di una frontiera
IV. Una città in cerca di immagine: la riesumazione della Felix Ravenna
IV.3.2 La spregiudicatezza delle pratiche progettuali di Filippo Lanciani L’ingegnere Filippo Lanciani (1818-1894) operò a Ravenna dal 1848 al 1883, occupandosi
prevalentemente della sistemazione idraulica e delle coperture degli edifici31; nel 1859 fu, insieme a Luigi Orioli, ingegnere di prima classe presso l’“Ufficio degli Ingegneri de’ lavori pubblici” e, l’anno successivo, a capo di quello che era divenuto l’Ufficio del Genio Civile; lasciò Ravenna per Roma, dove fu chiamato ad assumere l’incarico di Ispettore del Genio Civile. Nato e cresciuto proprio a Roma a fianco del noto fratello archeologo Rodolfo Lanciani, a Ravenna fu solito affiancare alle sue opere di restauro monumentale anche
27 MISEROCCHI 1927,pp. 105 e 180. 28 BERTI 1875;1879;1880.
29 Il manoscritto di Sulfrini Miscellanea storica e archeologica è conservato presso l’AAR; una copia realizzata nel 1907 è custodita presso BCR, Cam B. 2. 4. R/4. Cfr. NOVARA 2004,p. 40.
30 ACSR, MPI, DGABR, II versamento, I serie (1881-1897), busta 92, fasc. 3214: cfr. NOVARA 2000. 31 Ne sono un esempio le pubblicazioniLANCIANI 1873;1879;1893.
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sondaggi archeologici di una certa portata, che riteneva funzionali alla comprensione dell’edificio da ripristinare32.
Uomo eclettico, appassionato di storia dell’arte, di matematica e di lingue, si specializzò nelle tecniche ingegneristiche applicate al settore idraulico, che a Ravenna poté sperimentare perseguendo l’obiettivo di dissotterramento dei monumenti colpiti dal fenomeno della subsidenza. Soprattutto negli ultimi tredici anni della sua attività la necessità del prosciugamento delle invasioni d’acqua (che tanto impressionarono anche Taine e de Vogüé) fu strettamente connessa al problema della scelta di quale immagine del monumento fosse da “riesumare”: «da isolare, da semplificare, cioè da restituire in ultima analisi alla purezza delle sue forme originarie»33. Più che dagli interventi di manutenzione ordinaria infatti, la concezione restaurativa di Lanciani è desumibile dagli interventi finalizzati all’isolamento dei monumenti antichi dalle «fabbriche inutili» che nel tempo si erano loro addossate, ostruendo così la visione dell’opera nel suo aspetto originario che, pertanto, andava ricostituito34. L’ingegnere romano optava, coerentemente con le tendenze di quegli anni, per il “restauro di ripristino o di liberazione”, puntando perciò non solo a eliminare sia i corpi architettonici che le decorazioni aggiunte successivamente e pertanto in disaccordo con lo stile architettonico originario, ma anche a sostituirli con corpi e decorazioni stilisticamente coerenti, ricavabili per analogia da esempi coevi alla prima fase dell’edificio. L’intervento restaurativo era considerato un’operazione “imitativa” che andava dissimulata tra i resti antichi, in modo da restituire l’armonia complessiva originaria35.
Così l’ingegnere capo elaborò progetti che oggi sono definibili quantomeno spregiudicati: molti di essi non vennero mai realizzati (come quello soltanto enunciato per il mausoleo di Galla Placidia), ma ad esempio la vicenda del risanamento del battistero ortodosso, uno degli edifici più antichi a catalizzare l’impegno del Genio Civile già all’indomani dell’Unità, poi protrattosi fino al 188036, risulta alquanto emblematica del modus operandi di Lanciani.
32 Cfr. il suo studio sulle «cose più notabili» della città: LANCIANI 1871. Lanciani scopre ad esempio, oltre ai due nicchioni del battistero Neoniano di cui si riferirà tra poco, anche le tracce di un portico antistante il mausoleo di Galla Placidia. Per altre sue pubblicazioni di stampo archeologico si veda LANCIANI 1866;1879.
