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I dati disponibili secondo le fonti scritte e le fonti materiali

di una frontiera

II.4.1 I dati disponibili secondo le fonti scritte e le fonti materiali

Ravennaconobbe più di cinquant’anni di dominazione gota, scandita da quarant’anni di pace e da venti di guerra, ma fu sotto il regno di Teoderico (493-526) che assunse l’aspetto definitivo che la caratterizzerà per tutto il periodo bizantino (553-750).

È stato più volte sottolineato come l’età teodericiana non abbia significato una rottura rispetto alle tradizioni romane: non appena il re degli Ostrogoti Teoderico assunse il titolo di

153 Si tratta della nuova proposta interpretativa presentata al Convegno La compétition dans les sociétés du

haut Moyen Âge es ressources en compétition (Roma, 3-5 ottobre 2013) dalla relazione “Le molteplici risorse

del sottosuolo” di Cristina La Rocca e Ignazio Tantillo (ringrazio la prof.ssa La Rocca per la segnalazione). Cfr. anche EFFROS 2002.

154 POSSENTI 2001, p. 273. 155 BARBIERA, p. 153. 156 LA ROCCA 2007. 157 LA ROCCA 2006.

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rex Italiae, si adoperò per essere riconosciuto come erede legittimo dei suoi predecessori.

L’esplicita volontà di ricollegarsi alla civiltà romana e alla tradizione imperiale, su cui concordano tutte le fonti scritte158, si manifestò soprattutto attraverso interventi di carattere edilizio in varie città dell’Italia settentrionale: restauri di anfiteatri, terme, acquedotti, nonché palazzi già sede di funzionari imperiali in cui Teoderico volle abitare159. In particolare, a Ravenna, l’intervento sull’acquedotto (probabilmente costruito in età traianea) è testimoniato da archi e fistule plumbee con il marchio attestante il restauro160. Ma soprattutto, stando alle fonti scritte161, il re provvide alla bonifica di un’intera area della città162, che per Maria Grazia Maioli andrebbe localizzata nella parte nord-est, e su cui, come si vedrà, visioni storiografiche ormai datate hanno ipotizzato sorgesse un vero e proprio “quartiere goto”163.

Fig. 8 - Fistula in piombo dell’acquedotto di Teoderico (Fondo Mazzotti in LAZARD 1991).

Tra le principali fonti scritte locali utilizzate per lo studio della Ravenna di V-VI secolo, si trova la cronaca dell’Anonymus Valesianus, nella seconda parte detta Theodoriciana (a sua volta composta da due parti, la seconda apertamente ostile a Teoderico): ricca di aneddoti e sensibile specchio dell’opinione pubblica, redatta nel secondo quarto del VI secolo, purtroppo termina nell’anno della morte di Teoderico (526). Gli Annales ravennates, ossia i fasti consolari, invece si prolungano al di là del 540 ma selezionano pochi eventi. Più tardo invece il Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis di Andrea Agnello: scritto nel IX secolo sulla base di una documentazione di seconda mano, evoca personaggi e episodi della storia locale religiosa, politica e sociale, riportando anche numerosi elementi utili per la conoscenza della topografia e dei monumenti della città, ancora esistenti o dei quali era vivo il ricordo.

Di grande importanza anche le fonti diplomatiche ravennati: per lo più costituite da transazioni fondiarie (testamenti, donazioni, vendite, ma anche risarcimento danni, affrancamento, carta plenariae securitatis, origini di una causa) sono complessivamente 18 carte pubblicate prima da Marini e poi da Tjäder, (la n. 85, pubblicata da Marini, è andata perduta), che rendono noti circa 50 personaggi “goti”.

158 Von FALKENHAUSEN 1984, pp. 307 sgg.

159 Sulle valenze della politica edilizia di Teoderico cfr. LA ROCCA 1993b e LA ROCCA 2003. Per una recente lettura delle molteplici caratterizzazioni di Teoderico come “barbaro, re, tiranno” cfr. GOLTZ 2008.

160 Per la problematica dell’acquedotto di Ravenna cfr. PRATI 1988. 161 Jordanes, Gethica, 29, 152; CIL XI 1, 10.

162 Per la questione della localizzazione delle bonifiche cfr. LUSUARDI SIENA 1984, pp. 525-537.

163 PUGLIESE CARATELLI 1984; MAIOLI 1989, pp. 227 sgg.; LAZARD 1991, pp. 122-124; MAIOLI 1994, p. 232, 236; BERTI

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Anche tutti i documenti locali anteriori al 750 possono essere sfruttati per risalire, tramite la toponomastica, al destino della popolazione di origine gota e ai loro insediamenti164.

