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L’originario come relazione: la dialettica irriducibile tra trascendentale ed empirico

4 LA RIDUZIONE COME ESERCIZIO DI APERTURA ALLA RELAZIONE

4.1 L’originario come relazione: la dialettica irriducibile tra trascendentale ed empirico

A ben vedere la genesi passiva intesa come progressiva costituzione degli strati di senso non sembra essere adeguata a rendere conto dell’effettivo movimento della coscienza passiva. Dal momento che la trascendenza del passato, come primo strato di senso, sembra aver bisogno, per sorgere, di una rimemorazione che muove dal presente

327 E. Paci, Tempo e verità, cit., p.181. 328 Cfr. Crisi, §55.

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vivente e che presuppone, come suo soggetto, un ego già desto, nella passività originaria non sembra potersi produrre alcuna distanza dell’io da se stesso, dell’ego attuale dal proprio passato. Nella passività originaria, dunque, non può svilupparsi alcuna trascendenza primordinale sul fondamento della quale fondare l’appercezione dell’alterità, il dominio dell’estraneo. Husserl stesso constata questa ambiguità, quando sostiene:

Troviamo che in realtà il corpo sensibile veduto è senz’altro esperito come il corpo dell’altro e non solo come indizio della presenza dell’altro; non è già questo un enigma [R.ätsel]? Come avviene l’identificazione del corpo della mia sfera originale con quello che si costituisce nell’altro ego senza alcuna relazione con il primo e che, una volta acquistata la sua identità, si dice lo stesso corpo organico dell’altro? […] tuttavia l’enigma sorge solo quando ambedue le sfere originali vengono distinte; invece questa distinzione presuppone che l’esperienza dell’estraneo abbia già fatto l’opera sua. Poiché non è qui in questione la genesi temporale di quella specie di esperienza che si fonda su una anteriore esperienza di sé, la soluzione non ci può essere data che da un’esatta esplicazione dell’intenzionalità effettivamente ravvisabile nell’esperienza dell’estraneo e dalla dimostrazione delle motivazioni essenzialmente implicite nell’intenzionalità329.

Questo passo risulta fondamentale da più punti di vista. In primo luogo Husserl precisa che il corpo percepito come oggetto del dominio del proprio si presenta subito, in un unico vissuto unitario, con il senso di corpo organico dell’altro. La riduzione al proprio genera l’illusione di una separazione tra i due domini, l’apparenza di una distanza che, nella genesi passiva concreta, non si dà mai e non può mai darsi. Non vi è dunque alcun dominio del proprio che precede e fonda il dominio dell’estraneo: piuttosto la separazione tra proprio ed estraneo è resa possibile dall’appercezione unitaria e passiva di un oggetto come corpo vivo di un alter-ego. In secondo luogo Husserl sostiene esplicitamente che, in questo contesto argomentativo, non è in questione alcuna genesi temporale e alcuna esperienza di sé che preceda l’esperienza dell’altro. Nella passività originaria ogni vissuto motiva, in virtù delle leggi essenziali della genesi, un’intenzione, e ogni riempimento funge da motivante per una successiva intenzione. La coscienza non è e non può essere estranea a sé nel suo fungere passivo: non perché sia pienamente cosciente di sé, al contrario, perché non è in alcun modo cosciente di sé, e non può produrre la propria interna frattura.

La risposta allora andrà trovata in una corretta analisi dell’intenzionalità ravvisabile nell’esperienza dell’estraneo, una modalità intenzionale che per principio non ha bisogno

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di alcun dominio già strutturato sul quale fondarsi, poiché è essa stessa una sintesi che si svolge nella passività, in una completa opacità della coscienza rispetto a se stessa:

Ne viene, com’è facile intendere, che ogni oggetto naturale, da me appreso o apprensibile nello strato inferiore, acquista uno strato appresentativo […] che sta in rapporto di unità e identità sintetica con lo strato datomi in originalità primordinale; si forma così uno stesso oggetto naturale nei possibili modi di datità dell’altro330.

Poiché la sintesi che costituisce l’alter-ego nell’immanenza monadica si svolge originariamente nella passività non vi è per principio alcuna separazione tra la percezione di un oggetto come parte del mio dominio primordinale e l’appercezione dello stesso oggetto come parte di un mondo obiettivo costituito intersoggettivamente. È lo stesso oggetto ad assumere uno strato appresentativo superiore tramite l’appercezione dell’alter- ego.

