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Cittadinanza: la politica restrittiva prosegue nel Principato

Nel documento Civis Romanus sum (pagine 140-146)

La politica restrittiva nei confronti della immissione di stranieri nel corpo civico, le cui avvisaglie si sono rilevate fin dalla creazione nel IV sec. a.C. dell’istituto della civitas sine suffragio, risulta evidente anche da un altro profilo. Le leges Iulia e Calpurnia del 90 a.C., e la Plautia

Papiria dell’89 a.C. 505, che intervennero in vario modo in materia di

cittadinanza ai Latini e agli Italici a conclusione del bellum sociale, in- sieme con la lex Roscia del 49 a.C., che concesse la cittadinanza agli abitanti della Gallia Cisalpina, appaiono i principali provvedimenti di

naturalizzazione di massa 506 negli ultimi 240 anni della storia repubbli-

cana e fino a Caracalla, dove peraltro i primi tre provvedimenti furono imposti dall’esito drammatico della guerra sociale, il quarto dalla neces-

505 Con riguardo al contenuto di queste tre leggi v. le diverse posizioni di Sherwin White, The Roman Citizenship, cit., 150 ss. e Luraschi, Sulle leges de

civitate, cit., 324 ss.; Id., Foedus, cit., 141 ss.; più recentemente, fra i tanti, Bi-

spham, From Asculum to Actium. The municipalization of Italy from the Social

War to Augustus, 2007, 161 ss., che ipotizza fra l’altro la esistenza di altre leggi

per estendere la cittadinanza; Barbati, op. cit., 5 ss.; David, Rome et l’Italie de la

guerre sociale à la mort de César: une novelle citoyenneté. État de la recherche,

in Pallas, 96 (2014), 35 ss.; 36, in particolare.

506 La lex Calpurnia dell’89 a.C. e una ipotetica seconda lex Iulia del 90 a.C. sembrano invece provvedimenti di portata più limitata, limitandosi ad autorizza- re i comandanti romani a naturalizzare singoli peregrini – soldati ovvero anche civili – che si fossero distinti combattendo in favore di Roma nel bellum Itali-

sità di Cesare di ricompensare i Cisalpini che gli avevano fornito le re- clute per conquistare la Gallia transalpina e che costituiranno il nerbo delle legioni a lui fedeli nella lotta contro Pompeo. Si trattava dunque di provvedimenti determinati da motivazioni di carattere eccezionale.

Si è già rilevato del resto come la pur limitata concessione della piena cittadinanza (optimo iure), vale a dire con diritto voto, agli abi- tanti di Fondi, Formia ed Arpino, promossa nel 188 a.C. da ambienti vicini a Scipione l’Africano, con la lex Valeria, sia stata fortemente osteggiata con ben quattro intercessiones tribunizie e senza la consul-

tazione preventiva del Senato 507.

È altresì significativo che i provvedimenti di naturalizzazione citati da Cicerone in pro Balbo, 46-51 e adottati da Mario e da Pompeo Strabone, provvedimenti sulla cui applicazione pure si discusse aspra- mente in Roma, riguardino invece singole persone o gruppi comunque ristretti e abbiano inoltre a fondamento sempre motivazioni virtutis

causa. Egualmente si può dire per le naturalizzazioni augustee 508.

Riassumendo dunque efficacemente questa politica restrittiva in tema di cittadinanza, in particolare a partire dalla seconda metà del III sec. a.C., si è osservato che “Solo in casi eccezionali e, soprattutto, per motivi politici, diplomatici e clientelari, i governanti romani furono tratti ad estendere anche a Latini, Italici e peregrini la cittadinanza, ma ciò fecero, e sempre con estrema parsimonia, attraverso concessioni individuali (singillatim) di cittadinanza o per meriti speciali nei con- fronti della civitas,o, in epoca più recente, per aver gerito la magistra- tura in una colonia latina, oppure, infine, per aver con successo avan- zato una accusa in materia di repetundae. Ogni altra forma di donatio

civitatis che non rivestisse, come quelle ora ricordate, una immediata

utilità per Roma e per i suoi cives, e, per di più, si presentasse incon-

trollabile e di vasta portata, venne formalmente osteggiata” 509.

