3 MONADOLOGIA E ALTERITÀ: IL SENSO GENETICO DELL’INTERSOGGETTIVITÀ
3.4 Alter-ego e temporalità: l’armonia come telos della costituzione intersoggettiva
La Paarung è allora l’emblema della dialettica passiva tra intenzione ed intuizione, tra tendenza originaria e telos irraggiungibile, poiché in essa la datità non è rimandata solo come datità assoluta e definitiva, ma proprio in quanto tale, in quanto datità. L’altro non si dà mai, nemmeno secondo profili. È proprio nella Paarung che la relazione e la temporalità trovano massima espressione: essa è identificazione nella differenza, relazione nella distanza, presenza nell’assenza, accoppiamento nella separazione. Il fine della tendenza è un’identità che nell’esser raggiunta annullerebbe la relazione stessa e porrebbe fine alla costituzione: la conferma definitiva dell’intenzione rivolta verso altri non realizzerebbe una perfetta comunicazione, ma lo spegnersi di qualsiasi comunicazione288, di ogni costituzione intersoggettiva, nella misura in cui io e l’altro giungeremmo ad identità. Questo è esprimibile anche in termini spazio-temporali: se io e l’altro ci trovassimo nello stesso momento nello stesso luogo, quindi in un identico qui ed ora, niente ci separerebbe di fatto289. La distanza che rende possibile l’accordo, la differenza
286 Approfondiremo questo punto nel capitolo 4. Per ora è sufficiente mostrare che tale relazione irriducibile è
implicitamente confermata dalle evidenze conquistate dalla fenomenologia genetica.
287 Come sostiene V. Costa, infatti, “Passivo singifica dunque: la struttura stessa di ciò che si manifesta
suggerisce la maniera in cui deve essere inteso” (V. Costa, L’esperienza dell’altro, cit., p. 121).
288 Nel prossimo capitolo analizzeremo le implicazioni etiche di questo aspetto essenziale
dell’intersoggettività trascendentale (Cfr. infra, Cap. 4, par.3).
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che rende possibile la relazione, non è solo spaziale (come distanza e differenza tra i corpi vivi), ma prima e soprattutto temporale. Solo perché la coscienza, come la fenomenologia genetica ha mostrato, è originariamente tempo, essa può rappresentare l’altro senza mai averlo in carne ed ossa, presentificarlo senza mai esperirlo: in un’intenzione anticipatrice sempre di nuovo confermata nei comportamenti, ma mai definitivamente290.
Questa descrizione, oltre a rendere conto dell’alterità come trascendenza irriducibile al suo darsi immanente, rende conto anche dell’impossibilità teoretica e fenomenologica di dimostrare l’esistenza dell’altro. In qualsiasi momento della mia vita io posso mettere in dubbio l’esistenza reale, effettiva, dell’alter-ego, ma non troverò mai alcuna soluzione teoretica per questo impasse291. Questo “solipsismo teoretico”, però, non mina in alcun modo l’intersoggettività trascendentale. Di fatto esso, paradossalmente, come impossibilità dell’identità tra me e l’altro, rende possibile un’intersoggettività, una relazione intermonadica infinita e irriducibile. Dunque io e l’altro possiamo co-esistere, co-fungere, solo nel tempo, poiché solo nel tempo è possibile una presenza che si dà come assenza, una relazione che non si spegne mai, poiché non giunge mai ad un rilassarsi definitivo. Così come analizzando le sintesi passive originarie avevamo rintracciato l’infinità della costituzione come motivata e fondata sulla temporalità originaria della coscienza, allo stesso modo troviamo qui la motivazione originaria dell’infinità della costituzione intersoggettiva: la distanza mai superabile tra me e l’altro. È in questa tensione che può sorgere una costituzione intersoggettiva infinita. Il solipsismo teoretico, lungi dal minacciare l’intersoggettività costituente, rivela un aspetto della sua essenza292: la distanza insuperabile che deve esistere perché concretamente possano darsi, l’una per l’altra, una molteplicità di monadi.
La comunità esiste solo nella distanza, e la distanza può divenire relazione solo nel tempo, solo per una coscienza che è temporalità. Se l’obiezione di solipsismo fosse il vero motore delle analisi esse sarebbero destinate al fallimento. Ma l’esistenza effettiva di ciò che si manifesta a me come fenomeno non è mai stato un problema reale per la
290 In realtà, come mostreremo nel capitolo 4, la temporalità è condizione necessaria ma non sufficiente
dell’esperienza appercettiva dell’alterità. Dovremo quindi mostrare quali sono le ulteriori condizioni affinchè possa effettivamente darsi una costituzione intersoggettiva (cfr. infra, cap.4).
