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a Gli “alleati dipendenti” e la tutela dell’interesse nazionale

Nel documento Civis Romanus sum (pagine 160-164)

Anche il sistema di alleanze e la organizzazione dei territori con- quistati o comunque soggetti alla egemonia romana, a iniziare dalla penisola italica, persegue due indirizzi chiari: la proritaria tutela del- l’interesse nazionale romano; un processo di integrazione politica, mi- litare, economica e culturale finalizzato ad una graduale assimilazione

delle varie comunità 589 nell’ottica di una loro romanizzazione.

Ciò appare in modo inequivocabile già nei rapporti con gli alleati latini all’interno della Lega. La fondazione del culto federale di Diana

sull’Aventino denuncia la chiara volontà egemonica 590 di dar vita ad

“una federazione diretta da Roma” 591. Di “alleati dipendenti” 592, dun-

que funzionali al superiore interesse di Roma, si parla ancora nel trat- tato fra Roma e Cartagine del 509 a.C. con riguardo ad Ardeati, An-

ziati, Circeiensi, Terracinensi, Laurentini 593. All’indomani della déba-

589 Cfr. Laffi, Il sistema di alleanze italico, in Studi di storia romana e di di-

ritto, 2001, 17 ss.

590 Cfr. Liv. 1.45.2-3: “ea erat confessio caput rerum Romam esse”; Dion. 4.26.4; Vir. ill. 7.9. ss.

591 Cfr. Catalano, Linee del sistema sovranazionale romano, cit.,167 ss. 592 Così Polib. 3.22.

cle di Porsenna, Dionigi ricorda del resto come i Latini accusassero Ro-

ma di arroganza 594 e di volontà egemonica 595. Così pure il foedus

Cassianum, con la distribuzione in parti eguali del bottino di guerra fra

Roma, per la metà, e tutti gli altri popoli latini, per la parte residua 596,

indica che Roma ribadiva la prioritaria importanza della tutela del- l’interesse nazionale, tutela che emerge da una soluzione solo appa- rentemente paritaria, ma sostanzialmente iniqua e certamente penaliz-

zante per le singole comunità latine 597. E d’altro canto anche le norme

sulla divisione ad anni alterni del comando dell’esercito federale ven- nero sistematicamente disattese posto che non sono noti comandanti

latini dell’armata federale 598. Parallelamente, proprio le conclusioni di

Catalano sul significato della più antica politica federativa romana in- dicano già un aspetto di quel processo di integrazione e assimilazione a cui si faceva poco sopra riferimento e che caratterizzerà sempre più l’atteggiamento di Roma: “Per tutto questo è possibile definire il si- stema (che è romano perché alla sua “validità” è sufficiente la consi- derazione che ne hanno i Romani) come sovrannazionale: non solo ad indicare l’implicito superamento dell’attuale categoria del “diritto in- ternazionale”, ma ad esprimere come esso, alimentandosi dai gruppi etnici, li costruisca in sintesi sempre più vaste, con volontà politica

tendente ad una società universale” 599.

Lo svolgersi dei rapporti con gli alleati latini ed italici prosegue ac- centuando queste linee di sviluppo. Lo strumento tipico è rappresenta- to dai cosiddetti foedera che comportavano di norma l’obbligo di im-

594 Cfr. Dion. 5.61.5. 595 Cfr. Dion. 5.61 ss. 596 Cfr. Dion. 6.95.2.

597 V. ancora da ultimo Kent, Reconsidering Socii in Roman Armies Before

the Punic Wars, in Roselaar (ed.), Process of Integration and Identity Formation in the Roman Republic, 2012, 78 che così scrive: “Perhaps the most obvious an-

swer is that despite its terms regarding mutual defence, the Foedus Cassianum nonetheless served as a tool for Roman military domination”.

598 Cfr. Schwegler, Römische Geschichte, II, 1856, 345 ss.; Catalano, Linee, cit., 253, nt. 20; Valditara, Studi sul magister populi, cit., 360.

I territori sottomessi a Roma tra tutela dell’interesse nazionale e assimilazione 153

perium maiestatemque populi Romani conservare 600. Si trattava di al-

leati e purtuttavia – a parte limitati casi di cosiddetti foedera aequa – erano tenuti a condividere la politica estera romana e a fornire contin- genti a Roma per combattere le battaglie che interessavano ai Romani.

L’entità di questi contingenti era fissata unilateralmente da Roma 601;

la unilateralità significa ancora una volta che era funzionale al premi- nente interesse della Res publica.

Le colonie latine erano tenute a fornire pure il soldo alle truppe, tanto che a fronte del rifiuto nel 209 a.C. di aiuto militare e della consueta contribuzione, Roma assunse provvedimenti punitivi particolarmente

duri contro dodici recalcitranti colonie latine 602, dunque formalmente

contro comunità indipendenti. Oltre alla leva doppia rispetto al massimo che era stato richiesto negli anni precedenti e all’obbligo di versare il tri- buto per pagare lo stipendium alle truppe, colpiscono l’imposizione della adozione della formula del censimento romano e l’obbligo di trasmettere

i dati censitari a Roma 603. In particolare, il primo provvedimento “sot-

traeva” alle colonie latine “l’amministrazione diretta del contingente im- posto da Roma, il secondo sottoponeva il censimento della popolazione

locale al diretto controllo delle autorità romane” 604, che intendevano ve-

rosimilmente controllare i presupposti reali della contribuzione militare ed economica. La subordinazione degli alleati italici agli interessi roma- ni si manifesta anche nella spietata repressione che colpì gli Stati italici

“secessionisti” 605 all’indomani della partenza di Annibale.