507 Cfr. Liv. 38.36.7, sul punto v. Frank, in Cambridge Ancient History, 8, 354, 373, il quale suppone un appoggio (evidentemente non formalizzatosi in una pronuncia ufficiale) dei membri più influenti del Senato.

508 Su cui v. Luraschi, Sulle leges de civitate, cit., 327, nt. 21; Id., Foedus, cit., 450; Id., La questione, cit., 78.

509 Cfr. Luraschi, Foedus, cit., 62; v. anche Humbert, Le status civitatis, cit., 142; v., da ultimo Raggi, Le concessioni di cittadinanza, cit., 90 secondo cui il II

Cittadinanza: la politica restrittiva prosegue nel Principato 133

Non diversamente avvenne nell’epoca del Principato. Una testimo- nianza concreta della chiusura verso significative concessioni della cittadinanza nei primi decenni del Principato è fornita dalla sostanzia- le invarianza di popolazione fra i due censimenti del 28 e dell’8 a.C.,

così come riportati nelle Res gestae 510. Ciò sta a significare chiara-

mente non solo la assenza di concessioni collettive di cittadinanza 511,

ma anche la sostanziale irrilevanza quantitativa delle altre forme di concessione, prima fra tutte quella singillatim. Si confermano dunque

le notizie riportate da Svetonio 512.

Una conferma di questa tendenza a concessioni parsimoniose e “controllate” della cittadinanza nell’età del Principato si ha per esem- pio da una lettura d’insieme delle norme contenute nella lex Irnitana che appaiono volte ad impedire un’estensione incontrollata della citta- dinanza; emergerebbe insomma “il desiderio, da parte del potere cen- trale, di esercitare in ogni caso un controllo, sia pure in modo larvato e

mediato, sui soggetti destinati a diventare cives” 513, la cittadinanza

“era (e doveva restare) un privilegio ambito” 514. Che poi lo ius adipi-

scendae civitatis per magistratum si estendesse anche ai parenti dei

magistrati locali non scalfisce questa conclusione, rientrava semmai nella prassi di assimilare le élites cittadine, per favorire la romanizza- zione dall’alto delle singole comunità.

Più in generale appare evidente che “gli imperatori furono alquanto

restii nel concedere ampliamenti della cittadinanza” 515.

È significativo d’altra parte il caso di Claudio, uno degli imperatori

sec. a.C. è “segnato da un brusco arresto nel processo di estensione della civitas tramite le concessioni collettive”. Fino alla fine del II sec. a.C. anche le conces- sioni di cittadinanza a titolo individuale appaiono in numero assai limitato: “Ro- ma si mostrò quindi attenta e interessata nell’estendere la civitas”, così Raggi,

op. cit., 89.

510 Cfr. Aug. res gest., 8.2-3, su cui da ultimo Fino, op. cit., 56 ss. 511 Così, recentemente, anche Fino, Exempla tradere, cit., 108. 512 Cfr. Suet. Aug., 40.

513 Cfr. Lamberti, Tabulae Irnitanae, cit., 31. 514 Così Lamberti, Tabulae Irnitanae, cit., 31. 515 Così Purpura, op. cit., 78.

più aperti verso l’integrazione degli stranieri. Sono note le accuse

mossegli da Seneca nella Apocolocyntosis 516 relative ad una pretesa

larghezza di Claudio nella concessione della cittadinanza agli stranie- ri. Il pamphlet è satirico, ed esagera volutamente alcuni tratti della po- litica dell’imperatore, ma già la critica è di per sé indicativa sia del- l’atteggiamento restrittivo delle classi dirigenti romane verso una poli-