291 L’affermazione di James Hart, secondo il quale “nel fare fenomenologia non può esserci alcun noi”
benché “del noi si possa fare fenomenologia” rimane valida anche dopo la svolta genetica, e anzi, essa diviene definitivamente comprensibile nelle sue ultime conseguenze (cfr. J. G. Hart, I, We and God: Ingredients of Husserl’s theory of Community, in S. Ijsseling (Hrsg.), Husserl-Ausgabe und Husserl- Forschung, Phänomenologica 115, Kluwer, Dodrecht/Boston/London 1990, p.130).
292 In questo senso Husserl sostiene “Poiché gli altri hanno un tal senso in virtù di una costante verificazione,
è anche vero che sono, questo io non posso ammetterlo; però essi sono pur esclusivamente in quel senso in cui sono costituiti” (MC, V, p. 147).
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fenomenologia. Essa mostra solo il sorgere in me della tesi d’essere e della tesi d’obiettività, pienamente motivate e fondate sulla genesi passiva. Ogni oggetto si manifesta come tale sempre confermativamente, e cioè nel tempo, in un tempo infinito in cui il possesso definitivo, e quindi l’esistenza effettiva di ciò che si manifesta, è costitutivamente rimandato. L’intersoggettività non dipende dall’effettiva esistenza dell’altro, ma dal suo effettivo esserci-per-me, e dal suo effettivo esserci in quanto altro irriducibile al medesimo. Per una fenomenologia che si spinge fino all’origine stessa del suo senso e che diviene monadologia la relazione non si mostra riducibile all’unità di un ego trascendentale apodittico, la separazione non è riconducibile all’identità.
Il primo grande risultato della Quinta meditazione consiste allora nel mostrare che la relazione intermonadica non necessità di una apertura eccezionale di una monade chiusa nella sua immanenza. La monade non ha finestre, se con ciò vogliamo intendere un contatto privilegiato, del tutto impensabile in ottica fenomenologica, con l’alter-ego. L’apertura della monade verso l’alterità non è una apertura verso l’esterno (un esterno di fatto impossibile in quanto ogni datità è datità per la monade, e quindi si dà come tale sempre nell’immanenza monadica), bensì un’apertura verso l’infinità temporale della sua auto-costituzione, l’apertura verso un infinito che si dà come tale nella finitudine e provvisorietà di una esperienza attuale e limitata293. L’esperienza dell’estraneità non sfugge a questa dialettica, ma ne rappresenta l’apice, ed è qui che la fenomenologia genetica ottiene il suo più grande risultato: la fondazione di una trascendenza irriducibile che può darsi, in quanto tale, nell’immanenza monadica riscoperta nella sua temporalità irriducibile e nel suo infinito divenire auto-costituente.
Ma l’analisi della Quinta meditazione risulta essere ancor più innovativa se si considera che essa rende di fatto impossibile parlare di un comune campo primordiale, di una armonia originaria che preceda le singole soggettività e la loro individuazione294. La
293 Sebbene a questo punto dell’argomentazione si potrebbe sostenere, con Paci (cfr. E. Paci, Tempo e verità,
cit., p.126) che ogni individualità monadica ed ogni presente vivente non siano altro che la finitizzazione temporalizzante di una vita infinita che comprende in sé ogni monade e si dispiega in ogni vita individuale, questa caratterizzazione nasconde pericolose ambiguità. Come sosterremo nel capitolo 4, muovendo dalla caratterizzazione della relazione all’alterità come originario irriducibile ed insuperabile, non è il finito (l’esperienza individuale, il singolo vissuto, la singola monade) ad essere espressione del fungere infinito, bensì è l’infinito (il telos dell’armonia intermonadica sempre di nuovo rilanciato) a rappresentare un modo d’essere del finito, di ogni singola monade, nella sua relazione temporale e irriducibile all’altra monade, all’estraneità (cfr. infra, cap. 4).
