• Non ci sono risultati.

La dottrina trascendentale del metodo

4 LA RIDUZIONE COME ESERCIZIO DI APERTURA ALLA RELAZIONE

4.4 La dottrina trascendentale del metodo

La fenomenologia della fenomenologia può anche essere descritta come una fenomenologia della riduzione: fenomenologia dell’esercizio riduttivo390 che, solo, può aprire all’esperienza fenomenologico-trascendentale. Essa dunque, come primo passo, si rivolge verso l’atto riduttivo e lo problematizza, ne indaga a posteriori il senso, il ruolo, la possibilità, l’intenzione, lo statuto del soggetto che la compie.

L’introduzione alla filosofia, come fondazione della possibilità di filosofare, ossia di capire il mondo, e l’ente in esso, a partire dalle sue origini trascendentali ultime nella soggettività costituente, non è altro che l’esecuzione di quella riduzione fenomenologica, che comincia con la riduzione egologica: cioè con la produzione dello spettatore trascendentale e […] si conclude con la riduzione ‘intersoggettiva: cioè col pieno dispiegamento dell’intersoggettività co-costituente implicita nell’ego trascendentale391.

Il primo effetto della riduzione che è messa a tema nella “dottrina trascendentale del metodo” è la produzione di uno spettatore trascendentale, l’emancipazione dell’uomo dal suo legame alla Lebenswelt, dal suo atteggiamento naturale. Uno degli oggetti della fenomenologia della fenomenologia è dunque lo spettatore fenomenologico. Tale spettatore trascendentale, però, è anche il soggetto di questa riflessione, “colui che nella dottrina del metodo conosce e teorizza”, perciò “la riflessione della dottrina trascendentale del metodo fa del sapere non tematico di sé, proprio dell’io che tematizza fenomenologicamente, un’esplicita auto tematizzazione”392.

Introduction, in E. Fink, Sixth Cartesian Meditation. The idea of transcendental Theory of Method, Indiana University Press, Bloomington e Indianapolis 1995.

390 VI MC, § 5. 391 Ibidem. 392 Ivi, §3.

197

La riduzione si attesta in primo luogo come riduzione del soggetto stesso che la compie. Io, attuando una riduzione di me stesso, trascendo il mio esser-ci, divento spettatore trsscendentale di me in quanto ego trascendentale atteggiato naturalmente, tematizzo l’atteggiamento naturale emancipandomi preventivamente da esso. Dunque, con la riduzione, io compio una radicale frattura in seno alla costituzione. La riduzione è rivelazione è conversione, è una presa di coscienza riflessiva che, mentre viene attuata, inaugura un nuovo modo d’essere393. L’ego trascendentale si realizza nel fenomenologo che compie la riduzione, e compiendola libera se stesso dalle catene della Lebenswelt che lo legavano indissolubilmente all’empirico.

L’inseparabilità di empirico e trascendentale che abbiamo scoperto nelle cose stesse sembra essere superata proprio tramite l’atto riduttivo, che, liberando l’ego dalla sua umana fatticità, produce di fatto un ego trascendentale puro, privo di contaminazione con l’empirico. La riduzione sembra attestarsi, allora, proprio come liberazione dalla relatività dell’esperienza che abbiamo messo in luce, una liberazione che si attua come auto- rivelazione dell’ego trascendentale, e che, contemporaneamente sembra produrre per la prima volta, con un’autocoscienza immediata, l’ego trascendentale stesso, nella sua distinzione dall’ego empirico.

Tale consapevolezza immediata è allora allo stesso tempo rivelativa e produttiva: l’ego esce “dall’oscurità dell’ ‘essere fuori di sé’ ed entra nella chiarezza del trascendentale ‘essere-per-se’”. Il divenir-per-sé dell’ego trascendentale nel vissuto apodittico “Ego- cogito” è dunque anche la produzione prima di un ego trascendentale che, nell’ “essere fuori di sé”, diveniva ego empirico, costituiva se stesso e il mondo come esistenti in sé. Da questo punto di vista la dottrina trascendentale del metodo ha il compito di tematizzare, ad un livello di riflessione superiore, “il disoccultamento del pervenire-a-se-stessa della soggettività costituente”; essa è dunque “il trascendentale divenire-per-sé di un trascendentale divenire-per-sé”394.

