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Odoardo Gardella contro «l’inerzia che regna nell’antica Ravenna»51

di una frontiera

IV. Una città in cerca di immagine: la riesumazione della Felix Ravenna

IV.3.3 Odoardo Gardella contro «l’inerzia che regna nell’antica Ravenna»51

Sebbene il suo nome possa annoverarsi tra quelli degli illustri ravennati dimenticati, Odoardo Gardella (1820-1911) fu senz’altro uno dei principali attori del processo di interpretazione architettonico-artistica operato nella città durante la seconda metà dell’Ottocento. Pur non ricoprendo alcun incarico ufficiale se non quello, assunto già da ottantaduenne e mantenuto fino alla sua morte, di membro della già citata Commissione provinciale conservatrice dei Monumenti e degli oggetti d’arte e di antichità, egli operò per cinquant’anni da cultore autodidatta nel campo dell’archeologia e delle antichità locali, in un momento cruciale per l’elaborazione stessa della pratica archeologica e della tutela dei monumenti. La sua biografia e il suo operato sono stati meticolosamente ricostruiti con dovizia di particolari da Paola Novara52 utilizzando il Carteggio Gardella conservato presso la

46 MAIURI,FABBI 2003.

47 Descrizioni puntuali manoscritte (edite e non) in A.So.Ra., III versamento B. 204. 48 Relazione di Lanciani del 6 novembre 1879, in A.So.Ra., I versamento, B. 552.

49 Lettera di Odoardo Gardella a Corrado Ricci del 7 agosto 1888 (BCR, CRC, vol. 80, doc. 15444). 50 GARDELLA 1890,p. 21.

51 Lettera di Odoardo Gardella a Corrado Ricci del 13 novembre 1890 (BCR, CRC, vol. 81, doc. 15453). 52 NOVARA 2004.

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Biblioteca Classense di Ravenna53, il Carteggio Gardella della Biblioteca Manfrediana di Faenza54, e il materiale appartenuto allo studioso (comprendente anche appunti e disegni) conservato nel Fondo Piandicastelli della Biblioteca Saffi di Forlì55.

Indicato insieme al padre Giuseppe come «macchinista del teatro Alighieri», poi da solo come «meccanico falegname» o semplicemente «meccanico», Odoardo può dirsi seguire le orme del padre «Ingegner meccanico patentato della Mensa arcivescovile»56. Giuseppe Gardella, infatti, dovette essere un tecnico dotato di notevole capacità di comprensione del monumento, come si evince dalla sua relazione (rimasta inedita) sullo stadio di avanzamento dei lavori di restauro iniziati nel 1843 nella Chiesa dello Spirito Santo da lui diretti, da cui emerge – forse per la prima volta nel contesto di un cantiere di restauro della città – un’indagine approfondita sia dei dati storici sia di quelli archeologici57.

Odoardo Gardella fu amico fraterno di Luigi Ricci (pittore, scenografo, tra i primi a introdurre il nuovo mezzo della fotografia a Ravenna, nonché ad immortalare il patrimonio monumentale cittadino) così che, alla morte di quest’ultimo, si prese cura del figlio Corrado durante la sua formazione e durante i primi passi della sua carriera professionale. Alla morte di Gardella, Ricci lo definì «mio maestro nell’amore per Ravenna, il secondo padre per affetto e consiglio»58. La corrispondenza tra i due iniziò nel 187859, nel momento in cui Ricci lasciò Ravenna per intraprendere i propri studi universitari a Bologna e fu interrotta solo dalla morte di Gardella. I contenuti delle lettere spaziano da questioni inerenti la vita

53 Il carteggio ravennate (BCR, CG) raccoglie quasi trecento lettere, indirizzate a Gardella per lo più a partire dagli anni ’60 dell’Ottocento fino alla sua morte, nonché alcune minute delle lettere di risposta inviate da Gardella ai suoi corrispondenti, che prima dello studio di Paola Novara erano state sostanzialmente ignorate, come del resto anche l’intera figura dello studioso. Il fondo comprende anche le lettere inviate a Filippo Cortesi, genero di Odoardo, quando quest’ultimo era già morto, o ancora in vita ma impedito dai fortissimi dolori articolari. In altri “carteggi” della stessa biblioteca sono stati rinvenuti gli originali delle lettere inviate da Gardella, come ad esempio quelle indirizzate a Santi Muratori, o quelle per Corrado Ricci, che si trovano in

Carteggio Ricci Corrispondenti (BCR, CRC, nn. 15443-15500, voll. 80-81). Presso il Fondo Cipolla della Biblioteca

di Verona, invece, la studiosa ha reperito le lettere scritte da Gardella per Carlo Cipolla.

