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Mos, un diritto identitario

Nel documento Civis Romanus sum (pagine 194-200)

Se le mura definiscono e identificano la nascente comunità politica romana sotto il profilo materiale, e il pomerium racchiude i confini giu- ridico-sacrali dell’urbs, vi è un elemento che sostanzia l’ordinamento cittadino e ne caratterizza l’identità civile: il mos.

Come si è affermato 764, alle origini dell’esperienza giuridica romana

il ius è mos nel suo aspetto più strettamente precettivo. Gaio nella sua

opera istituzionale 765 scolpisce l’essenza e la fonte dello ius che può de-

rivare da leges ovvero da mores. Il rilievo dei mores, definiti inveterata

consuetudo osservata come legge, quale fonte del diritto è evidente an-

cora nel II sec. d.C. tanto che Giuliano 766 oppone alla legge lo ius mo-

ribus constitutum. E laddove non vi fossero leges, scrive sempre Giu-

liano 767, bisogna che venga osservato ciò che moribus et consuetudine

inductum est 768.

Il mos come fonte dello ius 769 ritorna in diversi passi della giuri-

sprudenza con riguardo a casi e istituti specifici 770.

764 Cfr. Schiavone, Ius, 2005, 65 s.

765 Cfr. Gai.1.1; D.1.1.9: Omnes populi, qui legibus et moribus reguntur [...]. 766 Cfr. D.1.3.32.1.

767 Cfr. D.1.3.32 pr.

768 Cfr. Gallo, Produzione del diritto e sovranità popolare nel pensiero di

Giuliano (a proposito di D.1.3.32), in IURA, 36 (1985), 70 ss. ora in Opuscula selecta, 1999, 399 ss.

769 Sul carattere di fonte del diritto dei mores v. per tutti Gallo, Interpretazio-

ne e formazione consuetudinaria del diritto, 1993, 25 ss.

È altresì diffusa nelle fonti giuridiche la dicotomica contrapposi-

zione fra mos e lex come fonti di ius 771.

Il carattere precettivo del mos e la sua contrapposizione alla legge

come esaustivo binomio di fonti del diritto 772, è diffuso pure nelle fonti

letterarie 773, è ben presente per esempio ad Orazio che nei carmina 774

ricorda come mos et lex maculosum edomuit nefas, mos e legge domano

il contagio dell’illecito, e pure a Quintiliano 775, che arriva ad affermare

come la gran parte delle norme (pleraque in iure) non legibus sed mori-

bus constant. Mos è contrapposto a lex in Servio ad Aen., 6.316 e in Isi-

doro Etym., 2.10.1-2 (mos est vetustate probata consuetudo, sive lex

non scripta. Nam lex a legendo vocata, quia scriptum est), come fonte

di diritto non scritta; ma siffatto carattere precettivo era già ben evidente

a Cicerone, che nei Topica 776 considera il mos fonte di ius e in de offi-

ciis, 3.17.69 contrappone lex e ius civile come possibile fonte della san-

zione di certi comportamenti: Hoc quamquam video propter deprava-

tionem consuetudinis neque more turpe haberi neque aut lege sanciri aut iure civili, tamen naturae lege sanctum est. È probabile, anche alla

luce della contrapposizione fra lex e mos, come si è visto ben viva nel- la giurisprudenza, che Cicerone intendesse qui per ius civile lo ius mo-

ribus constitutum, ovvero lo ius non scriptum 777. Sempre in Cicerone,

de orat.,1.43.193, ritorna la contrapposizione tra lex e ius civile, da in-

Albanese, Premesse allo studio del diritto romano, 1978, 87 ss., ntt. 39 ss.; Sciortino, Il mos e la consuetudo nel de moribus di M.T. Varrone (in margine a

Macr. sat. 3.8.8-12 e Serv. ad aen. 7.601), in Iuris Antiqui Historia. An Interna- tional Journal on Ancient Law, 8 (2016), 196, nt. 4.

771 V., per esempio, Pomponio in D.23.2.8: Libertinus libertinam matrem aut

sororem uxorem ducere non potest, quia hoc ius moribus, non legibus introduc- tum est; v. anche Gai.3.82; 4.26; D.47.15.3; 49.15.19 pr.

772 Scrive Romano, Echi, cit., 184 che “la coppia concettuale lex/mos fissa la necessità che alle leggi si accompagnino le regole stabilite dalla tradizione”.

773 Cfr. Albanese, Premesse allo studio del diritto romano, 87 ss., ntt. 39 ss.; per un elenco di esempi v. Romano, Echi, cit., 180 ss.