294 Come abbiamo sottolineato è questa in definitiva la tesi cui condurrebbero le analisi genetiche che
precedono le Meditazioni cartesiane se esse fossero interpretate come risultato definitivo della fenomenologia. In ultima analisi senza le meditazioni del 1929 si sarebbe rimasti fermi alla scoperta di un comune campo primordiale, un’intersoggettività originaria che precede, in qualità di essenza universale della soggettività costituente, ogni singola individualità. La genesi rimarrebbe in questo modo necessariamente
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costituzione intersoggettiva sorge dal dirigersi fluente di ogni monade verso l’altra, in una tensione infinita e sempre di nuovo rilanciata295. È in questa tensione, in questo processo di approssimazione, che può sorgere un’autentica costituzione intersoggettiva: non come dispiegamento empirico-fattuale di un campo originario già armonico, bensì come fondazione sempre nuova di una comunità mai definitiva, mai raggiunta. L’armonia intermonadica non sta all’origine della costituzione intersoggettiva in quanto comunità pre- individuale, ma in quanto telos che si produce necessariamente nella relazione concreta tra monadi individuali (sebbene allo stadio passivo e quindi pre-egologico), nell’incontro, nella tensione sempre insoddisfatta di ogni monade verso l’altra, sorta da una Paarung originaria che, lungi dall’essere espressione di una comunità primordiale già formata, rappresenta invece il sorgere motivato di una dialettica infinita tra l’accoppiamento associativo passivo e la perfetta comunità intermonadica come telos irraggiungibile della relazione intersoggettiva:
D’altronde, questa comunità originaria non è un puro nulla. Se ogni monade è realmente un’unità assoluta e chiusa, la penetrazione irreale e intenzionale degli altri nella mia sfera primordinale non è irreale nel senso di qualcosa che sia sognato, rappresentato secondo il modo della pura fantasia. V’è, tra un essere e l’altro, una comunità intenzionale, un legame che per principio ha carattere tutto proprio, una comunità effettiva, quella appunto che rende trascendentalmente possibile l’essere di un mondo, mondo di uomini e di cose296.
A partire da questa prima e originaria costituzione dell’alterità in ogni singola monade è possibile rendere comprensibili le ulteriori determinazioni che l’ego assegna all’alter-ego, ad esempio il fatto che anche il mio corpo fisico compare nel suo campo di percezione, come il suo nel mio, e che in virtù di questa percezione egli mi coglie come alter-ego rispetto a lui; e andando oltre come egli abbia anche altre appercezioni di alter- ego oltre a me. In virtù di queste ulteriori determinazioni, senza troppe difficoltà, comprendiamo come si costituisca una “comunità aperta di monadi, da noi designata come
ridotta al suo senso, nella misura in cui ogni fatticità, ogni evento, ogni singolarità e con ciò la storia intera dell’umanità potrebbero essere ricondotte ad una essenza statica ed invariante. Ogni genesi sarebbe in tal modo genesi empirica, oppure, riducendosi al suo senso eidetico, si risolverebbe nell’immobilità di un eidos universale originario (Cfr. anche infra cap. 4, par. 1).
295 In questo senso siamo profondamente d’accordo con Ferrarin, quando sostiene, a proposito dei vari
sviluppi della fenomenologia dell’intersoggettività: “it seems to me that Husserl’s position on intersubjectivity does not change. In the fifth Cartesian Meditation I arrive at other egos like me through analogical appresentation; here, too the absolute premise is an original I, and not an original we” (A. Ferrarin, Introduction, in Passive sinthesis and Life-World, cit., p.17). Sull’originarietà insuperabile dell’ Ur-ich e sui problemi che essa pone ci soffermeremo più da vicino nel paragrafo 1 del prossimo capitolo.
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intersoggettività trascendentale”297. Sulla base della Paarung sono poi possibili atti sociali che stabiliscono una comunicazione personale umana, in virtù dei quali, ad uno stadio costitutivo successivo, possono costituirsi “personalità di ordine superiore” (le istituzioni sociali, come ad esempio la famiglia o lo stato).