33 BENCIVENNI,MAZZEI 1982, p. 207.
34 MAIURI 1999,p. 93;cfr. anche MAIURI 2000.
35 Cfr. lo “Scandaglio della spesa occorrente per la ricostruzione di due nicchioni testé scoperti a fianco del battistero Metropolitano di Ravenna e pegli altri accessori” compilato da Lanciani il 20 ottobre 1864 e la lettera “Ristauri al Mausoleo di Re Teodorico detto la Rotonda e Battistero” inviata dallo stesso alla Prefettura di Ravenna il 27 ottobre 1864 (cit. in MAIURI 1999eMAIURI 2000).
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Per riportare il battistero Neoniano allo stato in cui si presumeva dovesse trovarsi nel IV secolo, infatti, si arrivò a ricostruire ex novo due grandi nicchie nelle facciate contigue a quella di ingresso, nonché a un passo dalla realizzazione di un’imponente opera di innalzamento dell’intero edificio. Per individuare, al fine di ripristinarlo, il piano di calpestio originario abbassatosi nel corso del tempo a causa della subsidenza, si procedette all’apertura di aree di scavo sia all’interno che all’esterno del battistero. Gli scavi, che coinvolsero anche la strada tra il battistero e il duomo, individuarono i resti di due nicchioni esterni il cui alzato era andato demolito nel corso del tempo e che si scelse, appunto, di ripristinare37. I sondaggi interni all’edificio invece individuarono il pavimento antico posto 2,99 metri al di sotto di quello moderno38, così da suggerire a Lanciani l’ambizioso progetto di rialzamento mediante martinetti idraulici poggianti su un anello a doppia T di travi metalliche, dopo aver tagliato il battistero a quota -1,10 m., in corrispondenza della risega dei muri su cui poggiavano le colonne39. La polemica scatenata dalla Society for the Protection of Ancient Buildings e la pubblicazione della notizia su The Times40 spinse il prof. Clark, docente di Legge civile presso l’Università di Cambridge, a scrivere all’ambasciatore italiano perché mettesse in guardia il governo sull’inutilità e pericolosità di tale intervento, sollecitando a preservare i monumenti italiani «as they are»41. Simili obiezioni erano in linea con il pensiero della scuola di restauro inglese di John Ruskin (1819-1900), detta del “ruinismo” o “Anti-restoration Movement” o ancora “restauro romantico”; agli antipodi vi era il “restauro stilistico”, fatto di demolizioni e interventi che dovevano rifarsi il più possibile allo stile originale dell’edificio, sostenuto dalla scuola francese di Eugene Viollett-le-Duc (1814-1879), mentre la via italiana, che sarà inaugurata da Camillo Boito, si porrà in posizione intermedia tra le due teorie.
Interessanti notizie di altri interventi conservativi condotti dall’Ufficio del Genio Civile si ricavano dalle annotazioni di Odoardo Gardella, ad esempio riguardo ai lavori che interessarono la basilica di San Vitale, la quale versava in un forte stato di degrado, con gli
37 LANCIANI 1866.
38 LANCIANI 1871.
39 MAIURI 2003;IANNUCCI 1984;1985.
40 La polemica si consumò tra le pagine delle riviste «The Times» e «The Architect»: si vedano la lettera di Henry Wallis in «The Times» del 23 aprile 1880; l’articolo Restoration in Italy in «The Architect» del 24 aprile 1880; l’articolo The Ravenna Baptistery sulla stessa rivista del 22 maggio e The Orthodox Baptistery at Ravenna del 29 maggio 1880; la lettera di William Morris su «The Times» del 12 giugno 1980; l’articolo The Baptistery of
Ravenna in «The Architect» della settimana successiva. 41 A.So.Ra, busta 553, fasc. 840.
