• Non ci sono risultati.

Cittadinanza per nascita e per manumissione: la svolta del I secolo a.C.

Nel documento Civis Romanus sum (pagine 134-140)

All’incirca coeva della lex Papia, la lex Minicia de liberis attua una rivoluzione nel sistema di concessione della cittadinanza iure sangui-

nis. Per principio risalente chi fosse nato da matrimonio illegittimo,

vale a dire da genitori sprovvisti di conubium, seguiva lo status della madre. Se questa fosse stata romana, il bambino avrebbe acquistato la cittadinanza. Nel caso di matrimonio legittimo a far testo era la citta-

dinanza del padre 486. La lex Minicia statuì invece che il figlio, conce-

pito da genitori sprovvisti di ius conubii, sarebbe stato in ogni caso

straniero 487. Siccome il conubium, al tempo della lex Minicia, lo ave-

vano soltanto i cittadini romani e chi avesse lo ius Latii, bastava dunque che uno dei genitori fosse peregrinus perché il figlio fosse straniero.

Di questa legge sono state proposte diverse datazioni, quella più

verosimile è del 65 ovvero del 62 a.C. 488. Come è stato osservato 489,

la legge ha obiettivi “esclusivisti” che sono ben in linea con la conge- rie politica e sociale di quegli anni. Essa appare una risposta, in linea con i ripetuti provvedimenti di espulsione degli stranieri, ad una im-

486 Per una rapida e recente rassegna della questione v. Marotta, Ius sangui- nis, ius soli: una breve nota sulle radici storiche di un dibattito contemporaneo, in Periodica, 103 (2014), 671 ss.

487 Cfr. Gai.1.78.

488 Cfr. Luraschi, Foedus, cit., 141, nt. 38; Id., La questione della cittadinan-

za, cit., 82 s.; recentemente, Barbati, op. cit., 45.

migrazione che doveva aver raggiunto livelli particolarmente eleva-

ti 490. Questa riforma del sistema di concessione della cittadinanza “ha

senz’altro comportato nel I sec. a.C. la riduzione del numero dei nuovi

nati dotati di cittadinanza romana” 491.

Una politica sempre più rigorosa in tema di cittadinanza affiora an- che riguardo alla applicazione dell’istituto della manumissione. Il ri- corso a masse enormi di schiavi e la diffusione del latifondo grazie al- le ampie concessioni di ager publicus, a partire dal II secolo a.C. fu- rono la causa della proletarizzazione della manodopera libera e dei

piccoli proprietari terrieri 492. Lucidissima appare la visione di Tiberio

Gracco che in viaggio verso Numanzia, passando per l’Etruria, vede la desolazione di quelle terre dove ormai i contadini e i pastori erano so- lo schiavi deportati o barbari, che avevano sostituito la manodopera li-

bera e autoctona 493. Nel I secolo a.C. è tale il numero di immigrati e

di schiavi che finiscono con il costituire un pericolo per l’ordine pub-

blico e per gli stessi equilibri sociali 494.

Va osservato peraltro come nel I secolo a.C., proprio per evitare un peso politico eccessivamente rilevante dei liberti, fosse ancora applicata l’antica regola che distribuiva gli schiavi manomessi soltanto nelle quat-

tro tribù urbane, per quanto potesse essere ampio il loro numero 495.

Una dura reazione si ha tuttavia con Ottaviano.

La legislazione augustea in tema di limiti alle manumissioni era

490 Cfr. Hin, The Demograpghy of Roman Italy. Population Dynamics in an

Ancient Conquest Society 201 BCE-14 CE, 2013, 210 ss.

491 Così Muroni, Civitas Romana: emersione di una categoria nel diritto e

nella politica tra Regnum e Res publica, in Diritto@Storia, 11 (2013).

492 Esemplari le parole di Plutarco, Tib. Gracc., 8. 493 Cfr. Plut. Tib. Gracch., 8.

494 Sulla presenza schiavile nel primo secolo a.C. v. Scheidel, Human Mobili-

ty in Roman Italy, II: The Slave Population, in The Journal of Roman Studies,

95, 2005, 64 ss.;sulla immigrazione a Roma nella tarda repubblica v. Erdkamp,

Mobility and migration in Italy in the second century BC, in People, land, and politics: demographic developments and the transformation of Roman Italy 300 BC-AD 14, 2008, 417 ss.; v. anche Morley, Metropolis and Hinterland: The City of Rome and the Italian Economy, 200 B.C. – A.D. 200, 1996, part. 2, 44 ss.

