3 MONADOLOGIA E ALTERITÀ: IL SENSO GENETICO DELL’INTERSOGGETTIVITÀ
3.1 La quinta meditazione cartesiana: tradimento o evoluzione?
Un primo indizio sulla possibilità di una interpretazione della Quinta meditazione come risultato degli sviluppi genetici che la precedono, e non come un loro tradimento, si ha nel paragrafo conclusivo della Quarta meditazione, in cui Husserl introduce il lettore al problema dell’intersoggettività, sostenendo:
Non abbiamo potuto evitare, pur in un fuggevole sguardo a quel che si costituisce in noi (anzi in me, ego meditante) come mondo o universo dell’essere in generale, di pensare agli altri e alla loro costituzione. Attraverso le costituzioni estranee, costituentesi nel mio ego stesso, si costituisce per me il mondo comune a noi tutti. È qui che entra anche, naturalmente, la costituzione di una filosofia, come filosofia comune a tutti noi che meditiamo insieme – secondo l’idea di una philosophia perennis227.
Il problema dell’altro si presenta al tempo stesso come “inevitabile” e “centrale” proprio a partire dallo sviluppo coerente dell’auotocomprensione dell’ego condotta in piena evidenza e da una comprensione autentica del cogito cartesiano. L’obiezione di solipsismo non
226 Per un’analisi dettagliata di tutte le problematiche che affronteremo in questo capitolo cfr. S. Bancalari,
Intersoggettività e mondo della vita. Husserl e il problema della fenomenologia, Cedam, Padova 2003. Cfr. Anche A. Pugliese, La dimensione dell’intersoggettività. Fenomenologia dell’estraneo nella filosofia di Edmund Husserl, Mimesis, Milano 2004, in particolare parte III, §7.
227 MC, IV, p. 110. Nelle pagine precedenti Husserl aveva esposto la differenza, ormai consolidata nel suo
pensiero, tra genesi passiva e genesi attiva (cfr. MC, IV, §38), e aveva esposto l’associazione come “principio della genesi passiva” (Ivi, §39). Risulta quindi difficile pensare che, dimenticandosi dei principi genetici scoperti, Husserl si appresti ad affrontare il problema dell’alterità in un’analisi prevalentemente statica con utilità meramente espositiva.
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giunge alla fenomenologia dall’esterno228, come se essa fosse di per sé una esperienza pienamente fondata e giustificata, ma si sviluppa internamente. Peraltro, come è evidente fin da subito, essa non si presenta nemmeno propriamente come semplice “obiezione di solipsismo”, bensì piuttosto come necessità filosofica di affrontare un ambito senza il quale l’analisi prima condotta rimarrebbe infondata, priva di basi: senza una considerazione concreta della funzione costituente dell’altro soggetto l’idea stessa di filosofia come “philosophia perennis”, come meditazione condotta in comunità e come attività teleologica propriamente umana, che muove, in qualità di idea guida, la fenomenologia stessa, rimarrebbe inspiegata, presupposta senza diritto dall’analisi fenomenologica. La filosofia, come prassi originaria e come idea guida della comunità umana, risulterebbe priva di fondamento senza una considerazione radicale dell’alterità.
Ciò che ancora manca all’analisi non è la soluzione teoretica di un solipsismo inaccettabile, ma la tematizzazione di un presupposto inevitabile dell’analisi stessa: il contesto intersoggettivo da cui essa sorge, la comunità intermonadica in cui essa solamente può esistere, la storia in cui la filosofia si dispiega come attività e come fine229. Nel problema dell’alter ego vediamo perciò confluire, con una nuova caratterizzazione, il tema centrale dell’analisi genetica: rendere conto della genesi come genesi della riduzione. L’obiezione che sorge in seno alla fenomenologia riguarda la sua pretesa di “essere filosofia trascendentale e di poter quindi […] risolvere i problemi trascendentali del mondo oggettivo”230, e il rischio di solipsismo non è che un aspetto di un problema molto più
228 Sostiene Paci a tal proposito: “Sembrerebbe che l’obiezione di solipsismo fosse presentata alla
fenomenologia dall’esterno. In realtà essa è interna al ‘programma’ della fenomenologia. In questo programma io devo arrivare all’ Ego cogito. Ma all’interno dell’Ego cogito si presenta qualcosa che, pur essendo in me, mi trascende” (E. Paci, Tempo e verità, cit., p.95). Aggiungerei: nell’Ego cogito trovo l’altro come trascendenza irriducibile prima di effettuare la riduzione al proprio. L’Ego cogito, come punto di partenza dell’analisi, non va confuso con il residuo della riduzione al proprio, poiché, per poter isolare il proprio e distinguerlo dall’estraneo la differenza dev’essere “già data” come tale all’interno del campo dell’esperienza fenomenologica: “finora noi abbiamo caratterizzato solo indirettamente il concetto fondamentale dell’a-me-proprio come non-estraneità”, sostiene Husserl, “che da parte sua riposava sul concetto dell’altro e quindi lo presupponeva” (MC, V, §46). Vediamo fin da subito con evidenza, quindi, che il dominio del proprio non si identifica con quello dell’originario. Questa confusione è rintracciata ed elimitata, tra gli altri, da Bancalari (cfr. S. Bancalari, Intersoggettività e mondo della vita, cit., p.24). Da questa scorretta interpretazione, in parte giustificata dal testo stesso, sorge sia l’idea scorretta di una posteriorità dell’estraneo rispetto al proprio, sia quella opposta, altrettanto scorretta, di un valore meramente astrattivo della riduzione al proprio.
