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una visione utilitaristica della cittadinanza

Nel documento Civis Romanus sum (pagine 50-60)

D’altro canto molto concreta è la stessa concezione della cittadi- nanza, che appare chiaramente fondata, fin da epoca risalente, sul me- rito. È sempre Livio che a proposito dell’arrivo a Roma di Tarquinio Prisco, secondo la leggenda figlio di un greco e di una etrusca, affer- ma: “Roma parve la più adatta per questo ‘profugo’: in quel popolo nuovo dove ogni nobiltà era recente e tutta fondata sul merito, avrebbe

trovato spazio quell’uomo forte e valoroso” 164. L’essere uno straniero

particolarmente ricco avrebbe reso questo immigrato da Tarquinia par-

ticolarmente ragguardevole agli occhi dei Romani 165. Interessante è la

sottolineatura della straordinaria apertura della scala sociale, ovvia- mente alle ben note, meritocratiche, condizioni. E Dionigi 3.11.5 ri- prende questo concetto nella celebre risposta di Tullo Ostilio a Mettio Fufezio, aggiungendovi una chiave moraleggiante: “da noi comanda, decide, e gode degli altri onori non chi ha conquistato molte ricchezze, né chi può vantare molti antenati indigeni, ma chi è degno di questi onori. Perché noi pensiamo che la nobiltà dell’uomo non stia in niente altro se non nella virtù”. Al di là della svalutazione della ricchezza, ri- torna il leit-Motiv della singolare, caratteristica apertura di Roma ver- so chiunque meritasse, anche se straniero di origine, e per converso, implicitamente, della chiusura verso chi non fosse degno.

164 Cfr. Liv. 1.34.6. 165 Cfr. Liv. 1.34.11.

Conferma il Cornell 166 che a Roma “people acquired and retained

their citizenship on merit”. E meritevole era innanzitutto servire lo

Stato. Cicerone 167 parla, al riguardo, specificamente di praemia: Atqui

si imperatoribus nostris, si senatui, si populo Romano non licebit pro- positis praemiis elicere ex civitatibus sociorum atque amicorum for- tissimum atque optimum quemque ad subeunda pro salute nostra pe- ricula, summa utilitate ac maximo saepe praesidio periculosis atque asperis temporibus carendum nobis erit. E ancora in Cic. pro Balb.,

54 ritorna il concetto di praemium civitatis, la civitas era vista dunque come una ricompensa per il valore; la speranza di praemia, ovvero la speranza della concessione della cittadinanza, ciò che aveva motivato

Balbo ad affrontare così gravi pericoli 168. D’altro canto i titoli dello

spagnolo Lucio Cornelio Balbo a cui Gneo Pompeo, sul presupposto

di una legge 169 aveva dunque attribuito la cittadinanza, erano: l’amore

verso la repubblica (pietas in rem publicam nostram), la fatica (labor),

la costanza (assiduitas), la lotta (dimicatio), la virtù (virtus) 170.

Come è stato osservato 171, Roma “decise ben presto di garantire il

privilegio della civitas anche a singoli, o a interi gruppi di peregrini che si erano distinti in una campagna bellica (ob virtutem o virtutis

causa), consapevole che l’aiuto militare prestato da questi individui

alla causa romana era meritevole di un incentivo forte e, conseguen- temente, di una ricompensa attraente”.

Può citarsi al riguardo 172 una serie di esempi particolarmente signi-

ficativi di come stranieri che avessero dato aiuto a Roma in momenti

166 Cfr. Cornell, Rome: The History of an Anachronism, in City States in Clas-

sical Antiquity and Medieval Italy, 1991, 63 ss.

167 Cfr. Cic. pro Balb., 22. 168 Cfr. Cic. pro Balb., 6. 169 Cfr. Cic. pro Balb., 25;32;38. 170 Così Cic. pro Balb., 6.

171 Cfr. Raggi, Le concessioni di cittadinanza viritim prima della guerra so-

ciale, in Aberson-Biella etc. (eds.), L’Italia centrale e la creazione di una koiné culturale? I percorsi della ‘romanizzazione’, 3, 2016, 87.

Cittadinanza e merito: una visione utilitaristica della cittadinanza 43

di bisogno vennero ricompensati con la cittadinanza 173.