Cittadinanza per nascita e per manumissione: la svolta del I secolo a.C. 127

stata giustificata e sostenuta idealmente da uno dei più autorevoli in- tellettuali del circolo dell’imperatore, il greco Dionigi di Alicarnasso, che fornisce anche uno spaccato della posizione dell’opinione pubbli- ca del tempo.

Nel quarto libro, titolo ventiquattresimo delle sue Antichità romane Dionigi ricorda come alla sua epoca fosse stata stravolta la funzione originaria dell’istituto della manumissione. Che Dionigi rifletta le in- quietudini della società del suo tempo, è detto fin dall’inizio del para- grafo quando, motivando il senso della sua spiegazione circa le origini della manumissione, giunge a scrivere: “affinché nessuno accusi il re che per primo cercò di trasformare in cittadini coloro che si trovavano nella condizione di schiavi”. Il riferimento a possibili “accuse” da par- te dei cittadini di Roma contro chi si riteneva aver introdotto la ma- numissione nell’ordinamento giuridico romano, tradisce una rilevante

avversione popolare contro tale istituto 496.

Dionigi passa quindi ad affermare che la manumissione era stata concepita per premiare quegli schiavi che si fossero distinti per un comportamento meritorio e che dunque, essendosi rivelati utili per i loro padroni, ben potevano essere utili anche per la società. Al suo tempo, tuttavia, l’istituto era degenerato. Molti schiavi si arricchivano infatti con il furto, la rapina, la prostituzione e altri affari illeciti e con il ricavato di tali attività si compravano la libertà. Altri approfittavano delle pubbliche distribuzioni di grano date ai nullatenenti o di altre pubbliche elargizioni per riversarle ai padroni che si arricchivano ri- vendendole. Altri ancora si prestavano a qualsiasi incarico delittuoso

496 Del resto in quell’epoca la violenza legata al fenomeno schiavile appare particolarmente elevata: v. esemplarmente la testimonianza diretta della pro Tul-

lio di Cicerone. Alla stessa epoca risale non casualmente l’editto di Lucullo che

persegue più duramente le ipotesi di rapina e danneggiamento violento commes- se da bande: cfr. Cic. pro Tull., 5.10 ss.; D.47.8.2. Sull’editto di Lucullo v. Vac- ca, Ricerche sulla rapina nel diritto romano. I, L’editto di Lucullo e la lex Plau-

tia, 1969; da ultimo Galeotti, L’editto di Lucullo e il processo a C. Antonius Hy- brida. Osservazioni in tema di «edictum de vi hominibus armatis coactisve», in Rivista di Diritto Romano, 16-17 (2016-2017), 1 ss. con ivi ulteriore citazione

bibliografica. Di poco posteriore è la grande rivolta di Spartaco che segue peral- tro altre sanguinose rivolte schiavili.

venisse loro commissionato dai proprietari. Così facendo ottenevano la gratitudine dei padroni che li manomettevano per ricambiare i favo- ri illeciti ricevuti. Infine era invalsa l’abitudine di molti proprietari di liberare i propri schiavi con disposizione testamentaria, al fine di otte- nere riconoscenza post mortem.

Molti delinquenti e mascalzoni finivano in questo modo con l’otte- nere la cittadinanza stravolgendo il significato originario della manu- missione che mirava semmai a inserire nel corpo cittadino gli schiavi migliori, di certo non quelli problematici. Era venuta meno dunque l’utilità per la repubblica di siffatte manumissioni. A questo punto Dionigi rivela esplicitamente l’esistenza di una forte inquietudine po- polare: questa situazione aveva infatti sollevato la indignazione e la protesta della maggioranza dei cittadini, che “osservando queste turpi sozzure ne provano amarezza e biasimano l’usanza di concedere la cit- tadinanza a siffatti individui, ritenendola non compatibile con il deco- ro di una città così potente e che si considera all’altezza di governare il mondo intero”. Da più parti si era chiesto pertanto un intervento le- gislativo per non permettere, scrive sempre lo storico greco, che “gra- vi vituperi e turpi sozzure si riversino sulla cittadinanza”. Insomma si chiedeva a gran voce che persone indegne non diventassero cittadini romani.

Tutto il paragrafo 24 potrebbe ben essere la relazione di accompa- gnamento di una moderna legge. È evidente l’idea meritocratica della concessione della cittadinanza e la concezione utilitaristica che presie- de l’istituto stesso della manumissione.

Nel 2 a.C. una legge Fufia Caninia 497, di ispirazione augustea, in-

trodusse dunque forti limitazioni alla possibilità di manomettere gli schiavi per testamento, una delle forme denunciate proprio da Dionigi,

verosimilmente, in assoluto, la più diffusa statisticamente 498. Si fissa-

497 Cfr. Gai.1.42-46; Tit. ex corp.Ulp. 1.24. Su questa legge v. recentemente Sirks, The Purpose of the Lex Fufia Caninia, in ZSS, 129 (2013), 549 ss.

