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UNIVERSITÀ DI PISA
Dipartimento di Civiltà e Forme del sapere
Corso di laurea Magistrale in Filosofia e Forme del Sapere
Tesi di laurea magistrale
LO SPECCHIO DELL’UNIVERSO.
MONADE E RELAZIONE NELLA FENOMENOLOGIA DI
HUSSERL
RELATORE
Prof. Alfredo FERRARIN
Correlatore
Dott. Danilo MANCA
Candidato
Pietro PASQUINUCCI
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INDICE
INTRODUZIONE ... 5
1 LE MOTIVAZIONI PER L’INTRODUZIONE DEL CONCETTO DI MONADE ...10
1.1 L’ammissione dell’ego trascendentale come io puro e l’espansione dell’immanenza ... ... 18
§1 L’apoditticità del vissuto “io sono” e l’io come polo vuoto dei vissuti ... 21
§2 L’io puro come soggetto del cogito. La distinzione tra cogito ed intenzionalità ... 23
§3 L’espansione dell’immanenza e la monade in Idee II ... 25
1.2 I problemi fondamentali della fenomenologia: per una nuova via di accesso alla soggettività trascendentale ... 27
§1 Il concetto naturale di mondo e l’idea di “critica dell’esperienza pura” ... 29
§2 Evidenza e intuizione: l’esperienza fenomenologica oltre la pura presenza ... 36
§3 Lo sviluppo del concetto di monade negli anni ‘20 ... 43
2 DALLA RIDUZIONE DELLA GENESI ALLA GENESI DELL’ATTO RIDUTTIVO: MOTIVAZIONI PER LO SVILUPPO DI UNA FENOMENOLOGIA GENETICA 51 2.1 Il regresso genetico verso l’originario ... 59
§1 Il tempo come prima legge essenziale della genesi ... 65
§2 L’evidenza come origine e come fine ... 72
§3 Il problema della definitività dell’esperienza ... 79
§4 Nuovi strumenti metodologici: il movimento di risalita ... 87
3 MONADOLOGIA E ALTERITÀ: IL SENSO GENETICO DELL’INTERSOGGETTIVITÀ ...91
3.1 La quinta meditazione cartesiana: tradimento o evoluzione? ... 98
3.2 Proprio ed estraneo. Il senso della riduzione primordiale ... 108
3.3 La costituzione genetica dell’alter-ego... 113
3.4 Alter-ego e temporalità: l’armonia come telos della costituzione intersoggettiva ... 122
4 LA RIDUZIONE COME ESERCIZIO DI APERTURA ALLA RELAZIONE ...139
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§1 L’originaria individualità e fatticità della vita monadica ... 152
4.2 Storia e crisi: i paradossi della separazione fenomenologica di genesi e storia ... 159
§1 La crisi come paradosso inspiegabile in ottica fenomenologico-riduttiva ... 164
§2 L’ambiguità della costituzione genetica dell’alterità: l’impossibilità di una intersoggettività trascendentale in ottica fenomenologico-riduttiva ... 169
4.3 Relazione e moralità: il senso etico della riduzione come apertura al relazionismo ... 177
§1 La monade come nulla originario che tende ad essere ... 177
§2 La riduzione come esercizio al relazionismo e il suo senso etico ... 184
4.4 La dottrina trascendentale del metodo... 196
§1 Argomentazioni di Fink a proposito del perché e del come del fenomenologizzare ... 201
§2 Fenomenologia del relazionismo fenomenologico ... 211
CONCLUSIONE ...219
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INTRODUZIONE
Nessun autentico filosofare può permettersi di cominciare senza prima porre in dubbio se stesso e il proprio soggetto, senza porsi preventivamente la domanda prima ed ultima di ogni pensiero filosofico: “che cos’è la filosofia?”, “qual è il suo ruolo?”, “qual è il senso dell’uomo che ne è il soggetto?”. La filosofia è segnata, fin dal suo primo sorgere, da questo compito. Nella sua storia essa non ha mai cessato di porsi questa domanda, fino ad indentificarvisi: ogni teoria filosofica può anche essere letta, oltre che come lavoro reso possibile dalla risposta, come la risposta stessa a questa prima, fondamentale, questione. Per questo motivo si è sempre espresso, nel corso della storia, il bisogno e il dovere di un nuovo, radicale, cominciamento filosofico, realizzato tramite l’esclusione di ogni ingenuità naturale e di ogni presupposto, di ogni conoscenza pre-filosofica e di ogni sapere mondano già acriticamente posseduto. L’imbattibile avversario, in questa guerra, è da sempre il relativismo: la minaccia di una risposta inaccettabile, di una conclusione che priva la domanda stessa di ogni senso.
È proprio a partire da questa eterna lotta che la fenomenologia husserliana può essere compresa: come sforzo di liberazione dal relativismo, tentativo di fondazione radicale della conoscenza e del suo telos, ricerca di un senso autentico di uomo e di ragione, bisogno di un nuovo, estremo cominciamento. Nella riduzione e nell’epoché, messi in luce da Husserl come esercizi necessari alla rifondazione radicale della filosofia, ritroviamo tutta l’urgenza di questi temi. Sebbene il tentativo di dubbio e di un nuovo inizio siano propri della maggior parte delle filosofie, nella fenomenologia essi trovano un nuovo radicalismo. Il radicalismo fenomenologico, a mio parere, si esprime in una semplice constatazione: la riduzione e l’epochè non escludono semplicemente ogni ingenuo presupposto, ogni tesi la cui ingenuità può essere data per scontata, bensì anche quel presupporre che agisce tacitamente in ogni tentativo di esclusione, in ogni dare per scontato. La fenomenologia si spinge fino a dubitare, concretamente, della possibilità e dei presupposti del suo stesso radicalismo. È davvero possibile escludere ogni ingenuità? È davvero possibile liberare l’uomo dalla relatività in cui è immerso, per riscoprire la sua origine assolutamente razionale? La riduzione mette in dubbio perfino quella ingenuità e quel presupporre sui quali si fonda l’esclusione filosofica di ogni assunzione ingenua: vi riesce perché la sua epoché non esclude l’esistenza del mondo, bensì quella tesi d’essere che ci lascia inevitabilmente aggrappati alla fede nell’esistenza del mondo. Per questo motivo essa esclude parallelamente anche la tesi opposta, prodotta dallo sforzo filosofico di astrazione:
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la tesi per cui il mondo vissuto ingenuamente è un’apparenza, e va ricondotto a un “vero essere” che lo precede e lo fonda. Perfino nel bisogno filosofico di un nuovo cominciamento, quale si è espresso, ad esempio, nel dubbio metodico di Cartesio, Husserl riconosce in tal modo l’assunzione a-critica di tesi ingenue che trovano fondamento nel paradigma moderno di una scienza assiomatico-deduttiva.
La domanda filosofica sulla filosofia è anche domanda sull’essere umano che fa filosofia: cos’è l’uomo e cosa si nasconde dietro la sua attività conoscitiva? Anche in questo caso la riduzione fenomenologica non permette di assumere la razionalità umana come un fatto, e neppure di accettare ingenuamente che l’uomo, con i suoi fini e i suoi bisogni, possa essere soggetto del puro filosofare. Lo sforzo fenomenologico di definire e fondare l’autentico soggetto dell’attività filosofica, la quale a sua volta può divenire tale solo tramite una nuova fondazione, condurrà Husserl a rielaborare la dottrina leibniziana della monade: la monade, reinterpretata fenomenologicamente, rappresenta la risposta alla domanda sull’autentica natura e sul senso dell’essere umano. In questo lavoro ci concentreremo proprio su questo concetto, tentando di delinearne le caratteristiche e i limiti, mettendone in mostra la genesi all’interno del pensiero husserliano e i risultati cui esso condusse. Il nostro è il tentativo di rispondere, attraverso l’analisi del concetto husserliano di monade, alla domanda propedeutica ad ogni filosofare: che cos’è l’uomo, qual è il suo scopo e qual è il senso della sua attività conoscitiva?
