• Non ci sono risultati.

Il partito dei Goti e quello dei Romani nella «città delle favole» a La polemica consumatasi su Novelle letterarie

di una frontiera

III. Prime interpretazioni

III.3.2 Il partito dei Goti e quello dei Romani nella «città delle favole» a La polemica consumatasi su Novelle letterarie

Il 28 marzo 1766 sulla rivista Novelle letterarie pubblicate in Firenze diretta da Giovanni Lami apparve un interessante intervento, a nome di un certo viaggiatore fiammingo che si firmava “Sign. Lovillet”, che diede fuoco alle polveri: Lovillet era pronto a scommettere sulla romanità del mausoleo di Teoderico, in tal modo schierandosi contro gli eruditi locali e l’autorità di Agnello autore del Liber Pontificalis. La tesi generò una disputa, a tratti feroce, tra due fazioni di intellettuali ravennati, divisi tra coloro i quali sostenevano una pertinenza gota e quelli che affermavano una affiliazione romana del noto monumento funebre.

Fig. 12 - Il tomo XXVII della rivista «Novelle letterarie pubblicate in Firenze» del 1766 e la prima pagina della lettera di Lovillet in esso pubblicata (BCR).

Innanzitutto il signor Lovillet scrive che la città di Ravenna da lui visitata non mostri molta magnificenza e che anzi non vi sia alcun indizio architettonico del suo passato da residenza imperiale. L’unica eccezione sarebbe costituita proprio dalla «Rotonda»110, l’unica realtà ad essere «degna degli sguardi de’ dotti forestieri»111. Tuttavia tale edificio – Lovillet è pronto a scommetterci il proprio «scrigno» – sarebbe un’opera romana, in barba a tutte le dissertazioni di illustri studiosi ravennati (vengono elencati Vandelli, Zirardini, Gambi, Ginanni) e alle fonti storiche (Agnello, Anonimo Valesiano, Riccobaldi), tanto da farlo sentenziare: «Crediatemi,

110 Si tratta ovviamente del mausoleo di Teoderico, che nel corso del tempo fu inglobato in altre costruzioni e a partire dal IX secolo è noto come chiesa di Santa Maria della Rotonda.

136

questa è la Città delle Favole». Secondo il viaggiatore l’edificio sarebbe da identificare con un «bagno de’Romani, o per meglio dire (…) un Columbarium» analogo alla rotonda di Roma, il

Pantheon, e riprova ne sarebbero le iscrizioni sepolcrali e le urne cinerarie che vi si trovavano

nei pressi. Così, la famosa vasca di porfido che avrebbe racchiuso le ceneri del sovrano altro non sarebbe che «un vaso di Bagno»; a Lovillet pare impossibile che il re dei Goti non disponesse di un’urna migliore di questa recante un «gran Mascherone inciso con due manici», che al fiammingo fa esclamare «che povertà di pietre!»112. La «trasformazione» in sepolcro di Teoderico, che si specifica «morì a Roma», sarebbe dovuta alla fantasia dei Ravennati, che a seguire l’avrebbero poi trasformata in chiesa, e dunque in monastero, incidendovi sopra anche i nomi dei dodici Apostoli e dei due Evangelisti adducendo la «sciocchezza» che erano i piedistalli delle rispettive statue poi spostate a San Marco a Venezia. A venire criticato è Agnello, «il più antico Scrittore di questa Favola», il quale scrive a distanza di tre secoli dalla morte di Teoderico. La discordia che in merito anima gli storici ravennati è addotta da Lovillet come prova a sostegno della propria tesi, dal momento che «Tali fabbriche erano sempre distrutte dai Goti, e dagli altri barbari, e non erette»113.

La risposta indirizzata a Lovillet non si fece attendere molto, e apparve sul numero del 30 maggio della stessa rivista a firma di «Bodia Zefiria Guardiana della Rotonda di Ravenna»114, smontando uno ad uno gli argomenti del destinatario115. Vi si dice che come replica alla «leggenda» proposta dal finto viaggiatore dovrebbe bastare la cornice del monumento, esplicitamente gotica, così come anche l’interno, sebbene la magnificenza della struttura deponga per l’opposto. Si allerta inoltre in merito all’interpretazione del Pantheon come bagno romano proposta da un «letterato infelice», il quale è stato ampliamente deriso e dunque si suggerisce a Lovillet di ritrattare immediatamente («cantate dunque tosto la palinodia»). A seguire si attacca Lovillet sulle sue conoscenze delle fonti scritte, accusandolo di confondere l’Anonimo Valesiano con Arrigo (o Enrico) Valesio. Bodia Zefiria specifica che Arrigo Valesio pubblicò l’Anonimo il quale, proprio dal suo editore, prese il nome di Anonimo Valesiano116; quest’ultimo secondo molti studiosi visse nell’età di Teoderico (dal momento che termina la propria narrazione storica con la morte di questo re), e quindi ne può descrivere gli eventi con cognizione di causa; pertanto l’Anonimo Valesiano precede il Liber Pontificalis di tre secoli, e dunque Agnello non può essere considerato il primo ad attribuire la Rotonda ai Goti. Si smonta inoltre l’autorità di Mezzeray, l’autore francese del Compendio dalla cui “Vita di Childeberto I” Lovillet trae la notizia della morte di Teoderico avvenuta a Roma e non a Ravenna. Per Bodia Zefiria un autore straniero che per di più non si era mai occupato prima di «cose nostre» è molto meno attendibile dei tanti autori ravennati che riferiscono l’apposto.