54 Il carteggio faentino raccoglie alcune lettere relative ai rapporti intrattenuti con la famiglia Liverani intorno agli anni ’50 e ’60 dell’Ottocento. Esse comprendono anche le lettere inviate dal decoratore faentino Romolo Liverani al padre di Odoardo, Giuseppe Gardella.

55 Si tratta di sei buste, numerate dalla n. 220 alla n. 225, contenenti notizie relative a quasi tutte le chiese ravennati (dalle tardoantiche alle recenti), trascrizioni di brani o di volumi, estratti, stralci di giornale, riassunti, progetti di chiese nuove e di annessi agli edifici antichi. La busta 223 invece è dedicata agli scavi e ai restauri ottocenteschi della cattedrale e dell’episcopio ravennate.In merito si vedano anche NOVARA 1996;2002;2003. 56 NOVARA 2004,pp.14-15,n.26e 27.

57 BSF, FPCR, b. 225, n. 50. Cfr. NOVARA 2004,pp. 10-11.

58 Stralcio di giornale del 7 maggio 1911 in cui si riporta il telegramma di condoglianze inviato da C. Ricci alla stampa locale: BCR, CG, Y/9, cit. in NOVARA 2004,p. 24.

59 BCR, CG, V/1-90.

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familiare, le difficoltà economiche e di salute, fino allo spinoso dibattito sul problema presentatosi all’indomani dell’Unità d’Italia, ossia l’affidamento al Genio Civile della tutela dei beni culturali.

Gardella intrattenne un’altra intensa corrispondenza, anche per interposta persona durante il peggioramento delle proprie condizioni di salute, con il suo allievo più giovane, Santi Muratori; questi frequenterà la casa dell’anziano maestro, si avvarrà dei suoi libri, e condividerà con lui le tanto amate «passeggiate archeologiche»60.

Fin dal manifestarsi del suo interesse per le antichità ravennati intorno agli anni ’60 dell’Ottocento, Gardella dimostrò un atteggiamento estremamente differente rispetto ai rappresentanti istituzionali operanti nella città in tutto il XIX secolo. Dopo aver frequentato l’Accademia di Belle Arti di Ravenna, si avvicinò da autodidatta alla storia e all’archeologia cittadine, consultando abitualmente, come si desume dai suoi appunti, le pubblicazioni di interesse locale così come quelle di più ampio respiro comunque contenenti accenni a Ravenna o utili per il suo studio, frequentando la Biblioteca Classense per usufruire di libri e manoscritti in essa custoditi, nonché entrando in possesso del prezioso manoscritto

Illustrazione, un commento di Alessandro Ranuzzi delle raffigurazioni di edifici e mosaici

ravennati realizzate da Filippo Lanciani nel corso della sua carriera61.

Presente nei più precoci cantieri archeologici aperti a Ravenna negli anni postunitari, Gardella riteneva che «gli edifizi, per chi li sa cercare, offrono dati positivi e sicuri assai più dei documenti e della storia d’ordinario basati su tradizioni popolari»62. Egli ebbe l’opportunità di assistere ai lavori che interessarono il duomo, voluti dall’arcivescovo Falconieri, non affidati al Genio Civile e finanziati direttamente dalla mensa arcivescovile; in particolare seguì la ricostruzione della sacrestia e dell’intero episcopio a seguito di un incendio scoppiato nel 1851, analizzando e documentando con descrizioni, schizzi e disegni anche scoperte preziose, come quella della cripta della cattedrale nel 1865. Inoltre Gardella individuò il blocco delle tre costruzioni più antiche (risalenti alla prima metà del V sec.) della residenza episcopale. Si tratta dell’androne voltato a botte all’epoca adibito a cantina ma appartenente all’antico episcopio, dell’oratorio di S. Andrea a quattro piani ossia l’edificio contenente la cappella arcivescovile di S. Pietro Crisologo, e della circolare “Torre Salustra” in mattoni uguali per dimensioni a quelli di S. Vitale e Sant’Apollinare in Classe63. Gli appunti meticolosamente redatti da Gardella restano l’unica fonte per ricostruire nel dettaglio gli interventi e i risultati di quegli anni.

