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Proprio ed estraneo Il senso della riduzione primordiale

3 MONADOLOGIA E ALTERITÀ: IL SENSO GENETICO DELL’INTERSOGGETTIVITÀ

3.2 Proprio ed estraneo Il senso della riduzione primordiale

Nel momento in cui Husserl giunge ad affrontare il problema dell’alterità la riduzione all’ego trascendentale è già stata compiuta e il fenomenologo si trova, concretamente, nell’atteggiamento trascendentale253. L’importanza di questa constatazione è duplice. Da un lato, infatti, ci si mostra in modo immediato che il senso trascendentale degli altri soggetti è, in un atteggiamento trascendentale, già dato, con i suoi propri modi di intenzionalità che, in quanto tali, ineriscono a me in quanto ego trascendentale. Dall’altro lato questo ci permette di assegnare il giusto valore alla riduzione di tipo particolare che Husserl ci vuole presentare. Non si tratta di escludere gli altri dalla mia considerazione naturale del mondo, bensì di escludere i modi intenzionali che, all’interno dell’esperienza trascendentale, costituiscono qualcosa come esterno all’ego, estraneo alla monade254. Tale

251 Il confronto con i Grundprobleme rende infatti possibile constatare quanto l’ampliamento dell’immanenza

teso ad includere in essa anche gli orizzonti passati, futuri ed attuali, sia lo stesso che rende possibile, in una appercezione presentificante, ritrovare in quella stessa immanenza espansa l’alter-ego in quanto altro soggetto. Così come il tema del tempo ha avuto bisongo di un’analisi genetica della coscienza per rivelare la sua trascendenza originaria, allo stesso modo il vissuto entropatico ha bisogno di mostrare il suo originario sorgere genetico affinchè la trascendenza dell’altro che in esso si esprime non venga forzatamente ridotta a presenza immanente.

252 Che le analisi della Quinta meditazione non siano esclusivamente o prevalentemente condotte in

atteggiamento statico è un fatto che è stato rilevato già da numerosi interpreti: cfr. ad esempio K. Held, Das Problem der Intersubjektivität und die Idee einer phänomenologischen Transzendentalphilosophie, in AAVV., Perspektiven transzendental-phänomenologischen Forschung. Für Ludwig Landgrebe zum 70. Geburstag von seiner Kölner Schülern, hsrg. von U. Claesges u. K. Held, Den Haag 1972, pp. 3-60 e D. Franck, Chair et corps. Sur la phénomenologie de Husserl, Les Editions de Minuit, Paris 1981; I. Yamaguchi, Passive sinthesis und Intersubjectivität bei Edmund Husserl, Phaenomenologica 86, Nijhoff, The Hague-Boston-London 1982. Molti hanno sottolineato, ad esempio, che il ricorso alla Paarung come sintesi passiva rende difficile pensare ad un contesto argomentativo prevalentemente statico (Cfr. anche infra, Cap.3, §2).

253 Cfr. MC, V, §44.

254 Sottolinea infatti Husserl che “lo strato inferiore come natura appartentiva [eigentliche Natur]” deve

restare “ben distinto dalla mera natura in senso assoluto […]. Invero, anche questa sorge mediante l’astrazione […] ma quel che si ottiene in quest’astrazione della ricerca naturale è uno strato che appartiene al mondo oggettivo stesso” (MC, V, p.119). la natura in senso assoluto è uno strato del mondo oggettivo costituito intersoggettivamente e sorge da una astrazione esercitata a partire dall’atteggiamento naturale. La riduzione primordiale, invece, sorge in un atteggiamento che è già trascendentale e non astrae uno strato del mondo oggettivo, bensì astrae dal mondo oggettivo e da tutti i suoi strati, mettendo tra parentesi la tesi stessa dell’ “obiettività” per ritrovarne l’origine intersoggettiva nella soggettività fungente.

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epoché è possibile solo per un ego trascendentale che racchiude in sé, come suo fenomeno, un alter-ego in quanto altro co-costituente, sulla base del quale si presenta, sempre all’interno dell’esperienza trascendentale, il senso del mondo in quanto mondo oggettivo, l’idea di oggettività.

