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di una frontiera

II.4.2 Le letture interpretative

Sulla base delle attestazioni scritte e archeologiche riassunte, una tradizione di studi di lunga data ha ipotizzato a più riprese l’esistenza di un vero e proprio “quartiere goto” localizzato nella zona nord-est della città212. Tale teoria si basa soprattutto sull’arricchirsi di questo settore cittadino di numerosi nuovi edifici ecclesiastici (prima elencati) e sull’impiantarsi in esso della supposta “necropoli gota”, nonché sull’interpretazione di un passo di Andrea Agnello, secondo il quale i Goti a Ravenna sarebbero stati concentrati in una civitas

barbarica, ubicata fuori le mura in prossimità del mausoleo di Teoderico.

Maria Grazia Maioli ad esempio ha ipotizzato che l’ampliamento cittadino di epoca gota avesse interessato effettivamente la sponda est della Fossa Augusta, in una zona precedentemente occupata da necropoli d’età romana. Già Onorio, con il trasferimento della corte a Ravenna, avrebbe iniziato ad edificare l’area in questione, ma quest’ultima avrebbe assunto il suo aspetto definitivo solo dopo i lavori del re goto, per poi rimanere invariata in epoca bizantina213.

Altri studiosi hanno sostenuto visioni più estreme, e letto la concentrazione della comunità gota nel settore orientale della città come la dimostrazione del fatto che le due comunità fossero rigidamente distinte e che i Goti avrebbero subito una “romanizzazione” solo apparente.

210 MAIOLI 1989, p. 233.

211 Le indagini del 2008, eseguite dalla cooperativa di scavo archeologico Tecne, hanno portato alla luce tombe basso medievali, non ancora pubblicate (inf. pers.).

212 PUGLIESE CARRATELLI 1984; MAIOLI 1989, pp. 227 sgg.; LAZARD 1991, pp. 122-124; MAIOLI 1994, pp. 232 e 236; BERTI CERONI,SMURRA 2005, p. 133.

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Tuttavia ormai da tempo storici e archeologi tentano di ricostruire l’effettivo peso avuto dai cinquant’anni della dominazione gota (493-540) separando gli aspetti ideologici e propagandistici dalla realtà materiale214. Negli ultimi anni sono state avanzate altre proposte interpretative. In particolare Andrea Augenti in un recente articolo chiarisce in maniera puntuale che l’idea in base alla quale Ravenna sarebbe stata «suddivisa in due aree, una – il settore orientale – destinata ai Goti, e l’altra – il resto dell’abitato – ai Romani» è stata messa a punto solo sulla base di labili indizi, sui quali si sarebbe fondata una congettura dalle fondazioni alquanto fragili215. L’archeologo medievista in primo luogo spiega che si dovette trattare di una scelta quasi obbligata, in quanto all’inizio del V secolo il settore orientale era «la vera nuova zona d’espansione dell’area urbana», se non altro perché era l’area «sicuramente più libera»216. In secondo luogo sottolinea l’erroneità di una deduzione così automatica da non venire mai neppure argomentata da coloro che la propongono: l’area che accoglie le nuove chiese di fondazione gota non necessariamente doveva corrispondere «ad una concentrazione delle abitazioni di chi utilizzava quegli edifici di culto»217.

La seconda argomentazione su cui si basa la teoria della “città bipartita” è la supposta presenza, nell’area nord-orientale, della cosiddetta “necropoli gota”. A ben vedere però, la localizzazione di questa necropoli deriva da due indizi, uno più labile dell’altro. Il primo è il rinvenimento della famosa “corazza di Teoderico”, che corazza non è, in quanto parte della decorazione di una sella, e non è detto che sia né di Teoderico né di nessun altro cavaliere ostrogoto, essendo a tutt’oggi un oggetto raro la cui connotazione etnica non è mai stata chiarita218. Il secondo indizio è ricavato da un ragionamento puramente induttivo: siccome nella zona sorge il mausoleo del re, quest’ultimo sarebbe sorto certamente in una necropoli gota. La controprova del fatto che si tratti di indizi non probanti si ha nell’analizzare i dati (seppur molto scarsi, come precedentemente esposto) relativi a tale necropoli: «pur con tutte le migliori intenzioni risulta davvero arduo individuarla come una necropoli gota»219, e pare scientificamente più corretto limitarsi a definirla un cimitero tardoantico (V-VII secolo), non meglio databile.