È questo il caso di Mamilio di Tuscolo che salvò Roma nell’asse-

dio del 460 a.C. 174. Nel 340 a.C. venne concessa la cittadinanza a

1600 cavalieri di Capua che non avevano preso parte alla rivolta lati- na, distinguendosi così dagli altri Campani, che invece si erano schie-

rati contro Roma 175. Un caso simile si ebbe nel 215 a.C. con la con-

cessione della cittadinanza ad altri 300 cavalieri campani che avevano combattutto in Sicilia cum fide.Non potendo rientrare in patria, poiché Capua era passata nel frattempo con Annibale, vennero iscritti come cittadini romani nel municipio di Cuma.

Un esempio famoso di concessione della cittadinanza virtutis causa è quello di Ennio, che aveva combattuto insieme con il padre in Eto-

lia 176. È possibile che nel caso di Ennio abbia giocato pure lo spessore

culturale del personaggio 177. Un esempio ancor più risalente di con-

cessione dello “ius Quiritium” sarebbe stato nel 219 a.C. quello relati-

vo al celebre medico greco Archagathus 178, considerato dunque “in-

dividuo benemerito per la collettività” 179. Merita di essere sottolineato

a questo riguardo come in più occasioni risulti addirittura incoraggiata una immigrazione di esercenti arti liberali, in specie medici e inse-

gnanti, con la concessione della cittadinanza a taluni di loro 180.

173 Altri esempi in Balsdon, Romans and aliens, 1979, 274; più recentemente Raggi, Le concessioni di cittadinanza viritim prima della guerra sociale, cit., 85 ss. Per un elenco delle donazioni di cittadinanza singillatim v. inoltre Goodfel- low, Roman Cityzenship, 1935, 32 s.; 90 s.; Badian, Foreign Clientelae (264-70

B.C.), 1958, 302 ss.

174 Cfr. Cato orig., 1.26; Liv. 3.29.6; Dion. 10.16.3. 175 Cfr. Liv. 8.11.15-16.

176 Cfr. Cic. Brut., 79. 177 Cfr. Raggi, op. cit., 89. 178 Cfr. Plin. n.h., 29.12. 179 V. Raggi, op. cit., 86.

180 Oltre al caso di Archagathus poco sopra ricordato, è degno di nota quanto scrive Svetonio Jul., 42 di Cesare: “donò la cittadinanza a tutti coloro che eserci- tavano la medicina in Roma e a coloro che professavano arti liberali, per spin- gerli a rimanere a Roma e per attirarne degli altri”; di Augusto si sa che durante

Altri esempi di concessione della cittadinanza virtutis causa sono quelli di Sosis il siracusano e Moericus l’iberico, che servirono Roma

valorosamente nella seconda guerra punica 181. Mario nel 101 a.C. die-

de la cittadinanza a Marco Annio Appio, di Gubbio, uomo fortissimo

e di grande valore e a due coorti di Camerino 182 che dovevano essersi

battute con particolare coraggio. Pompeo Strabone premiò virtutis

caussa 30 cavalieri ispanici nell’89 a.C. 183. Augusto diede la cittadi-

nanza a comunità provinciali come ricompensa per i servizi meritevoli

resi a Roma: merita erga populum Romanum adlegentes 184. Tacito de-

finisce questa prassi “premio per la virtù” 185.

Si è peraltro sottolineato 186 come i beneficiari della concessione

della cittadinanza “siano in numero limitato. Roma si mostrò quindi attenta e interessata nell’estendere la civitas”.

La situazione non cambia 187 alla fine del II secolo a.C.: la attribu-

zione della cittadinanza agli ex magistrati delle comunità latine, così come a coloro che avessero esperito con successo un’azione giudizia- ria contro un governatore romano per accuse di concussione, oltre ad essere casi numericamente limitati, esprimono sempre una particolare attenzione a selezionare per qualità e merito i futuri cittadini. Ancora nel I secolo a.C. – pur aumentando i casi di concessione di cittadinan- za a singoli stranieri, mediante leges che ne attribuivano la facoltà a taluni magistrati dotati di imperium – si riaffermava il principio dell’at-

tribuzione virtutis causa 188.

una carestia avrebbe ordinato l’espulsione di tutti gli stranieri da Roma ad ecce- zione di medici e insegnanti: cfr. Suet. Aug., 42.

181 Cfr. Liv. 26.21.9-12. 182 Cfr. Cic. Balb. 46. 183 V. Inscr. Lat. Sel., 8888. 184 Cfr. Suet. Aug., 47. 185 Cfr. Tac. ann., 3.40. 186 Cfr. Raggi, op. cit., 89.