60 Biglietto da visita del 28 marzo 1908, inviato da Santi Muratori a Odoardo Gardella: BCR, CG, T/22, cit. in NOVARA 2004,p. 25.

61 BSF, FCPR, b. 222, n. 4. Cfr. MAIURI,FABBI 2003. 62 BSF, FPCR, b. 222, n. 214.

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Gardella svolse delle indagini anche nell’area della chiesa di S. Croce, di S. Giovanni Evangelista e del mausoleo di Galla Placidia, di cui sono rimasti appunti e disegni64. Ma probabilmente la vicenda più singolare riguarda la conduzione, insieme a Corrado Ricci e al padre di quest’ultimo, di un intero scavo nella chiesa di San Francesco (la vecchia San Pier Maggiore), di cui i due studiosi tennero per sé tutta la documentazione, comunicando alle autorità competenti solo alcune notizie appositamente selezionate. L’idea dello scavo era partita da Ricci il quale, durante la raccolta di notizie sulla chiesa per la pubblicazione della sua guida alla città di Ravenna, si era imbattuto in un vecchio manoscritto che riportava della scoperta casuale, effettuata da alcuni monaci nel 1764, di una cripta65. Il primo stralcio dei lavori, condotto a totale spesa della famiglia Ricci, venne concluso nel 1877, ma ad esso seguirono altre due campagne di scavo protrattesi fino al 187966, in parte sostenute economicamente dalla Provincia, che portarono al completo svuotamento del vano come auspicato dalla popolazione cittadina e dal Genio Civile, mettendolo a vista così come può essere ammirato oggi. L’importanza dello scavo (che permise di individuare tre piani pavimentali, di cui due mosaicati)67 è desumibile dallo scambio di missive tra l’allora Ispettore agli scavi e monumenti per la provincia di Ravenna Pier Desiderio Pasolini e il Ministro della Pubblica Istruzione, ansioso di pubblicare a riguardo su «Notizie degli Scavi di Antichità», la rivista ufficiale del ministero, nonché dallo scambio tra Pasolini e Silvio Busmanti, divenuto a sua volta Ispettore nel 187968.

64 Per appunti e disegni su S. Croce si veda BSF, FPCR,b. 221, c. 751; per S. Giovanni Evangelista Ivi, b. 222, cc. 102-103 e 114-118; per il mausoleo di Galla Placidia Ivi, c. 761.

65 Il manoscritto è tuttora conservato presso l’Archivio arcivescovile di Ravenna: cfr. NOVARA 1998,pp. 69-70. 66 Una descrizione sintetica della cripta esito delle indagini sul campo è in RICCI 1881,pp.173-176,oltre che in RICCI 1878,pp. 114-118.Gli appunti e i disegni (piante, sezioni, alzati, elementi architettonici, il tutto corredato da misure dettagliate) realizzati da Gardella sono in BSF, FPCR,b. 221, n. 873 e b. 224/8, nn. 1-45.

67 Il piano musivo pertinente alla cripta (XI sec.) fu rinvenuto a 2,94 m di profondità rispetto a quello della chiesa allora in uso; una volta asportato, al di sotto di esso si rinvennero altri due piani pavimentali (il più profondo dei quali steso a mosaico) riconducibili all’antico Apostoleion (V-VI sec.) su cui era stata ricostruita la basilica medievale successiva: FARIOLI 1975,pp. 87-100.