A questo scopo analizzeremo, nel primo capitolo, le motivazioni che spinsero Husserl a rielaborare la dottrina leibniziana della monade, mettendo in evidenza i grandi risultati che essa rese accessibili alla fenomenologia e la svolta che tale rielaborazione implicò. In questo contesto confronteremo il concetto di monade con un altro concetto fondamentale delineato dalla fenomenologia del soggetto: l’ego trascendentale, primo e indubitabile prodotto della riduzione. Dal confronto critico tra questi due concetti emergerà una particolare immagine di fenomenologia, che non esclude le differenze e le contraddizioni interne al percorso husserliano, bensì le ricomprende come articolazioni necessarie del suo pensiero, nel nome della radicalità che lo guida. Mostreremo, inoltre, che il passaggio da ego trascendentale a monade è motivato soprattutto dai problemi dell’intersoggettività e dell’alter-ego. Per una filosofia che muove dall’esclusione radicale di ogni presupposto questi due temi occupano un ruolo problematico di rilievo: l’esclusione di ogni ingenuità, proprio nella misura in cui giunge ad investire perfino l’ingenuità implicita nel tentativo di esclusione, è anche e soprattutto esclusione dell’alterità e della relazione pre-filosofica ad essa, in tutte le loro declinazioni: dal ben
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noto problema della giustificazione dell’alter-ego da un punto di vista gnoseologico, alla descrizione del peculiare tipo di relazione all’alterità che si mostra all’interno dell’esperienza resa possibile dalla riduzione e dall’epochè, fino a giungere al tema della cultura e della tradizione dalle quali muove il tentativo filosofico stesso, che lo influenzano e lo motivano nel suo sforzo di esclusione, rendendo il suo scopo ancor più arduo da raggiungere.
Nel secondo capitolo ci soffermeremo sulla cosiddetta “svolta genetica” della fenomenologia, avvenuta intorno al 1916-1918, ma anticipata già in numerosi scritti degli anni ’10-’12, soffermandoci sulle motivazioni che vi condussero. Mostreremo come l’idea di genesi trascendentale proceda di pari passo con la rielaborazione husserliana del concetto di monade, e come anche essa sia mossa dal problema, sempre più pressante per Husserl, dell’intersoggettività e dell’alterità. In questo contesto analizzeremo il concetto di “sintesi passiva”, fondamento della fenomenologia genetica, e metteremo in evidenza in che modo le idee di passività e di genesi forniscano a Husserl nuovi strumenti metodologici, rendendo possibile il passaggio definitivo dalla fenomenologia come egologia (il cui centro tematico è l’ego trascendentale e le sue forme di auto-coscienza) alla fenomenologia come monadologia (il cui tema è la genesi monadica, come vita fungente in cui ogni essere si manifesta e trova senso).
Nel terzo capitolo metteremo in luce, attraverso l’analisi della Quinta meditazione cartesiana (1929), i risultati più importanti che la fenomenologia genetica come monadologia permette di raggiungere nell’ambito di una fenomenologia dell’intersoggettività. A questo scopo metteremo in evidenza le ambiguità presenti nel testo e i fraintendimenti cui esse hanno condotto. Tenteremo in tal modo di conferire di nuovo alla Quinta meditazione il ruolo centrale che originariamente le spettava, mostrando come essa sia un anello di congiunzione imprescindibile tra la fenomenologia genetica degli anni ’20 e la fenomenologia della storia e della teleologia degli anni ’30.
Nel quarto ed ultimo capitolo, infine, tenteremo di evidenziare i limiti della fenomenologia e i paradossi che essa produce nel suo passaggio dalla fenomenologia genetica dell’intersoggettività alla fenomenologia della storia. In particolare ci soffermeremo su quello che ci sembra rappresentare l’ingenuo presupposto che ha agito alle spalle del tentativo fenomenologico, e che neppure la riduzione e l’epochè sono riuscite ad escludere: il presupposto di una differenza reale tra trascendentale ed empirico, il cui prodotto più ingombrante è la separazione riduttiva tra genesi e storia. Dopo aver mostrato l’inconsistenza di queste distinzioni tenteremo di reinterpretare la fenomenologia
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alla luce di una concreta inseparabilità di storia e genesi. Emergerà allora il limite ultimo della riduzione: essa fallisce e si arresta di fronte all’irriducibile singolarità di ogni vita fungente, singolarità che emerge negativamente, all’apice del regresso fenomenologico, con la costatazione dell’irriducibilità ultima di ogni estraneità, nella sua inesauribile fatticità. Mostreremo come Husserl non si sia accorto (o si sia accorto solo in parte) di questo limite, e abbia perciò infine, guidato dal suo ingenuo presupposto, ridotto la fenomenologia ad un idealismo trascendentale assoluto. Mostreremo successivamente, in una interpretazione che tradisce consapevolmente la lettera degli scritti husserliani ma ambisce a rispettarne lo spirito, come la riduzione possa assumere il senso di esercizio introduttivo ad un relazionismo che invera definitivamente la relatività assoluta dell’essere umano, ma nel quale, attraverso una rivoluzione di atteggiamento resa possibile dalla fenomenologia, l’uomo stesso può trovare la chiave della propria razionalità, ribaltare l’apparente sconfitta in vittoria, e distruggere dall’interno lo spettro del relativismo. Nell’ultima parte del capitolo analizzeremo brevemente l’idea di “fenomenologia della fenomenologia” portata avanti da Fink nella Sesta meditazione cartesiana, mostrandone gli scopi e i limiti intrinseci. Concluderemo infine applicando la “fenomenologia della fenomenologia” all’interpretazione della riduzione come introduzione al relazionismo, cercando di mostrarne gli esiti attraverso una riflessione critica della fenomenologia su se stessa e suoi propri risultati.
Il risultato finale che il presente lavoro, muovendo da una interpretazione attenta della fenomenologia husserliana, ambisce a raggiungere, risiede nel mostrare l’originarietà e l’irriducibilità della relazione di ogni uomo all’altro-uomo, di ogni soggetto ai soggetti estranei. Tale relazione si mostrerà da un lato come l’insuperabile ed ineliminabile essenza originaria dell’essere umano, dall’altro lato come quella natura primordiale che, rimanendo per essenza celata e inconsapevole, conduce paradossalmente al suo annichilimento, al suo spegnimento nelle teorie prive di vitalità. La relazione originaria che vogliamo mettere in luce assume perciò la stessa struttura dinamica che Husserl assegna alla Lebenswelt in Crisi. Essa però rende possibile, attraverso una reinterpretazione del concetto di “mondo della vita”, rinunciare ad ogni tentativo di dimostrare una presunta razionalità originaria dell’essere umano (perfino a quella che risorge in seno alla Lebenswelt con il titolo di “doxa originaria” o di “esperienza ante-predicativa”), senza con ciò rinunciare a far rivivere il senso originario e universale dell’uomo e del mondo culturale che esso costituisce sempre di nuovo.
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Emergerà allora che la razionalità dell’uomo, la sua peculiarità, non risiede in una origine smarrita o celata, né in una statica facoltà, bensì nel futuro che ogni singolo uomo, privo nel suo esser-ci di qualsiasi razionalità, apre di fronte a sé attraverso l’irriducibile relazione all’altro. La riduzione del mondo deve togliersi per lasciare spazio alla relazione e alla tensione verso l’universalità del senso che in essa sorge e si sviluppa da sempre, ma che, nell’atteggiamento naturale, conduce inevitabilmente all’egoismo e all’egocentrismo, alla affermazione della propria visione del mondo, dei propri valori e delle proprie verità come assolute. La razionalità non è un privilegio che la teoria filosofica deve mostrare, bensì un compito che l’esercizio filosofico sempre ripetuto deve rendere evidente. L’uomo non è animale razionale, bensì animale che può e deve divenir-razionale sempre di nuovo, sempre diversamente, comandato da se stesso ad un infinito sforzo di perfezionamento.
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LE MOTIVAZIONI PER L’INTRODUZIONE DEL CONCETTO
DI MONADE
Nel presente capitolo metteremo in luce le motivazioni che indussero Husserl ad introdurre nella sua filosofia, intorno agli anni ’10, il concetto leibniziano di monade. Indagheremo il significato e le implicazioni di questo concetto per la fenomenologia seguendo due linee argomentative: mostrando in che modo, nel pensiero di Husserl, la monade potesse apparire come concetto risolutivo in relazione ad alcune problematiche di centrale importanza e analizzando contemporaneamente il rapporto tra monade ed io trascendentale, sia per quanto riguarda il loro significato concettuale, sia in relazione al loro contesto di sviluppo. Mostreremo infatti che la differenza tra i due concetti non è solo semantica, ma anche e soprattutto metodologica: essi rappresentano il risultato di due tipi di approcci diversi ai problemi fondamentali della fenomenologia, approcci che si intersecano e sono più complementari che contraddittori. Il concetto di monade, infatti, sarebbe divenuto intorno agli anni ’20 il tema centrale dei manoscritti preparatori per un “grande lavoro sistematico”, in parallelo allo sviluppo dell’idea di fenomenologia genetica. Questo ci permette di trarre due fondamentali conclusioni: 1. Il tema della monade non solo precede la vera e propria “svolta idealistico-trascendentale”, ma rappresenta nei confronti di Idee I una tentativo di soluzione alternativo ai problemi sopra menzionati; 2. I suddetti problemi non trovarono soluzione definitiva nella pubblicazione del 1913, e rimasero al centro della ricerca husserliana almeno fino agli anni ’201, trovando una possibilità di approfondimento proprio attraverso la ripresa dell’idea di monadologia.