187 Diversamente Raggi, op. cit., 89, v. anche 90 s.

188 Così lo stesso Raggi, op. cit., 92; v. Luraschi, Sulle leges de civitate (Iulia,

Calpurnia, Plautia Papiria), in SDHI, 44 (1978), 326 ss.; Id., La questione della cittadinanza nell’ultimo secolo della Repubblica, in Milazzo (a cura di), Res pu-

Cittadinanza e merito: una visione utilitaristica della cittadinanza 45

Era dunque lo stesso criterio che avrebbe poi ispirato la concessione della cittadinanza alle truppe ausiliarie dopo 25 anni di honesta missio e ai marinai della flotta al momento delle dimissioni: solo il congedo con onore dopo una lunga militanza nella difesa degli interessi di Roma po-

teva consentire l’acquisizione dello status di cittadino romano 189. Per

converso, la concreta dimostrazione di attaccamento agli ideali e agli interessi di Roma era lo strumento per realizzare l’integrazione.

Una sorta di premio per la virtù può considerarsi la stessa conces- sione della civitas a colui che abbia esperito vittoriosamente l’accusa

in una quaestio de repetundis contro un magistrato romano 190. In que-

sta regola sono peraltro pure evidenti le finalità politiche di dimostrare alle popolazioni soggette il volto giusto di Roma.

Si è correttamente osservato come alla base delle scelte sulla citta- dinanza (così come sul governo della immigrazione) non ci fossero

mai considerazioni di tipo razziale 191. Nonostante la scarsa considera-

blica e Princeps. Vicende politiche, mutamenti istituzionali e ordinamento giu- ridico da Cesare ad Adriano. Atti del convegno internazionale di diritto roma- no, 1996, 35 ss.

189 V., recentemente, Speidel, Heer und Herrschaft im Römischen Reich der

Hohen Kaiserzeit. Honesta missio. Zu Entlassungsurkunden und verwandten Texten, 2009, 317 ss.; Casola, Roma ed il Mediterraneo: sicurezza e circolazio- ne, in Revista General de Derecho Romano, 26 (2016), 11, nt. 30; Id., Le flotte romane fra integrazione e cittadinanza, in Rivista Marittima, dicembre 2017, 63

s., che fra l’altro ricorda come l’imperatore “Claudio avvertì l’opportunità di u- niformare le concessioni ai veterani ex-classiarii allo scopo di semplificare la materia per conseguire una rapida e capillare integrazione delle popolazioni al- l’interno dell’imperium romano. Sia che restassero in Roma, sia che tornassero nelle terre d’origine, sia che si fermassero laddove avessero prestato servizio, i

classiarii in congedo avrebbero beneficiato del prestigio loro derivante dall’es-

sere ormai cittadini romani e dal passato speso al servizio di Roma”.

190 Cfr. pro Balb., 54; Strab. 4.1.12; Asc. Pis., 3 C; App. bell. civ., 2.26; Gai. 1.95-96. Su questa particolare forma di acquisto della cittadinanza v. Crawford,

Roman Statutes, I, 1996, 65 ss.; recentemente Coskun, Bürgerrechtsetzung oder Fremdenausweisung? Studien zu den Rechten von Latinern und weiteren Fre- mden sowie zum Bürgerrechtswechsel in der Römischen Republik (5. bis frühes 1. Jh. v. Chr.), 2009, 149 ss.

zione 192 che le classi dirigenti romane nutrivano per gli abitanti della chora egiziana 193, la cittadinanza romana veniva concessa anche a

quelli fra loro che, per esempio, avessero servito con onore per 25 anni

nella flotta stanziata a Miseno 194. Le leggi augustee sul matrimonio at-

testano che anche i liberti erano incoraggiati a sposarsi e a fare figli: “In Roman eyes a slave who established a stable family relationship was doing his civic duty and thereby demonstrated that he was fit to become a citizen with full rights”. Cittadini potevano diventare Iberici, Sardi, Mauri, Greci, Celti, Germani, Ebrei, purché ciascuno fosse meritevole.

È quanto afferma lo stesso Cicerone in pro Balbo, 41: Quod si A-

fris, si Sardis, si Hispanis agris stipendioque multatis virtute adipisci licet civitatem.

È quanto, con altre parole e ulteriori finalità, affermerà l’erudito e

storico Claudio 195. Nel celebre discorso tenuto in senato per perorare

la concessione della cittadinanza e dello ius honorum ai primores della Gallia Comata l’imperatore manifesta chiaramente lo scopo di questo provvedimento. Si intuisce una ragione di publica utilitas, la stessa che avrebbe caratterizzato l’accesso al regno di uno straniero, per

giunta figlio di una schiava, come Servio Tullio 196. Ancora più espli-

cita è la lettura, sostanzialmente fedele agli intenti di Claudio 197, data

192 Cfr. Moatti, Reconnaissance, cit., 31 e Marotta, Egizi e cittadinanza ro-

mana, in Cultura giuridica e diritto vivente, 1 (2014), 18 parlano di un vero e

proprio disprezzo “pour les paysans de la chôra” ovvero “per gli abitanti autoc- toni di questa provincia”.