774 Cfr. Hor. carm., 4.5.22. 775 Cfr. Quint. inst., 5.10.13. 776 Cfr. Cic. top., 5.28.

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tendersi verosimilmente pure qui come ius fondato sui mores. E anco- ra in de legibus 2.10.23 Cicerone affianca e distingue come fonti del diritto in materia di religione leges e mores.

Mores e ius civile appaiono sinonimi nelle fonti giuridiche. Così per

esempio in materia di divieto di donazioni fra coniugi le fonti alternano

l’origine del divieto riferendolo a mores 778 ovvero allo ius civile 779.

Questa contrapposizione fra lex e ius civile è ben presente a Pom- ponio che in D. 1.2.2.12 distingue il diritto prodotto dalla legge rispet- to allo ius civile che, in senso proprio, sine scripto in sola prudentium

interpretatione consistit. Il fatto che qui Pomponio, che pur bene co-

nosceva i mores come fonte alternativa del diritto rispetto alla leg-

ge 780, affermi che lo ius civile “in sola prudentium interpretatione con-

sistit” è stato efficacemente spiegato riferendo siffatta affermazione

“al suo tempo”, cioè al tempo di Pomponio, e in specie come conse- guenza della introduzione dello ius respondendi ex auctoritate princi-

pis 781. È in ogni caso significativo il riferimento allo ius non scriptum,

che, come si è visto, identificava nelle fonti il mos 782.

È opinione unanime 783 che “molta parte degli istituti e norme dello

ius civile erano stati recepiti moribus” 784 ovvero che la parte prevalen-

te dello ius civile proveniva dai mores 785, che certamente costituivano

“il nucleo originario del diritto romano” 786.

778 Cfr. D. 24.1.1; v. anche 24.1.3 pr.; 24.31.7.

779 V., per es., D.23.3.5.9; 23.4.5.1; 24.1.3.12; 24.1.5.18; 24.1.26. 780 V. infatti D.23.2.8.

781 Cfr. Bretone, Motivi ideologici dell’Enchiridion di Pomponio, in Labeo, 11 (1965), 17; Gallo, Interpretazione, cit., 23; 29, e nt. 1.

782 Sul carattere orale dei mores v. Bettini, Mos, mores e mos maiorum, in Id.,

Le orecchie di Ermes. Studi di antropologia e culture classiche, 2000, 271 ss.

783 V. per tutti Kaser, Das altrömische Ius, 1949, 49 ss.; Orestano, I fatti di

normazione nell’esperienza romana arcaica, 1967, 154 ss.; Kunkel, Gesetzrecht und Gewohnheitsrecht in der Verfassung der römischen Republik, in Kleine Schriften, 1974, 377 ss.; Bleicken, Lex publica. Gesetz und Recht in der römi- schen Republik, 1975, 354 ss.; Gallo, Interpretazione, cit., 34 ss.

784 Così Gallo, Interpretazione, cit., 34. 785 Così Gallo, Interpretazione, cit., 35. 786 Così da ultimo Sciortino, op. cit., 196.

Lo ius civile derivava dunque innanzitutto da mores, successiva-

mente anche dalla legge 787. Le stesse Dodici Tavole sono mos codifi-

cato 788. Lo ius civile è anzi, nel suo senso originario, il diritto moribus

constitutum.

Che la parte più significativa dell’ordinamento dalle origini di Ro- ma fino alla fine della repubblica fosse ius moribus inductum, è del re- sto confermato dal fatto che il diritto di origine legislativa in questa

epoca storica rappresentava una componente senz’altro secondaria 789,

mentre lo ius honorarium è concepito per adiuvare, supplere, corrige-

re lo ius civile 790, vale a dire essenzialmente proprio quel mos nel suo

aspetto precettivo.

Il mos appare dunque per tutta l’epoca repubblicana il pilastro del sistema giuridico romano. Il mos è anzi “componente fondante della

cultura e delle istituzioni di Roma” 791. Non a caso Cicerone fa dire a

Lelio nel De republica 792 che la res publica può avere vita durevole

solo reggendosi su patriis institutis et moribus. L’importanza del mos appare una costante da Ennio, ann., 196 a Cicerone, de rep., 5.1-2, ad Agostino de civ. Dei, 2.21: moribus antiquis res stat Romana virisque, gli antichi mores e gli uomini del passato sono garanti della potenza di Roma. E Orazio, che aveva in precedenza auspicato una rifondazione

politica e morale di Roma 793, loda Augusto per la restaurazione dei

mores 794, per aver ripristinato il nesso leges/mores 795. Del resto scri-

787 Sul rapporto temporale fra mos (aliqua consuetudo) e ius v., esemplar- mente, Pomponio in D.1.2.2.3-4.

788 Cfr. esemplarmente Talamanca, Istituzioni di diritto romano, cit., 55; v. anche Arangio Ruiz, Storia del diritto romano, 1957, 58.