Non c’è bisogno di sottolineare come ciascuna di queste fonti abbia delle pecche, seppur diverse, finendo tutte per tacere su interi aspetti della realtà. Per ovviare a questo problema, gli studiosi sono ricorsi anche a fonti non specificatamente ravennati, pur ammettendo il rischio di generalizzare dati riferibili ad altre aree di Italia applicandoli a Ravenna, insieme città tra le tante e capitale del regno.

Rivelatori della “posizione dei Latini” sarebbero il Panegyricus dictus clementissimo regi

Theodorico, alcune Epistolae e alcuni Carmina di Ennodio; la Chronica ad a. DXIX di

Cassiodoro; il libro I della Guerra gothica di Procopio; la Prosa IV del libro I del De

consolatione philosophiae di Boezio; il Chronicon di Marcellinus Comes. La “posizione dei

Goti” sarebbe registrabile invece nel De Getarum sive Gothorum origine et rebus gestis di Giordane, epitome dei perduti XII libri della Historia Gothorum di Cassiodoro. E poi ovviamente le Variae, le raccolta in 12 volumi di più di 450 lettere e documenti emanati da Teoderico, dalla figlia Amalasunta che resse il regno per il proprio figlio Atalarico di cinque anni, da Teodoato e da Vitige165. Redatte da Cassiodoro probabilmente tra il 505 e il 537, costituiscono una miniera di informazioni sulla distribuzione delle funzioni amministrative ed economiche, sulla situazione giuridica e sulle relazioni tra cattolicesimo e arianesimo ma, paradossalmente, trattano pochissimo di Ravenna, in quanto il re e l’amministrazione vi risiedevano (e dunque nelle missive venivano trattate le questioni delle altre aree del regno)166.

Passando invece alle evidenze architettoniche e archeologiche, come è stato messo in luce da Raffaella Farioli Campanati, molte delle denominazioni dei principali edifici della Ravenna tardoromana e bizantina trovano un parallelo in analoghe costruzioni di Costantinopoli167. Si tratterebbe di un esplicito richiamo della capitale dell’Impero d’occidente a quella d’oriente, verosimilmente operato all’epoca di Galla Placidia – più che a quella di Teoderico – nel periodo in cui ella resse il potere (425-437) a nome del figlio Valentiniano III, a soli 6 anni ancora troppo giovane per il trono.

All’arrivo di Teoderico dunque, a Ravenna esisteva già il “quartiere del Palazzo”, nella zona sud-est della città, prospiciente la Platea Maior, ossia la strada il cui percorso (corrispondente all’attuale via di Roma) insisteva sulla tombata Fossa Augusta. Secondo la ricostruzione normalmente accettata proposta in Magistra Barbaritas168, esso andava dal

palatium ad Lauretum di Valentiniano nella zona dell’attuale via Cerchio (corrispondente al

164 Al di là di questa data, in cui si verificò l’occupazione longobarda poi seguita dalla consistente colonizzazione franca, non è più corretto attribuire un’origine gota agli antroponimi e toponimi germanici.

165 Una nuova edizione delle Variae di Cassiodoro è curata da Andrea Giardina nel coordinamento delle unità di ricerca di Firenze, Cassino, Padova, Milano, Chieti, nell’ambito del progetto PRIN 2008 (pubblicazione prevista nel 2014 per L’Erma di Bretschneider).

166 Cfr. anche la recente peculiare lettura che dell’opera di Cassiodoro viene data in BJOTNLIE 2013. 167 FARIOLI CAMPANATI 1992a, pp. 375 sgg.; FARIOLI CAMPANATI 1992b, pp. 132 sgg.

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palazzo di Dafni a Costantinopoli, ubicato vicino al Circo) fino a San Giovanni Evangelista, ovvero la cappella palatina di Galla Placidia. Nelle vicinanze doveva sorgere l’edificio ad

Scubitum, e la Moneta aurea, principale zecca cittadina, doveva trovarsi ubicata «nel portico

del sacro palazzo»169.