193 In questo senso è esplicito Tac. hist., 1.11.1: Aegyptum copiasque, quibus

coerceretur, iam inde a divo Augusto equites Romani obtinent loco regum: ita visum expedire, provinciam aditu difficilem, annonae fecundam, superstitione ac lascivia discordem et mobilem, insciam legum, ignaram magistratuum, domi re- tinere come pure l’epistula di Caracalla del 215 d.C. inviata al prefetto d’Egitto

e contenuta in P. Giess. 40,che parla, a proposito degli egiziani della campagna di modi di vivere e costumi, “meno civilizzati”.

194 Cfr. Marotta, Egizi e cittadinanza romana, cit., 14 s. 195 Cfr. Claud. in CIL, XIII, 1668, I.

196 Cfr. Claud. in CIL, XIII, 1668, I, 23-24.

197 Cfr. Giardina, L’identità incompiuta, cit., 2, e nt. 6, in particolare; v. an- che Momigliano, Claudius, the Emperor and his Achievement, 1961, 11; Syme,

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da Tacito, che ci consente di integrare fra l’altro la parte mancante del

discorso dell’imperatore 198: “Il massimo della potenza nei rapporti

con le altre genti fu toccato quando, accolti come cittadini i Transpa- dani, si potè risollevare l’impero indebolito, assimilando i migliori elementi provinciali, col pretesto di fondare colonie militari. I discen- denti dei Balbi e di uomini non meno famosi venuti dalla Spagna e dalla Gallia Narbonense non sono a noi secondi per amore per la patria. La rovina di Spartani e Ateniesi è da attribuirsi al fatto che essi teneva- no i vinti nella condizione di stranieri. Romolo fu invece così saggio che ebbe a considerare diversi popoli in uno stesso giorno prima ne- mici e subito dopo [avendoli sconfitti], concittadini [...] I Galli si sono ormai assimilati a noi nei costumi, nelle arti, nei vincoli di sangue. E dunque ci portino anche il loro oro piuttosto che tenerlo per sé”.

Con questa politica dichiaratamente meritocratica, Claudio inten- deva seguire l’esempio di chi lo aveva preceduto. Sia Augusto, sia Ti- berio avrebbero infatti accolto in Senato “il fiore delle colonie e dei

municipi”, cioè gli uomini più assennati e facoltosi 199. Sembra quasi

che Claudio sentisse qui l’eco del discorso che Mecenate fece a Otta- viano nel 29 a.C. riportato da Dione Cassio, 52.19.1-3: “devi innanzi- tutto selezionare e scegliere con cura l’intero senato, dal momento che ci sono alcuni elementi non degni [...] Al posto di questi, nomina i più nobili d’origine, i migliori cittadini e più facoltosi scegliendoli non so- lo dall’Italia, ma anche dagli alleati e dai sudditi: in questo modo po- trai disporre di numerosi collaboratori, terrai sotto controllo i notabili più importanti di tutte le province, che, non avendo alcuna guida cari- smatica, non si ribelleranno e i loro notabili ti tratteranno con riguar- do, essendo chiamati a partecipare con te al potere”. È disvelata la po- litica di concessione della cittadinanza e di ammissione al senato dei

primores delle comunità straniere: legare al carro di Roma le classi di-

rigenti locali per fidelizzare e romanizzare l’impero.

Egualmente significativo è un altro passaggio tratto direttamente dal discorso di Claudio: contro le obiezioni contrarie alla sua proposta

Tacitus, 1963, 317 s.; Griffin, The Lions Tablet and Tacitean Hindsights, in Clas- sical Quarterly, 32 (1982), 404 ss.

198 Cfr. Tac. ann., 11.24.3-6.

l’imperatore invitava a tener conto piuttosto del fatto che da un secolo a questa parte i Galli hanno manifestato “immutata fedeltà” e “obbe- dienza”, dove fides e obsequium stanno a testimoniare la accettazione dei prioritari interessi romani e la subordinazione ad essi.

