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Il tentativo di tenere insieme le due contrapposte fazioni nel segno della fratellanza e della pace dei popoli è teorizzato e difeso da Aldo Capitini, considerato il padre spirituale del movimento nonviolento in Italia. Le idee su cui poggiano il pensiero e l’azione del filosofo perugino si rifanno a Tolstoj, a Gandhi e agli altri esponenti della filosofia nonviolenta che sottostà a un pacifismo dal basso, in un certo senso integralista. Le riflessioni proposte riguardano appunto i metodi da utilizzare e mettere in campo per contrastare la prerogativa guerriera del consorzio umano, data per scontata nei discorsi del potere. Secondo Capitini e la sua scuola, il fine non può semplicemente giustificare i mezzi, se è vero che i mezzi devono coincidere con il fine stesso: non si tratta più di ‘prepararsi alla guerra’ se è la pace che si ricerca, ma piuttosto di preparare la pace per poterla raggiungere.89

Il pacifismo nonviolento ha in Capitini il suo riferimento teorico e propulsivo, pur nella apparente emarginazione in cui il filosofo perugino ha condotto la sua vita. Nato nel dicembre del 1899, dopo l’iniziale convinzione patriottica, elaborerà un percorso personale di integrale rifiuto della guerra, della violenza e del potere in ogni sua rappresentazione che lo allontanerà dalla cattedra alla Normale di Pisa durante il regime fascista. La sua libertà di pensiero – che gli aveva impedito di sottoscrivere tra le altre cose la tessera del partito fascista -, non gli permette ugualmente di aderire al Partito d’Azione. Approfondendo la conoscenza dell’opera e del pensiero gandhiano mantiene fede alla sua indipendenza intellettuale nel rifiutare ogni contagio con le due egemonie costituite dalla chiesa e dal comunismo. La sua spiritualità non trova corrispondenza nelle scelte del Vaticano, in modo particolare dopo la sottoscrizione dei Patti

86

Fallimenti della Cgil nel tentato sciopero generale, in “Il Popolo”, 28 gennaio 1951, cit. in P. Michelutti, op. cit., pp.

36-7.

87

Il vero volto dei “Partigiani della Pace, in “Il Popolo”, 28 gennaio 1951, cit. in P. Michelutti, op. cit., pp. 37.

88

In Comunicato della Direzione del PCI,op. cit.

Lateranensi, mentre pur definendosi “indipendente di sinistra” è critico con le previsioni di presa del potere comuniste. Un tentativo di impegno politico di Capitini avviene dopo una prima adesione al Fronte Popolare e all’elaborazione teorica del liberalsocialismo condivisa con Guido Calogero, ma nonostante questa vicenda si era allontanato dai partiti ed era rimasto in un certo senso isolato negli anni della manicheistica contrapposizione tra cattolici e comunisti. Con i suoi più stretti collaboratori (Marcucci e Santarelli), operativi fin dagli anni Trenta, per veicolare le teorie della resistenza passiva e della non collaborazione si avvalse degli strumenti tipici della democrazia dal basso, promuovendo le iniziative attraverso piccole assemblee, discussioni aperte, avendo come sede operativa l’appartamento di via dei Filosofi 33 a Perugia.90

Da lì Capitini riesce, nonostante il monito della curia Arcivescovile91 ad entrare in contatto con le altre personalità che per affinità intellettuale e/o spirituale (tra gli altri Danilo Dolci, Giovanni Pioli, Don Primo Mazzolari, Padre Ernesto Balducci, Giorgio La Pira, Velio Spano) porteranno avanti il discorso nonviolento in Italia, collaborando, ispirando e coadiuvando l’attività dei suoi Centri di Orientamento Sociale e Religioso. Si coagula così un gruppo (qualcuno dirà un’elite, per coglierne la debolezza, Capitini invece la definirà ‘un’elite da tutti’ per l’universalità delle esigenze di cui è portatrice92) che sarà tra i precursori sui temi dell’obiezione di coscienza e della disobbedienza civile. Alcuni di loro saranno identificati o si proporranno come paladini di riferimento per la difesa di questi ad altri diritti connessi alla persona, che secondo la loro concezione sono connaturati indissolubilmente ad ogni essere umano.