L’antecedenza della trascendenza primordinale rispetto alla trascendenza obiettiva non è una antecedenza temporale, bensì è esprimibile in un rapporto di fondazione: perché si colga il corpo come corpo vivo dell’alter-ego in un’appercezione associativa occorre che si possa percepirlo anche (e non separatamente) come oggetto unitario del proprio campo percettivo. Allo stesso modo, perché si colga qualcosa come oggetto unitario occorre che i vissuti si siano sedimentati, che essi motivino protentivamente i vissuti successivi, e che quelli rimandino a questi in un ridestamento associativo che per principio non ha bisogno di alcuna rimemorazione attiva, ma si svolge associativamente in virtù della legge genetica della motivazione. Non occorre che il passato si dia come passato rispetto ad un presente, che esso si strutturi come trascendenza rispetto ad un’immanenza attuale, ma semplicemente che i vissuti passati agiscano implicitamente da motivanti nella protensione, e che siano ridestati associativamente a partire da un vissuto attuale che funge da ridestante. La sintesi tra vissuto passato e vissuto presente ci offre l’oggetto come unità sintetica: non unisce due oggetti appartenenti a due campi separati, al passato e al presente, all’immanenza apodittica e alla trascendenza immanente, ma ci offre l’oggetto attuale in una sintesi associativa con l’oggetto colto in un vissuto passato: ce lo offre in un unico vissuto appercettivo che “può appresentare solo perché presenta”331.

Nella genesi originariamente passiva che precede ogni tematizzazione attiva, quindi, ogni donazione di senso è originaria e non presuppone altro che se stessa, ogni cosa

330 MC, V, p.144, corsivo mio. 331 Ivi, p.141.

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assume il suo senso in virtù di una intenzionalità tendenziosa regolata dalla legalità essenziale della genesi, da una motivazione che collega intenzione e riempimento, e che rilancia continuamente ogni vissuto oltre se stesso. È Husserl stesso, del resto, a precisare, subito dopo aver affermato l’antecedenza della trascendenza primordinale, come “su di un piano superiore e fondato venga ad effettuarsi la costituzione di senso della trascendenza oggettiva vera e propria, costitutivamente secondaria in quanto esperienza. Non si tratta qui di scoprire una genesi che scorra nel tempo ma una analisi statica”332.

I dubbi della critica333 rispetto all’aspetto genetico della Quinta meditazione risultano infine fondati: il passaggio dal mondo primordinale al mondo oggettivo, per ammissione dello stesso Husserl, non si sviluppa nel tempo, ma si rivela in una intuizione eidetica come rapporto di fondazione atemporale. A ben vedere questo limite, pur rivelandosi nelle Meditazioni con maggior evidenza, sembra però riguardare l’intera fenomenologia genetica. Il regresso genetico verso l’originario, lungi dall’aver rivelato la fondazione di ogni struttura sulla vita fungente originaria, sembra in tal modo aver ridotto ulteriormente la soggettività fungente ad una originaria struttura, la monade concreta ad un Ur-ich [Io originario] universale ed apriorico334. Il tempo è ancora ridotto a forma statica di una coscienza priva di temporalità, che contiene in sé a priori e necessariamente ogni strato di senso come frutto di una costituzione paradossalmente ancora atemporale. Husserl non è ancora riuscito a reintrodurre il movimento nella fenomenologia, ma ha descritto il movimento come forma apriorica di una coscienza ancora immobile. Ogni movimento, ogni concreto divenire, che, in quanto tale si determina nella fatticità concreta della storia personale di ogni singola monade, viene ridotto ad una originaria struttura che si articola tra una coscienza immobile regolata da leggi essenziali e un mondo altrettanto invariante e necessario che prende forma in virtù di esse.

Il regresso genetico verso l’originario si delinea così come riduzione di ogni concreto divenire storico e fattuale alla originaria ed essenziale forma genetica dell’intenzionalità, alla sua legalità essenziale rilevabile in una pura intuizione eidetica. In questa direzione vanno anche le Lezioni sulla sintesi passiva, Esperienza e giudizio, Logica formale e trascendentale. La genesi come struttura originaria della coscienza racchiude in sé il terreno del pre-categoriale, dell’antepredicativo, della doxa originaria: il terreno primitivo dell’Ur-ich come fonte ultima della validità e del senso. In questa direzione ogni

332 Ivi, p. 127.

333 Cfr. Supra, cap.3, §1. 334 Cfr. Crisi, §54.

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concreta individualità monadica è riconducibile alla sua originaria forma essenziale: ogni Ich è l’individuazione di un Ur-ich e ad esso riducibile335.