Augenti infine fa luce anche sulla nota locuzione “civitas barbarica”, intesa come luogo in cui i Goti avrebbero vissuto “(auto)confinati”: attribuita ad Andrea Agnello, autore nel IX secolo

214 JOHNSON 1988; AUGENTI 2008; CIRELLI 2008. 215 AUGENTI 2010, p. 229.

216 Ibid. 217 Ivi, p. 230. 218 BIERBRAUER 1994. 219 AUGENTI 2010, p. 230.

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del Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis220, sarebbe in realtà una invenzione di inizio Novecento di Testi Rasponi221, apparsa nella sua edizione del manoscritto.

La “città bipartita” pertanto non sarebbe altro che il «parto di una certa critica storica, la quale piega – anche nel caso di Ravenna – gli indizi disponibili ad una aprioristica concezione di separazione delle etnie che probabilmente ha più a che vedere con i preconcetti di coloro che la hanno partorita ed accettata che con i dati effettivi»222.

Tuttavia, a dimostrazione di quanto il dibattito sia ancora in corso, si segnala anche il parere dello storico Salvatore Cosentino, secondo il quale sarebbe altamente verosimile che i Goti ravennati vivessero concentrati nella zona nord-est della città, non come atto di segregazione, bensì in quanto l’area doveva essere quella destinata ad accogliere gli accampamenti militari (in analogia con quanto dimostrato per Costantinopoli)223.

Allargando lo sguardo ad un orizzonte più ampio, in linea con la visione di Augenti, Marco Aimone ricorda come ad eccezione dei presidi militari di Collegno e di Augustanae

Clausurae, non vi siano evidenze per asserire che la comunità ostrogota costituisse una enclave separata all’interno della più estesa popolazione preesistente, ma che più

verosimilmente si sia semplicemente affiancata a quest’ultima, così come suggerito anche dallo spirito della lettera teodericiana indirizzata universis Gothis et Romanis Dertona

consistentibus224. Analogamente, neppure a Roma sono rintracciabili solidi indizi di un “quartiere barbarico” ipotizzato nell’area dove si trovava la chiesa ariana di Sant’Agata dei Goti, tra Celio ed Esquilino225.

Dunque per quanto riguarda la topografia generale della capitale del regno ostrogoto d’Italia, si è evidenziato come l’idea di una civitas barbarica auto-confinatasi nel settore orientale della città non appaia più accettabile. Si costruisce rispondendo non alla logica della “ghettizzazione” delle etnie, ma a quella della funzionalità. La politica edilizia di Teoderico infatti non risulta innovativa, ma funzionale, «andando a ritagliare nell’area urbana – aumentando il tasso di monumentalizzazione – nuovi spazi di raccolta per chi professava una fede diversa da quella cattolica»226.

220 Si tratta di una raccolta di biografie di quarantanove vescovi della Chiesa di Ravenna a partire dall'evangelizzatore S. Apollinare fino all'arcivescovo Giorgio (846), che costituisce una fonte primaria per lo studio della città e dei suoi monumenti. La raccolta, scritta in forma di lectiones per i confratelli, è pervenuta in due manoscritti (Modena, Bibl. Estense, V F 19, sec. XV; Roma, BAV, lat. 5834, sec. XVI) ed è stata pubblicata quattro volte tra il 1708 e il 1924: FARIOLI CAMPANATI 1991.

221 Ivi, n. 18. Ne fanno uso MELUCCO VACCARO 1988, pp. 65-66 (pur prendendone le distanze) e MAIOLI 1989, p. 239, n. 32. Cfr. anche DE PALOL-RIPOLL 1989, p. 32: «Altri gruppi (…) vivranno nei nuclei urbani e in particolare nella capitale Ravenna, ma in quartieri separati, in modo da costituire una specie di urbs barbarica».