789 Cfr., esemplarmente, Schulz, Principii, cit., 5 ss., che testualmente affer- ma: “Il ‘popolo del diritto’ non è il popolo della legge” (p. 6); Serrao, Classi,

partiti e legge nella repubblica romana, 1974, 15 s.; 46; 47; 51.

790 Cfr. Papiniano, in D.1.1.7; dello ius civile lo ius honorarium appare come

viva vox, così Marciano in D.1.1.8.

791 Così Romano, op. cit., 184. 792 Cfr. Cic. de rep., 3.29. 793 Cfr. Hor. carm., 3.25-29. 794 Cfr. Hor. epist., 2.1.1-3.

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verà sempre Orazio: quid leges sine moribus/vanae proficiunt? 796, le

leggi senza i mores sono vane. Roma guarda al passato per governare il suo presente e costruire il suo futuro: l’identità civica appare come un valore “costituzionale” perenne.

D’altro canto i Romani non hanno mai sentito il bisogno di definire lo ius civitatis; come è stato efficacemente osservato, tutto ciò che li definisce è il risultato di una sedimentazione secolare di costumi e

norme 797.

Va ricordato a questo punto che lo ius civile è il diritto proprio dei

soli cittadini romani 798. Esprime l’identità giuridica romana. Agli stra-

nieri era dunque precluso lo ius civile ed erano preclusi gli istituti tipi- ci dello ius civile. In questo senso era ius proprium civitatis anche lo

ius prodotto dalle leges.

Ciò era verosimilmente una conseguenza del fatto che lo ius civile originario si identificava con i mores del popolo romano.

Ma cosa è dunque questo mos 799 che sembra costituire il fonda-

795 Cfr. Romano, op. cit., 184. 796 Cfr. Hor. carm., 3.24.35 s.

797 Così Nicolet, Citoyenneté française et citoyenneté romaine: essai de mise

en perspective, in La nozione di “Romano” tra cittadinanza e universalità: Atti del II Seminario internazionale di studi storici ‘Da Roma alla terza Roma’, 21- 23 aprile 1982, 1984, 165.

798 Così Gaio in D.1.1.9: nam quod quisque populus ipse sibi ius constituit, id

ipsius proprium civitatis est vocaturque ius civile, quasi ius proprium ipsius ci- vitatis.

799 Cfr. Roloff, Maiores bei Cicero,1936; Kaser, Mores maiorum und Ge-

wohnheitsrecht, in ZSS, 59 (1939), 52 ss.; de Francisci, Appunti intorno ai mores maiorum e alla storia della proprietà romana, in Studi Segni, I, 1967, 615 ss.;

Santoro, Sul ius Papirianum, in Mélanges André Magdelain, 1998, 399 ss. [Id.,

Scritti minori, II, 2009, 507 ss.]; Gioffredi, s.v. mores, in NNDI, 10, 1964, 919

ss.; Letta, L’«Italia dei mores romani» nelle Origines di Catone, in Athenaeum, 62 (1984), 3 ss e 416 ss.; Serrao, s.v. Legge, in Enc. dir., 23 (1973), 798 ss.; Fa- yer, La familia romana. Aspetti giuridici ed antiquari, I, 1994, 88 ss.; Franciosi,

Famiglia e persone in Roma antica, 1995, 111 ss.; Albanese, Macrobio (Sat. 3,11.3 ss.) ed il ius Papirianum, in AUPA, 45/II (1998), 7 ss. [= Scritti giuridici,

mento dell’identità giuridica dei Romani? Lo definisce sinteticamente Varrone: ... morem esse communem consensum omnium simul habi-

tantium, qui inveteratus consuetudinem facit 800. Gli fa eco Ulpiano 801: mores sunt tacitus consensus populi longa consuetudine inveteratus. E

ancora, come si legge nella epitome paolina di Festo 802: mos est insti-

tutum patrium, id est memoria veterum pertinens maxime ad religio- nem caerimoniasque antiquorum. Ovvero, secondo il riassunto di Isi-

doro, mos est vetustate probata consuetudo 803.