68 ACSR,MPI,DGABA,I versamento, b. 556 (1872-1881), fasc. 850.1. (cit. in NOVARA 2004,pp.65-66). Fig. 4 - La chiesa di San Francesco come si presentava

nella seconda metà dell’Ottocento; così fu vista e disegnata da Odoardo Gardella. La facciata posticcia, appoggiata a quella originale, venne eliminata durante i restauri del 1919-1921 (collezione Piolanti-Novara).

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Tuttavia lo scavo condotto nella cripta riveste un particolare rilievo perché fu il primo scavo condotto a Ravenna non legato né a un cantiere di emergenza né ad un imminente restauro, oltre ad essere tra i meglio documentati. Ad esso non seguì un’adeguata pubblicazione e sulla stampa coeva trovò spazio solo la notizia del ritrovamento di alcuni oggetti d’ornamento preziosi rinvenuti in una cassa di muratura situata al di sotto del pavimento mosaicato della cripta69. Non vide mai la luce neppure la monografia che Gardella si era riproposto più volte di scrivere, per la quale aveva esteso le proprie indagini dalla cripta all’intero edificio, nonché raccolto e prodotto tanto materiale prezioso.

Oltre che compagno di scavo, tra il 1888 e il 1898 Ricci sarà per Gardella l’interlocutore privilegiato con il quale scambiare commenti al vetriolo in merito all’operato soprattutto di Alessandro Ranuzzi (successore alla guida del Genio Civile di Lanciani, di cui non ereditò né la sicurezza né la capacità di comprensione dei monumenti) e di Silvio Busmanti (Ispettore agli scavi, senza avervi mai lavorato, fino al 1892), tanto da arrivare a scrivergli: «Il Governo italiano per oltre trent’anni permise ed approvò tutte le stranezze e i vandalismi commessi da questa dotta e brava gente in danno de’ nostri disgraziati monumenti»70.

Fu in particolare il restauro della basilica di S. Apollinare in Classe ad essere al centro di accese discussioni, intercorse tra Gardella e Ricci, all’epoca in servizio presso la Biblioteca Estense di Modena. Dopo l’avvio di alcuni lavori di ripristino delle coperture dei tetti e delle finestre da parte del Genio Civile, la questione centrale intorno al 1870 divenne l’isolamento della chiesa dai vari corpi di fabbrica che le si erano addossati nel susseguirsi del tempo. Nonostante nel 1873 venissero presentati due progetti, uno per l’interramento delle cascine aggiuntesi sul lato meridionale, l’altro per il ripristino dell’antica facciata a cui si era addossato un corpo

69 Si tratta delle placche di un diadema della fine del IV secolo, all’epoca interpretate come componenti un braccialetto; esse furono trafugate nella stessa notte del 20 novembre 1924 in cui sparì la cd. “corazza di Teoderico”. Per la stampa dell’epoca cfr. DE LASTEYRE 1880eDIEHL 1866, p. 79. Per la corretta interpretazione del diadema LIPINSKY 1960, pp. 209-211;LIPINSKY 1961, pp. 39-78;LIPINSKY 1965,p. 444.

70 BSF, FPCR, b. 222, n. 172 (cit. in NOVARA 2004,p. 73).

Fig. 5 - Incisione, ricavata da una fotografia, raffigurante la basilica di S. Apollinare in Classe negli anni ’60 dell’Ottocento. Nella parte anteriore si nota il corpo di fabbrica – poi eliminato – in cui erano inglobati i resti di due torrette laterali alla facciata della chiesa, che furono oggetto di discussione fra Gardella, Faccioli e Ricci (NOVARA 2004).

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di fabbrica sporgente in senso latitudinale, i finanziamenti vennero dirottati su interventi più urgenti, come l’eliminazione delle patine di alghe e muschio da muri e pavimenti nonché il risarcimento della porzione di mosaico distaccatasi dall’arco trionfale. L’approvazione ministeriale di parte del nuovo progetto presentato nel 1885 sancì l’avvio dei lavori di isolamento della parete meridionale diretti da Ranuzzi, ma tre anni dopo fu necessario un nuovo progetto per il risarcimento della porzione dei muri laterali che riemerse dalla liberazione della facciata71. Durante uno dei suoi sopralluoghi a lavori in corso, Gardella verificò che le fondamenta di un supposto battistero scoperte da Ranuzzi altro non fossero che quelle di un nicchione coevo all’intero edificio72.

