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L’annessione delle popolazioni sconfitte, una logica di potenza

Nel documento Civis Romanus sum (pagine 44-50)

Nell’ottica della creazione di una città sempre più forte, caratteriz- zata da una popolazione particolarmente numerosa e quindi capace di dotarsi di un esercito cospicuo, andava più in generale la peculiare tra- dizione di inglobare nella civitas la popolazione delle città sconfitte.

L’idea della civitas augescens 144, attestata fin dalle origini, quasi

fosse una missione divina 145, avrebbe accompagnato tutta la storia di

Roma fino ad Augusto e al Principato.

Salta subito agli occhi lo scopo militare, progressivamente funzio- nale ad una politica di potenza, che colora in modo indelebile e pecu- liare quella consuetudine all’apertura.

144 Cfr. D. 1.2.2.7: Augescente civitate quia deerant quaedam genera agendi,

non post multum temporis spatium Sextus Aelius alias actiones composuit et li- brum populo dedit, qui appellatur ius Aelianum; v. anche D.1.2.2.2. Sul punto v.

le stimolanti riflessioni di Catalano, Diritto e persone. Studi su origine e attuali-

tà del sistema romano, 1990, XIV s.: “Entro il quadro ‘sistematico’ della civitas augescens […], nei suoi aspetti demografici oltre che spaziali e temporali, dob-

biamo collocare sia il favor libertatis e l’eliminazione degli status di peregrinus e di Latinus […] sia il favore per i nascituri”. V. anche Baccari, Il concetto giu-

ridico di civitas augescens: origine e continuità, in SDHI, 61 (1995), 759 ss.;

Id., Cittadini popoli e comunione nella legislazione dei secoli IV-VI, 1996, 47 ss. 145 V. Sini, Diritto e pax deorum, cit.: “Teologia e ius divinum mostravano che la volontà degli Dèi aveva determinato la fondazione dell’urbs Roma; ne a- veva sostenuto la prodigiosa “crescita” del numero dei cittadini [...]; infine, pre- siedeva all’incomparabile fortuna dell’imperium populi Romani e garantiva la sua estensione sine fine”.

Come si è visto 146, questa politica di potenza è riassunta in modo

esemplare da Dionigi di Alicarnasso 147: i re che avevano preceduto

Servio “accogliendo gli stranieri e rendendoli partecipi della uguagli- anza dei diritti civili senza alcuna discriminazione per la loro origine o condizione, cercavano di rendere la città più popolosa”. Ad essa fa esplicito riferimento proprio Filippo di Macedonia nella citata lettera,

confermandone indirettamente la storicità e la risalenza 148, ma è altre-

sì testimoniata in più punti dalle fonti con riguardo al trattamento delle città sottomesse.

Esemplari sono le testimonianze di Livio già per l’epoca più antica. Così in Liv. 1.8.4: l’obiettivo di Romolo sarebbe stato quello di chiu- dere entro la cerchia delle mura sempre maggior territorio in modo da avere una popolazione sempre più numerosa. Sconfitti Ceninensi e Antennati, Romolo decide di accogliere le rispettive popolazioni nel

numero dei cittadini per accrescere la potenza romana 149. Stando a Plu-

tarco 150 Romolo avrebbe deportato a Roma anche gli abitanti di Cru-

stumerium e di Fidene dopo aver sconfitto i rispettivi eserciti.

Non diversamente, in 1.28.7 lo storico di Padova fa dire a Tullo Osti- lio, dopo la vittoria sugli Albani: “Per il bene, la prosperità e la fortuna del popolo romano ho deciso di condurre a Roma tutto il popolo albano concedendogli la cittadinanza”. Roma quindi si ingrandisce con l’inclu-

sione degli Albani, raddoppiando il numero dei cittadini 151, si possono

così creare dieci nuovi squadroni (turmae) di cavalleria, legiones et ve-

teres eodem supplemento explevit, et novas scripsit: con analoga inte-

grazione Tullo ingrandì le antiche legioni e ne costituì di nuove 152.

146 V. supra par. 3 d. 147 Cfr. Dion. 4.22.3.

148 V. Dittemberger, syll., 543, ll.29-34. 149 Cfr. Liv.1.11.2.

150 Cfr. Plut. Rom., 17.1, su queste notizie v. Capogrossi Colognesi, ‘Ius com-

mercii’, ‘conubium’, ‘civitas sine suffragio’. Le origini del diritto internazionale privato e la romanizzazione delle comunità latino-campane, in Corbino (ed.), Le strade del potere, 1994, 54, nt. 7.

151 Cfr. Liv.1.30.1. 152 Cfr. Liv. 1.30.2.

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Anco Marzio avrebbe marciato su Politorium e dopo averla sconfit- ta avrebbe accolto i nemici vinti nel numero dei cittadini, seguendo il

mos dei re precedenti che avevano rafforzato Roma traducendo a Ro-

ma multitudinem omnem. Questa nova multitudo sarebbe stata stanzia-

ta sull’Aventino 153. Dopo la presa di Tellene e Ficana, sarebbero stati

aggiunti altri cittadini, insediandoli sempre sull’Aventino 154; sconfitta

Medullia, molte migliaia di nuovi cittadini sarebbero stati accolti a

Roma 155. Il commento di Livio è ancora una volta esemplare: la po-

tenza di Roma si era accresciuta con un così grande incremento di po-

polazione 156.

La politica di inclusione ha costantemente una precisa finalità: au- mentare la potenza romana.

