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Altari: dedicazioni ai santi.

GLI INDICATORI DELLA DEVOZIONE

Grafico 11. Altari: dedicazioni ai santi.

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L‟abitudine di effettuare periodici pellegrinaggi al santuario marchigiano era ampiamente diffusa all‟interno delle compagnie romane: alla fine degli anni ‟60 del Cinquecento, ad esempio, risalgono i primi pellegrinaggi della compagnia dell‟Orazione e Morte (FANUCCI, Trattato, p. 276; Congregazione degli ufficiali del 4 settembre 1569, in ARCHIVIO STORICO DEL VICARIATO DI ROMA [=ASVR], Arciconfraternita di S. Maria dell‟Orazione e Morte [= AOM], 16, Libro del Secretario.

1562-1570, f. 230v), mentre analoghe iniziative sono documentate per la confraternita della SS.

Trinità dei Pellegrini per lo meno a partire dai primi anni ‟70 (Congregazione parziale del 28 marzo 1573, in ASR, OTP, 3, Andreas Plantanidas secretarius. Libro de‟ decreti ab anno 1572 usque ad

mensem iulii 1574, f. 48r). La compagnia delle Stimmate di san Francesco invece, fondata a fine XVI

secolo, fa propria questa devota abitudine, anche se in maniera più sporadica, già dal primo Seicento (Congregazione generale del 16 novembre 1603, in ASVR, Arciconfraternita delle SS. Stimmate di S.

Francesco (= ASS), 21, Libro de‟ decreti. Ottobre 1600 fino ad aprile 1608, f. 69r). Sui pellegrinaggi

confraternali a Loreto, si vedano, per alcuni studi di caso, M. PIERONI FRANCINI, Itinerari della pietà

negli anni della Controriforma. Pellegrini romani sulla strada di Loreto, «Studi Romani» 35/3-4

(1987), pp. 296-320, che si concentra sul pellegrinaggio compiuto dalla Trinità dei Pellegrini del 1602, e S. NANNI, Confraternite romane nel Settecento. Spazi e forme delle cerimonie, in Confréries

et dévotions, études réunies par DOMPNIER/VISMARA, pp. 169-191, in particolare pp. 169-182, per un analoga iniziativa presa nel 1710 da alcuni confratelli dell‟Orazione e Morte. Per uno sguardo più ampio sull‟itinerario lauretano, si veda Pellegrini verso Loreto (Atti del convegno “Pellegrini e Pellegrinaggi a Loreto nei secoli XV-XVIII”. Loreto. 8-10 novembre 2001) a cura di F. GRIMALDI e K. SORDI, Ancona, Deputazione di Storia Patria per le Marche, 2003 (Studi e testi, 21). Per un inquadramento generale sul fenomeno del pellegrinaggio in Età moderna, infine, si faccia invece riferimento al volume Pèlerins et pèlerinages, sous la direction de BOUTRY/JULIA, e in particolare l‟ampio panorama proposto da D. JULIA, Pour une géographie européenne du pèlerinage à l‟époque

Parte seconda – Spazi, devozioni, identità

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Pur confermandosi in questo quadro collettivo il predominio evidente dei santi del primo millennio, a rivelarsi interessante è il progressivo incremento relativo dei santi del Basso Medioevo e dell‟Età moderna. I parametri di cui tener conto per comprendere realmente l‟entità del fenomeno sono di fatto due. Anzitutto è necessario apprezzare la crescita quantitativa degli altari delle due categorie riunite, che nell‟arco di un secolo circa passano dal 23,9% del totale relativo ai santi a oltre il 30%. Per comprendere meglio il diverso livello di penetrazione del culto dei santi vissuti a partire dall‟XI secolo che emerge dall‟esame di questo diverso “indicatore” della devozione, tuttavia, ancora più interessante è paragonare tale crescita rispetto ai dati proposti dal quadro delle intitolazioni, che prevedevano per i santi successivi all‟anno Mille una percentuale del 21% appena.

Passando dalle intitolazioni agli altari dunque, e pertanto ad un livello inferiore di ufficialità, il peso dei nuovi santi si rivela ben più ingente, con un incremento che giunge a sfiorare il 10%. A determinare tale crescita sono ovviamente diversi fattori. Anzitutto, l‟attenzione dei gruppi nazionali ad accogliere all‟interno dei propri luoghi di culto quei personaggi che via via vanno ad arricchire il pantheon delle chiese locali. È infatti questa tipologia associazionistica a concedere uno spazio maggiore ai santi successivi all‟anno Mille e a segnare un incremento più significativo nell‟arco cronologico considerato, passando dal 14,7% del totale degli altari segnalati nella visita apostolica del 1624-1630 a quasi il 20% registrato nei secondi anni Venti del Settecento66.