Una esemplare testimonianza del carattere utilitaristico della con- cezione romana della cittadinanza e della tradizionale politica di aper- tura verso gli stranieri è del resto confermata dal retore greco Elio Ari- stide nella celebre ode a Roma. È opportuno riprendere la parte qui

più significativa del testo di Aristide 200, che ha certamente toni enfati-

ci e intenti celebrativi: “Ma vi è qualcosa che, decisamente, merita al- trettanta attenzione e ammirazione di tutto il resto: voglio dire la vo- stra generosa e magnifica cittadinanza, o Romani, con la sua grandiosa concezione poiché non vi è nulla di uguale in tutta la storia dell’uma- nità. Voi avete diviso in due parti coloro che vivono sotto il vostro im- pero – e cioè in tutta la terra abitata – e avete dappertutto dato la citta- dinanza, come una sorta di diritto di parentela con voi, a coloro che rappresentano il meglio per talento, coraggio e influenza, mentre gli altri li avete sottomessi come sudditi. Né i mari né le terre sono un ostacolo sulla strada della cittadinanza, l’Europa e l’Asia non sono trat- tate diversamente. Tutti i diritti vengono riconosciuti ad ognuno. Nes- suno di coloro che meritano potere o fiducia ne è escluso, ma al contra- rio una libera comunità è stata creata in tutta la terra, sotto la direzione di un responsabile unico, garante dell’ordine del mondo, che è il mi- gliore possibile; e tutti si volgono, perché ciascuno riceva ciò che gli spetta, verso la vostra cittadinanza, come verso una comune agorà”.

La cittadinanza comporta pari diritti e pari dignità fra i Romani di ori- gine e quelli di nuova acquisizione. La cittadinanza crea una sorta di pa- rentela: è evidente la solidarietà, quasi lo spirito cameratesco, che lega i cittadini fra di loro. Nessuna discriminazione è fatta, che si provenga dal- l’Europa o dall’Asia. Non tutti, tuttavia, sono accolti nella cittadinanza ed integrati. Solo “coloro che rappresentano il meglio per talento, coraggio, e influenza”. La cittadinanza romana è dunque scevra da considerazioni

di razza 201 o di provenienza, ma è, ancora una volta, legata al merito.

200 V. Aristid. a Roma, 59 ss.

Cittadinanza e merito: una visione utilitaristica della cittadinanza 49

A distanza di tre secoli, Sidonio Apollinare ribadiva perfettamente lo spirito di Roma, “patria della libertà, unica città al mondo in cui so-

lo barbari e schiavi sono considerati stranieri” 202: gli schiavi potevano

peraltro meritarsi la libertà e partecipare della cittadinanza, i barbari ne erano invece esclusi proprio in quanto estranei ai valori della civiltà

romana 203. Il barbaro rappresentava “un véritable contre-type de la

romaineté” 204. Questo non gli precludeva l’ingresso nella romanità:

“En face s’élève l’humanitas qui ne peut s’accomplir que dans l’uni- verse romaine, mais auquel peuvent accéder ceux qui ne sont pas nés

romaines” 205.

Riassumeva perfettamente questo spirito già Dionigi di Alicarnasso

laddove 206 scriveva che la cittadinanza veniva concessa a chiunque, a

qualunque ceto appartenesse e da ovunque venisse, purché giovasse alla comunità romana.

202 Cfr. Sid. Ap. ep., 1.6.2.

203 Sul concetto di barbari v.Dauge, Le Barbare. Recherches sur la concep-

tion romaine de la barbarie et de la civilisation, 1981; Rugullis, Die Barbaren in den spätrömischen Gesetzen. Eine Untersuchung des Terminus ‘barbarus’,

1992; Elton, Defining Romans, Barbarians, and the Roman Frontiers, in Ma- thisen-Sivan (eds.), Shifting Frontiers in Late Antiquity, 1996, 126 ss.; Pohl, Le

origini etniche dell’Europa. Barbari e Romani tra antichità e medioevo, 2000;

Dubuisson, Barbares et barbarie dans le monde gréco-romaine: du concept au

slogan, in L’Antiquité classique, 70 (2001), 1 ss.; da ultimo Sanz Casasnovas, Palabras que matan. El concepto de Barbarus en Amiano Marcelino, in Mar-

tinez e altri (eds.), (Re)escribindo a Historia. Achegas dos novos investigadores

en Arqueoloxía e Ciencias da Antigüidade, 2017, 403 ss.

204 Così Leveau, rec. a Dauge, Le Barbare. Recherches sur la conception ro-

maine de la barbarie et de la civilisation, 1981, in Annales, 38-4 (1983), 975.

205 Cfr. Leveau, ibid. 206 Cfr. Dion. 1.9.4.

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Nel documento Civis Romanus sum (pagine 50-60)