Nel primo paragrafo del presente capitolo mostreremo in che modo Husserl introdusse il concetto di ego trascendentale in Idee I e in manoscritti ad esso affini, sottolineando le peculiarità metodologiche e l’orizzonte tematico su cui sorse la necessità di una tale presa di posizione, con i limiti intriseci che essa porta con sé.
Successivamente, nel secondo paragrafo, metteremo in evidenza come Husserl avesse già sviluppato, prima ancora della pubblicazione di Idee I, altre tipologie di approccio agli stessi temi. In particolare sottolineeremo come avesse già delineato, soprattutto nelle lezioni di Gottinga sul “concetto naturale di mondo”, una via alternativa di accesso alla soggettività trascendentale. Evidenzieremo infine come il concetto di monade,
1 In realtà, come vedremo, questi problemi rimarranno centrali lungo tutto il percorso intellettuale di Husserl,
generando numerosi tentativi di soluzione, ma non giungendo mai ad una vera e propria conclusione definitiva.
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per come esso viene ripreso negli anni ’20, risulti più comprensibile proprio in relazione al “concetto naturale di mondo”, mostrando in che senso esso possa rappresentare il risultato di un punto di vista diverso e complementare rispetto a quello che conduce all’io trascendentale negli anni 1913-15.
Il primo riferimento esplicito ad una Monadologia si ha negli anni immediatamente precedenti alla cosiddetta “svolta idealistico-trascendentale”. La monade è introdotta da Husserl, già in questi anni, come concetto risolutivo in relazione a due ambiti di problemi: da una parte la questione, centrale nel periodo successivo alla pubblicazione delle Ricerche logiche2, dell’unitarietà del flusso di coscienza; dall’altra il problema dell’intersoggettività, sviluppato negli stessi anni come questione connessa alla costituzione del mondo obiettivo.
Troviamo queste due tematiche al centro di un manoscritto del 1908 intitolato “Monadologie”, testo in cui la dottrina della monade viene per la prima volta citata da Husserl:
Bewusstseinsstrom, in dem sich alle Welt konstituiert. Aber der Bewusstseinsstrom ist zunächst doch mein Strom. Er ist gebunden an meinen Leib?. Was heißt das: gebunden an meinen Leib? Der Leib konstituiert sich doch selbst im Bewusstseinsstrom. […] Darin die Auffassungen der dinglichen Setzung, der einfühlenden Setzung von ‘anderen Personen’3.
La corrente di coscienza è presentata qui come l’assoluto costituente, in cui ogni mondo, e ogni cosa nel mondo, viene costituita come unità di validità. La questione è però che questa coscienza, che si presenta come il costituente assoluto, in quanto essa stessa esperita, si offre originariamente nell’esperienza come “mia”, cioè relazionata ad un ego esperiente al quale ogni vissuto si riferisce necessariamente. L’ego, in tal modo, sembra essere posto come condizione di possibilità del flusso di coscienza stesso, nonché come centro unificante delle sue esperienze. Allo stesso tempo la sua connessione al corpo vivo
2 HU XVIII, XIX/1, XIX/2, tr. it E. Husserl, Ricerche logiche, voll. I, II, Il saggiatore, Milano 1968. La
centralità del problema dell’unità del flusso di coscienza negli anni che separano le Ricerche logiche da Idee I emerge ad esempio nelle lezioni sulla coscienza interna del tempo del 1905, cfr. E. Husserl, Die Vorlesungen über das innere Zeitbewusstsein aus dem Jahre 1905, in HU X, pp. 3-98, tr. it. in Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo (1893-1917), a cura di A. Marini, Franco Angeli Editore, Milano, 1992, pp. 43-121.
3 Hu XIII, p. 5 [“Corrente di coscienza, in cui ogni mondo si costituisce. Ma la corrente di coscienza è prima
di tutto certamente la mia corrente di coscienza. Essa è vincolata al mio corpo vivo? Cosa significa questo: vincolata al mio corpo vivo?. Il corpo vivo si costituisce esso stesso nella corrente di coscienza. […] li sono le assunzioni della posizione materiale (Dinglich), la posizione empatizzante di altre persone”, tr. it. mia].
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[Leib] viene interpretata come principio di individuazione4. Il corpo mi vincola ad un qui ed ora, il che significa ad un preciso “punto di vista [Standpunkt]”, ad un singolo “contesto egologico [Ichzusammenhang]”5. In tal modo si pone il problema di comprendere il rapporto tra coscienza, ego e corpo vivo. Da una parte il corpo vivo è un costituito, un’unità di validità che è il prodotto della costituzione, dall’altra esso vincola evidentemente a sé la coscienza stessa, che non potrebbe esperire (e quindi svolgere la sua funzione costituente) senza essere centralizzata in un corpo, e nella spazio-temporalità a cui esso la vincola6. Se la coscienza costituente si identificasse con l’ego empirico in connessione al corpo vivo e alla sua collocazione spazio-temporale, avremmo come risultato una relativizzazione e individualizzazione della costituzione che farebbe di fatto sfociare la fenomenologia in un radicale relativismo scettico7.
Tale questione si connette immediatamente al problema dell’intersoggettività: io trovo l’altro come sintesi di validità all’interno della mia vita esperiente, e in questo senso l’altro soggetto è prodotto della costituzione così come ogni altro oggetto nel mondo. Ma se ci si fermasse a questa conclusione non sarebbe giustificabile alcun reale accordo tra i
4 Il problema dell’individuazione è intrinsecamente connesso alle tematiche dell’unitarietà del flusso e
dell’intersoggettività. In questo capitolo tale questione sarà toccata solo di passaggio. Nei prossimi capitoli esso prenderà rilevanza in relazione al tema della fenomenologia genetica e dell’intersoggettività trascendentale. Husserl non ha mai preso una precisa posizione su questo tema. Alcune volte sembra che l’individualità sia connessa alla corporeità e ai dati hyletici, altre volte troviamo, nella direzione opposta, il tentativo di erigere a principio di individuazione l’io stesso (ma in questo modo Husserl incappa di fatto in un circolo vizioso. Cfr. A.Altobrando, Husserl e il problema della monade, Trauben, Torino 2010, §8). Nel quarto capitolo tenteremo di chiarire il tema anche in relazione al concetto di “mondo della vita” e al problema della “dottrina trascendentale del metodo” (cfr. infra, cap. 4, parr. 2 e 4).
5 Cfr. HU XIII, pp. 2, 3.
6 Come tenteremo di mostrare nei prossimi paragrafi, il contesto problematico in cui si inserisce il concetto di
monade è esattamente quello del rapporto tra flusso di coscienza assoluto ed ego, rapporto che, con l’ammissione dell’ego trascendentale nel 1913, viene più complicato che districato. Tra il flusso assoluto di coscienza e l’ego deve poter sussistere un problematico rapporto di identità e differenza. Da un lato, infatti, identificando completamente flusso di coscienza ed ego diverrebbe impossibile giustificare la possibilità di molteplici flussi di coscienza, e inoltre l’attualità peculiare dell’ego esperiente; dall’altra, porre una radicale differenza tra flusso costituente ed ego significherebbe non rendere conto dell’unitarietà della vita di coscienza, di cui l’ego è evidentemente l’espressione attuale, nonché, dal punto di vista gnoseologico, rinunciare a qualsiasi possibilità di un’esperienza fenomenologica pura riferita esclusivamente alla chiarificazione della vita di coscienza, una vita che in tal modo rimarrebbe trascendente a qualsiasi riflessione egologica. Per la connessione di questo problema all’introduzione del concetto di monade cfr. infra cap. 1, par. 2, §3 . Per la sua rilevanza nell’ambito di una dottrina trascendentale del metodo come “fenomenologia della fenomenologia”, cfr. infra cap.4.
7 Sebbene, come mostreremo, la coscienza costituente non può mai essere concretamente distinta dall’ego
nella sua fatticità empirica, e sebbene il nostro scopo sia proprio mostrare l’intrinseca inseparabilità di ego trascendentale ed ego empirico, queste conclusioni possono essere raggiunte solo problematizzando l’identità ingenua di uomo e soggettività trascendentale, ovvero attuando una riduzione radicale, e giungendo solo successivamente, ad un livello di analisi superiore, a presentificarsi l’inseparabilità concreta di trascendentale ed empirico. Se questa inseparabilità viene data per scontata e assunta all’inizio dell’indagine, essa ci condanna a un discorso colmo di ingenuità e privo di radicalità: in ultima analisi ad un discorso non filosofico.