229 Nel concludere le analisi delle prime quattro meditazioni Husserl sostiene: “come può tutto questo gioco,
che si produce nell’immanenza del vivere coscienziale, ottenere significato oggettivo? Come può l’evidenza (la clare et distincta perceptio) pretendere di essere qualcosa di più di un mio carattere coscienziale?” (Ivi, p.106, corsivo mio). La filosofia sorge dalla storia ed in essa ricade. Non tematizzare l’alter-ego in quanto co- costiuente comporta, più che l’accettazione del solipsismo, la rinuncia ad un senso e ad una funzione storica della filosofia in generale e della fenomenologia in particolare. Vediamo già qui delinearsi i temi che saranno affrontati in Crisi (cfr. anche infra, cap.4, par.2).
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originario e fondamentale: rendere conto dell’oggettività come prodotto e fine di una costituzione intersoggettiva sempre già iniziata e sempre mai finita, per la quale sola può sorgere storicamente l’idea di filosofia come scienza universale.
Il retroscena genetico di queste analisi riceve ulteriore determinazione e chiarezza quando Husserl si appresta a presentare il metodo che è necessario seguire per rendere conto dell’esperienza dell’alter-ego:
Innanzitutto nell’esperienza dell’altro, così com’esso si dà direttamente quando io ne approfondisco il contenuto ontico-noematico (puramente come correlato del mio cogito, la cui struttura particolare deve ancora essere mostrata), io non ottengo che una guida trascendentale [transzendentalen Leitfaden] […]. Il senso di questa esperienza implica che gli altri non siano quasi mie formazioni sintetiche private, ma costituiscano un mondo in quanto a me estraneo, come intersoggettivo. […] Questo problema si presenta dunque a tutta prima come un problema speciale, quello dell’esserci-per-me degli altri ed è quindi il tema della teoria trascendentale dell’esperienza dell’estraneo, ossia della cosiddetta empatia. Ma subito si vede che l’importanza di una tale teoria è molto maggiore di quel che sembra a prima vista, in quanto essa parimenti fonda una teoria trascendentale del mondo oggettivo231.
Il problema dell’alterità si presenta come quello dell’analisi di una pre-datità che, per il suo senso essenziale ed immediatamente intuito non è riducibile a sintesi privata dell’ego fenomenologizzante, bensì trascende sempre la riduzione presentandosi come co-fungente nella costituzione del mondo oggettivo. La teoria trascendentale dell’esperienza dell’estraneo è quindi solo l’aspetto iniziale del problema, che fin dal suo porsi si rivela, più che come scopo ultimo dell’argomentazione, come punto di passaggio necessario per una “teoria trascendentale del mondo oggettivo”. Inoltre qui emerge esplicitamente che l’analisi statica dei modi di datità dell’alter-ego nella forma dell’intenzionalità empatica non è, nemmeno negli intenti, lo scopo dell’argomentazione, ma il presupposto, il punto di partenza senza il quale non solo non sarebbe possibile una soluzione, ma ancor più radicalmente non si porrebbe neppure il problema: se io non trovassi l’alter-ego come oggetto di una analisi statica possibile tramite riduzione nella mia esperienza
231 Ivi, §43. Il titolo del paragrafo è paradigmatico: “Die noematisch-ontische Gegebenheitsweise des Andern
als transzendentaler Leitfaden für die konstitutive Theorie der Fremderfahrung“ (Cfr. HU I, pp. 122-124). La traduzione italiana cui facciamo riferimento rende l’inizio del titolo con l’espressione “I modi ontico- noematici dell’altro“, il che è senz’altro corretto, ma elimina l’espressione tedesca “gegebenheit”, “datità”, che aiuta a rendere evidente che ciò che deve fungere qui, almeno negli intenti di Husserl, da leitfaden, è esattamente l’analisi statica dell’empatia, la quale ha quindi per principio bisogno di essere integrata da una “teoria costitutiva”, della quale ancora non ci è dato sapere molto, ma che assume già connotati che richiamano l’intento genetico di “spiegare ogni datità secondo la sua propria storia” (cfr. supra, cap.2, par. 1, §3).