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otto grandi piloni reggenti la cupola centrale recanti rivestimenti macchiati e fasciature di sostegno con listelli di legno: secondo Gardella i restauri, spalmati in un arco di tempo compreso tra il 1845 e il 1868, donarono ai piloni un aspetto che doveva essere molto lontano da quello originario. Analogamente criticati furono gli interventi nell’abside della basilica, che portarono all’asportazione del coro ligneo cinquecentesco che si trovava addossato al muro absidale, rimpiazzato fra il 1862 e il 1863 da un rivestimento in lastre di marmo bianco di Carrara, causa di così durature polemiche da venire acquerellate, a imitazione del marmo greco dei piloni, più di 30 anni dopo42.
Fig. 2 - Interno della chiesa di S. Vitale nel 1899, posteriormente ai lavori di riadattamento del presbiterio ultimati nel 1898: il piano è rialzato al livello creato dai monaci nel Cinquecento e nella parte inferiore dell’abside spicca il rivestimento di marmo bianco voluto da Filippo Lanciani (collezione Piolanti-Novara).
Tuttavia va riconosciuto che gli interventi, quantunque audaci, di Filippo Lanciani in primo luogo interruppero la fase di abbandono in cui da lungo tempo versavano i monumenti ravennati, secondariamente furono sempre supportati da studi e calcoli approfonditi ed elaborati. Alcune delle sue ricerche sui monumenti cittadini confluirono nella pubblicazione di Cenni intorno ai monumenti e alle cose più notabili di Ravenna43 e nell’ideazione di un
poderoso volume – L’illustrazione dei Monumenti Bizantini di Ravenna44 – sospeso a causa
del suo trasferimento a Roma e continuato dal suo collaboratore e poi successore Alessandro Ranuzzi45. L’opera, rimasta inedita, era composta da una vasta raccolta di tavole
42 NOVARA 2004,pp.58-62.Sull’intervento ad acquerello del 1894 si veda FACCIOLI 1898,p.110e la relazione di Corrado Ricci in SBAP,AS,doc. del23ottobre 1898.
43 LANCIANI 1871.
44 In merito si vedano le ricerche svolte presso la Soprintendenza per i Beni architettonici e per il paesaggio di Ravenna, la Biblioteca Classense della stessa città e l’Archivio di Stato di Roma da Maria Carmela Maiuri e Fulvia Fabbi: MAIURI,FABBI 2003.
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a colori su sette monumenti cittadini: battistero Neoniano, San Giovanni Evangelista, mausoleo di Galla Placidia, Sant’Apollinare Nuovo, Maudoleo di Teoderico, San Vitale, Sant’Apollinare in Classe.
La vicenda della gestazione dell’opera ricostruita da Maria Carmela Maiuri e Fulvia Fabbi è risalita a un’impostazione che prevedeva 170-175 tavole (68 completate, 66 da fare, 41 in corso di realizzazione nel 1897, momento in cui ne scrive Ranuzzi): alcune architettoniche, altre decorative, altre ancora di dettaglio, prestando particolare attenzione alla riproduzione delle opere musive (rilevate con lucidi al vero e poi ridotte in scala 1 a 10 con il pantografo), affidata ai mosaicisti dell’Accademia Felice Kibel e Carlo Novelli. Alla morte di Filippo Lanciani i preziosi disegni finirono nelle mani del fratello Rodolfo, il quale nel 1895 acconsentì alla richiesta del Ministero della pubblica istruzione di una loro esposizione in occasione del II Congresso di Archeologia Sacra previsto a Ravenna due anni dopo, pur avendo intenzione di rivolgersi per la loro pubblicazione a case editrici estere, non essendo riuscito a concluderne la vendita al Ministero. Nello stesso anno il figlio di Filippo, Pietro Lanciani, residente in Francia, manifestò l’intenzione di vendere all’estero le tavole, analogamente a quanto già fatto per la biblioteca paterna; tuttavia l’ingegnere Raffaele Faccioli, direttore dell’Ufficio tecnico regionale per la Conservazione dei monumenti dell’Emilia, non ritenne opportuno proporne l’acquisto, giudicato troppo esoso (20.000 lire) per le casse statali. Nel 1896 Adolfo