Fig. 6 - La fiancata settentrionale di S. Apollinare in Classe come appariva negli anni ’60 dell’Ottocento, prima dei restauri, con i corpi di fabbrica, che in seguito sarebbero stati rimossi, ancora addossati alla basilica (SAVINI

1909-1912).

Nello stesso 1888 erano stati avviati i lavori di abbattimento della scala poggiante sulla parete meridionale della basilica, che conduceva al piano superiore del fabbricato che oscurava la facciata. Il progetto del 1885 prevedeva, una volta abbattuto tale fabbricato, di ripristinare l’atrio “originario” della basilica in base alle tracce sopravvissute nelle murature dell’avancorpo; queste ultime suggerivano la presenza in antico di due torrette laterali. Tuttavia la variante del progetto del 1888, presentata nel 1889, non prevedeva più

71 SBAP, AV, Ra 21/149 e Ra 21/151; cfr. FABBI 2003 pp. 246-249.

72 Lettera di Odoardo Gardella a Corrado Ricci del 7 agosto 1888: BCR, CRC, vol. 80, n. 15444, cit. in Novara 2004, p. 77-78.

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l’abbattimento, ma soltanto l’abbassamento del fabbricato antistante la basilica, che il Genio Civile riteneva più opportuno realizzare demolendo l’edificio e ricostruendolo più basso. Il ministero ordinò il fermo dei lavori per ottenere chiarimenti sulla torretta meridionale, che secondo Ranuzzi era stata distrutta contestualmente alla distruzione dell’atrio, secondo altri in tempi ben più recenti, intorno al 1876, quando già il monumento era passato sotto la tutela dello Stato. Quest’ultimo parere era quello di Raffaele Faccioli (1845-1916), direttore dal 1885 della Delegazione regionale per i monumenti dell’Emilia-Romagna, poi sostituita dall’Ufficio tecnico regionale dell’Emilia a capo del quale Faccioli rimase fino alla nascita della Soprintendenza. Faccioli aveva letto del recente abbattimento della torretta nella guida

Ravenna e i suoi dintorni di Ricci73, il quale disse di averne avuto notizia dallo stesso Gardella. Ebbe così inizio una vivace corrispondenza tra Faccioli e Gardella, il quale negò fermamente di avere mai potuto fornire tale informazione a Ricci (Ricci, dopo aver subito le ire di Gardella, si scuserà ma continuerà a proporre la notizia anche nelle edizioni successive della sua Guida di Ravenna) in quanto certo del fatto che i lavori di poco precedenti il 1878 non demolirono nulla di antico, anzi misero in luce alcuni tratti della costruzione primitiva della chiesa; Gardella colse la palla al balzo per lamentarsi dell’operato del Genio Civile il quale invece nel 1888, nel corso dei lavori di abbattimento delle cascine laterali, riuscì a danneggiare anche i muri originari della basilica e le ultime reliquie dell’estremità sud che rimanevano frammiste alle costruzioni più recenti74. Era questo a preoccupare Faccioli, in quanto in quel caso vi sarebbe stata una colpa riconducibile alla negligenza delle istituzioni pubbliche a cui apparteneva. Tuttavia Gardella, oltre a ribadire la sua posizione sulla faccenda, specificò che non si trattava che di una vicenda collaterale e di minore importanza rispetto ai tanti altri casi, più chiari e soprattutto più gravi (la ricostruzione della tribuna di San Vitale, il nuovo rivestimento esterno del mausoleo di Galla Placidia, il disfacimento del rivestimento in porfido e serpentino della parte inferiore del battistero Neoniano, il ripetuto rifacimento dei colori delle mura e degli stucchi della parte superiore dello stesso battistero o la pittura a finte piastrelle tonde di una sua vetrata, il distacco delle transenne del duomo poi andate in frantumi…), in cui il Genio Civile non si era dimostrato all’altezza dei compiti che era chiamato a svolgere. Faccioli fece presente come il Reale Genio Civile, che si doveva occupare delle attività più disparate, fosse soltanto una soluzione temporanea, in attesa che venisse creato un ente specifico per il servizio archeologico così come era da anni nelle intenzioni del Ministero della Pubblica istruzione, in questo ostacolato da ragioni finanziarie. Tuttavia queste rassicurazioni non acquietarono Gardella, che scrisse nuovamente elencando tutti gli irreparabili errori e le mancanze del Genio Civile (la fossa scavata intorno al mausoleo di Galla Placidia riempitasi per anni di acqua stagnante, la stessa sorte profilata per San Vitale e aggravata dall’abbattimento del protiro, l’incompiutezza dei lavori di Sant’Apollinare in Classe e del battistero ortodosso…) sollecitando provvedimenti da parte