Riassuntivamente paradigmatico delle finalità utilitaristiche della politica romana sulla cittadinanza è Dion.1.9.4: “fecero in modo di di- ventare col tempo il popolo più grande da infimo che era prima e il più famoso da totalmente oscuro, concedendo asilo presso di loro con li- beralità a quelli che ne avessero bisogno, concedendo la cittadinanza a coloro che erano stati vinti in cambio del comportamento valoroso mostrato in guerra e dando il diritto di cittadinanza agli schiavi mano- messi, senza disprezzare nessuno, a qualunque ceto appartenesse, che potesse rivelarsi utile alla comunità”. In queste parole sono mirabil- mente riassunte le finalità della politica di apertura di Roma.

Altrettanto emblematico è il discorso di Furio Camillo all’indomani

della sottomissione dei Latini, così come lo riporta Tito Livio 157: “Se-

natori, l’intervento in armi nel Lazio si è concluso grazie al favore de-

153 Cfr. Liv. 1.33.1; v. anche Dion. 3.37-43, per le notizie sulla presa di Poli- torio, di Tellene e di Ficana e sull’inglobamento delle rispettive popolazioni nel- la comunità romana.

154 Cfr. Liv. 1.33.2. 155 Cfr. Liv.1.33.5.

156 Cfr. Liv. 1.33.8. Gli studiosi, anche alla luce dei reperti archeologici, sem- brano dare credito alla tradizione relativa a questi trasferimenti di popolazione: cfr. Coarelli, I santuari, il fiume, gli empori, in Storia di Roma, I, 1988, 136 e nt. 35.

gli dei e al valore dei soldati. [...] Volete essere spietati con quanti si sono arresi o sono stati sconfitti? Potete cancellare l’intera regione, trasformando in lande desolate le terre dove avete arruolato uno splen- dido esercito di alleati, del quale vi siete avvalsi in molte e delicate guerre. Volete seguire l’esempio dei vostri antenati e accrescere la po- tenza di Roma accogliendo i vinti tra i concittadini? Avete a portata di mano l’occasione propizia per ingrandirvi conquistando enorme glo- ria. Lo Stato di gran lunga più saldo è quello nel quale i sudditi obbe- discono con gioia”. Che era poi quanto ancora Tacito riassumeva della tradizionale politica romana nelle famose parole attribuite a Petilio Ceriale: “onorate Roma, che assicura a vincitori e vinti, medesimi di-

ritti” 158.

L’accoglienza, le politiche di inclusione e di integrazione appaiono dunque ancora una volta chiaramente finalizzate a ingrandire e a ren- dere più salda la comunità romana, così come le politiche di annessio- ne servivano per ottenere una grande militum copia.

Fu proprio la saggezza di questa politica di apertura, specificamen- te finalizzata ad incrementare il numero dei cittadini mobilitabili, che salvò Roma e dannò invece i Greci; esemplari sono le parole di Dioni-

gi 159: Roma, pur essendo stata spesso incalzata da grandi pericoli, pur

essendo impegnata su molteplici fronti di guerra, non ebbe la peggio e divenne anzi più grande di prima riuscendo a contrastare con il nume- ro dei soldati tutti quei terribili frangenti.

Possiamo pertanto fissare un primo punto: la politica dell’apertura e dell’inclusione era funzionale a concreti interessi della comunità ro- mana, non affiora alcun indizio di una politica filantropica o umanita- ria, e tantomeno la considerazione di diritti dello straniero, sono piut- tosto evidenti pragmatici obiettivi utilitari che hanno al centro innanzi- tutto l’interesse della civitas.

È del resto lo stesso Cicerone 160, pur consapevole della necessità di

vincoli che leghino i membri di quella società universale che unisce tutti gli uomini, a indicare, all’interno di una teoria di cerchi concen-

158 Cfr. Tac. hist., 74.4. 159 Cfr. Dion. 2.17.3-4. 160 Cfr. Cic. de off., 1.50 ss.

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trici, come prioritaria l’attenzione a chi ci è più prossimo e dunque al- la famiglia, ai concittadini, allo Stato (civitas). Prima della lealtà verso gli stranieri, vi è dunque la lealtà verso quella società costituita fra uo- mini della stessa stirpe, nazione, lingua, che sarebbero per l’Arpinate i vincoli più importanti. E sempre Cicerone osservava come omnium

societatum nulla praestantior est, nulla firmior, quam cum viri boni moribus similes sunt familiaritate coniuncti 161, di tutte le società nes-

suna è superiore e più salda di quella fra uomini simili nei costumi e legati da famigliarità. Insomma pur essendo l’universo creato, nella visione dell’Arpinate, per tutti gli uomini (omnia, quae sint in hoc

mundo, quibus utantur homines, hominum causa facta esse et parata),

“Atene e Sparta” sono da ritenersi create “per gli Ateniesi e per gli Spartani” e “a buon diritto si afferma che quanto si trova in esse ap- partiene ai loro popoli” (Ut igitur Athenas et Lacedaemonem Athe-

niensium Lacedaemoniorumque causa putandum est conditas esse omniaque, quae sint in his urbibus eorum populorum recte esse dicun-

tur) 162. Implicitamente Cicerone ricorda che Atene e Sparta non ap-

partengono ai non Ateniesi e ai non Spartani 163.

161 Cfr. Cic. de off., 1.55. 162 Cfr. Cic. nat. deor., 2.154.

163 V. Behrends, La lex Licinia Mucia de Civibus Redigundis de 95 a.C. Une

loi néfaste d’auteurs savants et bienveillants, in Ratti (ed.), Antiquité et Citoyen- neté, 2002, 25 s.; Tweedie, The Lex Licinia Mucia and the Bellum Italicum, in

Roselaar (ed.), Processes of Integration and Identity Formation in the Roman

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