Sebbene a più di un secolo dalle indagini archeologiche effettuate nell’area l’articolazione e l’identificazione stessa del Palazzo di Teoderico sia piuttosto controversa170, pare che esso dovesse essere costituito da una serie di edifici diversi in vario modo collegati tra loro, di cui il re prese possesso adattandoli alle necessità della nuova corte.

Fig. 9 - Ravenna, la facciata del cosiddetto “Palazzo di Teoderico”.

La vulgata ravennate identifica la residenza imperiale con i resti della chiesa di San Salvatore ad Calchi, mentre archeologicamente viene indicato il grande edificio a sud-est della chiesa di Sant’Apollinare Nuovo, messo in luce da Ghirardini171 agli inizi del Novecento e in seguito nuovamente interrato (non prima di aver provveduto all’asportazione dei mosaici pavimentali).

L’edificio indagato sembra in effetti corrispondere alle informazioni sul palazzo riportate dall’Anonimo Valesiano e da Andrea Agnello172: la sala absidata rinvenuta corrisponderebbe

169 AUGENTI 2005b.

170 CIRELLI 2008. L’Università di Bologna sta per intraprendere nuove indagini archeologiche nell’area del Palazzo sotto la direzione scientifica del prof. Andrea Augenti.

171 DESIDERIO PASOLINI 1875, pp. 197-211; DYGGVE 1941.

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alla “basilica” destinata alle udienze, mentre il triclinium ad mare sarebbe la struttura trilobata in cui sono stati rinvenuti mosaici e iscrizioni riferibili al banchetto, situata appunto ad est, dal lato del mare173. L’edificio scavato corrisponde in tutto e per tutto alla tipologia delle ville romane tardoantiche174, con una serie di ambienti (stanze d’abitazione e impianti termali) articolati intorno ad un peristilio centrale e con presenza di basilica absidata (attestato anche il triclinio trilobato). Le indagini archeologiche hanno messo in luce infatti una villa suburbana romana in cui erano individuabili una serie di pavimentazioni successive, a partire dal I-II secolo d.C.175, che fu oggetto di una considerevole ristrutturazione nel IV-V secolo. A quest’epoca il peristilio – quadrato, porticato, dotato di fontana ottagonale centrale e di vari elementi ornamentali – venne ripavimentato con scene di caccia e di circo e sul lato nord vi si aprì la basilica, pavimentata con marmi policromi, su cui a sua volta si aprivano altri ambienti, alcuni dei quali absidati.

Se l’identificazione di questo complesso con il palatium di Teoderico fosse corretta, verrebbe smentita l’attribuzione al re goto della costruzione dell’intero palazzo dalle fondamenta, fatta dall’Anonimo Valesiano176. L’intervento di Teoderico, infatti, si sarebbe limitato alla ricostruzione della basilica (ampliata ed impreziosita dal pavimento in opus sectile) e all’abbellimento (una cappella nel giardino?) nonché ripavimentazione parziale del peristilio con alcuni mosaici a motivi geometrici – a ben vedere particolarmente modesti, per appartenere alla residenza del rex Italiae, se confrontati con altri coevi della Romagna177. Il triclinio non sarebbe neppure opera di Teoderico, bensì di Odoacre.

Il lato ovest dell’edificio non venne indagato, ma è possibile che conducesse direttamente alla cappella palatina di età teodericiana, Sant’Apollinare Nuovo. Originariamente dedicata a Cristo e poi, in seguito alla riconciliazione con il cattolicesimo, a san Martino di Tours, è giustamente famosa per gli splendidi mosaici parietali, sintesi figurativa della politica imperiale. All’inizio delle due navate, infatti, il re Teoderico fece raffigurare a destra il suo polo politico, cioè il Palatium178, e a sinistra quello economico, cioè il porto di Classe, che si adopererò per restaurare. A sua volta, dietro la facciata del palazzo, si scorge a destra la cattedrale cattolica Ursiana con il relativo battistero, mentre a sinistra vi è la basilica ariana, la Anastasis Gothorum. La simbologia sottesa è chiara e profonda: il palazzo, centro politico, doveva essere anche il punto «di collegamento e di rapporto necessario tra le due comunità religiose»179.

173 Da MAIOLI 1994, p. 243, n.12, sappiamo che De Angelis d’Ossat non era favorevole a questa identificazione: lo espresse nell’intervento, non pubblicato, presentato nel 1978 al XXV Corso di Antichità Ravennati e Bizantine (CARB).