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fenomenologica pura, con il suo senso già costituito, già dato, di “alter-ego irriducibile” il problema dell’alterità neppure si porrebbe, e la soggettività trascendentale non sarebbe né solipsistica né intersoggettiva, perché la separazione dei flussi monadici semplicemente non si darebbe.
Vediamo quindi con chiarezza, innanzitutto, che la Quinta meditazione non può essere ridotta a procedimento che mostra, muovendo “per assurdo”, l’impossibilità di un solipsismo e la radice intersoggettiva ineliminabile dell’ego trascendentale, poiché è esattamente questa radice intersoggettiva che deve essere spiegata e portata ad evidenza232. Comprendiamo perciò perché la critica sia stata tentata da una facile interpretazione secondo cui l’alterità è da sempre implicata nell’immanenza egologica e in questo senso l’altro è sempre già presente per l’ego fenomenologizzante, con il suo proprio modo di datità, giungendo alla conclusione secondo cui la riduzione al proprio ha il solo scopo di mostrarsi impossibile e di rivelare l’alterità come già da sempre implicata nell’ego trascendentale. Come abbiamo visto analizzando i motivi che condussero alla svolta genetica, però, che la datità di ogni regione ontologica del mondo esperito ingenuamente sia pre-data all’io desto fenomenologizzante che ha compiuto la riduzione ed è giunto ad una pura esperienza fenomenologica delle essenze è un dato che la fenomenologia genetica è chiamata a spiegare e non la soluzione che essa trova alla fine del suo percorso. Non a caso i Grundprobleme, in cui per la prima volta si tematizza il problema della pre-datità e il metodo della “doppia riduzione”, lungi dall’essere la conclusione della fenomenologia genetica, rappresentano il primo passo verso l’apertura del tema della genesi trascendentale233. Questa constatazione assume ancor più rilevanza se si considera che le lezioni del 1910 sono un punto di riferimento centrale per coloro che hanno in vari modi sostenuto la tesi di un valore “meramente astrattivo” della riduzione primordiale, e di un anacronismo sostanziale della Quinta Meditazione rispetto alle ricerche degli anni precedenti. Ad esempio Natalie Depraz sostiene che l’acquisizione principale del corso del
232 In tal senso si può sostenere che il pericolo di un circolo vizioso è realmente presente nelle Meditazioni
Cartesiane, ma non consiste affatto nel “presupporre l’alter-ego di cui essa doveva invece mostrare l’origine” (alter-ego che, in un certo senso, deve rientrare nelle pre-datità e quindi essere presupposto, almeno come senso già dato, dall’analisi). Piuttosto nel circolo vizioso si incappa proprio tentando di risolvere il problema dell’alterità trattandolo, come fanno molti interpreti, come un “non problema” ed appellandosi allo statuto già di per sé intersoggettivo dell’ego trascendentale: non è forse questo il problema e non la soluzione? Trattare il problema dell’alterità riducendolo ad una “obiezione di solipsismo” significa non comprenderne la portata e in un certo senso anche tradire la sospensione della tesi di esistenza che sta a fondamento della fenomenologia.
233 Come specificato, infatti, lo slittamento di senso che viene attuato in quel contesto per quanto riguarda il
concetto di “riduzione” e di “evidenza” è il presupposto per giungere a tematizzare l’irriducibilità della genesi e del tempo trascendente, e non rappresenta una soluzione a questi due problemi.
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1910 consista nella doppia riduzione che consente, a suo parere, di includere l’intersoggettività nella riduzione fenomenologica, e rendere immediatamente l’altro dotato del potere riducente e costituente234. Allo stesso modo Ales Bello rileva come, seguendo le
analisi dei Grundprobleme, non sia necessario “recuperare l’altro”, ma sia invece possibile “un unico movimento che conduce direttamente a me e agli altri”235.