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soggetti nel mondo, alcuna autentica comunicazione, alcuna obiettività in senso proprio. L’altro rimarrebbe sempre assolutamente irraggiungibile, oppure verrebbe ridotto a oggetto costituito nella “mia” coscienza, e perderebbe drammaticamente la sua trascendenza, il suo autentico valore di alterità:
Nun mache ich auch Erfahrung in Beziehung auf andere […], Von Wahrnehmungen ausgehend führt mich das Denken zur Annahme eines empirischen Seins, das nicht wahrgenommen ist und nie wahrgenommen werden kann […]. Ich kann die unverträgliche Erscheinung haben zu einer anderen Zeit, wenn ich einen anderen Ort im Raum einnehme. Und ebenso kann ein ‘Anderer’ dieselbe Erscheinung jetzt haben, der eben jetzt an einem anderen Orte ist. Sollen wir so sagen: halte ich die Erscheinungen, so wie ich sie habe oder mir vergegenwärtige, fest, dann schließt ihr Wesen die Vereinbarkeit aus; nehme ich aber einen unbekannten Unterschied an […], so besteht wiederum Vereinbarkeit. Diese Unterschied ist der Unterschied der Individuen. Also die Kontinuität von Zeit und Raum ist noch nicht das voll Individualisierende8.
La relazione necessaria del flusso di coscienza all’ego e al corpo vivo conduce al problema dell’individuazione, del rapporto tra più flussi di coscienza individuali e del loro possibile accordo. Vi è una necessaria incompatibilità delle mie apparizioni con quelle dell’altro, una distanza insuperabile tra il mio flusso unitario di coscienza e il flusso di coscienza che io presuppongo nella presentificazione entropatica, ma che non è mai presente come datità immediata.
Se la tematizzazione della relazione vincolante tra flusso dei vissuti ed ego potrebbe indurci a trovare in questi passi una anticipazione dell’ammissione dell’ego trascendentale cui Husserl giungerà esplicitamente nel 1913, il modo in cui qui il problema dell’io viene posto in relazione alla presentificazione dell’altro evidenzia un contesto argomentativo del tutto diverso rispetto a quello di Idee I9. In questi manoscritti di ricerca non è ancora in
8 HU XIII, pp. 2, 3.[“io faccio anche esperienza in relazione all’altro, dalla percezione emergente il pensiero
mi guida alla assunzione ipotetica di un essere empirico che non è percepito, e che non potrà mai essere percepito […]. Io posso avere l’apparizione incompatibile in un altro tempo, o se occupo un altro punto nello spazio. E anche un altro, che proprio ora si trova in un altro punto, può avere ora la stessa apparizione. Potremmo dire: se io tengo ferme le apparizioni così come le ho e come me le presentifico, la loro essenza esclude l’accordo; se ipotizzo una differenza sconosciuta allora sussiste nuovamente possibilità d’accordo. Questa differenza è la differenza degli individui. Anche la continuità del tempo e dello spazio non è ancora il pieno individualizzante.”, tr. it. mia].
9 Come sottolinea Altobrando (Cfr. A. Altobrando, op.cit., pp. 102, 103), in realtà dal punto di vista
dell’unitarietà della coscienza questo manoscritto pone più problemi di quanti ne risolva: parlare di un processo di individuazione del flusso di coscienza assoluto risulta problematico alla luce della tesi della atemporalità del flusso costituente e della necessaria temporalità di ciò che è individuale (cfr. HU X, §§ 31 e 35). La svolta genetica che la fenomenologia attuerà intorno agli anni 1916-18 rappresenta, tra le altre cose, anche il tentativo di porre rimedio a questa difficoltà (cfr. infra, cap.2).
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gioco l’esistenza di una unità egologica trascendentale data nell’esperienza apodittica evidente, ma qualcosa di fondamentalmente diverso: la necessità di ammettere una identità trascendentale che precede e fonda la differenza tra gli individui, la molteplicità dei flussi costituenti separati, la possibilità, cioè, di una intersoggettività trascendentale. Se muovo dal mio flusso unitario di vissuti non troverò mai una tale differenza, poiché in tal caso la separazione stessa tra me e l’altro sorge in seno alla mia coscienza, e viene reinclusa nell’unità assoluta di un’unica vita egologica. Ma proprio perché io trovo l’altro come tale nel mondo, per non ridurlo a mera unità di validità e trovare il fondamento del valore trascendentale che io “naturalmente”10 gli attribuisco, mi trovo costretto ad ipotizzare una molteplicità di flussi distinti, una separazione individualizzante, che avviene a partire da un campo originario universale11. Dunque non è qui in gioco tanto l’ammissione di un ego trascendentale che fondi l’unitarietà e la possibilità dell’esperienza, ma la necessità di ammettere una costituzione genetica dell’ego, un processo di costituzione individualizzante in cui l’Io sorge come distinto dagli altri Io che si daranno successivamente come oggetti nella sua esperienza. Il mondo in cui l’uomo vive, e l’uomo stesso in quanto “essere-nel-mondo” è prodotto di una costituzione che non può essere che intersoggettiva12, e che deve precedere la mia esperienza individuale stessa.
Il concetto di monade viene introdotto proprio in questo contesto argomentativo, nel tentativo di risolvere l’aporia in cui la fenomenologia rischia di cadere constatando la necessaria relazione del flusso di coscienza assoluto all’ego individuale:
Entwicklung der Welt ist Entwicklung des Bewusstsein, und alles Physische ist selbst nur eine Beziehung zwischen Bewusstseinen, deren Wesen si geartet ist, dass wir in unserem Denken sie setzen messe in Form der physicalischen Materien, Kräfte, Atome etc. Womit wir im Grunde Leibnizens Monadenlehre erneuert hätten. Und die Monade hat keine Fenster, die Monaden stehen nicht in Wechselwirkung, sondern haben einen universellen Akkord. […] So kann mittels der physischen Welt jeder Geist auf jeden wirken. Sie sind in universellem Akkord, sie haben einen grundgesetzlichen Zusammenhang. Sie haben keine Zusammenhang
10 Sul senso della “naturalità” delle donazioni di senso che costituiscono le oggettualità mondane come unità
di validità, cfr. Infra, cap.1, par. 2.
11 È proprio in questi termini che il problema dell’intersoggettività trascendentale verrà affrontato nelle
lezioni sul concetto naturale di mondo del 1910-11 (Cfr.infra, cap.1, par.2).
12 Il tema della costituzione intersoggettiva emerge esplicitamente in un commento che Husserl appone in
nota a questo passo:“Objektive Zeit und objektiver Raum ist schon bezogen auf Individualitaet. Objektiver Raum ist intersubjectiver Raum – so wie der Satz dasteht, ist er schief, aber es steckt eine grosse Wahrheit” (HU XIII, p. 3, nota 1).
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durch anderes als Bewusstsein, aber sie haben diesen Ordnungszusammenhang in Form einer sie alle notwendig befassenden Gesetzlichkeit”13.
Se la coscienza è l’assoluto costituente, si pone l’esigenza di comprendere in primo luogo il peculiare rapporto tra più coscienze costituenti, in secondo luogo la differenza fondamentale tra flusso di coscienza assoluto costituente ed ego in generale. L’altro non può essere semplicemente trovato nel mondo, ma il suo stesso senso d’essere ci obbliga a ricercare la sua radice trascendentale, il modo in cui anche esso, per essere un autentico altro-soggetto, deve poter essere espressione della coscienza costituente assoluta, e parallelamente, esattamente come me, distinto da essa in quanto sua individuazione. Ed è in questa direzione che Husserl asserisce che ogni esistente sorge come prodotto di una relazione tra coscienze. Il concetto di monade e la dottrina leibniziana vengono qui richiamati per determinare il senso di questa costituzione intersoggettiva, che rischia altrimenti di divenire incomprensibile.
È infatti fin troppo semplice fraintendere l’argomentazione husserliana in senso storico-evolutivo: il senso d’essere “mondo” sorge come unità di validità in base alla relazione tra più coscienze, ad una comunicazione primitiva tra soggetti che segna l’inizio del processo costitutivo, l’inizio dell’umanità e del suo sviluppo. Ma “le monadi non hanno finestre, le monadi non stanno in interazione [Wechselwirkung]”. La comunicazione stessa è qualcosa che avviene “nel mondo”, che avviene “tra uomini”. Essa non può stare alla base della costituzione del mondo e dell’uomo, poiché presuppone entrambi. Ogni spirito può agire su ogni altro solo per mezzo del mondo fisico, che ogni singola coscienza ha generato per sé come frutto di costituzione che non può essere solipsista, ma deve essere intersoggettiva. Non vi è alcuna interazione tra monadi, alcun contatto. Ogni monade è un’ immanenza onnicomprensiva in cui la trascendenza stessa, l’alterità mondana, l’oggettualità come essere esterno, il mondo, l’uomo e l’umanità con il senso d’essere di comunità umana storica, si costituiscono.