Accanto a personaggi come Maria Maddalena de‟ Pazzi, celebrata già fin dal primo Seicento dalla comunità fiorentina, quindi prima e dopo la canonizzazione del 167067, si affacciano infatti alla scena romana nuovi santi e beati. La colonia sabauda a Roma, come si vedrà meglio nel prossimo paragrafo, introduce il culto del beato Amedeo di Savoia, mentre nella chiesa dei casciani fa la sua comparsa la devozione a Rita da Cascia, alla quale, dopo la beatificazione del 1627, era del resto cointitolata

66

Nelle confraternite “universali” si passa invece dal 12,7 al 17,3%, mentre quelle di mestiere sono apparentemente le più chiuse rispetto a questo tipo di innovazione, passando dall‟11,6 al 7,4%.

67

Per le iniziative dei fiorentini relative alla canonizzazione, cfr. Relatione della festa solenne

fatta in S. Giouanni dalla natione fiorentina in Roma per la canonizatione di S. Maria Maddalena de Pazzi. Con l‟Oratione panegirica detta dal M. R. P. D. Biagio Maria Landi, in Roma, per

Nicol‟Angelo Tinassi, 1670. Per una panoramica generale su questo genere di fonti, si faccia riferimento a R. DIEZ, Il trionfo della parola. Studio sulle relazioni di feste nella Roma barocca.

1623-1667, Roma, Bulzoni, 1986 (Quaderni di storia della critica e delle poetiche. Collana di saggi e

3. Gli indicatori della devozione

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anche la stessa compagnia nazionale dei “forestieri” provenienti da Cascia68 . Analogamente, la confraternita dei SS. Giovanni Evangelista e Petronio dei Bolognesi intitola uno dei tre altari della sua chiesa a Caterina Vigri, canonizzata grazie all‟intenso impegno delle istituzioni municipali di Bologna nel 171269

.

Anche santi tributari di una più antica venerazione, del resto, sono introdotti per la prima volta nella città, come santa Zita, onorata dai lucchesi che nel frattempo hanno costituito in città la propria compagnia70. A giocare un ruolo decisivo nella vicenda fu monsignor Fatinello Fatinelli (1627-1719), giurista di un certo rilievo e decano della Camera Apostolica71, la cui famiglia era da sempre la principale promotrice del culto della santa72. Nel 1695, quando finalmente si ottenne dalla Sacra

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ASV, CVA, 114, Miscellanea 1700, XVIII, 10, Visitatio ecclesiæ B. Ritæ a Cassia. Anno 1712, f. 2v. Sulle complesse nebulose vicende e relative a questo culto, si veda, L. SCARAFFIA, La santa

degli impossibili. Vicende e significati della devozione a S. Rita, Torino, Rosenberg & Sellier, 1990

(Sacro/santo, 3). Sulle forme della devozione alla santa, viste attraverso la prospettiva offerta dagli ex- voto registrati presso il santuario di Cascia, si veda A. TURCHINI, Committenza „popolare‟ nella

devozione a Santa Rita da Cascia, in Santuari cristiani d‟Italia. Committenze e fruizione tra Medioevo ed Età moderna (Atti del Convegno tenuto a Isola Polvese, 2001), a cura di M. TOSTI, Rome, École Française de Rome, 2003 (Collection de l‟École Française de Rome, 317), pp. 171-194 e relativa bibliografia.

69

ASV, CVA, 124, Miscellanea 1700, XXVIII, 2, Ad Sacram Congregationem Visitationis relatio

sacrae visitationis peractae ab eminentissimo et reverendissimo domino tituli Sancti Petri ad Vincula Sanctae Romanae Ecclesiae presbytero cardinali de Via venerabilis ecclesiae et archiconfraternitatis Sanctorum Ioannis Evangelistae et Petronii Nationis Bononiensis die undecima mensis septembris 1729 (= Relatio visitationis ecclesiae et archiconfraternitatis SS. Ioannis Evangelistae et Petronii Nationis Bononiensis), f. 3v. Sul culto della Vigri (1413-1463), si vedano soprattutto i numerosi studi

di Serena Spanò: S. SPANÒ MARTINELLI, Per uno studio su Caterina da Bologna, «Studi Medievali», s. 3a, 12 (1971), pp. 713-759; EAD., La canonizzazione di Caterina Vigrì: un problema cittadino nella

Bologna del Seicento, in Culto dei santi, istituzioni e classi sociali in età preindustriale, a cura di S.