Ora però, se l’analisi fenomenologica vuol essere effettivamente radicale, deve spingersi fino alla comprensione di ciò che, a questo livello di analisi, si presenta come ovvio, già dato, presupposto. Noi sappiamo solo, e lo cogliamo in modo evidente ed apodittico, che l’intenzionalità empatica rende possibile la costituzione di un mondo in quanto mondo valido per tutti, e comprendiamo entrambi gli oggetti, l’alter-ego e il mondo oggettivo, come fenomeni per l’ego trascendentale. Ma nel momento stesso in cui cogliamo la connessione tra l’alter-ego e il mondo oggettivo si presenta ai nostri occhi una differenza, una separazione, interna all’ego trascendentale, tra ciò che è proprio dell’ego in quanto tale e ciò che è ad esso estraneo, e che risponde al senso alter-ego o su di esso si fonda. Tale differenza si presenta problematicamente all’interno della sfera trascendentale, e, così come ci è data, lungi dal giustificare l’intersoggettività che da essa scaturisce, ci spinge a ricercare l’origine di tale distinzione all’interno della vita costituente dell’ego trascendentale. Come abbiamo premesso, l’alter-ego come fenomeno fa esplodere l’immanenza apodittica conquistata, poiché rende problematica la sua originarietà. Solo osservando e giustificando il modo in cui l’alter-ego può sorgere originariamente nell’immanenza monadica noi avremo definitivamente fondato l’esperienza trascendentale apodittica:

L’atteggiamento trascendentale è sempre e rimane presupposto, secondo il quale tutto ciò che valeva come per noi esistente, viene preso esclusivamente come fenomeno, come senso presunto che si verifica, puramente nel modo in cui ha ottenuto per noi senso d’essere come correlato dei sistemi costitutivi da scoprire. E’ proprio questa scoperta e chiarificazione di senso che prepariamo con l’epochè di nuovo genere255.

L’epochè di secondo livello ha esattamente, negli intenti di Husserl, lo scopo che aveva la prima epochè, che escludeva la tesi d’essere riducendo il mondo a fenomeno per la coscienza. L’alter-ego sembra resistere come fatto irriducibile all’interno di una esperienza che ha ridotto il fatto al suo eidos, l’empirico al trascendentale, il mondo al suo senso per la coscienza. Mantenendosi a questo livello di analisi ci è costitutivamente

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impossibile ritrovare l’origine trascendentale dell’alterità, poiché essa, dopo la prima riduzione, si presenta come fatto inspiegato all’interno di una esperienza trascendentale che pretende di non ammettere più alcuna ingenuità, più alcun presupposto. Si deve ancora rintracciare l’origine

Della costituzione trascendentale e perciò del senso trascendentale dei soggetti esterni e, per una conseguenza ulteriore, d’una storia universale del senso che, emanando dall’interno, rende per me possibile in assoluta originarietà il mondo oggettivo256.

Il senso trascendentale dei soggetti esterni non ha ancora trovato fondazione. Questo accade perché quel senso non è riducibile, come quello degli oggetti, a unità sintetica appercettiva dell’ego trascendentale. La domanda potrebbe anche essere posta nel seguente modo: perché e in che modo all’interno della vita trascendentale si presenta qualcosa che, non lasciandosi ridurre a senso intenzionale, ad oggetto costituito, si mostra invece con il senso di altro soggetto, di alter-ego?

Ciò che Husserl pretende di fare non dovrebbe a questo punto sorprendere. Egli attua una seconda epochè, tesa ad escludere tutto ciò che, all’interno dell’esperienza trascendentale pienamente giustificata ed apodittica, si presenta con il senso irriducibile di “alterità”, “estraneità”. Non sarebbe possibile ritrovare l’origine di questo senso mantenendosi su un piano in cui esso è già dato, già ingenuamente (in una ingenuità di secondo livello257) assunto, esattamente come non sarebbe possibile ritrovare il senso trascendentale del mondo se non si ponesse preventivamente tra parentesi il mondo stesso, per come esso si presenta nell’atteggiamento naturale. La sfera del proprio, inizialmente, si presenta con il senso meramente negativo di “sfera […] del non-estraneo”, il che implica appunto che l’esperienza dell’estraneo e del non-estraneo siano, dopo la riduzione trascendentale, entrambe incluse nel campo di esperienza dell’ego trascendentale. E’solo con una operazione che, al pari di ogni altra riduzione, si presenta come forzatura, sforzo di

