inaugurato nel 1888 e l’ex convento di Classe in città ne rimarrà la sede fino al 1914109.

Nel frattempo proseguiva la frenetica attività di raccolta di opere antiche (a cui partecipò anche Gardella) sparse per la città, di proprietà privata, emerse in scavi archeologici, scovate in giardini, orti e cortili, di cui il presidente della Commissione, Silvio Busmanti, riferiva

103 Si intende il complesso oggi adibito a Biblioteca comunale Classense e l’annessa Chiesa di San Romualdo che da qualche anno ospita il Museo del Risorgimento di Ravenna.

104 ASCRa, Busta Speciale, 127/1, XV/8, protocollo n. 2299.

105 ASCRa, Busta Speciale, 127/1, XV/8, 6, protocollo n. 6588: Lettera di E. Pazzi del 3 settembre 1883 (cit. in PACASSONI 2003,p. 323).

106 ASCRa, Busta Speciale, 127/1, XV/8, 6, protocollo n. 432: Lettera di Corrado Ricci al sindaco di Ravenna Pietro Gamba del 6 gennaio 1884 (cit. in PACASSONI 2003,p. 323).

107 Si conservano tre planimetrie del progetto di adattamento a Museo Nazionale degli ambienti dell’ex monastero di Classe in città: ASCRa, Busta Speciale, 127/1, XV/8, protocollo n. 1186 (figg. 1, 2, 3 in PACASSONI

2003).

108 Lettera di Enrico Pazzi all’on. Coppino, Ministro della Pubblica Istruzione, del 6 aprile 1884: PAZZI 1887,pp. 261-264 (la citazione è tratta da p. 261).

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puntualmente al Direttore. In quella ricerca vennero setacciate anche le zone limitrofe di chiese bizantine che erano state oggetto di scavi archeologici110, mentre si cercò di convogliare al museo – non senza molte difficoltà –i numerosi sarcofagi sparsi nelle corti e nelle piazzette delle chiese o le collezioni civiche preesistenti111.

Il risultato di vent’anni di ricognizione artistica e archeologica effettuata sul territorio al fine di riempire il nuovo museo è palpabile nel catalogo di 488 oggetti descritti e illustrati con estrema precisione112, compilato nel 1893 dal bibliotecario della Classense Andrea Zoli e sottoscritto da Pazzi.

Nel 1898 lo scultore ormai anziano scrive senza rancore al rampante Ricci che, in qualità di Soprintendente, sta per subentrargli alla direzione del Museo: Pazzi gli raccomanda fiducioso «i nostri insigni monumenti», appartenenti al patrimonio nazionale dei «miracoli dell’arte antica, unico lustro che ancora, invidiati, ci rimane», ma faceva trapelare la fatica nell’affrontare le ostilità e l’ostruzionismo perpetrato fin dall’inizio contro la realizzazione del suo progetto113.

Riguardo alla sede definitiva del Museo Nazionale Corrado Ricci prima, poi Giuseppe Gerola, Renato Bartoccini, Ambrogio Annoni, Santi Muratori e Giuseppe Bovini guideranno lavori di restauro, demolizioni, ricostruzioni e svariati allestimenti.

Giuseppe Gerola ne curerà da Soprintendente il trasferimento nel complesso benedettino di San Vitale, sorto accanto alla nota basilica giustinianea che ne era parte integrante. Il rinnovato museo verrà inaugurato il 12 settembre 1921 da Ambrogio Annoni; dopo i lavori di ricostruzione post-bellici e il riordinamento di Giuseppe Bovini, il museo riaprirà il 7 maggio 1950. Si tratta a tutt’oggi di una realtà museale complessa e articolata, che ospita in una splendida cornice una quantità di materiali disomogenei114 e spesso decontestualizzati, che continua a rispecchiare però l’idea originaria istituente sia il Museo sia la Soprintendenza, ossia di una collezione che doveva arricchirsi nel tempo, tramite i rinvenimenti e le acquisizioni nel territorio ravennate.

110 Ne sono un esempio gli scavi del 1881 della Pieve di Santo Stefano in Tegurio (Godo, RA), da cui proveniva un mattone con bollo romano già donato a Pazzi dall’arciprete di Godo per il nascente museo: vennero riportati alla luce i resti di un antico edificio: PACASSONI 2003,pp. 331-333.

111 Esemplare delle tensioni cittadine che si crearono intorno al Museo è la complicata vicenda delle quattro urne del quadrarco di Braccioforte (situato nella zona dantesca, il chiostro originariamente doveva essere l’oratorio che chiudeva l’ardica della chiesa di San Francesco, adibito poi a zona cimiteriale in età medievale e nel tempo arricchitosi di quindici sarcofagi sparsi nei pressi delle chiese cittadine). Parimenti snervanti anche le trattative per il medagliere della Biblioteca Classense. Cfr. PACASSONI 2003,pp. 334-342.

112 MARTINI 1997.

113 Lettera di E. Pazzi a C. Ricci del 4 agosto 1898: BCR, CRC, n. 27268 (cit. in PACASSONI 2003,pp. 324-325). 114 Vi si trovano terrecotte, marmi, epigrafi, monete, elementi architettonici, stoffe, mosaici, bronzetti, avori, icone, ceramiche, armature.

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