Husserl riprende il concetto leibniziano di “armonia”14, operandone una torsione che gli permette di inserirlo all’interno della sua filosofia. L’armonia intermonadica non è
13 HU XIII, p. 7 [Il sorgere del mondo è il sorgere della coscienza, e tutto ciò che è fisico è esso stesso
solamente una relazione tra coscienze, l’essenza delle quali è siffatta, che noi nel nostro pensiero le dobbiamo porre nella forma di materie, forze, atomi ecc. Con ciò noi abbiamo rinnovato in profondità la dottrina leibniziana della monade. E le monadi non hanno finestre, le monadi non stanno in interazione, bensì hanno un accordo universale. […] così ogni spirito può agire su ogni altro spirito tramite il mondo fisico. Essi sono in accordo universale, essi hanno una connessione costitutiva. Essi non hanno una connessione attraverso gli altri come coscienza, bensì hanno questa connessione di norme (Ordnungszusammenhang) nella forma di una legalità che li interessa tutti necessariamente.”, tr.it. mia, corsivo mio].
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chiamata in causa per rendere conto dell’ordine che regola il rapporto tra gli eventi di coscienza e il mondo fisico15, bensì per rendere intelligibile la relazione tra più coscienze separate, il cui contatto è di principio impossibile. Se la costituzione fosse peculiarità dell’ego che la tematizza fenomenologicamente, dell’ego che io sono mentre fenomenologizzo, l’alterità autentica sarebbe esclusa dalla considerazione. Su di essa, come sul mondo, qualsiasi tipo di giudizio andrebbe sospeso. Ma questo è inaccettabile per una esperienza pura che aspira a divenire scienza, ad avere un ruolo storico-culturale senza perdere di vista il fine della conoscenza universale16.
L’alterità non può essere messa tra parentesi in quanto tale, ma solo nella sua manifestazione empirica. Essa, esattamente come avverrà per l’ego esperiente in Idee I, deve poter ritrovare una radice trascendentale. La costituzione intermonadica deve poter fondarsi su di un’identità originaria che non si genera in seno ad ogni monade, ma determina l’essenza stessa di ogni sviluppo monadico, a priori e necessariamente. Troviamo già in questo manoscritto tutti gli aspetti fondamentali che determinano il senso del concetto di monade all’interno della fenomenologia: l’onnicomprensività della sua esperienza costituente; l’assenza di interazione tra più monadi; la necessità di un accordo universale apriorico tra i molteplici flussi monadici, che qui viene espresso come una “legalità” che li interessa tutti necessariamente.
Inoltre è importante notare, come sottolinea Altobrando analizzando questi passi, che “La monade si inizia ad affermare nella riflessione husserliana come quel concetto che denota il flusso concreto, contenente tanto i momenti costituenti quanto i momenti costituiti” permettendo di “superare quella sorta di formalismo cui Husserl già accennava
14 Cfr. G. W. Leibniz, Monadologia, tr. it. di S. Cariati, Bompiani, Milano 2014.
15 È questo il senso che Leibniz conferisce al concetto di “armonia”, parlando di “un’Armonia prestabilita fin
dall’inizio tra il sistema delle cause efficienti e quello delle cause finali: ed è in ciò che consiste l’accordo e l’unione fisica di anima e corpo, senza che l’una possa modificare le leggi dell’altro” (Ivi, §3).
16 Possiamo qui notare che, oltre all’ego trascendentale (cfr. infra, cap. 1, par.1), anche la monade viene
introdotta da Husserl nel tentativo di superare il rischio, sempre presente per la fenomenologia, di cedere al relativismo. Così come c’è bisogno di ammettere l’esistenza di un ego non empirico perché la fenomenologia come esperienza non ceda allo scetticismo che essa tenta di sfidare, allo stesso modo c’è bisogno di una radice trascendentale dell’intersoggettività, perché la fenomenologia in quanto scienza non riduca se stessa a un mero prodotto storico-culturale ( per l’importanza di questo tema nell’ambito di una fenomenologia della storia e di una “fenomenologia della fenomenologia”, cfr. infra cap. 4). In questo senso Il problema dell’intersoggettività come tema fenomenologico ha poco a che fare, come tenteremo di mostrare, con la giustificazione filosofica dell’esistenza di altri soggetti. L’altro non è mai presente, con le sue esperienze private, alla mia coscienza, e reimpostare la questione nei termini di una costituzione intersoggettiva non aiuta a rendere intelligibile l’esistenza indubbia dell’alterità. Piuttosto si tratta di porre in primo piano la reciproca inerenza tra flussi di coscienza separati, la reciproca influenza e costituzione, il sorgere della mia identità con me stesso e della mia individualità in un contesto già per principio intermonadico o intersoggettivo. In tutto ciò, l’esistenza d’altri viene da un lato messa tra parentesi, dall’altro affermata come un fatto trascendentale, la cui innegabilità è implicita nell’esperienza stessa (per questo vedi anche infra, cap. 1, par. 2, §§ 2, 3).
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nelle Zeitvorlesungen che minaccerebbe di considerare il flusso come una sorta di costituente vuoto”17. Se la via di uscita, in questi manoscritti poco più che intravista, dal problema dell’intersoggettività risiede nel concetto di “armonia intermonadica”, la soluzione al problema del rapporto costituente-costituito e dell’unità del flusso costituente sembra invece risiedere nel concetto di “concretezza”, cioè nell’idea dell’onnicomprensività dell’esperienza monadica, che racchiude in sé tanto i momenti costituenti quanto le oggettualità costituite.
Se il problema dell’intersoggettività e quello dell’unitarietà del flusso costituente definiscono il contesto a partire dal quale il concetto di monade viene introdotto nella fenomenologia, furono in buona parte le stesse difficoltà a condurre Husserl alla cosiddetta “svolta idealistico-trascendentale”18. Come ha giustamente notato Marbach: “appartiene all’essenza della cosa, del mondo nel suo complesso, anche la possibilità di essere contemporaneamente accessibile a più percezioni”19. In questo senso le questioni sopra indicate sorgono sul terreno delle analisi svolte nelle Ricerche logiche, e determinano l’intero sviluppo del pensiero di Husserl tra il 1905 e il 1913, conducendo da un lato all’introduzione del concetto di monade nei manoscritti del 1905-10 dedicati all’intersoggettività, dall’altro all’ammissione dell’esistenza dell’ego trascendentale. Si può quindi forse affermare che, pur avendo negato esplicitamente, nelle Ricerche Logiche, l’esistenza di un ego diverso da quello empirico a fondamento dell’unità del flusso dei vissuti, i risultati di quelle ricerche sono quasi del tutto indifferenti al tema dell’io20. Ciò che si dà in una pura evidenza fenomenologica, l’essenza intenzionale dei vissuti e dei loro contenuti noematici, non è affatto influenzato dalla posizione riguardo all’esistenza di un
17 A. Altobrando, op.cit., p. 194. Questa opposizione tra formalismo e concretezza è fondamentale ai fini di
comprendere la differenza tra i due procedimenti che conducono rispettivamente all’io trascendentale come io puro e alla monade (cfr. infra, cap.1, par.1).
18 Per una dettagliata indagine sulla centralità del problema dell’intersoggettività e dell’unitarietà del flusso di
coscienza assoluto per il percorso che porta Husserl all’ammissione dell’esistenza dell’ego trascendentale cfr. E. Marbach, Das problem des Ich, cit., in particolare pp. 133-143; pp. 165-175; e pp. 74-105.
19 Marbach, Das problem des Ich, cit., p. 72, tr.it. mia.
20 Husserl stesso, in una aggiunta al paragrafo 8 della Quinta ricerca, risalente alla seconda edizione
dell’opera, sostiene: “Noto esplicitamente che la posizione che prendo qui (e che, come si è già detto non approvo più) sul problema dell’io puro resta irrilevante rispetto alle ricerche di questo volume. […] le sfere problematiche più comprensive della fenomenologia, che riguardano in una certa misura, lo statuto reale (reell) dei vissuti intenzionali ed il loro essenziale riferirsi agli oggetti intenzionali, possono essere sottoposte ad un’indagine sistematica, senza che si prenda posizione sulla questione dell’io in generale” (RL/II, V, p. 153). D’altra parte anche in Idee I, in uno dei paragrafi fondamentali per l’ammissione dell’io puro, Husserl sostiene “Avremo molto da dire intorno alla relazione intenzionale dei vissuti (e rispettivamente del puro io che li vive coscienzialmente) con gli obiecta […]. Ma tutto ciò può essere analiticamente o sinteticamente indagato e descritto in più ampie ricerche, senza che ci occupiamo a fondo dell’io puro e delle sue maniere di partecipazione” (HU III/1, §80 tr. it in Idee I, cit., pp. 200-202). Solo quando la ricerca “si orienta verso la pura soggettività” (Cfr. Ibidem), il tema dell’io puro assume davvero rilevanza.