222 AUGENTI 2010, p. 230.

223 Ringrazio il prof. Cosentino per aver condiviso con me, in occasione della sua partecipazione al convegno

Ravenna: its significance in European culture (Londra, 8 giugno 2013), l’oggetto del suo articolo Barbari a Ravenna nel V secolo ancora in fase di elaborazione.

224 AIMONE 2012,pp. 38.

225 CECCHELLI 1983;CECCHELLI,BERTELLI 1989. 226 AUGENTI 2010, p. 236.

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Per quanto riguarda più nello specifico le sedi del potere, si è visto come ormai da tempo si sia in un certo senso ridimensionato l’operato di Teoderico a Ravenna. Egli infatti trova un

Palatium già esistente (quello di Valentiniano III ad Laureta), in cui opera alcuni interventi

non sostanziali (ampliamento di alcuni ambienti, ripavimentazioni, nonché piccole aggiunte e trasformazioni architettoniche) e predispone tre nuovi episcopi (uno nei pressi della cattedrale ariana, uno subito fuori le mura vicino alla chiesa di S. Eusebio e l’ultimo presso la chiesa extramuraria nord-orientale di S. Giorgio) che vanno ad aggiungersi alla sede vescovile cattolica presso la basilica Ursiana.

Certamente quello che ne risultava doveva essere un quadro articolato delle sedi del potere attive a Ravenna in età gota, ma che è «evidentemente sintomo e diretta conseguenza della difficoltà di coesione di una comunità etnicamente composita, spesso attraversata da episodi di violenza, i cui principali gruppi fanno riferimento a luoghi differenziati in una città sostanzialmente ancora in corso di costruzione»227.

Secondo Maria Grazia Maioli, «le genti gote (…) sembrano, almeno in Romagna, essersi ben amalgamate con il substrato e con le popolazioni romane, tanto da esserne quasi

indistinguibili le manifestazioni architettoniche e decorative, nonché i semplici oggetti d’uso

non personale»228. Infatti tutti gli edifici elencati, siano essi civili, religiosi o rustici, così come la loro decorazione interna, sembrano rientrare in toto nella tradizione romana.

Anche la cosiddetta “necropoli gota” – che come si è visto sorgeva in una zona di dossi sabbiosi di formazione tardo imperiale, ubicata in un’area compresa fra il mare e un probabile porticciolo interno – non ha chiarito alcun dubbio. Infatti, non ci sono elementi per poter dire se fosse destinata esclusivamente alla popolazione di “stirpe gota” o se fosse invece una necropoli “mista”.

Va detto che le meglio conosciute necropoli classicane229 non hanno restituito sepolture riconducibili alle genti “gote” e la stessa Maioli risulta confusa: dapprima dichiara «è presumibile quindi che le necropoli fossero separate» e che «la necropoli circostante il mausoleo teodericiano fosse destinata esclusivamente ai Goti», ma poi, nello stesso articolo, sostiene che «non è possibile dire se i Goti, indipendentemente dalla loro religione, fossero sepolti esclusivamente in necropoli loro destinate od anche in cimiteri misti»230.

227 Ivi, p. 234. Per gli episodi di violenza che attraversavano la comunità ravennate cfr. anche BROWN 1997. 228 MAIOLI 1994, p. 232.

229 MAIOLI 1988b, pp. 316-334. 230 MAIOLI 1989, pp. 239 e 251.

85 Degno di una riflessione a sé stante è il mausoleo reale di Ravenna, realizzato in pietra d’Istria231. Vi si nota il generico richiamo ai mausolei a pianta centrale di età tardo-imperiale (più precisamente, la parte inferiore è decagonale, tipica dell’architettura romana tardoantica, ma l’associazione è con i grandi mausolei della casa imperiale, come quelli di Elena e di Costantina) e alla tradizione romana a cui ci si rifà per la scelta di un sarcofago in porfido. Ma in esso è inserito un elemento di assoluta novità: la decorazione esterna che orna il cornicione all’attacco del monolite del tetto è costituita dal cosiddetto “fregio a tenaglia”232, in cui è stata anche riconosciuta un’evocazione alle tende “sarmatiche” dalle dodici stecche metalliche233, ma che in generale è ricollegabile ai motivi ornamentali delle placche di cintura e delle fibule tipiche della tradizione gota.