Questo tipo di regresso fenomenologico viene indicato da Husserl, in alcuni scritti, con l’espressione “estetica trascendentale”. In Logica formale e trascendentale l’estetica trascendentale fenomenologica viene definita come una ricerca che “tratta del problema eidetico di un mondo possibile in generale come mondo dell’esperienza pura […] dunque descrizione eidetica dell’apriori universale, senza di cui dalla mera esperienza […] non potrebbero apparire oggetti unitari e così in generale non potrebbe costituirsi l’unità di una natura, di un mondo come passiva unità sintetica”336. Nella Quinta meditazione Husserl sottolinea poi la coincidenza di questo tipo di ricerca con l’analisi resa possibile dalla riduzione al dominio del proprio, designando le “ricerche intorno al mondo primordinale” proprio con l’espressione “estetica trascendentale”337, un’analisi che si riferisce alla “natura della mia propria sensibilità pura e semplice”, quindi alla “forma invariante del sistema delle possibili esperienze di un mondo”338. Su questa indagine si edifica successivamente una “analitica trascendentale”, intesa come indagine rivolta al “piano superiore dell’apriori costitutivo, che è quello dello stesso mondo oggettivo e delle molteplicità che lo costituiscono” in cui rientra anche “la teoria dell’esperienza dell’estraneità o dell’empatia”, alla quale l’estetica trascendentale “fornisce il metodo”339.

Inteso in questo senso come “estetica trascendentale fenomenologica”, il regresso genetico non ci consegna altro che l’essenza universale della sensibilità originaria, l’originario modo d’essere della coscienza intenzionale come apriori universale, e, come suo correlato, il mondo nella sua forma invariante e tutte le oggettualità nel loro senso eidetico ed apriorico, incluso a priori nella coscienza originaria. L’originario, in questo senso eidetico-formale, non è che la condizione di possibilità pura e apriori di ogni esperienza possibile, sistema universale delle leggi essenziali della genesi e dell’essenza invariante del mondo come mondo possibile in generale340. Estetica ed analitica rendono

335 Cfr. Ivi, §55. 336 FTL, p. 356. 337 MC, V, p.162. 338 Ibidem. 339 Ivi, p. 163.

340 Sostiene a tal proposito Vanzago, riferendosi alla riduzione primordinale: “Dunque ciò che si ottiene così

è in un certo senso la condizione di ogni esperienza del mondo. In effetti non è mai possibile una esperienza del mondo che non sia accompagnata da una qualche alterità”. Egli conclude, però: “l’alterità si dà quindi come tale solo sullo sfondo della proprietà” (L. Vanzago, Coscienza e alterità. La soggettività fenomenologica nelle Meditazioni cartesiane e nei manoscritti di ricerca di Husserl, Mimesis, Milano 2008, p. 151). Questi sono gli aspetti più problematici della fenomenologia dell’alterità portata avanti nella Quinta meditazione.

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comprensibile la passività come io originario universale, e il mondo in esso compreso come risultato necessario e invariante delle sintesi originarie che pertengono alla sua essenza apriorica, in modo tale che “nessun uomo pensabile, comunque possa trasformarsi potrebbe esperire […] attraverso modi di datità diversi da quelli che noi abbiamo delimitato in generale”341.

Da questo punto di vista ogni cultura, ogni relatività, ogni variazione empirica non è altro che il riempimento fluente e contingente di una forma invariante della coscienza. La passività si delinea in tal modo come Ur-aktivität, attività originaria, grado zero della costituzione al quale è riducibile ogni individualità, ogni relatività, ogni singolarità personale. È sotto questo aspetto che la passività continua ad agire, in qualità di apriori della sensibilità, in ogni attualità, continuando a fornire ad ogni apprensione attiva singolare il suo sostrato invariabile, il suo senso eidetico originario.