BOESCH GAJANO e L. SEBASTIANI, L‟Aquila-Roma, Japadre, 1984 (Collana di Studi Storici, 1), pp. 719-733; EAD.,La città e la santa nel processo di canonizzazione di Caterina Vigri, in Caterina Vigri. La santa e la città, Firenze, SISMEL-Edizioni del Galluzzo, 2004, pp.129-137; EAD., Caterina Vigri

(1413-1463). Nascita e sviluppo di un culto cittadino, «Revue Mabillon», n.s., 17/78 (2006), pp. 127-

143. Si veda inoltre Il processo di canonizzazione di Caterina Vigri (1586-1712), edizione critica a cura di S. SPANÒ MARTINELLI, Firenze, SISMEL-Edizioni del Galluzzo, 2003 (Caterina Vigri, 4).

70

ASV, CVA, 114, Miscellanea 1700, XVIII, 15, Inventario della venerabile chiesa et ospedale

della Nazione Lucchese in Roma, f. 4r.

71

Su di lui, si veda C. LUCCHESINI, Della Storia letteraria del Ducato lucchese libri sette, in

Memorie e documenti per servire all‟istoria del Ducato di Lucca, IX, Lucca, presso Francesco Bertini

tipografo ducale, 1825, pp. 348-349. 72

Secondo la tradizione, Zita († 1278) era stata per oltre quarant‟anni serva in casa dei Fatinelli, che si impegnarono fin da subito per incentivarne la fama di santità, erigendole tra l‟altro nel 1321 una cappella nella chiesa di S. Frediano. In ragione di ciò, André Vauchez ha addirittura parlato a proposito della santa lucchese di «devozione dinastica», sottolineando tuttavia il fatto, abbastanza insolito, che la dinastia in questione sia quella di una famiglia borghese in una città, come Lucca, a regime repubblicano (cfr. A. VAUCHEZ, La santità nel Medioevo, Bologna, Il Mulino, 1989 [Collezione di testi e di studi. Storiografia] [ed. or.: La sainteté en Occident aux derniers siècles du

Moyen Âge d‟après les procès de canonisation et les documents hagiographiques, Rome, École

Parte seconda – Spazi, devozioni, identità

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Congregazione dei Riti il riconoscimento del culto ab immemorabili di Zita, il Fatinelli provvide alla creazione dell‟altare nella chiesa della S. Croce della nazione lucchese, individuata naturalmente come teatro ideale per il nuovo culto, introducendone così la «publica venerazione» nella città dei papi73.

A determinare il maggiore spazio concesso ai santi “recenti”, tuttavia, pare essere anche l‟intensificarsi della promozione dei culti legati agli ordini religiosi, in precedenza caratterizzati da una diffusione più ridotta. Lo scarto esistente tra i due campioni non ci permette in questo caso di ricorrere al dato statistico per realizzare una precisa valutazione dell‟evolversi del quadro, ma non mancano in ogni caso alcune spie capaci di indicarci in maniera sufficientemente chiara il carattere del mutamento. Tra i francescani, pur in presenza di una diminuzione del numero dei santi menzionati74, gli altari complessivi passano da 19 a 23, soprattutto grazie all‟incremento degli altari di san Francesco e soprattutto di quelli dedicati a sant‟Antonio, il cui culto si rafforza a Roma proprio nel corso del Seicento, come pure nel resto della cattolicità, soprattutto grazie alla concorrenza che vede contrapposti nella promozione del culto i diversi rami della famiglia francescana, in particolar modo osservanti e conventuali75. Per quanto concerne l‟ambito dei conventuali, negli anni 1640 si assiste al formarsi di un nuovo sodalizio presso il

209). Su Zita vedi anche A. BENVENUTI, Zita da Lucca, in Il grande libro dei santi. Dizionario

enciclopedico (= GLS), a cura di C. LEONARDI,A.RICCARDI e G. ZARRI, , a cura di E.GUERRIERO e D. TUNIZ, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1998, III, pp. 1982-1983.