174 ORTALLI 1991, pp. 170 sgg.

175 BERTI 1976, pp. 10-86; MAIOLI 1987, pp. 209 sgg. 176 MAIOLI 1994, p. 234.

177 Cfr. i mosaici rinvenuti a Faenza, nella villa di Meldola (MAIOLI 1987) e nella chiesa presso le saline di Cervia (GELICHI 1983).

178 BOVINI 1968, pp. 7-11. 179 MAIOLI 1994, p. 236.

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Fig. 11 - Ravenna, Sant’Apollinare Nuovo, particolare del mosaico parietale: rappresentazione del porto di Classe.

Fig. 12 – Ravenna, Sant’Apollinare Nuovo, particolare del mosaico parietale: rappresentazione del Palazzo di Teoderico.

Nelle immediate vicinanze di Sant’Apollinare Nuovo nel IX secolo sorse la chiesa di San Salvatore ad Calchi, chiaro riecheggiamento della Chalké costantinopolitana, ossia dell’ingresso monumentale del Palazzo imperiale fatto ricostruire dall’imperatore Anastasio. Pertanto è possibile che l’imponente ingresso visibile nel mosaico parietale di Sant’Apollinare Nuovo riproducesse l’ingresso ad Calchi del palatium della capitale d’Occidente, che avrebbe così ricalcato il modello, oltre che il toponimo, costantinopolitano. Si è visto quante siano le similitudini, terminologiche e non, del “quartiere del Palazzo” di Ravenna con quello della capitale orientale: esse riflettono la volontà di emulazione espressa dal sovrano goto nel proprio tentativo di autolegittimazione.

Altri esempi di edilizia civile di cui si parla nelle fonti scritte sono la basilica Herculis e il

Modicum PalatiumLa prima, già esistente, venne fatta restaurare da Teoderico da

maestranze specializzate, anche provenienti da Roma; potrebbe essere sorta in prossimità della statua di Ercole Orario, o potrebbe essere stata uno degli ambienti del Palatium180. Il

Modicum Palatium invece, situato a otto chilometri da Ravenna, in località Palazzolo, è stato

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individuato e oggetto di scavi archeologici181. Probabilmente costruito in concomitanza con l’assedio di Ravenna, di pianta quadrata come le ville fortificate del Norico, con muri esterni continui, torri angolari e corte interna, presentava un impianto termale all’esterno del complesso principale, a rivelarne le origini romane.

Almeno altri tre edifici in Romagna, analoghi a quello di Palazzolo ma non menzionati dalle fonti scritte, sono stati oggetto di campagne di scavo che hanno permesso la loro interpretazione. Si tratterebbe di ville di caccia o abitazioni di funzionari d’epoca teodericiana: il complesso di via Dogane a Faenza182, la villa di Meldola183 e la villa di Galeata184, che si sovrappone ad un complesso rustico romano di notevoli dimensioni.

Per quanto riguarda la rivitalizzazione teodericiana delle strutture economiche, l’intervento di maggiore consistenza fu senza dubbio quello realizzato nell’area del porto di Classe185. Il porto militare di Ravenna, voluto dall’imperatore Augusto186 (che aveva fatto tagliare un’imboccatura artificiale a sud della città, nonché fatto rettificare gli invasi lagunari collegandoli ai canali interni della città e alla Fossa Augusta), a causa del progressivo abbassamento del terreno e all’impaludamento delle terre emerse per il fenomeno della subsidenza, unito al degrado funzionale di epoca tardo-imperiale, si era ormai ridotto al solo canale di imbocco del porto originario, utilizzabile soltanto con l’ausilio delle maree.

In epoca imperiale romana, intorno all’imboccature del canale, si era andato formando un agglomerato per lo più costituito da necropoli, strutture di servizio e qualche villa suburbana. Ebbene, tale agglomerato in età teodericiana diverrà un vero e proprio insediamento che prenderà il nome di Civitas Classis; sarà dotato di strade, fognature, edifici religiosi imponenti187 (quali la basilica Petriana e la basilica di San Severo e probabilmente anche di mura, torri e di un faro come nella rappresentazione musiva di Sant’Apollinare Nuovo188.