In rapporto alla genesi passiva intesa in questo senso eidetico, la genesi attiva che ne consegue si dirama da essa come suo prolungamento, e ogni relatività che essa implica, ogni storia monadica ed intermonadica che essa rende possibile, risulta essere sempre riducibile alla forma originaria della coscienza passiva, alla legalità essenziale della genesi: emerge cioè come genesi empirica rispetto ad una genesi trascendentale che è sempre già compiuta, e che si compie sempre di nuovo, necessariamente, fornendo all’io desto ogni tema, ogni oggetto intenzionale. La personalità individuale, la costituzione intermonadica, la storia dell’umanità, sembrano stare, in rapporto alla genesi così intesa, come il relativo rispetto all’assoluto, come individuazione di una coscienza assoluta pre-individuale, pre- temporale, destinata a temporalizzarsi in ogni singola monade. L’impossibilità di ritornare a questo stadio primordiale della coscienza si identifica infine con l’impossibilità di una autocoscienza assoluta342. L’irraggiungibilità storica di una perfetta armonia intermonadica si identifica con l’impossibilità di una datità apodittica ed adeguata della monade come ego trascendentale rispetto a se stessa. Di nuovo: ogni estraneità, ogni molteplicità, ogni storicità sembra esaurirsi in una variazione dell’originaria invariabilità, sembra risolversi in una determinazione provvisoria e contingente di un originaria razionalità latente, che in ogni relativo si esprime solo parzialmente. È la genesi trascendentale intesa in questo senso eidetico che rende possibile parlare di una originaria armonia, di un mare comune primordiale, di una ragione universale che si esprime in ogni monade individuale.

341 Crisi, p.192.

342 In questa direzione sembra andare anche Paci, quando sostiene: “Se fosse possibile ritornare al mondo

originario saremmo indistinti in una situazione antepredicativa in cui non solo l’Io non è ancora distinto dal mondo obiettivo, ma in cui le stesse monadi non sono ancora tali” (E. Paci, Tempo e verità, cit., p. 105).

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Ma lo stesso regresso che rivela l’originario come ragione universale, lo riduce allo stesso tempo ad una forma atemporale. Non abbiamo solo ridotto la fatticità e l’empirico per ritrovarne il senso eidetico ed apriorico, ma abbiamo anche ridotto il tempo ed il divenire ad un modo d’essere di una coscienza che, nella sua totalità irraggiungibile, risulta essere perfettamente immobile. La genesi trascendentale diviene impensabile se isolata dalla fatticità in cui sempre si dispiega, poiché, privata della sua storicità concreta, essa viene ridotta inesorabilmente ad una struttura atemporale e pre-genetica. Si rivela in tal modo, negativamente, che l’armonia originaria, l’Ur-ich come fonte universale di ogni costituzione, non può precedere la costituzione stessa, ma rappresenta una legalità formale che in essa si esprime. La ragione in questo senso eidetico è la forma universale della coscienza che si presenta sempre come regolamentazione di contenuti concreti, di vissuti effettivi: di una storia personale e irriducibile. Escludendo il divenire concreto del soggetto, non riscopriamo alcuna effettiva genesi, bensì solo una forma originaria intuibile riduttivamente.

Se l’originario è interpretato come una antecedenza della ragione rispetto all’essere, del trascendentale all’empirico, della genesi trascendentale rispetto alla storia, la fenomenologia si trasforma inesorabilmente in un razionalismo ingenuo: da un lato riduciamo la vita fungente ad una forma originaria, dall’altro lato riduciamo la tensione ad una forma di distanza, inspiegabile a questo livello, della soggettività trascendentale rispetto a se stessa. L’illusione dell’antecedenza di una genesi trascendentale rispetto ad ogni singola genesi empirica si produce nel passaggio dall’estetica all’analitica, dall’invarianza dell’intenzionalità originaria all’invarianza del mondo che essa costituisce necessariamente. Ci si illude, in questo passaggio, di essere riusciti a render conto effettivamente di un movimento, di una effettiva genesi, che si svolge prima che ogni relatività, che ogni individualità, che ogni storicità possa prodursi. Si produce l’illusione di una differenza reale tra genesi e storia. Sia la storia personale che la storia intermonadica sembrano così essere riducibili ad una genesi trascendentale che in esse si esprime senza esaurirsi, di cui esse non sono che variazioni empiriche interamente riducibili. Tale separazione riduttiva non implica solo la riduzione della genesi ad una statica struttura formale, la perdita di ogni concreta temporalità e di ogni movimento, bensì rende anche impossibile, dal punto di vista opposto, comprendere la storia come storia teleologica. Il movimento teleologico della coscienza si esaurirebbe in ogni presente vivente, si realizzerebbe sempre relativamente in ogni singola monade per sé, e nella storia non

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potrebbe rivelarsi alcuna teleologia, bensì solo una tensione teleologica che nasce e si spegne continuamente in ogni attualità343.

