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La costituzione genetica dell’alter-ego

3 MONADOLOGIA E ALTERITÀ: IL SENSO GENETICO DELL’INTERSOGGETTIVITÀ

3.3 La costituzione genetica dell’alter-ego

Analizzando il sorgere dell’esperienza dell’estraneo per l’ego ridotto al dominio del suo-proprio264, ci rendiamo conto che “veramente qui dinanzi a noi non è l’altro io stesso”

262 Voler ribaltare l’argomentazione e sostenere, in virtù di una riduzione intesa in senso strettamente

cartesiano, che la riduzione trascendentale sia sufficiente a liberare l’ego trascendentale dal suo contesto intersoggettivo porrebbe davvero la fenomenologia in un solipsismo inaccettabile. L’alter-ego sarebbe infatti ritrovabile solo come altro-uomo nel mondo, e quindi per principio totalmente riducibile all’ego fenomenologizzante. Alla base della necessità di una ulteriore epochè e di una seconda riduzione sta proprio il “fatto trascendentale” dell’irriducibilità dell’alter-ego, inerente al suo senso essenziale, che impedisce di ridurre completamente l’altro al suo senso per me. Il bisogno di una ulteriore riduzione, in quest’ottica, diventa comprensibile come necessità di un atto che renda conto di un modo peculiare di datità che non si lascia ridurre al pari di tutti gli altri fenomeni.

263 MC, V, p. 122.

264 È solo all’interno di questa esperienza ridotta che possiamo tematizzare “come sia da intendere il fatto che

l’ego abbia in sé intenzionalità di questa nuova specie e possa sempre di nuovo formarne, conferendovi un senso d’essere per il quale l’ego stesso trascende interamente il suo proprio essere” (MC, V, p.126).

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e che “nulla di ciò che appartiene alla sua stessa essenza propria perviene a datità originaria”265. La percezione originaria dell’altro non offre mai veramente l’altro in carne ed ossa. I vissuti dell’alter-ego non sono mai dati in originale, ed è esattamente questa impossibilità costitutiva di attingere all’immanenza estranea che rende possibile il sorgere dell’estraneità in quanto tale, del senso “alter-ego”, in un modo che ancora deve essere chiarito266. L’atto mediante il quale io colgo l’altro non può consistere perciò in una presentazione, ma sarà una “appresentazione”, cioè un rendere-come-presente che non offre mai l’alter-ego come dato immanente. Come nota lo stesso Husserl, una tale forma di intenzionalità è già presente nella percezione esterna267, nella misura in cui ogni cosa si presenta solo secondo certi profili, mentre insieme ad essi vengono co-presentificati i profili nascosti, nell’unità di un unico vissuto appercettivo. L’appercezione non si svolge però nello stesso modo per quanto riguarda l’esperienza dell’alter-ego. L’intenzione originaria mediante la quale ci si rivolge verso l’altro infatti, non può mai avere come suo correlato intenzionale l’intuizione, la “presentazione soddisfacente”. L’altro è costitutivamente irraggiungibile, i suoi vissuti non sono assenti come vissuti potenzialmente presenti, ma come vissuti che non potranno mai darsi nel presente vivente dell’ego esperiente.

Sembra in questo caso incomprensibile come possa sorgere l’intenzione, dal momento che manca costitutivamente il momento di originalità, l’Urstiftung che fa sorgere la tendenza verso la datità assoluta. Qui non è semplicemente assente, come per la percezione di cose, il riempimento apodittico ed adeguato, ma manca anche il momento di originalità che rende possibile il sorgere dell’intenzione, il rimandare associativo verso un riempimento finale mai raggiungibile: sembra essere impossibile qualsiasi forma di intenzionalità intesa in senso genetico come dialettica tra intenzione e riempimento. Come può innescarsi, in un dominio che fino ad ora si è rivelato pienamente autonomo, una intenzione diretta verso l’alterità in quanto tale, dal momento che l’alterità sembra per principio non darsi mai, neppure in una esperienza inadeguata? Se ammettiamo che un altro uomo entri nel nostro campo percettivo, e parallelamente manteniamo attiva la riduzione primordinale che non permette di assegnargli ancora alcun senso di estraneità, vediamo che, in primo luogo, si dà nell’esperienza originaria un corpo che, al pari di ogni

265 Ivi, p. 129.

266 Se infatti “il proprio essenziale dell’altro si potesse attingere in maniera immediata e diretta, egli allora

non sarebbe che un momento della mia propria essenza e in conclusione egli stesso ed io saremmo un’unica cosa” (Ibidem).