Husserl analizza poi la costituzione, interna ad ogni monade in virtù dell’intersoggettività originaria, di un “mondo ambiente culturale”, con la sua “per quanto limitata, maniera di oggettività”298. In questo contesto l’aspetto teleologico dell’intersoggettività che abbiamo sottolineato emerge con maggior evidenza. Husserl sostiene infatti che, sul terreno del mondo oggettivo costituito tramite l’appercezione dell’alterità, si costituiscono varie comunità culturali, distinte l’una dall’altra, il cui senso di oggettività è limitato alle monadi che ne partecipano, mentre è precluso, almeno in prima istanza, alle monadi che fanno parte di altre comunità. La “raggiungibilità per ognuno” propria di questi “mondi-ambiente culturali” si distingue perciò dalla “assolutamente incondizionata raggiungibilità per ognuno, la quale appartiene per essenza al senso costitutivo della natura, della corporeità umana e perciò dell’uomo psicofisico, inteso in senso generale”299. Il mondo oggettivo in generale sembra stare perciò a fondamento di ogni interpretazione culturale su di esso fondata, in qualità di apriori originario: “ognuno vive a priori nella stessa natura comune a tutti”. Questo è evidentemente lo stesso risultato che Husserl aveva raggiunto nei Grundprobleme, in un movimento che procedeva dal mondo esperito ingenuamente, tramite la riduzione, verso un “concetto naturale di mondo” universale e invariante. Il movimento presente qui è evidentemente inverso: si tratta di una risalita dall’originario fungere passivo della soggettività verso la costituzione del senso “mondo oggettivo” e dei vari “mondi ambiente culturali” che possono sorgere su di esso. Il risultato delle due analisi sembra però essere lo stesso: un mondo oggettivo universale, caratterizzato dall’oggettività incondizionata, dalla raggiungibilità assoluta per ognuno, e vari mondi ambiente relativamente separati tra loro, ma fondati su un comune apriori originario. L’analisi della genesi passiva dell’alterità sembra perciò semplicemente fondare ciò che l’analisi statica aveva già messo in evidenza tramite una corretta caratterizzazione del concetto di riduzione. Questo è senza dubbio vero.
297 Cfr. MC, V, §56. 298 Cfr. Ivi, §58. 299 Ivi, p. 150.
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Ma a ben vedere l’analisi genetica non lascia invariati i risultati della descrizione statica: essa li fonda, ma nel fondarli ne modifica il senso, mostrando alcuni aspetti che rimanevano necessariamente nascosti a livello statico. Sostiene infatti Husserl:
Questa oggettività [del mondo ambiente culturale] è limitata, sebbene per me e per ognuno il mondo si dia in concreto solo come mondo della cultura, con il senso della raggiungibilità per ognuno […]. Ogni uomo innanzitutto non intende che il suo ambiente concreto, formato di un nucleo e di un orizzonte rivelato; egli intende anzi la sua cultura appunto come uomo di una società che ha formato storicamente questa cultura300.
L’appercezione originaria dell’alterità e gli atti sociali che essa rende possibile permettono il costituirsi di una comunità tra monadi. Ma questa comunità, originariamente, si costituisce per la monade come mondo culturale, come suo proprio ambiente sociale. Inizialmente la coscienza esperisce gli altri e se stessa come membri di una comunità intermonadica limitata, come soggetti di una cultura storica che li determina e che essi, a loro volta, possono ulteriormente determinare. È questo mondo-ambiente che assume per primo il senso di “mondo oggettivo” accessibile per ogni monade. All’interno di questo contesto ogni monade può schiudere “l’orizzonte del passato come fattore determinante per l’intelligenza del presente”, un passato che, per principio, non è accessibile ai membri di altre comunità. Sorgendo originariamente come parte di un mondo ambiente la monade ne viene determinata, viene influenzata dal passato della cultura in cui si inserisce, esattamente nello stesso modo in cui viene determinata e motivata dal suo proprio passato personale. E nello stesso modo in cui il rapporto dialettico tra passato e presente motiva il decorso futuro di vissuti, così, in una intersoggettività originaria, passato e presente culturale motivano, per ogni monade in se stessa e in rapporto socializzante con le altre monadi di quell’ambiente, il futuro possibile della propria cultura, del proprio mondo relativamente condiviso. Il rapporto tra il mondo ambiente che così prende forma e gli altri mondi-ambienti di cui io non faccio parte è lo stesso rapporto che intercorre tra il mio proprio isolato riduttivamente e l’estraneo, tra la monade e l’altra monade: è una “specie di esperienza di estraneità”, una “empatia rivolta all’umanità culturale estranea”301 che si svolge appercettivamente, esattamente nella stessa forma che abbiamo già delineato a proposito del rapporto tra singole monadi. L’appercezione delle altre culture si svolge
300 Ivi, p.150. 301 MC, V, p.151.
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quindi a partire dalla mia cultura come “propria”, come abitualità sedimentata di una comunità di cui io faccio parte in quanto membro.