La posizione del filosofo perugino, sulle questioni di politica interna, pur muovendo dalla sua concezione religiosa, poco hanno da invidiare ai discorsi dei leader comunisti e socialisti riportati precedentemente. Alla vigilia delle elezioni politiche del ’48, che avrebbero aperto alla DC le porte di un governo ultraquarantennale, in una corrispondenza privata scrive

Sarebbe molto grave per esempio se domani un regime democristiano allineasse gli italiani con l’America, in nome della Patria, della civiltà, della Fede, del Piano Marshall, e li portasse alla guerra; perché milioni di italiani si porterebbero dalla parte opposta e si avrebbe la più terribile guerra civile. Il momento è difficilissimo e incerto e noi dovremmo dire che non vogliamo nessuna guerra, neppure quelle “igieniche”, per “salvare”, le “crociate”; perché guai a scivolare su questo punto.93

Capitini negli anni Cinquanta e Sessanta è il riferimento di chi si incammina su percorsi nonviolenti e antimilitaristi, come i primi obiettori di coscienza che lo chiamano a testimoniare in loro difesa nei processi che affrontano di fronte alle corti militari.

Una svolta importante nel suo modus operandi si ha però il 24 settembre 1961: quel giorno sono in molti e di una variegata estrazione e provenienza - diversi dai pacifisti che si vedevano alle manifestazioni dei Partigiani della Pace o del PCI -, a camminare da Perugia ad Assisi per la prima marcia della Pace ideata e voluta proprio dal filosofo perugino, su ispirazione di simili iniziative nel mondo anglosassone, che lui spiega così:

90 A. Martellini, Fiori nei cannoni, Donzelli, Roma, 2006, pp. 59-60. 91

“Avvertiamo i fedeli che non è lecito frequentare il così detto «Centro di orientamento religioso» in via dei Filosofi 33, diretto dal Prof. Aldo Capitini, che, com’è noto, è stato oggetto di condanna da parte del S. Uffizio per le sue erronee teorie”, FM, b. 1, fasc. 3.2, volantino a stampa, cit. in A. Martellini, op. cit., pp. 59 e nota 18.

92

Ivi, p. 61.

93

Archivio centrale dello Stato, Fondo Maria Remiddi Baiocco, b.19, fasc. 136, “Aldo Capitini”, cit. in A. Martellini, op.

“Perché la marcia della pace? […] Le marce aggiungono altro: sono un accomunamento dal basso e nel modo più elementare, che perciò unisce tutti, nessuno escludendo”.94

Il successo della prima marcia della pace fu indiscutibile. L’iniziativa coinvolse e mobilitò, più persone di quante i tanti giornali o fogli di collegamento delle varie associazioni pacifiste erano riuscite fino ad allora a raggiungere. La matrice eterogenea dei partecipanti si poteva leggere e cogliere negli slogan, nei manifesti presenti alla sfilata del lungo corteo durante il quale fece la sua prima comparsa ufficiale anche la bandiera arcobaleno:

Fianco a fianco sfilavano esponenti di tradizioni pacifiste lontane tra loro e, fino ad allora, inconciliabili; famosi intellettuali (come Calvino, Arpino, Piovene o Jemolo) e contadini; sfilava la generazione dei ventenni accanto a quella dei loro padri […] vi erano manifesti e striscioni con scritte pacifiste, inneggianti alla fratellanza dei popoli e alla nonviolenza, mescolate a scritte politiche (contro il revanscismo tedesco o a favore dell’ingresso della Cina nelle Nazioni Unite) e ad altre di ispirazione religiosa.95

Un risultato concreto, ascrivibile direttamente alla prima marcia della Pace, è la costituzione di una Consulta per la Pace, che si riunì per la prima volta a Firenze l’anno successivo e che avrà a sua volta un effetto ‘moltiplicativo’ nel paese dall’inizio del 1963.

Pur nel permanere di una sua distanza dal mondo partitico, Capitini non aveva tralasciato i rapporti personali con singoli parlamentari di diverse appartenenze; per superare il limite ‘elitario’ del movimento pacifista assoluto (o integrale) non aveva disdegnato nemmeno di ricorrere alle macchine organizzative dei partiti (soprattutto del PCI), ma nonostante la buona riuscita della Perugia-Assisi, si dovrà attendere l’irruzione di un nuovo soggetto sociale, i giovani, per vedere le masse riversarsi in piazza gridando slogan contro la guerra. I leader però a quel punto saranno altri, il padre nobile del pacifismo nonviolento italiano non sarà l’autore più letto da quei giovani sul tema della pace. La parabola di Capitini, nato nel 1899, si spegne proprio nel 1968, mentre la protesta studentesca occupa scuole e università e i cattolici del dissenso occupano le chiese, incrociando così solo per un attimo la nascente stagione dei movimenti.96