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ego trascendentale21. Approfondendo successivamente le proprie ricerche, “dopo (e non certo contro) le Ricerche logiche”22, e non potendo più rimandare il problema dell’unità del flusso assoluto e della molteplicità dei flussi costituenti, Husserl sarebbe giunto alla “svolta idealistico-trascendentale”23. Tale svolta, in quest’ottica, risulta essere più un approfondimento di presupposti inindagati, che una rivoluzionaria presa di posizione24.
1.1 L’ammissione dell’ego trascendentale come io puro e l’espansione
dell’immanenza
Constatata l’identità di fondo dei problemi che conducono alla svolta trascendentale e alla rielaborazione della dottrina leibniziana della monade, si tratta di comprendere la differenza e il rapporto tra le due soluzioni e tra le vie metodologiche che vi conducono. A questo scopo è utile un commento di Altobrando ai manoscritti sull’intersoggettività del 1908. Dopo aver constatato che l’io che emerge dai passi sopra citati è necessariamente un’unità empirica sorta per associazione dalla molteplicità dei vissuti, egli sostiene:
Il problema che a questo proposito si pone è che i singoli contenuti su cui si fonda la costituzione dell’io come unità sarebbero qualcosa di casuale, incapaci di rendere conto dell’unità del flusso di coscienza costituente e dei costituiti, il che rischia di porre una certa ombra anche sull’effettiva consistenza della realtà dell’io che effettua l’analisi fenomenologica e che attua la relativa riduzione, in quanto se ne potrebbe dedurre che la stessa riduzione non
21 Questa ipotesi interpretativa è suggellata peraltro da O. Lauer, che sostiene a proposito della differenza tra
Ricerche logiche e Idee I: “potremmo caratterizzare la prima opera come una ricerca delle forme dell’esperienza nelle quali l’essere è riflesso, mentre lo sforzo di investigazione della seconda conduce nell’essere stesso attraverso le forme esperienziali nelle quali è riflesso” (O Lauer, Phenomenologie de Husserl. Essai sur la genese de l’intentionalitè, p. 147, cit. in Elio Franzini, Introduzione a Idee I, p. XVIII).
22 Cfr. Elio Franzini, Introduzione a Idee I,p. XV.
23 A tal proposito è interessante la posizione sostenuta da Marbach, Bernet e Kern, secondo la quale non solo
i due “contesti di motivazione” per l’introduzione dell’io puro nella fenomenologia sono legati al problema dell’intersoggettività e della definizione del cogito come atto dell’io, ma ancor di più essi darebbero origine a due concetti parzialmente diversi di io puro: “Mentre il concetto di io puro legato al primo contesto di motivazione, quello intersoggettivo, si lascerebbe differenziare già da sempre in ‘io’ e ‘tu’, il concetto di io puro in quanto forma del cogito sta al di qua di ogni simile differenziazione”, di conseguenza, “all’interno dell’opera complessiva di Husserl ci si imbatte anche in una profonda ambiguità relativamente al concetto di io puro, poiché Husserl trae il contenuto di questo concetto dai due ambiti tematici del tutto differenti a cui abbiamo accennato” (R.Bernet, I.Kern, E. Marbach, Edmund Husserl, Il Mulino, tr. it a cura di C. La Rocca, Bologna 1992, cap. 8).
24 Sostiene ancora Marbach a tal proposito: “È dunque necessario comprendere che al fondo del principio
della costruzione di una corrente di coscienza unitaria giace l’idea di un io puro” (E. Marbach, Das problem des Ich, cit., p. 103, tr. it. mia.), evidenziando come l’io puro fosse un presupposto tacito e nascosto, implicato fin dall’inizio nell’idea stessa di fenomenologia.
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sia altro che il frutto di un’abitudine e, così, i suoi risultati si troverebbero ridotti a un’occorrenza casuale in una regolarità meramente empirica25.
Soffermandoci su questa difficoltà, possiamo indicare un terzo e fondamentale motivo che avrebbe spinto Husserl, più o meno consapevolmente, verso l’ammissione di un ego trascendentale (e che non sembra invece influire, almeno inizialmente, sull’introduzione del concetto di monade): se l’ego fosse esclusivamente e in ogni suo significato un ego empirico (nel senso di unità costituita e non costituente), la fenomenologia si troverebbe in un profondo imbarazzo di fronte a se stessa.
Questo imbarazzo sorge a ben vedere con lo sviluppo del concetto di “riduzione”26, che, non a caso, è attestabile proprio intorno a questi anni27. Nel momento in cui giunge a tematizzare l’atto fondante dell’atteggiamento fenomenologico, Husserl trova di fronte a sé un problema aggiuntivo: se l’ego è in senso proprio esclusivamente un’unità empirica appercettiva, sorta dalla molteplicità casuale dei vissuti, non si può in alcun modo giustificare la riduzione fenomenologica come atto rivoluzionario dell’io, fondante la possibilità di un esperienza autenticamente pura e priva di presupposti. Il soggetto dell’atto riduttivo sarebbe esso stesso il frutto di un processo costitutivo all’origine del quale non si troverebbe altro che la necessità dello sviluppo del flusso di coscienza28. Non vi è qui alcuno spazio per un atto autentico dell’io, in quanto non vi è alcun io autentico al quale l’atto può appartenere, alcun io trascendentale29. La necessità di affermare l’esistenza di un io diverso da quello empirico sorge dunque, innanzitutto, in connessione ad una precisa esigenza metodologica: quella di dare fondamento apodittico alla filosofia fenomenologica delle Ricerche Logiche30.
25 A. Altobrando, op.cit., pp. 115, 116.
26 Anche per questo aspetto vedi E. Marbach, op. cit., cap. II, in particolare pp. 30-36.
27 Cfr. HU II, tr. it. di Andrea Vasa, a cura di Marino Rosso, L’idea della fenomenologia. Cinque lezioni, Il
Saggiatore, Milano 1981.
28 Husserl stesso ammette, intorno agli anni 1923-24, l’importanza della scoperta della “riduzione
fenomenologica” per la definitiva ammissione di un ego trascendentale: “Sul terreno della riduzione fenomenologica, introdotta intorno agli anni 1905-1907, si ha innanzitutto l’impressione come se l’analisi fenomenologica avesse a che fare con i vissuti in una terra di nessuno [Nirgendheim]” (cfr. HU VII, p. 166, tr. It. Storia critica delle idee, tr. it. di G. Piana, Guerini, Milano 1989, p. 181).
29 A tal proposito Marbach, Kern e Bernet sostengono che i due motivi fondamentali che spinsero Husserl
all’assunzione dell’ego trascendentale fossero: “la possibilità di considerarlo 1) come principio dell’unità di una corrente di coscienza, delimitante questa nei confronti di altre correnti di coscienza, e di utilizzarlo 2) per la definizione del concetto pregnante di cogito come atto dell’io” (R. Bernet, I. Kern, E. Marbach, op.cit., p. 266), riassumendo fondamentalmente le tre questioni indicate.
30 Per comprendere il ruolo centrale svolto da questo bisogno di fondamento negli anni che separano le
Ricerche logiche da Idee I, ci possiamo affidare alle parole usate da Elio Franzini, che parla di una “nuova esigenza, dettata da un ethos al tempo stesso filosofico e sistematico, di offrire una evidente base metodologica al proprio pensiero, inquadrandolo in una considerazione fenomenologica fondamentale, cioè quella di un’epochè, riduzione fenomenologica, sospensione del giudizio […] che costituisce la principale
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Questa esigenza metodologica determina gli sviluppi del pensiero di Husserl sul tema dell’unitarietà del flusso di coscienza. Anche tale problema ha una connotazione squisitamente gnoseologica: se il mondo non è nient’altro che un’unità intenzionale costituita in seno alla coscienza, il senso della sua unitarietà e coerenza va ricercato nel flusso costituente in cui esso si genera31. Proprio in connessione a questo problema, negli stessi anni, Husserl comincia ad approfondire il tema dell’io: “E ora il problema: se dico ‘io’, allora pongo con ciò qualcosa che non è una cogitatio, ma io mi ascrivo questa o quella cogitatio come ‘mia’, anche quelle in cui compio l’affermazione ‘io’. In tal modo ho assolutamente data una coscienza unitaria”32. Non è l’io come cogitatio, come oggetto intenzionato, che fonda l’unitarietà del flusso dei vissuti. Io sono sempre rivolto verso altro da me: perfino quando mi intenziono come ego umano, come uomo nel mondo, io sono sempre il soggetto del cogito attuale. Io non mi intenziono mai veramente in quanto soggetto33. In questa tesi confluisce il bisogno di fondamento maturato da Husserl in connessione all’idea di riduzione, e da essa defluiscono gli sviluppi successivi più importanti del suo pensiero. Tale posizione è centrale in un duplice senso: da un lato Husserl afferma per la prima volta l’esistenza di un io “incogitatum”, dunque di un’unità egologica che non si genera in seno alla coscienza, bensì costituisce la sua condizione di possibilità, determinandosi come polo soggettivo dell’atto intenzionale senza il quale non sussisterebbe di fatto alcuna intenzionalità, alcuna coscienza; dall’altro tale Io, rimanendo evidentemente escluso, in quanto soggetto dell’atto riduttivo stesso, dalla sospensione del giudizio che mette tra parentesi il mondo costituito, fornisce all’esperienza fenomenologica il terreno di assoluta apoditticità che essa andava ricercando. L’io puro non è dubitabile: ogni dubbio lo presuppone come suo soggetto.
acquisizione, in primo luogo terminologica, degli anni che conducono dalle Ricerche logiche verso Idee I” (E. Franzini, Introduzione a Idee I, p. XIV. Cfr. anche Ivi, p. XVII).