Altro testo di riferimento per queste interpretazioni sono le lezioni del 1923/24, Erste Philosophie II, in cui è Husserl stesso, confrontando la riduzione strettamente cartesiana delineata nel 1907 con il suo superamento nel 1910, a sostenere che il vantaggio della via a partire dal concetto naturale di mondo consista nel dare “immediatamente la possibilità di includere l’intersoggettività nella riduzione”236. Ma a ben vedere lo scopo che Husserl intende perseguire in quel contesto non è affatto l’analisi della costituzione genetica dell’alter-ego e della sua funzione co-costituente. Egli vuole piuttosto mostrare che la riduzione trascendentale, se correttamente intesa, non esclude affatto la possibilità di porre in termini fenomenologici il problema dell’alterità. È in questo senso che egli critica retrospettivamente l’inaugurazione del concetto di riduzione del 1907, sostenendo che essa lasci emergere un’immagine errata della “soggettività ottenuta mediante riduzione quale ‘residuo’” e quindi come “la mia propria soggettività ‘pura’, quella dell’io fenomenologizzante”237. Questa interpretazione della riduzione impedirebbe non tanto di risolvere il problema dell’alterità, quanto piuttosto di ritrovare quel problema come tema squisitamente fenomenologico. Se la riduzione trascendentale viene intesa come riduzione della trascendenza all’immanenza isolata dell’ego fenomenologizzante il problema dell’alterità diviene pericolosamente un non problema, poiché l’unico ego di cui io posso avere esperienza fenomenologica è il mio ego privato ed isolato. Tutto ciò che non si identifica con la mia immanenza apodittica viene definitivamente perso, escluso, ridotto. Ma non è forse esattamente questo il problema che la rielaborazione del concetto di riduzione nei Grundprobleme è chiamata a risolvere? Come abbiamo visto la grande conquista di quelle lezioni consiste nel conferire dignità al ‘concetto naturale di mondo”, di “non perdere mai di vista il mondo” e non sviluppare l’illusione che esso debba essere “riconquistato” dopo essere stato perduto riduttivamente con un “salto all’ego apodittico”.
234 N. Depraz, Introduction, in E. Husserl, Sur l’intersubjectivité I, PUF, Paris 2001, pp. 7-39, in particolare
p. 31.
235 A. Ales Bello, Husserl sul problema di Dio, Studium, Roma 1985, p.37. 236 E. Husserl, Erste Philosophie, cit., p. 313.
237 E. Husserl, Erste philosophie, cit., Beilage XX: “Critica ai due gradi nei quali avevo ottenuto l’idea di
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Il mondo non viene mai perso con la riduzione: esso viene escluso nella sua fatticità per essere ritrovato nel suo senso e valore trascendentali.
Nel confrontare le Lezioni del 1907 e quelle del 1910 sul tema dell’intersoggettività l’intento di Husserl è allora mostrare che con la “doppia riduzione” il problema dell’alter- ego non viene perso, bensì assume il valore necessario affinché esso possa essere concretamente posto. Così come il tempo non può essere più ingenuamente ridotto all’attualità di un puro presente puntuale, così come l’evidenza e l’intuizione non si riducono a assoluto possesso della cosa, allo stesso modo l’alter-ego viene ritrovato con il suo senso di “irriducibile” all’interno della pura esperienza fenomenologica delle pre- datità238, esperienza che rimane per principio, a questo livello d’analisi, ancora solipsistica. Solo così diviene comprensibile l’affermazione che Husserl fa poche pagine dopo nello stesso testo:
Ora però deve intervenire una spiegazione più precisa: se la riduzione fenomenologica non è riduzione alla mia soggettività privata, bisogna però distinguere tra il mio essere e la mia vita propri […] e l’essere e la vita di tutti coloro che sono per me altri […] [Si dovrà] intraprendere nuovamente una riduzione nell’ambito dell’ego cogito239.
La riduzione intersoggettiva, lungi dal poter sostituire la riduzione primordiale del 1929, è in realtà un passo necessario affinché essa possa essere eseguita. L’ interpretazione secondo cui la doppia riduzione rende possibile un unico movimento che conduce direttamente a me e agli altri non è scorretta, ma nasconde in sé un’ingenuità pericolosa.
In effetti con la doppia riduzione che, da un lato, è riduzione nel vissuto, e dall’altro riduzione del vissuto240, e che quindi ci consegna l’alterità con il suo senso proprio senza
238 Siamo perciò profondamente d’accordo con Bancalari quando sostiene che la “doppia riduzione” dei
Grundprobleme “non è altro che la confutazione dell’idea per cui l’epochè precluderebbe in linea di principio la posizione del problema dell’intersoggettività trascendentale” e quindi rappresenta “la condizione di possibilità perché sia posta la questione dell’ambiguo statuto dell’intersoggettività dell’io che compie la riduzione primordiale”(S. Bancalari, La riduzione primordiale, cit., p.73).