Per una vita spesa a “ricollegarsi” al mondo romano, una morte che consacrasse la memoria del suo popolo originario,

potremmo dire. O, meglio, una sepoltura che facesse da sintesi all’intero programma edilizio imperiale a Ravenna: un mausoleo che diventa «metafora in pietra e mattoni di quell’esperimento di meticciato politico, religioso e culturale così insistentemente perseguito da Teoderico per la capitale e il suo regno»234.

A proposito del meticciato politico di cui parla Augenti, è noto il progetto teodericiano di dar vita ad una sinergia di intenti tra le due comunità - ut utraque natione (…) ad unum velle

convenerit235; Romani vobis (…) sint et caritate coniucti. Vos autem, Romani, magno studio Gothos diligere debetis236 – nonché il giudizio positivo degli storici – Sic gubernavit duas

gentes in uno Romanorum et Gothorum237.

231 La bibliografia sul mausoleo è enorme: fondamentali i contributi di HEIDENREICH,JOHANNES 1971, nonché DEICHMANN 1974.

232 HEIDENREICH,JOHANNES 1971, pp. 152-159; LUSUARDI SIENA 1985, pp. 179-180. 233 FERRI 1956, pp. 61-62.

234 AUGENTI 2008, p. 453. 235 Cassiodoro, Variae, II, 16. 236 Ivi, VII, 3.

237 Anonimo Valesiano, Chronica Teodoriciana, 14.

Fig 20 - Ravenna, Mausoleo di Teoderico: particolare del fregio a tenaglia (DAVID 2013).

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Ma è esistita davvero, tra la popolazione latina e non, una volontà effettiva di adesione a tale ambizioso progetto? È possibile rintracciare alcuni indizi di autentica popolarità riscossa a Ravenna come a Roma da Teoderico, sia nei primi anni di regno che nei momenti più difficoltosi, grazie al fatto che la popolazione non rimaneva insensibile alla nuova prosperità della città, alla sicurezza ritrovata, ai prezzi contenuti, nonché al ritrovato scorrere dell’acqua dalle fontane238. Se anche non si trattò di un sincero slancio amorevole verso la comunità gota stanziatasi nelle città, sicuramente dovette implicare un primo grado di accettazione della nuova situazione.

Se la popolazione latina si fermava più superficialmente ai benefici del nuovo re, parte dell’aristocrazia colta (Cassiodoro, Ennodio ed altri funzionari suoi amici) è verosimile che si adoperasse invece per l’attuazione di cambiamenti più profondi, per dar vita ad una società “mista”, unita da interessi comuni. Dall’altro lato, i Goti ravennati avrebbero ammirato il loro re per meriti più militari che politici.

In ogni caso, ad entrambe le comunità presenti a Ravenna, la politica del re ostrogoto offriva uguaglianza di diritti e doveri. Sottomessi in linea di massima alla stessa giustizia239 e agli stessi obblighi tributari (anche se gli ammonimenti del re dimostrano che i Goti fossero spesso recalcitranti nei confronti di tali oneri)240, pare che perfino le liberalità regie venissero distribuite in maniera imparziale241.

Il progetto politico teodericiano nei confronti dei suoi guerrieri e dei loro nuclei familiari, anche ai fini di un loro inserimento nel tessuto territoriale ed economico locale, si esplicò mediante la distribuzione di appezzamenti di terreno, ricavati obbligando alcuni proprietari ravennati a cedere la tertia pars dei propri possedimenti242. Analogamente, anche la Chiesa ariana della città venne dotata di un vasto patrimonio243, e sebbene Ennodio riferisca che si trattò di un processo avvenuto nella massima armonia (nulla senserunt damna superati244), sembra lecito almeno dubitarne.

238 LAZARD 1991, p. 112 con i riferimenti relativi.

239 Gli indizi rintracciabili nelle Variae che suggeriscono che, parallelamente ad uno ius communis, potesse continuare a vigere, fra la comunità gota e forse solo in casi giuridici specifici, un codice orale separato, derivante dalla tradizione, sarebbero un ulteriore conferma della variabilità e della complessità delle relazioni tra le due comunità.