73

Cfr. la dedica, a firma dello stampatore Komarek, della Vita di santa Zita vergine cauata

dall‟antico originale manoscritto, e data in luce da vn sacerdote secolare dedicato all‟illustrissimo, e reuerendissimo monsignore Fatinello Fatinelli, in Roma, nella stamparia di Gio. Giacomo Komarek

Boemo, alla fontana di Treui, 1697, pp. [I]-[IV]. 74

Tale diminuzione pare legarsi principalmente al carattere di campione della fonte utilizzata: l‟assenza dal rilevamento dell‟altare di santa Elisabetta di Portogallo, a mero titolo di esempio, pare essere direttamente determinato dal mancato ritrovamento dell‟inventario della confraternita di S.Antonio dei Portoghesi nel fondo dell‟Archivio Vaticano. Il culto della santa, terziaria francescana, era comunque presente in Roma, soprattutto grazie alla promozione dei francescani osservanti, che ne avevano introdotto il culto anche all‟interno del terz‟ordine secolare. La festa della santa è ad esempio registrata tra le ricorrenze principali del terz‟ordine attorno nel 1738 (cfr. ASV, CVA, 20, Acta

visitationum et decretorum Sacrae Congregationis Visitationis Apostolicae ab anno MDCCL ad totum annum MDCCXLIII R.P.D Francisco Maria Riccardo Prothonotario Apostolico Secretario. Pars Secunda, f. 189v).

75

Sul parallelo diffondersi del culto e delle confraternite del santo nel corso del XVII secolo per effetto dell‟azione contemporanea e concorrenziale dei vari rami dell‟Ordine dei minori, cfr. ad esempio B. DOMPNIER, Ordres, diffusion des dévotions et sensibilités religieuses l‟exemple des

Capucins en France (XVIIe-XVIIIe siècles), in Devozioni e pietà popolare, a cura di NANNI, pp. 21- 59, a p. 35 e ID., I religiosi e le vicende dei nuovi culti, pp. 243-244. Sul culto antoniano si vedano anche S. Antonio fra storia e pietà, «Il Santo» 16 (1976) e I volti antichi e attuali del santo di Padova, «Il Santo» 19 (1979).

3. Gli indicatori della devozione

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complesso conventuale dei SS. Apostoli: un certo numero di fedeli laici gravitanti attorno alla basilica avrebbe iniziato a riunirsi spontaneamente in nome della comune devozione nei confronti di sant‟Antonio da Padova. Vero regista della vicenda, tuttavia, pare essere il padre conventuale Girolamo da Pistoia, che promuove la nuova confraternita impegnandosi al contempo a raccogliere elemosine al fine di costituire all‟interno della basilica una cappella da dedicare al santo, come in effetti avviene nel 164976. L‟iniziativa di padre Girolamo costituiva tuttavia una precisa risposta a quanto avveniva, in quel medesimo torno d‟anni, presso la chiesa “rivale” di S. Maria in Capitolio, dove il culto del Santo andava acquistando una popolarità sempre maggiore, come rileva nel suo diario il Gigli:

Li frati conventuali di S. Francesco nella chiesa de‟ Santi Apostoli, emulando il concorso che si faceva di continuo in questo tempo all‟Araceli per Santo Antonio di Padova, fondorno una confraternita sotto l‟Invocatione del medesimo Santo nella loro Chiesa, et ordinorno di fare la terza Domenica di ciascun Mese una Processione doppo il Vespero, et fecero la prima Processione alli 19. di Settembre, che allora fu la terza Domenica di quel Mese77.

Quanto ai santi domenicani, se allo scadere del primo quarto del XVII secolo appena due di loro – Caterina da Siena e Vicent Ferrer78 – erano menzionati, per un totale di appena 4 altari, cento anni dopo gli altari presenti nel campione preso in esame risultano esattamente raddoppiati (8). Più significativo, tuttavia, è l‟aumento