112 Ibid.

113 Ibid.

114 Più avanti nella lettera si specifica che il riferimento è alla donna che nella battaglia di Ravenna cantata in versi da Marcello Palonio combatte contro il Sign. di Fois per difendere la patria.

115 «Novelle letterarie» 1766, n. 22.

116 Arrigo Valesio è l’italianizzazione del nome dello storico francese Henri Valois (1603-1676) che fu il primo a pubblicare, nel 1636, nella sua edizione di Ammiano, due testi storiografici tardoantichi anonimi rinvenuti in un codice parigino: uno si riferiva alla vita dell’imperatore Costantino, l’altro agli anni compresi tra il 474 e il 526 (Enciclopedia Treccani; cfr. infra, n. 144).

137

In ogni caso, ammesso anche che Teoderico fosse morto a Roma, questo non escluderebbe di certo che le sue ceneri potessero essere in seguito trasportate a Ravenna per trovarvi degna sepoltura117.

Il prosieguo dell’invettiva della «Guardiana della Rotonda» viene pubblicato a distanza di sole due settimane118: dalla notizia riportata delle dodici nicchie che un tempo sarebbero state occupate dalle statue degli Apostoli si deduce che Lovillet avesse intrattenuto discorsi non con i numerosi letterati che popolavano la città (il conte Paolo Gamba Ghiselli e l’abate Ginanni avevano appena scritto in merito), ma soltanto con «uomini volgari, (…) con pescivendoli, oppure con semplici e ignoranti femminucce». Per quanto riguarda invece la “scoperta” che l’urna di porfido fosse in realtà una vasca, Bodia Zefiria ricorda come in Campidoglio almeno altre due urne simili fossero state in precedenza impiegate come «lavelli»119. Infine, si difende strenuamente il valore del patrimonio monumentale di Ravenna, che non si vuole ridotto alla sola Rotonda. Bodia Zefiria ipotizza ironicamente che a Lovillet sia capitato un Virgilio davvero sprovveduto e ignorante, che non l’abbia condotto né a San Vitale, né a S. Apollinare in Classe, né in «tanti avanzi superbi di antichità Gotica» e dunque lo invita nuovamente a Ravenna, suggerendogli la lettura di Zirardini per comprendere «quanto fosse felice questa Città pe’ suoi sontuosi edifizi e prima, e dopo, gli Imperatori». Nella conclusione compare una specie di diffida dallo scrivere in merito una più lunga dissertazione su un qualche giornale, come paventato da Lovillet a chiosa del suo intervento. Inoltre si rassicura il viaggiatore – il quale, lamentandosi di non potere più salire in cima per colpa dei frati che avevano rimosso una preesistente scala di ferro, faceva presente il rischio che essi deturpassero il monumento con qualche ornamento inopportuno – sul perfetto stato di conservazione delle antichità custodite dalle congregazioni monastiche120. La lettera termina con «Sin qui gli Autori di questa Lettera, che sono i Padri Lettori Camaldolesi del Monastero di Classe di Ravenna»121.

La polemica, inasprita dai successivi botta e risposta pubblicati sulla stessa rivista, si allarga anche alle sepolture di Galla Placidia e di Sant’Apollinare che, secondo Lovillet, non erano ospitate a Ravenna. In Novelle letterarie del 26 settembre122 e poi del 12 dicembre123, infatti, trova spazio, divisa in due parti, la replica di Lovillet (che si specifica non essere un nome fittizio), il quale si dichiara fiero di avere diviso i Ravegnani in due partiti, quello Gotico e quello

Romano, quest’ultimo ovviamente definito «più illuminato». Innanzitutto si sottolinea come

la Cronaca dell’Anonimo Valesiano sia opera di più mani e come non sia del tutto acclarata la datazione ai tempi di Teoderico; inoltre la stessa fonte, così come del resto Agnello124,

117 «Novelle letterarie» 1766, n. 22. 118 «Novelle letterarie» 1766, n. 24.