256 MC, V, §44, p.116

257 Nel paragrafo conclusivo delle Meditazioni cartesiane Husserl parla di “ingenuità apodittica” della prima

fenomenologia (Cfr. MC, V, §63). È probabile che con questa espressione egli voglia proprio indicare l’ingenuità implicita nell’atteggiamento che “si accontenta” dell’apoditticità dell’esperienza fenomenologica statica, senza porsi il problema, più radicale e profondo, della genesi del senso. Quest’ultima rivela una “ingenuità apodittica” in due direzioni: da un lato mostrando che la pre-datità stabile e invariante ha, nonostante la sua universalità e apoditticità, una genesi universale secondo leggi essenziali; dall’altro lato, in un passaggio successivo, essa lascia emergere i modi e il senso genetico dell’apoditticità stessa come modalità peculiare di esperienza, fondando definitivamente la fenomenologia statica che, dirigendosi verso altro da sé, rimaneva necessariamente infondata (siamo in questo secondo caso già al livello di una “fenomenologia della fenomenologia [statica]”).

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tenere separato ciò che è originariamente unito, che si possono distinguere i due campi, ed escludere ogni modalità intenzionale dell’estraneità dall’esperienza trascendentale, ottenendo appunto la sfera del non-estraneo, il domino del proprio258. Che questa operazione sia necessaria per rintracciare l’origine genetica del senso dell’alterità è reso chiaro anche dal fatto che per rendere conto di un’esperienza in cui noi siamo evidentemente immersi occorre preventivamente distaccarsene, prenderne le distanze, osservarla, per così dire, dall’esterno. Così come nella riduzione trascendentale il fenomenologo tematizza l’atteggiamento naturale in cui si trovava immerso solo distaccandosene, allo stesso modo nella riduzione al proprio egli può tematizzare l’esperienza intersoggettiva in cui si trova già, solo escludendola preventivamente.

Dunque non si tratta tanto di escludere l’appercezione dell’alterità, quanto piuttosto di escludere preventivamente l’atteggiamento intersoggettivo, pur sempre trascendentale, in cui questa appercezione ci pone. A ben vedere, analizzando il paragrafo 44 della Quinta meditazione ci si rende conto che non è solo, o non tanto, in questione l’altro in quanto oggetto intenzionale, bensì il tipo di costituzione che esso rende possibile, e che al livello in cui ci troviamo, si presenta essenzialmente come fatto inspiegabile. Nella situazione in cui l’ego trascendentale si trova dopo la riduzione trascendentale, essenzialmente, esso non solo ha l’appercezione dell’alter-ego come già data, ma ha, sul fondamento di essa, un mondo oggettivo come suo fenomeno. È di questi due fenomeni che l’esperienza trascendentale non è ancora in grado di rendere conto: è la genesi del senso “alterità” che ancora sfugge all’analisi, poiché essa presuppone ancora ingenuamente quel senso. Uno dei risultati immediati della riduzione al proprio è infatti che

Nella nostra astrazione scompare già del tutto il senso ‘oggettivo’ che appartiene a tutto ciò che è mondano come risultato della costituzione intersoggettiva esperibile per ciascuno. In tal modo appartiene alla mia proprietà, purificata da ogni senso di soggettività estranea, un senso di mera natura che ha perduto anche questo per-ciascuno e che perciò non può in alcun modo essere preso per uno strato astrattivo del mondo stesso o meglio del suo senso259.

È il senso “oggettività”, “mondo oggettivo”, a dover ancora essere posto tra parentesi. L’ego trascendentale raggiunto tramite la riduzione non è solipsistico: esso è già

258 Sostiene Husserl: “Si deve fare attenzione al modo in cui l’estraneità interviene nel determinare un senso e

intanto escluderla astrattivamente”, ed è evidente, qui, che la riduzione primordiale si presenta inizialmente come un ulteriore ribaltamento dello sguardo, ottenendo appunto così la caratterizzazione, sebbene ancora ambigua, di un atto riduttivo.