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altra cosa percepita, è “un mero momento costitutivo di me stesso (trascendenza immanente)”268, e che quindi non sembra dover motivare in alcun modo il sorgere del senso “corpo di un alter-ego”.

L’indizio per la soluzione di questo impasse, dice Husserl, ce lo fornisce “il senso della parola ‘altri’, ‘altro-io’. Altro significa alter-ego e l’ego che è qui implicito sono io stesso, costituito entro la mia proprietà primordinale”269. Il senso stesso dell’alter-ego che, per sua essenza intenzionale, è, come me, io di una vita intenzionale, io di un mondo primordinalmente ridotto, io di un corpo vivo, ci permette di approfondire l’analisi della sua costituzione originaria. Come preannunciato, l’analisi statica dell’intenzionalità empatica funge qui da filo conduttore. L’alter-ego in quanto cogitatum apre la strada alla tematizzazione di una sintesi originaria che, nel momento in cui il fenomenologo si appresta a tematizzarla, è sempre già avvenuta. Solo in virtù di questo metodo, spiegato e giustificato da Husserl nelle lezioni genetiche degli anni ’20, l’argomentazione che segue queste premesse può mantenere il proprio valore fenomenologico, senza risolversi in speculazioni ipotetiche prive di giustificazione.

Il corpo dell’altro che io trovo nella mia esperienza primordiale può quindi essere compreso, al pari del mio, innanzitutto come corpo organico, mediante

Una trasposizione appercettiva proveniente dal mio corpo. […] Solo una somiglianza, interna alla mia sfera di primordinalità, tra quel corpo e il mio può fare del primo un altro corpo. Vi sarebbe quindi una certa appercezione di rassomiglianza ma non mai, in ogni caso, un ragionamento per analogia. L’appercezione non è un sillogismo, un atto di pensiero. Ogni

268 Ivi, p. 131.

269 Ivi, p. 130. Questa affermazione svolge un ruolo centrale nell’argomentazione della Quinta meditazione.

Solo perché il fenomenologo che riflette su di sé in quanto ego trascendentale possiede in evidenza apodittica il senso pre-dato di “alter-ego”, egli può sfruttarlo come linea guida per la tematizzazione dell’originaria sintesi passiva dell’alterità, può sfruttare cioè un’appercezione analogica tra ego ed alter-ego che egli possiede come senso già costituito, e ricercarne le motivazioni originarie passive. Parallelamente occorre sfatare una possibile ambiguità implicita in questo passo. Questa affermazione potrebbe far pensare ad una costituzione dell’alterità per variazione immaginativa. In realtà questa variazione, se pur possibile, può attuarsi solo a posteriori, dopo che il senso alter-ego è già stato costituito, è già sorto, ed è già dato come tale ad una coscienza desta. Originariamente l’associazione passiva tra ego ed alter-ego è motivata immediatamente dalla somiglianza dei corpi vivi, e si svolge senza la mediazione di un ego desto che prenda preventivamente coscienza di sé in quanto ego e costituisca l’alter ego come variazione di sé. Occorre inoltre notare già da ora che l’argomentazione di Husserl presuppone una separazione implicita tra ego fenomenologico tematizzante ed ego trascendentale tematizzato, fungente qui a livello ancora meramente passivo. Perché il fenomenologo possa sfruttare il senso statico “alter-ego” come filo conduttore egli deve possederlo, e perché possa possederlo occorre che la riduzione si attui esclusivamente sull’ego trascendentale tematizzato, e che solo esso sia privato riduttivamente del senso “alterità”. Il fenomenologo deve poter diventare “spettatore disinteressato” di sé, attuando una riduzione che agisce solo sull’ego che è oggetto della tematizzazione e non sull’ego fenomenologizzante. La problematicità di questa separazione, presupposto implicito di ogni riduzione, verrà affrontata esplicitamente in una “fenomenologia della fenomenologia” (cfr. E. Fink, Sesta meditazione cartesiana, cit., passim).

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appercezione […] rimanda nell’intenzione ad una produzione prima in cui si sarebbe costituito per la prima volta l’oggetto che ha un tale senso270.