239 E. Husserl, Erste philosophie II,cit., Beilage XX, pp. 436, 437.
240 È così che Husserl riassume, in una appendice a Erste philosophie II (HU VIII, Beilage XX, pp.432-439)
del 1923/24, i risultati dei Grundprobleme per quanto riguarda il rinnovamento del concetto di riduzione rispetto a quello, ancora affetto da ingenuità, presentato nel 1907 nelle lezioni su Die Idee der Phänomenologie, in cui la soggettività trascendentale ottenuta per riduzione veniva intesa come ‘residuo’ (Ivi, p.432). La doppia riduzione delle lezioni del 1910 viene li indicata come da un lato riduzione “delle presentificazioni [Vergegenwärtigung]”, che riduce la coscienza a ciò che si da nella pura attualità originaria, dall’altro riduzione “nelle presentificazioni”, che permette di reincludere nell’ambito trascendentale anche ciò che non è presente ma solo presentificato (il passato, ma anche l’alter-ego in quanto ego trascendentale e capace anch’esso di riduzione). Si tratta evidentemente di ciò che abbiamo caratterizzato come “espansione dell’immanenza”, e che Husserl stesso chiama, sempre nell’appendice XX, “Erweiterung” [“Allargamento”] ( HU VIII, p. 433).
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bisogno di ulteriori riduzioni, Husserl conquista due punti fondamentali riguardo l’intersoggettività: 1. Esiste un campo di pre-datità stabili, invarianti ed universali, sulle quali sempre si fonda ogni interpretazione personale e culturale. Un “comune campo primordiale” dal quale possono sorgere le monadi come coscienze individuali fonda la possibilità stessa di una intermonadicità; 2. Ritrovando, tra le datità stabili, l’alter-ego, raggiungiamo in maniera definitiva il suo senso originario, il senso di ego co-fungente e co-costiuente, e perciò sembra non esserci più bisogno di ricercare una radice intersoggettiva: sorte dallo stesso mare originario, le monadi costituiscono l’una nell’altra il proprio senso, poiché tutte si ritrovano in una pura esperienza fenomenologica come pre- datità stabili ed invarianti l’una per l’altra, e con il senso irriducibile di “alterità”241. La riduzione primordiale, così come l’obiezione di solipsismo che sembra muoverla, manterrebbero il loro senso solo come “esperimenti mentali” più che come veri e propri passi metodologici, poiché, come sembra, “l’ego trascendentale non è mai davvero solo, se non sul piano di una finzione metodologica”242.
Ma, come abbiamo già evidenziato, arrestare l’analisi all’originaria pre-datità delle cose, nonostante l’universalità e l’evidenza delle essenze che così vengono scoperte, significa non rendere conto della concreta temporalità della coscienza e, perciò stesso, escludere dall’analisi la funzione costituente dall’alterità. Noi, cogliendo l’originaria pre- datità dell’alter-ego, lo cogliamo senz’altro già come soggetto, ma come un soggetto la cui funzione concretamente trascendentale resta incomprensibile e, di fatto, dal punto di vista del fenomenologo, insensata.. Il suo fungere costituente ci è già dato, poiché risiede nella sua essenza intenzionale, ma questa datità si scontra con l’evidenza con cui cogliamo che, nel momento in cui si dà, l’alter-ego è un vissuto della mia coscienza intenzionale per principio ancora solipsistica. È Husserl stesso a constatare questo limite dell’analisi statica in un testo risalente al 1930, in cui analizza retrospettivamente il procedimento da lui portato avanti nella Quinta meditazione:
Worauf wird reduziert? Hier besteht eine Zweideutigkeit. Die Epochè macht zugänglich das Universum des Transzendentalen. […] haben wir also unter dem Titel des Transzendentalen zu unterscheiden: a) zwischen dem Subjekpol der transzendental erfahrenden und sonstigen Akte, überhaupt dem ganzen konkreten Leben, dessen Pol dieses Ich ist; b) und dem Reich des Transzendentalen, auch das Transzendentale der alter ego, das innerhalb dieser Konkretion –
241 Cfr. per questo Supra, cap. 1, par. 2.
242 Sono questi i termini con cui Bancalari esprime, con l’intento di criticarla, l’interpretazione complessiva
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innerhalb des konkreten ego – zur Erfahrung und Erkenntnis kommt oder kommen kann. […]. Es handelt sich jetzt nur um einen formal von uns als denkbar vorgezeichneten Unterschied. […] Am anfang weiss ich noch nichts von einem ‘konkreten ego‘ oder meiner Monade (gegenüber anderen) als einem zusammenhängenden endlos offenen Erfahrungsfeld, als