Ma le ristrutturazioni volute dal re goto sono percepibili soprattutto nell’area, indagata e visitabile, del Podere Chiavichetta189. Qui, una serie di magazzini con piante simili che intrattenevano rapporti con aree commerciali differenziate (soprattutto con l’Asia Minore meridionale, Siria e Palestina) unitamente a svariati edifici produttivi specializzati, mostrano un impianto omogeneo che rimanda ad un progetto unitario.

181 BERMOND MONTANARI 1971, pp. 3-7; BERMOND MONTANARI 1972; BERMOND MONTANARI 1983b, pp. 17-21; MAIOLI

1987, pp. 242 sgg.; MAIOLI 1988a, pp. 90-93.

182 GENTILI 1980, pp. 427-479; MAIOLI 1987, pp. 228 sgg. 183 MAIOLI 1987, pp. 246 sgg.

184 DE MARIA 2004; MAIOLI 1987, pp. 244 sgg.

185 BERMOND MONTANARI 1983a; MAIOLI,STOPPIONI 1987. 186 Per il porto romano cfr. MAIOLI 1990a, pp. 375 sgg. 187 FARIOLI CAMPANATI 1983.

188 MAIOLI 1990b, pp. 335-343.

189 MAIOLI 1983; MAIOLI 1990a; MAIOLI 1991.

L’area è stata oggetto di campagne di scavo sistematiche dal 2001 al 2005, sotto la direzione scientifica del prof. Andrea Augenti, docente di Archeologia medievale dell’Università di Bologna e della dott.ssa Maria Grazia Maioli, Direttore archeologo coordinatore presso la Soprintendenza per i beni archeologici dell’Emilia Romagna. Cfr. AUGENTI 2005a; AUGENTI,BERTELLI 2007; AUGENTI et al. 2007.

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Nella zona nord-est della città, in precedenza occupata dal piccolo porto interno (quello in cui, secondo la leggenda, sarebbe sbarcata Galla Placidia)190 si concentrano molti edifici sorti in età gota. Si è già detto di Sant’Apollinare Nuovo, Cappella palatina, sebbene questa vada localizzata leggermente più a sud dell’area in questione. Si tratterebbe in primo luogo della chiesa dello Spirito Santo, forse in origine dedicata all’Anastasis, la Resurrezione, o a Sant’Anastasia191; dotata di battistero (il cosiddetto battistero degli Ariani) e vicina ad un impianto termale (in analogia con i “Bagni del Clero” scavati presso la Basilica Ursiana) forse riservato al clero ariano e documentato dal toponimo ad Balneum Gothorum (rimasto per la chiesa di S. Stefano). In secondo luogo è attestata l’Ecclesia Gothorum o Sant’Andrea dei Goti; non meglio identificata, viene situata nella zona della Rocca Brancaleone. Infine, vi è l’attestazione di San Giorgio in Tabula, localizzata fuori dalle mura romane, vicino al mausoleo di Teoderico.

Fig. 13 - Ravenna, strutture del potere tra V e VII secolo (CIRELLI 2008).

190 Secondo la leggenda Galla Placidia nel 424 d.C. partì da Costantinopoli con la figlia Giusta Onora e il figlio Valentiniano appena nominato imperatore romano d’occidente per raggiungere Ravenna via mare. Lungo il tragitto furono colti da una violenta tempesta e Galla Placidia, invocando l’Evangelista Giovanni, fece voto di dedicargli una chiesa (quella che sarà la basilica di San Giovanni Evangelista, appunto) qualora fossero scampati al pericolo.

La leggenda sull’arrivo di Galla Placidia a Ravenna è riportata da Andrea Agnello: Andrea Agnello, Liber

Pontificalis ecclesiae Ravennatis, tr. in PIERPAOLI 1988. 191 DEICHMANN 1974-76 (II 1, pp. 244-251).

73 A. Ravenna B. Sobborgo di Cesarea C. Sobborgo di Classe D. Linea di costa E. Lagune interne

1. Zone di Ravenna abitate in periodo romano imperiale 2. Ampliamento tardo-antico e

area del palazzo di

Teoderico

3. Fossa Augusta e porto interno, riempiti tra il V e l’inizio del VI secolo

4. Probabile zona del porto medievale (porto Coriandro) 5. Necropoli gota e Mausoleo

di Teoderico

6. Zone già occupate in età romana e successivamente abbandonate a causa della subsidenza

7. Fiume Padenna e suo

collegamento con il canale portuale

8. Canale portuale romano e porto bizantino

9. Zona archeologica in podere Chiavichetta

10. Aree di necropoli romane successive

11. Basilica di San Severo

12. Basilica di San Apollinare in Classe

Fig. 14 - Topografia di Ravenna e Classe in età teodericiana (MAIOLI 1994).