76

G. ZACCARIA, La «Compagnia» di s. Antonio di Padova nella basilica dei SS. Apostoli in

Roma, «Il Santo. Rivista francescana di storia dottrina arte» 8/1-2 (1968), pp. 107-111 e ID., Lo

statuto dell‟Arciconfraternita di s. Antonio di Padova in Roma, «Il Santo. Rivista francescana di storia

dottrina arte» 10/1-2 (1970), pp. 79-142. 77

G. GIGLI, Diario di Roma, a cura di M. BARBERITO, II, 1644-1670, Roma, Colombo, 1994, pp. 561-562.

78

Sul culto cateriniano, tra una bibliografia estremamente ampia, si veda ora G. PARSONS, The

cult of Saint Catherine of Siena. A study in civil religion, Aldershot, Ashgate, 2008 e relativa

bibliografia. Su Vicent Ferrer, si veda S.M. BERTUCCI, voce Vincenzo Ferrer, santo, in BSS, XII, Roma, Istituto “Giovanni XXIII” della Pontificia Università Lateranense-Città Nuova, 1969, coll. 1168-1176; per le rappresentazioni iconografiche del Ferrer, in rapporto al riconoscimento della santità ed alla semantica del suo culto, si veda R. RUSCONI, Declinazioni iconografiche della santità:

le rappresentazioni di Vicent Ferrer nel corso del secolo XV, in La comunicazione del sacro (secoli IX-XVIII), a cura di A. PARAVICINI BAGLIANI eA.RIGON,Roma, Herder, 2008 (Italia Sacra, 82), pp. 195-213.

Parte seconda – Spazi, devozioni, identità

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dei santi citati, con le prime menzioni tanto del fondatore Domenico, quanto di un santo illustre dell‟ordine qual è Tommaso d‟Aquino79

.

Di gran lunga minore si rivela l‟incidenza degli altri ordini religiosi, primi fra tutti i gesuiti, che, forse perché interamente concentrati sulle forme di associazionismo direttamente gestite e tenacemente incentivate, non sembrano rivelarsi particolarmente attivi sul piano della promozione cultuale negli altri ambienti associazionistici della città. Dal campione considerato infatti non emerge nemmeno un altare dedicato ai santi della Compagnia Gesù.

Tale sostanziale indifferenza rispetto alle figure di spicco della congregazione creata da sant‟Ignazio saliti nel corso del Seicento all‟onore degli altari, ed in particolare nei confronti del loro stesso fondatore, deve essere spiegata anche alla luce della scarsa fama di santità che, dal momento della morte, aleggiava attorno alla sua figura al di fuori di quelle élites che costituivano lo zoccolo duro dei suoi devoti, come rilevava del resto, a fine Cinquecento, lo stesso padre generale della Compagnia, Claudio Acquaviva, manifestando la sua iniziale riluttanza a proseguire la causa di canonizzazione. Presso gli ambienti aristocratici infatti, secondo quanto rivelava un testimone romano al processo di canonizzazione, il Loyola «era in gran credito, et tutti gentilhomini lo tenevano per sancto, se bene la gente bassa diceva: questi teatini, questi collitorti»80. Nonostante il successo di cui fu coronata la causa di canonizzazione, la devozione nei confronti del Loyola e l‟atteggiamento di massima nei confronti dei suoi figli spirituali non dovette cambiare di molto, se è vero che al momento della canonizzazione, nel 1622, la vox populi affidata alla secolare penna di Pasquino poteva eloquentemente accomunare in un unico – e celeberrimo – sprezzante giudizio lo stesso Ignazio e il suo confratello Francesco Saverio a Teresa d‟Avila e all‟oscuro contadino Isidoro Labrador, dichiarando che in quell‟occasione erano stati fatti dall‟autorità pontificia «quattro spagnoli e un santo»81

.

79

Per una panoramica sulla composizione del pantheon dei santi domenicani, si veda B. DOMPNIER, I domenicani e il culto dei loro santi, in Angelicus pictor. Ricerche e interpretazioni sul

Beato Angelico, a cura di A. ZUCCARI, Milano, Skira, 2008 (Biblioteca d‟arte Skira, 23), pp. 235-252 80

La frase è citata da M. GOTOR, I beati del papa. Santità, Inquisizione e obbedienza in età

moderna, Firenze, Olschki, 2002 (Biblioteca della Rivista di storia e letteratura religiosa. Studi, 16), p.

58, al quale si rimanda anche per un inquadramento generale della questione (pp. 57-65). Per l‟amplissima bibliografia su Ignazio e sulla Compagnia di Gesù, si rimanda ancora alle linee fondamentali tracciate da PAVONE, I gesuiti, pp. 139-152.