600 V. Polib. 21.32.2-4; Liv. 38.11.2-3; Cic. pro Balb., 16.35; D.49.15.7.1. Sul dibattito relativo a foedera iniqua ed aequa v. recentemente Cursi, «Amici-

tia» e «societas» nei rapporti tra Roma e gli altri popoli del Mediterraneo, in Index, 41 (2013), 195 ss.; 213 ss., in particolare.

601 Cfr. Laffi, Studi di storia romana e di diritto, cit., 17 s. 602 Cfr. Liv. 29.15.6-19; Dio Cass. 17, fr. 57.70.

603 Cfr. Tibiletti, Ricerche di storia agraria romana, in Athenaeum, 28 (1950), 190 s.; Toynbee, Hannibal’s Legacy, II, cit., 115-116; Bernardi, Nomen Lati-

num, 1973, 97-98; Laffi, Studi, cit., 18 s.; Broadhead, Rome’s Migration Policy,

cit., 88.

604 Cfr. Laffi, Studi, cit., 18 s. 605 Così Laffi, Studi, cit., 19.

Emblematica della duplice finalità che si è attribuita alla politica

romana verso gli alleati, è anche il ruolo di “gendarme dell’Italia” 606

che Roma si arrogò dopo la vittoria su Cartagine nel 202 a.C. La Res

publica rivendicò infatti “il diritto di intervenire direttamente negli af-

fari interni degli stati alleati se vedeva minacciato l’ordine” 607. Per

poter consolidare ed estendere la sua area di influenza nel Mediterra- neo, Roma aveva bisogno che la penisola non fosse scossa da turbo- lenze di vario genere. Esigenze di sicurezza nazionale la spingevano dunque a farsi garante dell’ordine pubblico e della pace sociale in tutta la penisola. Ciò è dimostrato nel caso della repressione dei culti bac-

chici, che coinvolse tutte le comunità italiche 608 con il divieto per to-

tam Italiam delle riunioni degli adepti 609 e la distruzione di tutti i rela-

tivi luoghi di culto deinde per totam Italiam 610. Più in generale tutta la

politica di repressione, e regolamentazione dei culti bacchici in Italia passava per senatoconsulti che dovevano essere applicati dalle autorità

alleate 611 quasi fossero autorità locali di un unico Stato. Nel biennio

185-184 a.C. Roma si arrogò anche un potere di intervento per repri- mere le rivolte di “schiavi-pastori” che mettevano a serio rischio l’or- dine pubblico in Apulia, così come un intervento diretto del governo romano in Apulia si ebbe in occasione di una invasione di locuste che

rischiava di causare gravi problemi sociali 612.

Come già evidenziato da Catalano per l’epoca più risalente 613, que-

sta politica di Roma verso le comunità alleate non aveva alcuna legit- timazione sul piano del “diritto internazionale”, né era autorizzata da clausole presenti nei trattati con gli Italici o negli statuti istitutivi delle

606 Così Laffi, Studi, cit., 20. 607 Cfr. Laffi, ibid.

608 Cfr. Luraschi, Foedus, cit., 71; Laffi, Studi, cit., 20 ss.

609 Cfr. 39.14.8; riferisce invece per totam Italiam, a fora e conciliabula ro- mani Galsterer, Herrschaft und Verwaltung, cit., 37-41; 132; 169, contra, con puntuali osservazioni, Laffi, Studi, cit., 21, nt. 14.

610 Cfr. Liv. 39.18.7. 611 Cfr. Laffi, Studi, cit., 22. 612 Cfr. Liv. 42.10.6-8.

I territori sottomessi a Roma tra tutela dell’interesse nazionale e assimilazione 155

colonie latine 614. Si trattava, in specie, di interventi nella politica in-

terna di comunità indipendenti, giustificati solo dalla assoluta priorità che l’interesse nazionale aveva per la visione romana dei rapporti con

comunità e soggetti stranieri. Nota efficacemente Polibio 615 che il Se-

nato si era arrogato il compito di intervenire in Italia per reprimere crimini che minacciavano la sicurezza pubblica e offendevano l’auto-

rità dello Stato romano 616. Si trattava di una “dottrina metagiuridica”

elaborata unilateralmente dalle classi dirigenti romane nel superiore

interesse di Roma 617.

Più in generale, come riassume con eccezionale efficacia Cicero-

ne 618, de nostra vero re publica, de nostro imperio, de nostris bellis,

de victoria, de salute fundos populos fieri noluerunt: Roma si arroga-

va cioè il potere fondato sul mos maiorum “di decidere con proprie leggi da soli, senza cioè consultare gli alleati o chiamare gli stessi a dare ratifiche di sorta, tutto ciò che riguardava lo Stato, l’imperium, la

guerra, la vittoria, la sicurezza” 619.

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