119 Vi si dice che tali urne siano quelle di S. Bartolomeo e dell’imperatrice Elena. Nel Marangoni vi sarebbero poi «mille altre esempi»: «Novelle letterarie» 1766, n. 24.

120 In particolare si fa riferimento allo splendore della basilica di Sant’Apollinare in Classe, che sarebbe dovuto alla diligenza dei «dottissimi Monaci Camaldolensi di Classe»: «Novelle letterarie» 1766, n. 24.

121 Ibid.

122 «Novelle letterarie» 1766, n. 39. 123 «Novelle letterarie» 1766, n. 50.

124 Agnello è ritenuto colpevole di riportare la notizia di un certo Giorgio che, ai tempi della rivolta ravennate contro Giustiniano, avrebbe percorso a cavallo tutta la penisola in sole sei ore: Agnello, Liber Pontificalis, Par. II, cap. 3, cit. in «Novelle letterarie» 1766, n. 39.

138

riporterebbe troppe fandonie – una su tutte quella del parto di tre serpenti da una donna gota avvenuto sotto i portici del palazzo di Teoderico – per essere considerata attendibile. Lovillet auspica che i Ravegnani inizino ad esaminare il passato della propria città con spirito più critico; a tal fine, tra le altre cose, sostiene che il cosiddetto mausoleo di Galla Placidia non solo non sia ascrivibile ai tempi dell’imperatrice bensì a un età posteriore, ma anche che in realtà non sia affatto di quella magnificenza lodata da molti storici ravennati (a partire da Desiderio Spreti): di 33 sarcofagi visti da Lovillet a Ravenna, i cinque custoditi nella piccola chiesa sarebbero i più «meschini» (rozzi, mal lavorati, di un marmo di scarsa qualità), e dunque non potrebbero essere stati destinati ad accogliere Galla Placidia e i suoi familiari imperatori, per di più morti altrove125. Di Galla Placidia in particolare si riportano le opinioni di chi la vuole morta in Francia126, chi a Roma, mentre secondo Lovillet sarebbe morta a Milano127, quindi sepolta nell’odierna chiesa milanese di S. Aquilino128. Lovillet coglie l’occasione per ribadire nuovamente che Agnello, che ne riporta la sepoltura a Ravenna, e di conseguenza Girolamo Rossi, che a lui si rifà, non sarebbero attendibili.

Si trattò di una sterile polemica per di più perpetrata in anni di grave crisi economica e governativa dello Stato Pontificio? Secondo la storica Cesarina Casanova no, in quanto la vicenda va ricondotta alle tensioni e ai contrasti tra eruditi cittadini e il clero dei monasteri. Questi ultimi avevano aumentato il loro potere economico e difendevano i propri interessi anche attraverso la detenzione dell’egemonia culturale, gestendo le uniche scuole presenti sul territorio. In particolare i monaci camaldolesi si erano attirati ostilità per la loro presunta arroganza, le manie di protagonismo e gli atteggiamenti scorretti assunti in discussioni erudite e teologiche; soprattutto la loro attività antiquaria – definita «paleomania»129 – attirò giudizi molto negativi.

Dunque, secondo Casanova, col suo affondo nella disquisizione tra Goti e Romani Lovillet – che per la storica è lo pseudonimo sotto il quale si sarebbe nascosto il gesuita Andrea Rubbi, nonostante fosse stata supposta invece l’attribuzione al padre lettore camaldolese Isidoro Bianchi130 – voleva colpire la scuola camaldolese, screditando la scuola del monastero (peraltro, come già detto in precedenza, di buon livello e da poco rinnovata) in cui si sarebbero apprese conoscenze errate e superstizioni. Infatti, negli interventi successivi Lovillet abbandonò le controversie storiche per passare a più concrete rivendicazioni economiche, facendosi interprete dei malumori della nobiltà cittadina nei confronti della «potenza

125 «Novelle letterarie» 1766, n. 39. 126 Ibid.

127 La morte in terra francese è addotta sulla base di una pergamena dell’XI secolo tramandata da Puricelli in Vita

S. Laurentii, p. 276: Ibi (= nel tempio di S. Aquilino) est arca marmorea, in qua iacet corpus Reginae Gallae cum rege Astulfo («Novelle letterarie» 1766, n. 50).

128 «Novelle letterarie» 1766, n. 50.

129 CASANOVA 1979,p.153e rimandi alle lettere conservate presso la Biblioteca Apostolica Vaticana in n. 16. 130 Sui dettagli della vicenda e su tutte le personalità coinvolte cfr. CASANOVA 1979.

139

de’frati», ossia dei privilegi delle quattro abbazie ravennati (S. Vitale, Classe, S. Maria in Porto, S. Giovanni Evangelista)131.