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Fig. 15 - Carta topografica di Ravenna in età teodericiana (LUSUARDI SIENA 1984).

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Fig. 16 - Chiese costruite in età gota. 9. S. Apollinare Nuovo; 10. Cattedrale degli Ariani; 11. Cappella di S. Andrea nell’Episcopio; 12. S. Andrea Maggiore; 13. S. Pietro in Orphanotrophio; 14. S. Maria Maggiore; 15. S. Eusebio; 16. Ecclesia Gothorum; 17. S. Giorgio ad Tabulam (CIRELLI 2008).

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Vi sono poi altri edifici religiosi ariani citati dalle fonti scritte come riconciliati al culto cattolico in base all’editto del 561, che passava alla chiesa cattolica tutte le proprietà ariane, ma sono sparsi per la città, nonché in zone limitrofe. Si tratta di Sant’Eusebio nel Campo Coriandro (fuori dalla porta di San Vittore, a nord della città), di San Zenone (nel sobborgo di Cesarea, a sud di Ravenna), di San Sergio in Viridario (nei pressi di Classe) e della Chiesa di Sant’Anastasia (fatta costruire da due comandanti goti e non altrimenti conosciuta)192. Va aggiunto che indagini archeologiche hanno individuato almeno altre due chiese di presunta età gota, non identificabili con nessuna di quelle menzionate: la Basilica “della Ca’ Bianca”, situata a sud di Classe e scavata solo parzialmente, viene indicata come ariana in base al modulo edificatorio193; la Chiesa di San Martino, rinvenuta presso le saline di Cervia, è a navata unica e l’attribuzione all’epoca gota è stata fatta in base ai materiali di scavo194. Per il fatto di costituire un canale privilegiato per risalire alla supposta identità, e in questo caso alla “goticità” degli inumati, le necropoli meritano un discorso a parte.

In particolare, della necropoli “chiave” – quella che pare dovesse circondare il Mausoleo di Teoderico – si sa pochissimo195.

Rinvenuta fortuitamente nel 1854-55 in occasione dei lavori per l’allargamento della darsena portuale del canale Corsini, purtroppo non fu oggetto di scavi regolari; la documentazione relativa è scarsissima e il materiale rinvenuto andò quasi completamente disperso. Non è chiara neppure la sua localizzazione esatta: una carta anonima conservata presso la Soprintendenza Archeologica di Bologna, datata al 13 giugno 1855, indica i lavori di scavo per l’ampliamento della Darsena e l’ubicazione di 9 tombe, di una zona di rinvenimento di oggetti d’oro e di un'altra di rinvenimento di vasi in terracotta (con annotazione delle profondità riferite al livello della quota massima di marea e dell’allora pavimento del mausoleo).

192 Per una sintesi dei dati e della bibliografia sugli edifici ravennati: NOVARA 1993, pp. 33 sgg. 193 FARIOLI CAMPANATI 1983, pp. 46 sgg., con bibliografia precedente.

194 GELICHI 1996.

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Fig. 17 - Pianta del 1855, riproducente la zona della Darsena, a Ravenna, e particolari delle tombe della necropoli gota (Archivio SBAER).

Fig. 18 - Disegno a matita del 1855 che rappresenta schematicamente la topografia del settore orientale di Ravenna e gli scavi dell’area funeraria di via Darsena (MANZELLI 2000).

La “pianta” doveva essere allegata ad una relazione dell’Ufficio del Genio Civile, purtroppo non più reperibile.

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Le nove tombe sarebbero venute alla luce in tre aree distinte: un gruppo piuttosto isolato di quattro tombe a cassa rettangolare in laterizi, situato a est, nell’argine nord del canale Corsini; un altro gruppo di quattro tombe (una a cassa in laterizio, due forse alla cappuccina, ed una circolare) si trovava allineato nella zona ad angolo fra il canale Corsini e l’antico Squero, oggi non più esistente; l’ultima tomba era isolata, al centro dello Squero, in