31 Come sottolinea Marbach, infatti, per Husserl “solo un ordine è conoscibile” (cfr. Marbach, Das problem
des Ich, cit., p. 259, tr. it. mia), e tale ordine non può che trovarsi nella coerenza e unitarietà del flusso costituente.
32 HU XXXVI, p. 7, tr.it. mia, corsivo mio.
33 Nel paragrafo 2, §3 del presente capitolo mostreremo quanto la distinzione tra “io puro intenzionante” e “io
puro intenzionato” sia fondamentale per comprendere fino in fondo il rapporto tra monade e io trascendentale. Occorre però premettere che i due “io puro” non sono realmente distinti. L’identità trascendentale tra l’io intenzionante e l’io intenzionato è in realtà la condizione di possibilità di un’autentica riflessione trascendentale, senza la quale la fenomenologia stessa sarebbe in definitiva impossibile. Il problema del problematico rapporto di identità e differenza tra i due ego trascendentali sarà, come vedremo, uno dei temi fondamentali della “fenomenologia della fenomenologia” tentata da Fink nella Sesta meditazione (Cfr. infra, cap.4, par.4). Nel quarto capitolo tenteremo di offrire una soluzione a questo problema proprio usufruendo degli strumenti concettuali e metodologici che la monade offre alla fenomenologia.
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In questo periodo sussiste però ancora, parallelamente al tentativo di fondare l’unitarietà della coscienza su di un io “incogitatum”, il timore di una ricaduta empirico-psicologistica della fenomenologia. Come già visto, identificando la coscienza costituente con un io singolo si corre il rischio di individualizzare la costituzione e di far sfociare la fenomenologia in un elaborato solipsismo trascendentale. Proprio questo rischio gioca un ruolo fondamentale nel condurre Husserl a distinguere esplicitamente l’io che sta a fondamento dell’unità dell’esperienza in quanto Io puro dall’io empirico che non è altro che un’unità empirica costituita. Come sottolinea infatti Marbach, l’io puro come centro di orientamento di tutti i vissuti, come “Blick auf”, nasce in analogia con il corpo vivo [Leib] come centro della vita di coscienza, e da questo punto di vista non sussisterebbe alcun motivo per elevarlo a rango di io trascendentale, per trasformare cioè il flusso di coscienza assoluto in un io assoluto costituente.
§1 L’apoditticità del vissuto “io sono” e l’io come polo vuoto dei vissuti
Queste considerazioni permettono di inserire il modo in cui l’io trascendentale viene ammesso in Idee I in un contesto di ricerca più ampio, e di evitare i fraintendimenti cui quel testo conduce se preso isolatamente.
A partire da questi presupposti si può comprendere come l’io trascendentale trovi determinazione soprattutto in riferimento al suo darsi in una evidenza apodittica immediata, come residuo di epochè che, pur mettendo tra parentesi l’intero mondo e l’io empirico che ne fa parte, presuppone come suo soggetto un io puro, un io irriducibile. Si legge a tal proposito in Idee I:
Se però compio l’epochè fenomenologica, “io l’essere umano”, come l’intero mondo della tesi naturale, subiamo la messa fuori circuito, e quindi non rimane che il puro vissuto dell’atto con la sua propria essenza. […] e d’altra parte vedo che nessuna messa fuori circuito può eliminare la forma del cogito e cancellare il puro soggetto dell’atto34.
Io in quanto uomo, con le mie esperienze individuali, le mie abitualità, la mia personalità e la mia storia, vengo messo tra parentesi insieme al mondo35. L’evidenza attuale ed immediata che raggiungo attuando la riduzione non presenta altro che il vissuto puro in
34 Idee I, pp. 200, 201.
35 “In sé, l’io è invece immutabile. L’io puro non è un che di identico che abbia bisogno di annunciarsi e di
verificarsi attraverso una molteplicità di stati di proprietà permanenti, in stati inoltre determinati da mutevoli circostanze. Perciò l’io puro non va confuso con l’io della persona reale, col soggetto dell’uomo reale; l’io puro non ha disposizioni di carattere, facoltà, disposizioni originarie o acquisite ecc.” (Idee II, p. 109).
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quanto tale, una datità assoluta e indubitabile36. Ma io sono sempre presente, come soggetto di quel vissuto, come puro polo soggettivo dell’intenzionalità attuale. Ecco il senso autentico della scoperta cartesiana del cogito37: l’esistenza di un puro soggetto dell’intenzionalità, di un vuoto polo delle cogitationes.
A ben vedere, dunque, Husserl non sta ancora indagando il problema egologico in senso proprio, bensì sta ricercando il fondamento apodittico dell’esperienza fenomenologica. L’io concreto non è un polo vuoto: esso viene svuotato astrattivamente con l’atto riduttivo per essere posto a fondamento dell’esperienza fenomenologica38. La riduzione è un passaggio metodologico che spalanca la porta sulla soggettività trascendentale, sulla radice trascendentale dell’io. Sottolineare questo significa comprendere che l’esclusione della vita egologica, della temporalità del flusso infinito di vissuti, della genesi dell’ego, della storia personale, da ciò che si manifesta nell’evidenza del cogito cartesiano non significa voler ridurre l’io trascendentale nella sua unitarietà concreta a soggetto vuoto del vissuto attuale in un puro presente svuotato di qualsiasi alone temporale. Tale esclusione è un atto metodologico che mette in evidenza astrattivamente la possibilità, sempre attingibile da chiunque, di intuire l’assoluta esistenza dell’io, senza ridurlo a un cogitatum, senza perdere la sua trascendenza. Dal punto di vista del fenomenologo che procede a ritroso, l’io puro è la porta di accesso alla soggettività trascendentale; dal punto di vista del dispiegarsi necessario della soggettività trascendentale costituente esso è il punto limite in cui la costituzione fluisce, in cui essa diventa attiva.
36 La caratterizzazione del vissuto attuale come datità assolutamente evidente viene approfondita da Husserl
attraverso il confronto con il manifestarsi “per adombramenti” delle cose reali trascendenti. Il vissuto non si dà per adombramenti, esso è sempre dato nella riflessione come immediatamente evidente, intuito come datità assoluta. Cfr. Idee I, §§ 40-44, in particolare pp. 105-108.
37 Per la rielaborazione husserliana della scoperta cartesiana del cogito e per il senso autentico dell’io puro in
relazione a tale scoperta cfr. Idee I, §§ 40-46, in particolare p. 114 e Idee II, p. 108.
38 Che l’io non sia mai realmente vuoto, ma “preso” per così dire come tale astrattivamente (o meglio,
“riduttivamente”) per scopi metodologici, emerge implicitamente anche in un passo tratto dal Capitolo 1 della seconda sezione di Idee II, dedicato esplicitamente all’io puro: “Io prendo me stesso in quanto io puro, mi prendo cioè puramente come ciò che nella percezione è diretto verso il percepito, nel conoscere verso il conosciuto, nel fantasticare sul fantasticato […]; in ogni compimento di un atto è implicito un raggio del dirigersi, e io non posso descrivere questo raggio se non come un raggio che ha il suo punto di partenza nell’io, il quale perciò rimane indiviso e numericamente identico.” (Idee II, p. 102, corsivo mio).