Venturi, della Direzione generale di antichità e belle arti di Roma, chiese a Ranuzzi l’invio delle tavole e intraprese una fitta corrispondenza con l’ingegnere, il quale si candidò alla redazione di testi a corredo delle riproduzioni, finalizzata alla pubblicazione dell’opera. Fallite le trattative con la casa editrice romana Unione, l’opera suscitò gli appetiti di editori stranieri, ai quali Ranuzzi si oppose; sperando che l’intervento di una personalità più illustre della sua potesse garantire la pubblicazione in patria, Ranuzzi chiese a Corrado Ricci una aggiunta e una sistemazione della parte critica, che Ricci rifiutò categoricamente per ben due volte. Dopo ulteriori tentativi falliti con la casa editrice Vallardi di Milano, la rassegnazione a case editrici straniere, il naufragio dei tentativi di acquisto delle tavole da parte del Ministero, le trattative si interruppero nel 1900 con la morte di Ranuzzi. A quel punto Corrado Ricci si interessò all’acquisto personale dei materiali iconografici di Lanciani, ancora in mano agli eredi; inoltre, dopo aver incaricato Gardella dello spoglio del patrimonio documentario di Ranuzzi, e avere ricevuto annotazioni sulla preziosità di alcuni disegni, rilievi e relazioni (seppure conservati alla rinfusa), scrisse al Ministero chiedendo un finanziamento per un acquisto davvero lungimirante: tale materiale sarebbe andato a costituire il primo nucleo dell’Archivio Storico della Soprintendenza di Ravenna. A seguito della rinnovata intenzione di vendita delle tavole da parte del genero di Lanciani, nel 1902 la Soprintendenza di Ravenna commissionò una stima del loro valore, in vista di un possibile acquisto ministeriale. Si trattava dei disegni dei mosaici, di cui fu stilato un elenco per Ricci: il
corpus però mancava di alcuni lucidi; quelli presenti, in cattivo stato di conservazione, erano
disegni a contorno delle figure e degli ornati, privi delle indicazioni delle tessere e dei colori, pertanto il loro valore venne stimato in sole 150 lire. Alcune tavole, prestate a Ricci, rimasero agli eredi del Lanciani, altre erano già state vendute prima della valutazione da
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parte degli esperti della Soprintendenza al Museo Alessandro III di Mosca (attuale Museo Pushkin), dove ad oggi risultano disperse46.
Negli anni successivi della direzione Lanciani, e in seguito anche con il suo successore Alessandro Ranuzzi e poi con il direttore dell’Ufficio Regionale dell’Emilia Raffaele Faccioli, si assistette all’avvio di grandi cantieri disordinati e molto impegnativi dal punto di vista finanziario, nonché rimasti a lungo incompiuti. Si trattava di interventi di “liberazione” dei principali monumenti dagli edifici addossatisi nel corso dei secoli, di isolamento delle vie sulle quali affacciavano, di rifacimento di facciate e pavimenti, di riaperture di finestre e trifore47: «Questo lavoro esigeva mattoni appositi di dimensioni uguali agli antichi non solo ma anche più o meno gialli, e più o meno rossi, affinché colla mescolanza dei colori venisse imitato l’aspetto dei muri antichi»48.
Nel frattempo maturava una ripresa importante di studi e ricerche sulla storia cittadina, che si nutriva di ricerche d’archivio ma anche di indagini sul campo, nonché di esperienze storico-letterarie coronate dalla pubblicazione presso case editrici locali (nel 1877 nasce quella dei fratelli fotografi Antonio e Giovanni David), e che formò una nuova generazione di eruditi. La critica all’operato dell’Ufficio del Genio Civile di Ravenna assumeva così i toni di una precocissima difesa della professionalità di archeologi e restauratori: il restauro dei monumenti, secondo Odoardo Gardella, andava «tolto dalle mani degli ingegneri di acque e strade, e affidato a una commissione di eruditi archeologi»49, i quali sarebbero stati «non digiuni degli studii necessari»50.