Se, dunque, ciò che Fink definisce “dottrina trascendentale degli elementi”, ovvero l’intera fenomenologia nella sua articolazione in statica e genetica, ha come tema “la costituzione mondana”, la fenomenologia della fenomenologia ha invece come tema, in primo luogo, il soggetto che tematizza la costituzione mondana, ovvero l’ego che diviene

393 “La riflessione trascendentale, configurata come riduzione fenomenologica, non oggettiva

un’autoconsapevolezza già sussistente dell’io trascendentale, ma è quella che inaugura e dischiude questa stessa vita trascendentale dell’io, togliendola da un occultamento e da un’anonimia vecchia come il mondo” (Ivi, p.27).

198

trascendentale riscoprendosi come tale, e tematizzandosi come soggetto ignaro di sé della costituzione mondanizzante. Mentre, muovendo dalla riduzione, siamo riusciti a cogliere l’originarietà della relazione all’altro come irriducibile, e dunque l’inseparabilità concreta di genesi e storia, noi stavamo tematizzando l’atteggiamento naturale proprio di un ego che, ignaro della propria essenza trascendentale, si identificava con la sua mondanizzazione, con l’ego empirico. L’autocoscienza trascendentale inaugurata con la riduzione, però, proprio rendendo tematica l’essenza trascendentale dell’ego costituente, sembra realizzare concretamente la separazione tra trascendentale ed empirico, nella forma di una frattura tra l’uomo storico e fattuale e lo spettatore fenomenologico395.

Proprio di questa innaturale frattura si occupa allora, riflessivamente, la dottrina trascendentale del metodo: essa deve spiegarne il fondamento, la possibilità e la necessità. Essa deve, in ultima analisi, giustificare a posteriori la possibilità stessa di una fenomenologia come liberazione dalla Lebenswelt e produzione di uno spettatore trascendentale, e, in secondo luogo analizzare l’esperienza propria di un tale spettatore puro, libero dal condizionamento mondanizzante della vita fungente ignara di sé:

Il compimento di una riduzione fenomenologica spalanca un abisso nel campo della soggettività trascendentale e istituisce una separazione dell’essere trascendentale in due sfere eterogenee. La dottrina trascendentale degli elementi ha a che fare con una sola di queste sfere: quella della costituzione trascendentale (con la formazione di mondo e di essere). La vita dello spettatore fenomenologizzante, che non prende parte alla costituzione del mondo e prende distanza da essa mediante l’epochè, è l’oggetto della dottrina del metodo. La distinzione tra dottrina degli elementi e dottrina del metodo non è dunque una distinzione tecnico- scientifica […] ma è una distinzione secondo ambiti e si fonda come tale in un dualismo della vita trascendentale396.

Il tema autentico della dottrina trascendentale del metodo è allora proprio il dualismo della soggettività trascendentale che la riduzione pretende, implicitamente, di aver realizzato. In ultima analisi e in parole più semplici: è della possibilità stessa di una riduzione e di una fenomenologia che si occupa la fenomenologia dopo aver dispiegato il proprio senso e dopo aver atteso al proprio compito di un tematizzazione fenomenologica della costituzione trascendentale. La fenomenologia della fenomenologia non è allora

395 In questo senso Fink sostiene che “L’essere trascendentale non viene solo svelato e aperto dal

compimento della riduzione fenomenologica, ma anche aumentato di un essere trascendentale che, come tale, non è affatto omogeneo, quanto alla natura d’essere, con l’essere dischiuso dalla riduzione” (Ivi, p. 32).

199

semplicemente il compito “ultimo” dal punto di vista cronologico. Esso è anche il compito più importante, possibile solo a posteriori. Se nella meditazione su se stessa la fenomenologia non riuscisse a fondare la propria possibilità sulle verità trascendentali che essa ha già attinto, l’intero sforzo fenomenologico si risolverebbe definitivamente in un nulla di fatto. Si tratta della battaglia finale e decisiva di una guerra: se la fenomenologia dovesse uscirne sconfitta, a nulla servirebbero tutte le precedenti vittorie.