73 RICCI 1878.

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del Ministero nei confronti di un organismo che a suo dire mancava non solo delle competenze necessarie ma anche della ragionevole prudenza75.

Nel 1888 Gardella aveva già criticato infatti anche il disinteresse di Silvio Busmanti per il cantiere in corso presso il battistero Neoniano. L’edificio aveva già subito, come accennato in precedenza, pesanti interventi voluti da Lanciani, a cui Gardella non aveva mancato di opporsi: in particolare la resa arcuata delle finestre (1868-1870) e il distacco delle tarsie delle pareti interne (distaccate nel 1878, cinque anni dopo, quando Lanciani lasciò Ravenna per Roma, la loro ricollocazione giaceva ancora in fase di progettazione), oltre all’isolamento del lato settentrionale (1874-1879)76. Nel 1888, quando l’audace progetto di rialzamento del battistero pareva ormai arenato da anni e il ministero richiedeva ulteriori precisazioni al riguardo, si intraprese il restauro di uno dei nicchioni originariamente addossati alle pareti dell’edificio, rinvenuti durante il primo intervento di scavo (1864-1866). Gardella intervenne in merito su un giornale locale, «Il Ravennate», e poi ribadì le sue convinzioni in uno scambio privato con l’amico Ricci trovandone il sostegno; Gardella criticava la tendenza dei restauratori a “correggere gli antichi”, purgando le costruzioni da loro erette degli “errori” reali o presunti, ad esempio rendendo rette delle linee oblique.

Le parole dello studioso risultano a mio parere molto interessanti per una ragione articolata: l’integrità dei monumenti – di cui si offre una visione molto moderna in quanto essi «più della storia, sono la sincera e fedele manifestazione dei fatti, e ci palesano la civiltà, l’indole, i costumi degli uomini che li innalzarono» – va rispettata il più possibile e dunque bisogna limitarsi al solo e semplice restauro necessario; questo non in ragione del culto di una perfezione passata, anzi. Spesso infatti nei monumenti paleocristiani e bizantini si dice riscontrabile, a seguito di ideazioni e progetti magari grandiosi, una «esecuzione bambina, rozza, trascurata e quasi barbara», che tuttavia non è considerata da «purgare» bensì da «rispettare»77.

75 Ivi, pp. 15-36.

76 ASR, PAG, serie 1, categoria 14, voll. 366, 255 (cit. in NOVARA 2004,p. 79). 77 Lettera di Odoardo Gardella in «Il Ravennate», n. 190 del 14-15 agosto 1888.

184 Alla ripresa dei lavori nel

battistero tra la fine del 1896 e il 1897, i restauri vennero affidati alla Direzione generale e non più al Genio Civile; il ripristino delle tarsie in marmo delle pareti interne ad arco venne affidato al Regio opificio delle pietre dure di Firenze. Esse erano state distaccate, (insieme agli stucchi delle lunette sopra gli archi del secondo ordine ritenuti erroneamente seicenteschi) su direttiva di Lanciani nel 1878 e poi andate perse o confuse, lasciando ben

pochi tratti superstiti; i restauratori dell’Opificio – di cui Gardella si disse molto soddisfatto78 – ricostruirono i pannelli mischiando alle poche tarsie superstiti delle lastrine nuove in pasta