Quattro sono dunque gli elementi del mos: il consensus populi, ov- vero il consenso di coloro che simul habitant, che abitano insieme, che fanno parte cioè di una comunità; l’applicazione da lungo tempo, che genera dunque una lunga consuetudine; ma il mos è anche institutum

patrium; è infine la memoria degli antichi, vale a dire esprime un col-

legamento con gli antenati, con le radici della civitas. Il mos è non a

caso “maiorum” 804 ove maiores indica il rapporto con le generazioni

precedenti secondo una linea di continuità che risale nei secoli. Come

è stato acutamente osservato 805, la memoria “assorbe la tradizione ed è

altamente ricostruttiva”, presuppone dunque una forte percezione iden- titaria che consente di vivere il passato con un senso di continuità.

Il profilo identitario del mos è ben espresso da Cicerone in de repu-

blica 2.4.7: le città marittime sono esposte alla corruzione e alla demu-

in Labeo, 46 (2000), 345 ss. [= Scritti giuridici, IV, cit., 799 ss.]; Blösel, Die

Geschichte des Begriffes mos maiorum von den Anfängen bis zu Cicero. Von der Familientradition zum Nobilitätsethos, in Linke-Stemmler (Hgg.), Mos maiorum. Untersuchungen zu den Formen der Identitätsstiftung und Stabilisierung in der römischen Republik, 2000, 25 ss.; Maggio, Los ‘mores maiorum’ como fuente del derecho, in Verba iustitiae, 12 (2001), 111 ss.; Rech, Mos maiorum, la tradizione a Roma, trad. it., 2006; Sciortino, op. cit., 191 ss.; Cerami, in Cerami-Purpura, Profilo storico-giurisprudenziale del diritto pubblico romano, 2007, 295 ss.

800 Cfr. Serv. ad Aen., 7.601.

801 Cfr. Ulp. Tituli ex corpore Ulpiani, 1.4. 802 Cfr. Fest. (Paul.) s.v. Mos 146 L. 803 Cfr. Isid. etym., 2.1.1-2.

804 Cfr. Rech, Mos maiorum, cit., 20 ss.

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tatio morum, poiché importano dagli stranieri non solo merci, sed etiam mores, ut nihil possit in patriis institutis manere integrum.

Il mos, institutum patrium, rischia di corrompersi e di peggiorare al

contatto con mores stranieri. Non casualmente si chiede Cicerone 806:

che dire delle isole greche quae fluctibus cinctae natant paene ipsae

simul cum civitatum institutis et moribus, in mezzo alle onde che le

circondano fluttuano esse stesse con le loro istituzioni e i loro costumi, l’esposizione al contatto con gli stranieri corrompe la purezza dei loro costumi.

Mos è intimamente legato anche al fenomeno religioso, cioè all’anima

sacra di una società, e si identifica pure con riti religiosi precivici 807.

I mores funzionano dunque come “archetipi culturali” 808, conser-

vano la memoria nella ritualità dei comportamenti 809. Esprimono un

modello unanimemente condiviso all’interno di una determinata socie- tà, presuppongono una continuità fra generazioni, un legame con le radici di una civiltà e di una comunità. Proprio questa continuità ripe- tuta nel tempo da più generazioni convince della loro “verità di cui

non si può dubitare, di cui ci si deve fidare” 810. Il rilievo dato ai mores

esprime il carattere identitario della società: “I Romani presi come po- polo, erano dominati da una particolare venerazione per l’autorità, i precedenti, la tradizione e insieme da una radicata avversione verso ogni mutamento, a meno che il mutamento non potesse dimostrarsi in

armonia con il costume avito, col mos maiorum” 811. Non è dunque ca-

suale lo scarso ricorso alle leggi e la preferenza per una evoluzione del diritto che partisse sempre da precedenti consolidati, che trovasse nel

806 Cfr. Cic. de rep., 2.4.8.

807 Cfr. Fest. s.v. Municipalia sacra 146 L.; s.v. Religiosi, 366 L.; s.v. Ritus, 364 L., sul punto v. da ultimo Sciortino, op. cit., 196.

808 Cfr. De Sanctis, Mos, imago, memoria. Un esempio di come si costruisce

la memoria culturale a Roma, in Botta (ed.), Abiti, corpi, identità: significati e valenze profonde del vestire, 2009,125.

809 V. Fest. s.v. Ritus, 346 L., sul rapporto fra mos e ritus v. Schiavone, Ius, cit., 65 s.

810 Così De Sanctis, op. ult. cit., 125.

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