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§2 L’io puro come soggetto del cogito. La distinzione tra cogito ed
intenzionalità
Ciò che abbiamo appena detto prende rilevanza in relazione alla distinzione, espressa in Idee I, tra cogito ed intenzionalità, e alla caratterizzazione dell’io puro come soggetto del cogito attuale:
Il flusso di coscienza non può mai consistere di pure attualità. Proprio queste ultime determinano […] il significato pregnante delle espressioni ‘cogito’, ‘io ho coscienza di qualcosa’, ‘io compio un atto di coscienza’. Per mantenere nettamente distinto nella sua stabilità questo concetto di atto, riserveremo esclusivamente a esso i termini cartesiani cogito e cogitationes. […] Possiamo definire un io desto come quello che, nell’ambito del suo flusso di vissuti, attua costantemente la coscienza nella forma specifica del cogito […]. L’essenza della corrente di vissuti di un io desto implica poi che, come dicemmo sopra, la catena delle cogitationes che fluisce in maniera continua sia costantemente circondata da un medium di inattualità39.
Sebbene il cogito, la relazione cogito-cogitatio-cogitatum, sia la forma propria dell’intenzionalità attiva ed attuale, un vissuto non è mai riducibile alla mera attualità. L’io puro è l’io desto di una intenzionalità attiva che, dirigendo l’attenzione su di un singolo vissuto, lo estrae da un orizzonte di vissuti che rimane sullo sfondo. Ciò che è importante qui è che questo “sfondo” di vissuti inattuali è un momento effettivo del flusso di coscienza. Esso non si situa, cioè, al di fuori della coscienza intenzionale, bensì solo al di fuori di quel tipo peculiare di intenzionalità che è il cogito, inteso come forma di qualsiasi atto di coscienza “in senso pregnante”40. La distinzione tra intenzionalità e cogito è ciò che permette l’unitarietà concreta del flusso di vissuti in una dimensione temporale, ovvero il riferimento dell’intera corrente di coscienza, attiva e passiva, desta e latente, al vissuto attuale e all’io che ne è il soggetto. Essa consente, con le parole di Husserl, “di indicare l’intera corrente dei vissuti come corrente di coscienza, e come unità di un’unica coscienza”41.
Riducendo l’esperienza intenzionale al cogito attuale sarebbe impossibile oltrepassare l’attualità, superare il singolo vissuto verso l’intera corrente di coscienza.
39 Idee I, pp. 83, 84. Per l’importanza dell’analisi del fenomeno dell’attenzione per la caratterizzazione dell’io
puro come punto di scaturigine della vita di coscienza vedi R. Bernet, I. Kern, E. Marbach, Edmund Husserl, tr. it. a cura di C. La Rocca, il Mulino, Bologna 1992. Edizione originale: Edmund Husserl. Darstellung seines Denkens, Hamburg, Felix Meiner Verlag, Hamburg 1989, pp. 269-270.
40 Cfr. Ivi, p. 80, nota 12. 41 Idee I, §84.
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Perché il cogito e il suo soggetto, l’io puro, possano veramente manifestarsi come apice di una vita di coscienza unitaria, momento d’attualità di un flusso infinito (ciò che è indispensabile affinché l’evidenza del cogito non rimanga sterile, la vuota evidenza di una presenza indeterminata, e diventi invece la manifestazione originaria dell’unitarietà della coscienza), è necessario che si generi la possibilità di trascendere l’istante attuale, la presenza originaria del singolo vissuto, verso l’infinità del flusso unitario dei vissuti che si estende verticalmente tra passato e futuro, e orizzontalmente verso i vissuti attuali di sfondo42.
Che questo passo sia necessario per risolvere la questione dell’unitarietà della coscienza lo si può intendere facilmente osservando da vicino la relazione tra il vissuto attuale e i vissuti di sfondo. L’evidenza attuale del cogito e dell’io puro che ne è il soggetto non dice niente a proposito della connessione di tale io ai vissuti passati, né rispetto ai vissuti “nell’orizzonte della simultaneità”. Ciò implica che se riducessimo l’intenzionalità al semplice cogito non si potrebbe in alcun modo porre l’identità tra io ricordato e io che ricorda, tra un io soggetto puro di un vissuto passato e un io soggetto puro di un vissuto presente, un vissuto attuale che ha la forma intenzionale del “ricordare”. Nessuna reale identità o continuità tra l’io attuale e l’io di un vissuto passato si manifesta all’interno dell’evidenza apodittica “io [ora] sono”, in quanto soggetto di questo vissuto [attuale].
Ora la riflessione fenomenologica ci insegnò che non in ogni vissuto l’io presta attenzione rappresentando, pensando, valutando, ecc., che non in ogni vissuto può essere riscontrato questo attuale occuparsi-dell’oggetto-correlato […] mentre questo stesso vissuto può racchiudere in sé l’intenzionalità. […] Mentre noi prestiamo adesso attenzione al puro oggetto nella modalità del “cogito”, “si manifestano” tuttavia vari oggetti, sono intuitivamente “dati alla coscienza” […]. Si tratta di un campo percettivo potenziale, nel senso che a tutto ciò che si manifesta in questo modo può prestare attenzione un particolare percepire (un cogito osservante), ma non nel senso che gli adombramenti sensoriali presenti nel vissuto […]
42 Husserl usa il concetto di sfondo in modo ambiguo. Questa ambiguità è stata sottolineata, tra gli altri, da
Marbach, che ha evidenziato l’esigenza di distinguere tra il “non osservato” che si trova nel campo noematico e ciò che è “implicitamente agente” ma non propriamente presente nello sfondo del vissuto (Cfr. E. Marbach, Dasproblem des Ich in der Phänomenologie Husserls, Martinus Nijhoff, The Hague, Netherlands 1974, p. 201). Altobrando tenta di dipanare questa ambiguità distinguendo l’orizzonte, come “campo dei vissuti potenziali”, dallo sfondo come “sfera delle noesi latenti”. Da questa distinzione rimarrebbe però escluso l’orizzonte dei vissuti passati, fondamentale per rendere conto dell’unitarietà del flusso di coscienza, di cui il vissuto attuale non è che un momento. Si può in questa direzione delineare un “altro possibile senso della differenziazione tra orizzonte e sfondo: l’orizzonte sembrerebbe corrispondere perlopiù al futuro, mentre lo sfondo riguarderebbe più il passato degli atti attualmente compiuti” (A. Altobrando, op.cit., p. 199, nota 360). Ciò che conta è comunque il fatto che attraverso questa terminologia, se pur ambigua, si arriva a comprendere che “gli atti ‘compiuti’ non esauriscono la vita dell’ Io” (Ibidem).
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manchino di qualunque apprensione oggettuale e che soltanto quando l’io presta attenzione a tali adombramenti si costituiscano in generale le manifestazioni intuitive degli oggetti43.
Ogni oggetto è un costituito, il prodotto di una sintesi coscienziale. Anche gli oggetti che rimangono sullo sfondo del vissuto attuale devono poter essere compresi nel flusso di coscienza costituente. Essi non si costituiscono sotto la luce del raggio d’attenzione dell’io, ma esistono già come momenti della corrente infinita di vissuti. Sebbene l’io puro si manifesti nella riflessione come soggetto vuoto del cogito, esso non sorge con il cogito, non comincia ad esistere in connessione con i suoi atti propriamente coscienti. L’intera vita di coscienza, la totalità del flusso di vissuti desti e latenti, possiede come proprietà essenziale il riferimento all’io puro. Esso, come sostiene Husserl rielaborando una famosa tesi kantiana, “deve poter accompagnare tutte le mie rappresentazioni”, precisando che “questa proposizione kantiana ha un senso se per rappresentazione intendiamo la coscienza oscura”44.
§3 L’espansione dell’immanenza e la monade in Idee II
Si può parlare, a proposito delle tesi appena analizzate, di “espansione dell’immanenza”45, ad indicare il tentativo husserliano di includere nella vita di coscienza l’intero flusso di vissuti desti e latenti. Ma a questo tentativo soggiace ancora un’ambiguità: da un lato l’io puro sembra dover essere sempre presente in ogni vissuto intenzionale, dall’altro esso si caratterizza come principio attivo di una coscienza che non si identifica con esso, bensì lo include come polo della sua attività. Come sottolinea Altobrando, Husserl sembra talvolta “identificare l’Io col flusso costituente stesso. Il concetto di monade nascerà, seppur faticosamente e non senza incertezze, in questa confusione e nel tentativo di superarla”46. Identificare l’io col flusso costituente significa ridurre la costituzione ad una attività desta dell’ego. Questo non solo comporterebbe l’impossibilità, che abbiamo già visto, di ricomprendere la soggettività trascendentale come intersoggettività costituente, bensì implicherebbe anche la relatività assoluta della costituzione del mondo, mondo che sorgerebbe ad ogni momento in virtù di un atto dell’io. Solipsismo trascendentale e relativismo scettico: la fenomenologia corre il rischio di diventare l’espressione più elevata di ciò che tenta di combattere.
43 Idee I, p. 210. 44 Idee II, p. 113.
45 Cfr. A. Altobrando, op.cit., §§7, 8. 46 Ivi, p. 204.