tica della cittadinanza agli stranieri 517, sia della anomalia rappresenta-

ta dal generoso atteggiamento di Claudio. Per avere contezza dell’at- teggiamento delle classi dirigenti romane dell’epoca basti leggere le obiezioni all’inserimento nel senato dei maggiorenti della Gallia Co- mata riassunte da Tacito, ann., 11.23.3-4: “L’Italia non è malata al punto di non poter fornire un senato alla sua capitale [...]. Non basta che dei Veneti e degli Insubri abbiano fatto irruzione nella Curia, sen- za immettervi un’accozzaglia di stranieri [coetus alienigenarum] quasi venisse immessa la stessa prigionia? Quale onore avanzerà per gli ul- timi veri patrizi o per quei senatori nati nel Lazio e impoveriti? Sareb- bero destinati ad occupare ogni posto quei ricchi [Galli], i cui antenati avevano sconfitto e massacrato le nostre legioni e assediato il divino Giulio ad Alesia”.

Eppure, come è stato acutamente osservato di recente 518, l’impera-

tore “volle concedere la cittadinanza solo a chi fosse pienamente inte-

grato”. Significativo è il caso, narrato da Svetonio e da Dione Cassio 519,

di quell’illustre personaggio greco privato da Claudio della cittadinanza romana perché non conosceva la lingua latina. In quella occasione l’imperatore avrebbe anche disposto che chi non conosceva la lingua

latina non poteva ottenere la cittadinanza romana. Sempre Claudio 520

516 Cfr. Sen. apoc, 3.3: constituerat enim omnes Graecos, Gallos, Hispanis,

Britannos togatos videre.

517 Atteggiamento restrittivo ben evidente nella posizione del senato in occa- sione della proposta dell’imperatore di concedere la cittadinanza ai primores gal- lici: sul punto v., per tutto, Giardina, L’identità incompiuta, cit., 21, nt. 72; 23 ss.

518 Cfr. Fasolini, Su un caso particolare di summum suplicium sotto Claudio

(Suet. Claud., 25.3), in Valvo-Gazich (a cura di), Analecta Brixiana, 2. 2007, 93.

519 Cfr. Suet. Claud., 16; Dio. 60.17.4. 520 Cfr. Suet. Claud., 25.

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avrebbe anche vietato agli stranieri di assumere nomi e gentilizi roma- ni e avrebbe addirittura condannato alla decapitazione i peregrini che avessero usurpato la cittadinanza romana. Si è dunque giustamente os- servato come persino per il “liberale” Claudio “la cittadinanza andava concessa solo a chi era perfettamente romanizzato e l’usurpazione di

tale diritto veniva severamente punita” 521. In altre parole, la sua origi-

nale politica di apertura “non si tradusse nello svilimento del valore

della cittadinanza, né in una sua svendita” 522. D’altro canto, come è

stato acutamente osservato 523, “le analisi prosopografiche non hanno

individuato” per il regno di Claudio “nessun senatore originario della Comata” e una “cautela analoga fu da lui seguita rispetto all’allarga-

mento della cittadinanza” 524. Nei “sei anni di regno che seguirono la

concessione del ius honorum ai primores della Gallia Comata il prin- cipe non promosse vistose immissioni in senato né clamorose elargi-

zioni di nuovi diritti ai provinciali” 525. Al di là della ostilità delle clas-

si dirigenti italiche che dovette ridurre a norma-manifesto il provve-

dimento di Claudio 526, appare evidente la volontà di perseguire la ro-

manizzazione dell’impero con gradualità ed equilibrio, passando da un coinvolgimento delle élites per far percolare tramite loro i valori ro- mani alle masse.

521 Cfr. Fasolini, Su un caso particolare di summum supplicium, cit., 94. 522 Così Fasolini, op. cit., 93.

523 Cfr. Giardina, L’identità incompiuta, cit., 19 s.

524 Così Giardina, op. cit., 20; V. anche Sherwin-White, The Roman Citizen-

ship, 241 s.

525 Così Giardina, L’identità incompiuta, cit., 20. 526 V. anche Giardina, L’identità incompiuta, cit., 19 s.

 

 

16.

Difesa della publica utilitas

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