Vediamo quindi che nella passività originaria non troviamo alcuna costituzione di un campo comune primordiale, inteso come mondo oggettivo originario che stia a fondamento delle varie interpretazioni culturali e storiche e le preceda. Piuttosto la costituzione di una comunità intermonadica assoluta, una “monadenall”302 che comprenda ogni singola monade esistente come suo membro, si svolge, esattamente come l’associazione originaria passiva nella Paarung, in un processo di approssimazione fluente e infinito: un processo dialettico tra le varie comunità, in cui la vita intersoggettiva fungente della comunità estranea può essere intenzionata e presentificata solo appercettivamente, e per il quale l’armonia assoluta tra tutte le monadi, più che essere all’origine del movimento, viene vissuta in esso concretamente come “fine ultimo”. L’oggettività stessa che l’appercezione dell’alterità rende possibile non si presenta come mondo oggettivo compiuto, ma come idea a priori che guida la costituzione intersoggettiva, esattamente nello stesso modo in cui l’idea della datità assoluta guida la costituzione delle unità oggettuali come enti trascendenti. Non si deve pensare alla costituzione intersoggettiva di un mondo oggettivo come alla creazione intermonadica originaria di un mondo comune definitivo: la costituzione si distingue dalla creazione nella misura in cui essa è “donazione di senso”303. L’oggettività è il senso che sorge geneticamente in virtù della Paarung originaria e che si sviluppa originariamente come “oggettività del mio mondo-ambiente culturale” e solo successivamente, in una elevazione di senso, può diventare oggettività assoluta, espressione di una perfetta armonia tra monadi. Anche questa elevazione di senso, a sua volta, non si determina nel raggiungimento fattuale di un mondo assolutamente oggettivo, ma come sviluppo di una idea disposta all’infinito, l’idea di un mondo definitivamente oggettivo, di un’armonia definitiva e assoluta tra le monadi. Questa armonia perfetta è però evidentemente e costitutivamente irraggiungibile. La sua irraggiungibilità, come visto, risiede nel senso stesso dell’alterità, nell’essenza dell’intenzionalità empatica.
L’armonia intermonadica, che ha come suo correlato il mondo oggettivo, è allora originaria solo come idea a priori, propria di ogni monade, sorta per associazione passiva
302 Cfr. HU XV, p.666.
303 Come sostiene Ferrarin, infatti, “The theme of subjectivity’s self-constitution does not end for Husserl in a
Fichtean subjective idealism: we are not talking about a production, but the correlation between consciousness and its relata” (A. Ferrarin, Introduction, in AAVV, Passive Sinthesis and Life-World, cit., p. 19). Come mostrato la correlazione tra la coscienza e il suo correlato non è solo la relazione statica soggetto- oggetto, bensì anche la relazione teleologica tra intenzione ed intuizione, tra origine e fine, tra la genesi e il telos che la anima.
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nella Paarung. L’armonia originaria che avevamo ritrovato riducendo il mondo a fenomeno per l’io mostra il suo inserirsi in una genesi monadica e intermonadica. Sebbene il prodotto della costituzione intersoggettiva sia sempre un mondo anche culturale, e in quanto tale, relativo e storico, esso si fonda sull’idea universale di un mondo comune, di una natura comune, di un umanità pienamente condivisa e universale, di una comunità originaria tra monadi. Ora però questa comunità si mostra nella sua genesi, nella sua temporalità infinita e irriducibile304. Non vi è mai un concetto naturale di mondo prima e a fondamento di ogni interpretazione culturale di esso, bensì, in una relazione intermonadica che si conferma sempre di nuovo progressivamente, le monadi, da principio in comunità tra loro, tendono tutte per essenza, nel tendere le une verso le altre, verso il mondo oggettivo e condiviso, che si mostra allora a questo punto come idea finale, telos. È solo come datità assoluta perfetta che l’idea di mondo condiviso sta sempre a fondamento di un mondo-ambiente isolato dagli altri, diverso da altri mondi-ambiente culturali. L’idea di uomo (così come l’idea di mondo e ogni eidos attingibile fenomenologicamente in una pura intuizione delle essenze) non è identica per ognuno prima di determinarsi nelle sue differenze culturali, bensì come idea a priori che guida la costituzione di ogni singolo mondo-ambiente: di nuovo l’armonia è originaria solo nella misura in cui è finale, nella misura in cui, in qualità di idea, guida la costituzione intersoggettiva. D’altro canto è evidente che non vi è alcun motivo perché da un comune campo primordiale, in cui per ognuno vale l’idea di oggettività e di mondo valido per ognuno, si passi ad una interpretazione che, come per incanto, senza motivo, si distingue dalle altre, in vari mondi ambiente solo relativamente condivisi. Come se da un comune campo primordiale, in cui