La questione centrale della dottrina trascendentale del metodo è allora: “Questo disoccultare la tendenza d’essere (mondanizzazione) di tutta la vita costituente è forse, a sua volta, irretito nella tendenza d’essere? […] il tematizzare riflessivo del divenire costitutivo è qualcosa di radicalmente altro e […] di diverso, dalla tematizzazione riflessiva dell’essere immanente? […] Il fare che interroga e chiarisce costitutivamente (la scoperta della costituzione) è esso stesso costituente?”. In altre parole: è davvero possibile attuare riduttivamente una radicale frattura in seno al divenire costituente, realizzare il dualismo trascendentale che da sempre abita nel fungere originario, ma che, nascosto a se stesso, si manifesta come monismo (come quell’unità indissolubile di empirico e trascendentale che abbiamo messo in evidenza nell’ultimo capitolo)? La diversità tra l’essere trascendentale costituente e il fare trascendentale dello spettatore fenomenologico, sostiene Fink, è

Un’auto-opposizione: identità nella diversità, opposizione nel restare uguale a sé. Nel compimento della riduzione fenomenologica la vita trascendentale, producendo lo spettatore, va fuori di sé, si scinde, di divide. Questa divisione, però, è la condizione di possibilità del pervanire-a-se-stessa della soggettività trascendentale […]. L’autodivisione della vita trascendentale – nella riduzione fenomenologica – non toglie però l’unità della stessa, che va al di là di questa auto-opposizione interna397.

La riduzione, per sua essenza, vuol essere frattura tra l’io trascendentale costituente e l’io fenomenologizzante: essa pretende che l’ego che la compie e che ne è allo stesso tempo il prodotto non sia costituente, e al tempo stesso che esso riscopra se stesso come l’ego che, prima della riduzione, era costituente. Questo rapporto di identità e differenza, di unità e separazione tra ego trascendentale costituente ed ego trascendentale fenomenologizzante è l’autentico tema della dottrina trascendentale del metodo. Quest’ultima, da parte sua, non viene intaccata dal dubbio che è oggetto della sua

200

riflessione, evitando a priori il rischio di un regresso infinito: se infatti la riduzione vuole instaurare un ego fenomenologizzante che stia, rispetto all’ego trascendentale che tematizza, in un rapporto ambiguo di identità e differenza, al contrario lo spettatore trascendentale della costituzione e il soggetto della dottrina del metodo che lo tematizza, stanno in un rapporto a-problematico di identità. È lo stesso ego che pretende di essersi liberato con la riduzione a riflettere sul proprio atto riduttivo e sullo statuto dell’esperienza fenomenologica che ha già svolto398.

Abbiamo dunque mostrato a grandi linee il problema che Fink, coadiuvato dal suo maestro, pone alla fenomenologia. Sebbene la sua riflessione, come vedremo, possa essere sempre accusata di assumere ingenuamente alcuni assunti idealisti, di presupporre la soggettività trascendentale unitaria della quale invece dovrebbe mostrare la possibilità, i problemi che egli pone all’esperienza fenomenologica e alla riduzione non possono essere trascurati. Essi derivano direttamente dalla pretesa fenomenologica fondamentale: la pretesa della possibilità autentica di emancipazione dalla Lebenswelt. A prescindere dalla validità dell’analisi finkiana, e dalla sua aderenza alla fenomenologia husserliana, dunque, possiamo indagare i problemi che essa pone alla fenomenologia senza necessariamente accettare le conclusioni di Fink. Si tratta, in altre parole, di cercare di comprendere, seguendo l’argomentazione finkiana, se la riduzione debba essere liberazione dal relazionismo e apertura ad un unico fungere universale, oppure se essa, lungi dal liberare l’uomo dalla sua relatività relazionale, possa essere, come abbiamo sostenuto, una radicale apertura al relazionismo.

Dobbiamo, inoltre, indagare se e come la riduzione e la fenomenologia stesse siano effettivamente ancora possibili come eventi costituenti di una genesi storico-trascendentale dell’umanità, se esse risultino coerenti con l’inseparabilità concreta di empirico e trascendentale che abbiamo messo in evidenza, o se invece, con la scoperta dell’originarietà della relazione, la riduzione stessa si riveli impossibile. In questo secondo caso avremmo decretato il fallimento definitivo della filosofia fenomenologica, e con essa, della nostra analisi. Anche per la nostra interpretazione, dunque, il problema trascendentale del metodo ha l’importanza di un’ultima, fondamentale verifica: poiché avendo assunto la fenomenologia husserliana come punto di partenza, e avendo preteso di riscoprire tramite essa l’originarietà irriducibile della fatticità e della relazione, se la riduzione dovesse in