Ciò che rende possibile l’appercezione originaria del corpo dell’altro come altro corpo proprio, corpo dell’alter-ego, è una somiglianza, inerente alle cose stesse, tra quel corpo e il mio, che io vivo in prima persona come centro delle mie esperienze, come Leib271. Tale forma associativa non è peculiarità dell’esperienza del corpo estraneo, bensì permea l’intera vita di coscienza, fin dal suo più originario dirigersi verso il mondo. La distinzione qui in gioco non è tra intenzionalità percettiva (inerente alle cose come unità sintetiche appartenenti, in quanto fenomeni, al dominio del proprio) e intenzionalità appercettiva (diretta verso l’estraneità e fondante il dominio dell’estraneo), bensì tra “appercezione che per la sua genesi appartiene puramente alla sfera primordinale, e un’altra appercezione […] che compare con il senso alter-ego”272. Un autentico dispiegamento dell’intenzionalità originaria mostra che essa si svolge in una costante dialettica tra intenzione ed intuizione, tra la datità attuale e ciò verso cui essa immediatamente rimanda, il riempimento apodittico e adeguato. È la dialettica che abbiamo trovato analizzando le Lezioni sulla sintesi passiva273 e che ci ha mostrato la temporalità e l’associazione come “leggi essenziali della genesi”.

Occorre soffermarsi sul fatto che questa descrizione dell’appercezione originaria che costituisce il corpo percepito, unità oggettuale nel dominio del proprio, come corpo organico estraneo, pone necessariamente e a pieno titolo la Quinta meditazione in un contesto argomentativo autenticamente genetico, svincolandola dall’aspetto statico che essa assume, almeno in prima battuta, con la riduzione al proprio. In un manoscritto, da noi già citato, dedicato alla differenza tra metodo fenomenologico statico e genetico Husserl definisce le appercezioni come “vissuti intenzionali che sono coscienti in sé di qualcosa come percepito, qualcosa che non è dato in esse in originale”, come esperienze che “trascendono il loro contenuto immanente”, giungendo a sostenere che “l’appercezione

270 Ivi, p. 131.

271 In un manoscritto, successivo alle meditazioni, dedicato proprio all’esperienza empatica Husserl mette in

evidenza la funzione centrale del Leib per l’individuazione e per la separazione tra monadi, nonché per la loro relativa possibilità di appercepirsi reciprocamente, sostenendo che l’accentramento egologico dell’esperienza si attua tramite il corpo proprio come centro dell’orientazione, come “Leibzentrierung” (E. Husserl, Einfühlung und Wiedererinnerung, in HU XV, p.643). Questa esperienza immediata riferita al corpo proprio come centro e non come oggetto dell’esperienza permette di comprendere l’associazione di somiglianza come un’associazione passiva, che non presuppone alcuna esperienza del mio corpo in quanto oggetto, ma si riferisce al corpo-altro, appercependolo sulla base corpo-proprio.

272 Ivi, p. 132. 273 Cfr. Supra, cap.2.

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abbraccia ogni coscienza che dà qualcosa in originale, ogni coscienza intuitiva”, “non è pensabile una coscienza senza orizzonti ritenzionali e protenzionali, che non abbia insieme coscienza (sebbene in maniera non intuitiva) del passato coscienziale e una pre- aspettazione della coscienza immediatamente futura”274. Ogni coscienza è coscienza appercettiva, ogni intenzionalità non è solo, staticamente, una relazione ego-cogito- cogitatum, bensì anche una relazione dialettica e dinamica tra intenzione attuale e riempimento futuro, nell’unità di un unico vissuto275. Nello stesso testo si ha una definizione del metodo genetico che si appella proprio alla forma appercettiva come forma costitutiva di ogni coscienza intenzionale: “è dunque compito necessario stabilire le leggi generali e primitive secondo le quali procede la formazione delle appercezioni a partire dalle appercezioni originarie e dedurre sistematicamente le formazioni possibili, dunque chiarire ogni formazione data secondo la sua origine”276. La forma appercettiva di ogni intenzionalità, passiva e attiva, permette di analizzare ogni vissuto come motivato dai vissuti precedenti, come riempimento di una precedente intenzione. Così ogni appercezione attiva sorge da appercezioni precedenti, che a loro volta rimandano ad altre, in un regresso apparentemente infinito. Il senso che troviamo già dato in una analisi statico-eidetica dei modi intenzionali è il prodotto di appercezioni precedenti. Così ad esempio ogni attributo spirituale colto immediatamente, nell’atteggiamento naturale, come proprietà dell’oggetto intenzionato, deriva dall’associazione sintetica di quel vissuto con uno precedente, nel quale quel senso, in virtù di una genesi attiva, si era originariamente costituito. Questa “genesi attiva” presuppone sempre, come abbiamo mostrato, una genesi passiva. Ogni vissuto rimanda perciò, per la costituzione del suo senso pre-dato alla coscienza desta, ad una originaria appercezione passiva in cui esso si era per la prima volta costituito, ad una associazione e motivazione originarie in virtù delle quali quel senso