La passività si rivela così attraversata da una profonda ambiguità. Da un lato essa viene rintracciata tramite una riduzione che, mettendo tra parentesi il mondo e la fatticità concreta di ogni divenire storico, la riduce ad una forma apriorica della coscienza. Dall’altro lato l’intenzionalità originaria che così viene rintracciata si esprime come tensione, come intenzionalità tendenziosa, in un movimento che risulta completamente inspiegabile senza il vissuto concreto in cui esso di volta in volta si dispiega. Husserl constata questa ambiguità in un manoscritto del 1931, sostenendo: “die Selbstkonstitution der transzendentalen Subjektivität führt auf die schönen unendliche Regresse, mit denen ich schon in Bernau fertig zu werden versuchte”344. L’originario stesso, ridotto alla sua forma, si rivela attraversato da una temporalità che lo trascende, che lo rende, di fatto, intematizzabile: non troviamo mai una razionalità originaria, bensì un originario dover- essere razionale, una originaria tensione, che non può esprimersi se non in una unità indissolubile con la concretezza di ogni singolo vissuto appercettivo. Troviamo un dover- essere che può esprimersi nell’empirico e nella storia, e non prima di essi. Allo stesso modo non giungiamo mai all’inizio della costituzione: ogni vissuto rimanda costitutivamente ad altri vissuti; ogni vissuto è co-implicato, secondo motivazione e associazione, in quello precedente, e implica quello successivo. Nella riflessione trascendentale ogni inizio tematizzabile è perciò preceduto da un pre-inizio [Vor-anfang] che rimane completamente inattingibile. Ogni attività originaria è preceduta da un divenire concreto e inesauribile, che a sua volta la presuppone.

Nella riflessione trascendentale instaurata con l’atto riduttivo il passato di coscienza si rivela inesauribile, e può attestarsi come trascendenza immanente, come dispiegabile in modo apodittico ma mai adeguatamente. Non è quindi nell’originario fluire della coscienza passiva che si genera una distanza dell’io da se stesso, bensì questa distanza sorge per la prima volta con la riduzione. L’auto-disvelamento fenomenologico dell’ego trascendentale si rivela al tempo stesso illuminato e frenato dalla temporalità che lo permea, da

343 Come mostreremo nel §3, questa ambiguità persiste anche in Crisi, rendendo di fatto incomprensibile il

passaggio dalla soggettività trascendentale originaria come tensione teleologica al senso teleologico della storia.

344 “L’autocostituzione della soggettività trascendentale conduce al grande problema dei regressi infiniti, che

ho già tentato di risolvere a Bernau” (Manoscritto C 10, pp. 6 a – 6 b). Le ricerche di Bernau cui Husserl fa riferimento risalgono al 1917-18 e sono raccolte nei manoscritti L su “Temporalità e individuazione”. Esse rappresentano un esempio concreto dell’esigenza, avvertita da Husserl, di rielaborare le analisi della temporalità alla luce della tematizzazione della genesi trascendentale, cui stava giungendo proprio in quegli anni.

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un’eccedenza “che smentisce e al tempo stesso rende possibile l’apoditticità della coscienza di sé”345. È l’esperienza fenomenologica che si trova a fare i conti con la sua intrinseca temporalità346. La trascendenza del passato di coscienza è una trascendenza “prima” solo rispetto all’ego trascendentale che tematizza la passività, e non al fungere originario passivo che, per definizione, precede il sorgere di ogni Ego desto. Allo stesso modo la trascendenza del mondo primordinale sembra precedere e fondare il mondo obiettivo solo perché la riduzione ha preventivamente escluso l’estraneità. La riduzione traspone l’ego trascendentale vuoto e formale all’origine della coscienza nella forma di un Ur-ich universale347, e può farlo poiché ha escluso preventivamente il divenire empirico proprio di ogni monade, la storia personale concreta.

Ora però questa storia si rivela essa stessa irriducibile quando, giunti all’apice del regresso genetico, ogni sintesi si manifesta motivata da precedenti vissuti, ogni vissuto rimanda ad altri in un regresso infinito. Ogni Ur-ich si rivela sempre preceduto da un Vor-