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dal principio intersoggettivo, ma immerso nella propria intersoggettività originaria, nel proprio riconoscimento dell’altro che lo apre alla appercezione dell’oggettività del mondo come mondo valido per ognuno, non è in grado di rintracciare le origini di quella stessa intersoggettività in cui si muove. L’intersoggettività trascendentale è per questo già raggiunta? Se rispondiamo di si non possiamo non ammettere che anche l’esperienza ingenua del mondo, la “tesi d’essere” propria dell’atteggiamento naturale, per principio, non ha bisogno di fondazione ed ha evidentemente un proprio valore autonomo. L’atteggiamento naturale è già, in un certo senso, atteggiamento trascendentale, nella misura in cui è la soggettività trascendentale stessa, in virtù della sua essenza originaria, a dispiegarsi in una costituzione mondanizzante assumendo tacitamente una “tesi d’essere”, per la quale il mondo è esperito ingenuamente come esistente in sé. La fenomenologia, però, non è una nuova modalità di costituzione, bensì è autocoscienza, auto- tematizzazione, auto-disvelamento260 di sé da parte della soggettività. Ciò che la riduzione trascendentale permette è di rivolgere lo sguardo verso la soggettività che noi stessi già siamo, ma che non potrebbe mai divenire tematica finché rimaniamo immersi nell’atteggiamento naturale.

Non è forse la stessa cosa nel caso della riduzione primordinale? Dire che l’ego trascendentale è già intersoggettivo, e quindi non c’è alcun bisogno di una ulteriore riduzione è come sostenere che la soggettività atteggiata ingenuamente verso il mondo è già soggettività trascendentale, e quindi non c’è bisogno alcuno di una riduzione trascendentale. In entrambi i casi ciò che deve essere posto in questione non è ciò che è in- sé, ma ciò che ancora deve venire ad autocoscienza, ciò che deve “divenir per-sé”. Come “Non bisogna mai dimenticare che io nego la tesi mondana perché non ha senso, che io trovo il senso della mia vita nella monade”, allo stesso modo “Non si dimentichi: lo scopo della riduzione al proprio è di ritrovare, alla fine, ciò che ho messo tra parentesi come estraneo. Dovrò ritrovare il portacenere come un oggetto che ha senso per la mia civiltà, per la civiltà di tutte le monadi”, sostiene Paci261, mostrando con un esempio che lo scopo della ricerca husserliana è rintracciare il senso di una intersoggettività che si palesa, certo, dopo la riduzione trascendentale, ma solo come fatto privo ancora del suo senso e della

260 Cfr MC, V, “Epilogo”. Nel capitolo 4 metteremo in evidenza i risvolti etici e morali che la distinzione tra

ciò che è in sé e ciò che deve divenir per sé rende possibili, se applicata al caso dell’alter-ego. La soggettività trascendentale è da sempre intersoggettiva, ma deve riscoprire e far rivivere la propria essenza relazionale per poter, concretamente, riconoscere l’altro come altro costituente e rilanciare l’armonia intermonadica e l’obiettività come scopi consapevoli di una costituzione intersoggettiva cosciente di sé, dei propri limiti, del proprio telos (cfr. infra, cap. 4, par.3).

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sua portata trascendentali. Ci si rivela così un’affinità profonda tra le premesse della Quinta meditazione e i risultati genetici da noi osservati nei precedenti capitoli.

Dunque possiamo sostenere: 1. La riduzione primordiale è necessaria, poiché l’ego trascendentale, pur ponendo tra parentesi il mondo e riducendolo a fenomeno, rimane invischiato nel suo naturale atteggiamento intersoggettivo, ritrovando nella sua esperienza purificata un’alterità irriducibile e un mondo oggettivo, come fenomeni dei quali ancora non è stata rintracciata l’origine del senso nell’unità della vita monadica; 2. Appellarsi all’intersoggettività originaria dell’ego trascendentale per mostrare l’inutilità di una riduzione al proprio significa appellarsi ad un fatto inspiegato per mostrare l’inutilità della sua spiegazione; 3. Tutte le analisi genetiche che precedono la Quinta meditazione, più che rendere inutile la riduzione al proprio, la rendono necessaria, proprio nella misura in cui mostrano l’inserirsi dell’ego trascendentale in un contesto solo apparentemente solipsistico, e quindi che la soggettività trascendentale è essenzialmente e originariamente intersoggettiva. Rintracciare le origine del senso “alter-ego” significa, fin dalle premesse, rintracciare le origini dell’ “intersoggettività trascendentale” che funge da sempre, in cui da sempre siamo immersi, e dalla quale nemmeno la riduzione trascendentale ci ha ancora liberato per renderne chiare le premesse262. Così come la passività rende possibile l’attività e ne motiva il decorso in ogni momento, allo stesso modo “dentro e per mezzo di questo essere-proprio l’ego costituisce però il mondo oggettivo come universo di un essere a lui estraneo e in primo luogo l’estraneo del modo ‘alter-ego’”263.