Ad esempio il Comes Gothorum di Ravenna e di altre città poteva ricorrere all’aiuto di un prudens Romanus “ut

unique sua iura seruentur”, come se lo ius fosse duplice (Cassiodoro, Variae, VII, 3). Inoltre Teoderico nella

vicenda dell’adulterio di Regina e Brandila, ordina a Brandila – secondo il diritto germanico – di punire egli stesso la moglie Procula, o di provarne l’innocenza; invita poi il dux Wilitanc a giudicare la questione “sicut iura

nostra praecipiunt” (Cassiodoro, Variae, VII, 32-33). 240 Cassiodoro, Variae, I, 19; IV, 14.

241 Cfr. divitias Gothis Romanisque donatas, in Anonimo Valesiano, Chronica Teodoriciana, a. 519, cit. in LAZARD

1991, p. 114.

242 Sulle diverse ipotesi e modalità di attribuzione della tertia pars ai Goti cfr. SORACI 1974a, pp. 46-49; BURNS

1984, pp. 80-84. Cfr. anche WICKHAM 1994.

Per il sistema tributario in generale cfr. SORACI 1974a, pp.83-137. 243 TJÄDER 1955, 2 e TJÄDER 1982,35.

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Per quanto riguarda la vita religiosa, è noto come Teoderico e in seguito Amalasunta siano riusciti a neutralizzare per ben tre decenni i fisiologici urti tra la confessione ariana e quella cattolica, ma non pare che le rispettive classi clericali abbiano cercato di ridurre le distanze delle proprie posizione dogmatiche245, sebbene i reciproci episodi di conversione pare siano avvenuti in ambiente piuttosto tollerante246.

Sul piano dell’unificazione linguistica sappiamo che Teoderico e i membri della famiglia amala parlassero con scioltezza il latino247, i funzionari che dovevano fare da mediatori tra le due comunità saranno stati necessariamente bilingui, mentre i possessores goti utilizzavano il latino nei rapporti con i coloni e servi latini248, così come il clero ariano249.

Per le famiglie di origine gota trapiantatesi a Ravenna si può immaginare che la prima generazione avesse acquistato almeno un grado minimo di bilinguismo “passivo” necessario nella vita quotidiana, poi migliorato dalle generazioni successive. È significativo ricordare i due casi opposti prospettati dal linguista André Martinet: nel caso in cui gli invasori siano tutti maschi si tenderebbe al bilinguismo e all’assimilazione linguistica, mentre nel caso in cui ad insediarsi siano individui di entrambi i sessi sarebbe favorita la conservazione dell’idioma dei neo-arrivati250.

Pur nella brevità della sua delineazione, tuttora in evoluzione, questo quadro parla di una società estremamente complessa e articolata, i cui equilibri dovettero essere così fragili da non sopravvivere alla morte di Teoderico. Per una tale società la lettura di Augenti, che supera definitivamente il “sistema bipartito” proposto in passato, appare oggi la più adatta e condivisibile.

Tra i semplicistici schemi ormai superati, come caso paradigmatico, si riportano le parole della storico-linguista Sylviane Lazard, che danno l’idea di come la visione assolutistica ottocentesca riassunta a inizio capitolo, sia perpetrata anche da molti studiosi tuttora attivi: le due comunità, quella “gota” e quella “latina” di cui sarà erede la civiltà bizantina, sono viste come due mondi non solo distinti e distanti, ma anche totalmente “impermeabili” l’uno all’altro.

Questa situazione politica nuova metteva a contatto a Ravenna due comunità estranee una all’altra: da una parte la popolazione autoctona, usa alla vita urbana, di lingua e cultura prevalentemente latina, anche se mista a numerosi elementi orientali, di religione cattolica ortodossa, ad eccezione di una minoranza ebraica; dall’altra la comunità gota, di cultura e lingua materna germaniche, di religione ariana, avvezza a

una vita svolta in seno a collettività ristrette, in ambiente naturale e rurale, fondata sulla pastorizia, l’agricoltura, nonché sulle attività artigianali, marziali e di rapina251.