274 MFSG, pp.53,54.

275 Questo doppio statuto dell’intenzionalità è messo in luce, tra gli altri, da Paci, che sostiene:

“L’intenzionalità può essere vista: a) come relazione tra soggetto e oggetto; b) come direzione teleologica. Ora, se soggetto e oggetto si identificassero, se cioè tutto il mondo oggettivo fosse presentificato dal soggetto (il che sarebbe possibile solo se la monade non fosse nel tempo), non ci sarebbe più intenzionalità teleologica” (E. Paci, Tempo e verità, cit., p.104). L’alterità non è semplicemente il caso più eclatante del secondo tipo di intenzionalità, bensì in ultima analisi, determinando la dislocazione della costituzione in più flussi monadici, essa determina il sorgere dell’intenzionalità come direzione teleologica verso l’infinito (Cfr. Ivi, pp. 104, 105; cfr. anche infra, cap.4, par.3).

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è potuto sorgere per la coscienza e, divenuto abituale, generare una predatità stabile che la coscienza desta coglie sempre come già data, già pronta277.

Se applichiamo queste analisi al contesto argomentativo della Quinta meditazione ci accorgiamo che in essa non si indaga staticamente il senso dell’estraneità, ma si ricerca l’origine genetica in seno alla soggettività originaria e al suo fungere passivo, rivivendo il suo primo sorgere appercettivo. Questa ricerca è resa possibile, a ben vedere, proprio dalla riduzione al proprio278 che, escludendo il senso “estraneità”, può rintracciarne l’origine senza presupporlo, può rivivere la motivazione originaria che ha reso possibile il passaggio associativo dall’esperienza di un corpo tra gli altri, di un oggetto tra gli altri, all’esperienza di quello stesso corpo come corpo vivo estraneo, come corpo di un alter-ego. L’associazione di somiglianza che qui viene evocata da Husserl si inserisce a pieno titolo tra associazioni originarie che hanno reso comprensibile, nelle Lezioni sulla sintesi passiva, la costituzione di un oggetto come oggetto unitario. Se il vissuto attuale di un dato oggetto non ridestasse, in una associazione per principio ancora passiva, un vissuto passato di un oggetto ad esso simile, la donazione di senso non potrebbe mai sedimentarsi come abitualità, e non si potrebbe mai generare l’idea di una cosa come cosa trascendente e perdurante. Vediamo quindi che qui sono in gioco le stesse leggi essenziali della genesi che abbiamo evidenziato nell’analizzare le sintesi passive, sono attive le stesse dinamiche che lì erano state scoperte: sono le cose stesse a motivare un’appercezione originaria in virtù della quale, immediatamente, si produce una sintesi associativa per la quale quell’oggetto viene vissuto, anziché come mero oggetto del mio campo percettivo, come corpo proprio estraneo, leib di un alter-ego279.

277 Nella Quinta meditazione Husserl sostiene “Ogni appercezione […] rimanda nell’intenzione a una

produzione prima in cui si sarebbe costituito per la prima volta l’oggetto che ha un tale senso” (MC, V, p.131).

278 In questo senso la “riduzione primordinale” può essere interpretata come una modalità di attuazione della

Rückfrage genetica, di quel procedimento a ritroso che conduce, nelle Lezioni sulla sintesi passiva, a mostrare il sorgere di ogni appercezione attiva sul fungere passivo e originario della soggettività. Se lì si voleva mostrare la forma essenziale dell’originaria passività della coscienza, qui si dirige l’attenzione su quella peculiare sintesi passiva per la quale può sorgere l’ “estraneità”, sulla quale si fonda la possibilità di un mondo oggettivo.

279 Occorre eliminare preventivamente un fraintendimento che potrebbe sorgere dalla lettura delle

Meditazioni. Per come l’argomentazione è portata avanti, infatti, potrebbe sembrare che l’associazione in questione presupponga una esperienza attiva dell’ego rivolta verso il corpo proprio, e che solo successivamente, in base a questa esperienza, l’appercezione dell’altro possa avvenire associativamente. I vari passi in cui Husserl parla, a proposito della Paarung, di “sintesi passiva”, però, ci permettono di affermare, con V. Costa, che “questo prima non allude tuttavia a un prima temporale, e dunque ad una genesi, bensì ad una fondazione di validità. Potremmo tradurlo così: non è possibile fare esperienza di un alter ego senza esperire il suo corpo” (V. Costa, L’esperienza dell’altro, cit., p. 119).