81

Una efficace presentazione della emblematica valenza di natura politica e più precisamente filospagnola delle canonizzazioni del 1622 è in M. CAFFIERO, Istituzioni, forme e usi del sacro, in

3. Gli indicatori della devozione

131

Ben altra era del resto la popolarità di quell‟unico santo riconosciuto come tale dalla mordace ironia romana, Filippo Neri, il cui corpo fu oggetto di straordinarie e poco disciplinate manifestazioni di venerazione e di fiducia nelle potenzialità taumaturgiche da parte di una folla di fedeli immensa82. Anche l‟ambiente confraternale, sull‟onda di una tale spinta collettiva, fu inevitabilmente ricettivo nei confronti del suo culto. Già pochissimi anni dopo la canonizzazione, la visita di Urbano VIII rilevava la presenza di ben tre altari a lui dedicati, che a distanza di un secolo risultano raddoppiati, a testimonianza del costante progresso della devozione nei confronti del fondatore della congregazione dell‟Oratorio83

.

Il culto dell‟amato «Pippo bono» non fu tuttavia l‟unico tra quelli dell‟Età moderna a guadagnarsi una posizione di rilievo negli spazi sacri confraternali romani. Lo stesso avvenne, ad esempio con san Francesco di Paola, che, assente dai rilevamenti secenteschi, nel Settecento risulta dedicatario di ben 6 altari, rivelandosi tuttavia interessante soprattutto per le modalità attraverso le quali il suo culto si installa nei luoghi sacri delle compagnie laicali. La devozione verso il santo, morto alla corte di Francia nel 1507 e canonizzato già nel 1519, si era diffusa negli ambienti cittadini grosso modo a partire dalla metà del XVII secolo e, soprattutto tra fine Seicento ed inizio Settecento, andava progressivamente radicandosi anche all‟interno del tessuto associativo. La sua diffusione, tuttavia, pare avvenire non tanto in conseguenza di una precisa strategia da parte dei vertici dei vari sodalizi, quanto piuttosto in virtù di una spinta «dal basso», cioè direttamente grazie all‟azione dei suoi devoti. In diversi casi infatti, il santo calabrese fu oggetto di una venerazione

Roma moderna, a cura di CIUCCI, pp. 143-180, alle pp. 143-148; per una trattazione più analitica della questione si vedano invece TH.J. DANDELET, «Celestiali eroi» e lo «splendor d‟Iberia». La

canonizzazione dei santi spagnoli a Roma in età moderna, in Il santo patrono, a cura di FIUME, pp. 183-198, in particolare pp. 192-198 e M. GOTOR,La canonizzazione dei santi spagnoli nella Roma barocca, in Roma y España, coordinador HERNANDO SÁNCHEZ, II, pp. 621-639, in particolare alle pp. 635-639. Più in generale, sulle medesime tematiche, cfr. anche M. CAFFIERO, Santità, politica e sistemi di potere, in Santità, culti, agiografia. Temi e prospettive (Atti del I Convegno

dell‟Associazione italiana per lo studio dei santi dei culti e dell‟agiografia. Roma, 24-26 ottobre 1996), a cura di S. BOESCH GAJANO, Roma, Viella, 1997, pp. 363-371.

82

È quanto ci riferisce nel suo racconto – forse in parte stereotipato – il confratello Francesco Zazzara (cfr. F. ZAZZARA, Diario delle onoranze a S. Filippo. Dalla morte alla canonizzazione, a cura di G. INCISA DELLA ROCCHETTA, «Quaderni dell‟Oratorio» 6 [1962]). Sugli esordi del culto e sulla canonizzazione, si rimanda a GOTOR, I beati del papa, pp. 48-56.

83

Per una prospettiva più ampia a proposito del quale, il rimando d‟obbligo è ancora al monumentale lavoro di A. CISTELLINI, San Filippo Neri. L‟oratorio e la congregazione oratoriana:

storia e spiritualità, 3 voll., Brescia, Morcelliana, 1989; per un rapido profilo si vedano anche V.

FRAJESE, voce Filippo Neri, in DBI, 47, Roma, Istituto dell‟Enciclopedia Italiana, 1997, pp. 741-50 e P. PRODI, voce Filippo Neri, in GLS, I, pp. 684-688.

Parte seconda – Spazi, devozioni, identità

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fatta propria inizialmente da piccoli gruppi di confratelli o addirittura da singoli