498 Frank, The Sacred Treasure and the Rate of Manumission, in Ann. Journ.

Phil. 53 (1932), 360, ragionando sul gettito della vicesima testamenti, imposta

sulle manumissioni, ha calcolato che fra la Guerra Sociale e il 50 a.C. ci sareb- bero state ben 500.000 manumissioni testamento. Sul punto v. ora Fino, Exem-

Cittadinanza per nascita e per manumissione: la svolta del I secolo a.C. 129

vano infatti limiti percentuali rispetto al numero complessivo di schia- vi posseduti dal testatore.

Poco più tarda è la legge Aelia Sentia del 4 d.C. 499, che introdusse

limiti alla possibilità per gli schiavi manomessi di diventare cittadini

romani 500. In particolare gli schiavi che avessero tenuto un compor-

tamento turpe, se manomessi, sarebbero diventati liberi nelle stesse condizioni degli stranieri dediticii, a loro sarebbe stato addirittura proibito di trattenersi a Roma ed entro cento miglia da Roma. Se aves- sero violato siffatto divieto sarebbero stati venduti come schiavi senza più possibilità di essere manomessi. Qualora fossero stati nuovamente liberati non avrebbero acquistato né libertà, né cittadinanza, ma sareb- bero diventati servi del popolo romano. È evidente la volontà di riser- vare la cittadinanza a persone dal comportamento corretto.

Di qualche anno successiva è la lex Iunia Norbana, risalente ai pri- mi anni del principato di Tiberio, verosimilmente al 19 d.C., ma pro-

babilmente raccomandata dallo stesso Augusto al suo successore 501.

La legge 502 attribuiva soltanto la condizione di latino, appunto “iunia-

no”, a quegli schiavi manomessi in modo informale, vale a dire nella forma verosimilmente più diffusa, proprio perché più semplice, di manumissione inter vivos. Questi liberti non solo non diventavano cit-

pla tradere. Ricerche di diritto romano nella prospettiva dell’ecologia umana, 2018, 26, nt. 22.

499 Cfr. Metro, La Lex Aelia Sentia e le manomissioni fraudolente, in Labeo, 7 (1961), 191 ss.; Spagnuolo Vigorita, Casta domus. Un seminario sulla legisla-

zione matrimoniale augustea, 2002, 75 ss.

500 Cfr. Gai. 1.13; 18; 25; 26; 27.

501 Per via testamentaria Augusto chiedeva infatti a Tiberio cautela e pruden- za nelle concessioni della cittadinanza e nelle manumissioni, v. Fino, op. cit., 107 s.

502 Cfr. Gai. 1.80; 3.55-58; v. De Dominicis, La latinitas Iuniana e la legge

Aelia Sentia, in Mélanges Piganiol, 3, 1966, 1419 ss.; sulla lex Iunia Norbana

v., più recentemente, Balestri Fumagalli, Lex Iunia de manumissionibus, 1985 che propende peraltro per una datazione di età augustea della legge, così a pp. 197 ss.; 204 ss.; da ultimo Bianchi, Ancora qualche riflessione su Gai. 3.56 e

sulle finzioni della lex Iunia, in Incorrupta antiquitas. Studi di storia, epigrafia e diritto in memoria di Giorgio Luraschi, 2017, 131 ss.

tadini, ma non avevano nemmeno lo ius conubii, pertanto gli eventuali figli non acquistavano a loro volta la cittadinanza, rimanendo peregrini.

Da questo complesso di leggi si comprende il tentativo di limitare il più possibile nuove acquisizioni di cittadinanza, intervenendo addirit- tura su istituti risalenti alle origini stesse di Roma.

Le leggi augustee in tema di manumissioni si inseriscono pienamen-

te nella ideologia del principe. Racconta infatti Svetonio 503 che Otta-

viano Augusto avrebbe voluto salvaguardare la identità del popolo ro- mano limitando ai minimi termini le concessioni di cittadinanza. L’im- peratore avrebbe persino rifiutato di concedere la cittadinanza ad un cliente greco di Tiberio e ad un protetto di origine gallica della moglie Livia. Approfittando di una carestia, Augusto avrebbe addirittura dato ordine di espellere tutti gli immigrati da Roma, ad eccezione di medici

ed insegnanti 504. Il provvedimento avrebbe colpito anche una parte

degli schiavi.

503 Cfr. Suet. Aug., 40. 504 Cfr. Suet. Aug., 42.

15.

Cittadinanza: la politica restrittiva

Nel documento Civis Romanus sum (pagine 134-140)