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In virtù dell’associazione di somiglianza tra il mio corpo vivo e il corpo estraneo può prodursi un’intenzione che si dirige immediatamente verso un alter-ego che è e rimane costitutivamente inesperibile. Perciò

L’ego e l’alter-ego sono dati pur sempre e necessariamente in un accoppiamento originario [in ursprünglicher Paarung gegeben sind].[…] il presentarsi configurato come una coppia e successivamente come gruppo o moltitudine è un fenomeno universale della sfera trascendentale. […] Esso è forma originaria di quella sintesi passiva che noi, in opposizione alla sintesi passiva dell’identificazione, designammo come associazione. In una associazione accoppiante è caratteristico che nel caso più primitivo i due elementi […] fondano fenomenologicamente un’unità di somiglianza e sono perciò sempre costituiti come una coppia280.

La Paarung è un’associazione originaria tra ego ed alter-ego, prodottasi geneticamente in virtù di una passiva associazione di somiglianza in cui i due termini “sono consaputi insieme e pure distintamente”. Essa sorge in virtù di un’intenzione originaria motivata dalla percezione del corpo estraneo, e si dirige immediatamente verso l’alter-ego. Il suo caso limite è “l’uguaglianza” tra l’ego e l’alter-ego, uguaglianza che si pone però solo come fine irraggiungibile dell’accoppiamento, come riempimento finale costitutivamente rimandato. La distanza insuperabile tra ego e alter-ego rende possibile la relazione nella forma dell’accoppiamento, un dirigersi tendenzioso dell’intenzione verso l’altro in carne ed ossa, e al tempo stesso fa sì che questa relazione non si risolva nell’identità, non si spenga nell’identificazione tra ego ed alter-ego. Solo così il corpo-estraneo può essere vissuto come corpo dell’alter-ego e non come “un secondo mio corpo”281. Ma se la Paarung rende comprensibile il sorgere dell’intenzione verso l’alter ego e con ciò l’appercezione dell’estraneità, dobbiamo ancora spiegare in che modo tale intenzione possa trovare conferma, dal momento che il suo riempimento, l’intuizione dell’alter-ego in carne ed ossa, è impossibile a priori.

E’ chiaro che il processo di riempimento e verifica non può aver successo che mediante nuove rappresentazioni trascorrenti in concordanza sintetica […]. Il corpo organico estraneo, di cui ho esperienza, si rende noto progressivamente come vero corpo organico solo nel comportamento esteriore mutevole ma sempre concordante. […] Se la concordanza non ha luogo, il corpo

280 MC, V, pp. 132, 133. 281 Cfr. MC, V, p. 133.

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organico viene esperito come mera parvenza. Il carattere d’essere dell’estraneo si fonda su questo processo in cui l’originalmente irraggiungibile è raggiunto confermativamente282.

Se l’intenzione trovasse riempimento intuitivo, seppur sempre parziale, costituirebbe il corpo come semplice oggetto del campo percettivo, e l’estraneità non potrebbe sorgere come senso per la monade. L’alter-ego verso cui l’intenzione originaria si rivolge viene sempre di nuovo confermato in esperienze concordanti che trovano verifica nel suo comportamento esteriore, nei suoi atti e i suoi movimenti, nelle sue parole e nelle sue manifestazioni corporee. Sono questi comportamenti, sempre esperibili, a confermare l’intenzione originaria sorta dalla Paarung e al tempo stesso a rilanciarla sempre di nuovo verso nuove conferme, verso nuovi riempimenti mai definitivi.

Perciò il senso dell’alterità può sorgere e verificarsi solo sul confine ideale che separa l’intuizione dall’intenzione, la tensione originaria dal suo soddisfacimento. Se l’altro fosse esperito, anche solo in maniera inadeguata, al pari delle cose, esso non potrebbe mai sorgere con il suo senso essenziale di “estraneo”. Allo stesso tempo, se non si desse mai in alcun modo, esso non potrebbe esistere per la coscienza: l’“esserci-per-me degli altri” rimarrebbe un fatto inspiegato e costitutivamente inspiegabile. Ma l’associazione e la motivazione, leggi essenziali della genesi, rendono invece possibile giustificare l’appresentazione di una trascendenza impresentabile, l’esperienza appercettiva di una alterità mai esperibile intuitivamente:

Tutto ciò che può mai rendersi presente e manifestarsi come originale sono soltanto io stesso o