245 CECCHELLI 1960, pp. 747-748. 246 TJÄDER 1982, p. 95.

247 Anonimo Valesiano, Chronica Teodoriciana, 17; Cassiodoro,Variae, XI, 1. 248 TJÄDER 1955, 6 e TJÄDER 1982,30; MARINI 1805, 85, 118.

249 TJÄDER 1982, 33 e 34. 250 MARTINET 1987, p. 27.

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In particolare, Lazard si sofferma approfonditamente su quelli che chiama i «gradi di

unificazione o di separazione» delle due comunità venute a contatto a Ravenna, nonché «il

grado di opposizione» o di «assimilazione» fra le due componenti etniche252. Si arriva a indicare anche lo “scopo” che i cambiamenti nei costumi dei neoarrivati avrebbero dovuto seguire per ridurre il divario fra le due gentes, fra le discordes proles: riflettendo una visione di progresso positivista e unidirezionale ormai superata dalle moderne scienze sociali, esso non poteva essere altro che quello di «far progredire il goto ravennate verso la civilitas, verso le mor(es) togat(ae) (Var., III,17)»253.

Le visioni stereotipate smentite dalla recente interpretazione proposta da Augenti, si basavano, esaltandoli, su alcuni indizi di separazione tra i due gruppi.

La prima separazione che salta all’occhio è quella nelle cariche amministrative, essendo per lo più riservate ai Latini quelle di alto rango. Nei papiri ravennati vi sono scarse tracce delle cariche amministrative riservate ai Goti254, da cui si riesce a ricavare solo una visione frammentata e casuale della situazione. Invece nelle Formulae dei libri VI e VII delle Variae vengono definite le due cariche specifiche spettanti esclusivamente ai Goti: quella di saio255, un funzionario che aveva il compito di rappresentare la volontà regia, e quella di comes

Gothorum256, che veniva spedito in ogni città a mantenere la pace fra i Goti e fra Goti e Latini257 (dunque ce ne era bisogno). Non se ne hanno esplicite attestazioni nella capitale, ma probabilmente ciò dipende dai loro continui spostamenti tra la corte ed i luoghi di destinazione delle missioni.

Sulla base di indizi reperibili nelle Variae di Cassiodoro e in Procopio, che trovano riflesso nei mestieri che compaiono nei papiri ravennati, è stata schematizzata anche una distinzione delle attività professionali: ai Latini le più diversificate, dall’estrazione mineraria, al commercio, al trasporto, all’artigianato; ai Goti soprattutto l’attività di difesa militare (mentre una minoranza era destinata all’amministrazione e al sacerdozio), che pur garantiva, ai nobili guerrieri delle famiglie più eminenti, di sedere a corte258.

Del resto lo stesso re Teoderico non era a favore di un’educazione “alla romana” per i giovani goti. Secondo Procopio «neppure Teoderico aveva permesso che alcun goto mandasse i figli alla scuola delle lettere», forse perché egli stesso «di lettere non aveva appreso neppure un poco»259; sta di fatto che esortava i giovani goti ad allenarsi nelle armi260 e lodava Wiliarit che, seppur minorenne, aveva già dato prova del suo valore nell’arte militare261. Non a caso a Ravenna, i coetanei di Atalarico «in florida età» si

252LAZARD 1991, pp.110-111. 253 LAZARD 1991, p. 118.

254 TJÄDER 1955-1982, 43, 49, 13, 6, 36; Cassiodoro, Variae, V, 18-20; VIII, 13; VIII, 2. 255 Cassiodoro, Variae, VI, 42.

256 Ivi, VII, 3.

257 HODGKIN 1896, p. 253; SORACI 1974a, pp. 43-44; BURNS 1984, pp. 178-179. 258 LAZARD 1991, p. 119 e relativi riferimenti.

259 Procopio, Bellum Gothicum, pp. 15-16. 260 Cassiodoro, Variae, I, 24.

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esercitavano «secondo l’usanza barbarica (…) per spregiare con forte animo spada e lancia»262.

La separazione nella vita religiosa è ovviamente sostenuta sulla base della diversificazione degli edifici cattolici e ariani, le cui ferventi attività edilizie erano lo specchio della potenza e