DI UNA FENOMENOLOGIA GENETICA
Come in molti hanno notato105, il tema della genesi è presente nella fenomenologia husserliana fin dall’inizio. Se nella prima fase di sviluppo della fenomenologia, almeno fino al 1910, la genesi tout court viene identificata con la genesi psicologica dell’ego empirico, e con ciò esclusa dalla fenomenologia trascendentale come ambito ad essa subordinato, tra il 1908 e il 1912 tale identificazione viene messa in questione, sebbene ancora in modo timido ed incerto106. È proprio in questi anni che, come visto, viene introdotto il concetto di monade. Sembra dunque che, mentre avvertiva l’esigenza di “concretizzare l’ego trascendentale”, Husserl stesse parallelamente riconsiderando il problema della genesi107. Sebbene intravisto già prima della pubblicazione di Idee I, il tema diviene pressante per Husserl solo intorno agli anni 1916-18108. Come nota Kern, tale sviluppo è il frutto dell’influenza della filosofia di Natorp109. Questo non deve far pensare che la tematizzazione della genesi trascendentale, la sua distinzione dalla genesi psicologica e l’elaborazione dell’idea di una autentica fenomenologia genetica rappresenti una vera e propria rivoluzione del progetto fenomenologico, causata da influenze esterne. Come sostiene Vergani: “Certamente la lettura di Dilthey, Kant e Natorp non avrebbe
105 Cfr. ad esempio J. Derrida, Il problema della genesi nella filosofia di Husserl, tr. it. di V. Costa, Jaca
Book, Milano 2016. Edizione originale: Le problème de la genèse dans la philosophie de Husserl, Presses Universitaires de France, Paris 1990, Premessa, pp.77-80; M. Vergani, Saggio introduttivo in MFSG, Parte I; A. Pugliese, op.cit., cap. IV, §§ 1, 1.2, 2.
106 Ad esempio in un manoscritto risalente al 1912, primo abbozzo delle Idee II, dal titolo “Significato del
problema della costituzione; fenomenologia ed ontologia” (cfr. Idee II, p. 496), l’ontologia viene nettamente distinta dalla fenomenologia proprio nella misura in cui, mentre la prima considera le unità come qualcosa di fisso e stabile, la fenomenologia ne indaga al genesi nel flusso costituente della soggettività trascendentale. E’ evidente che l’indagine genetica, intesa in questo senso, non è ancora rivolta alla costituzione passiva della struttura statica del mondo, bensì descrive la genesi attiva delle unità di senso in seno al flusso di una soggettività desta, e rimane, in questo senso, fenomenologia statica. Ciò nonostante il senso attribuito alla fenomenologia in questo scritto anticipa in modo evidente, perlomeno implicitamente, il problema della genesi trascendentale.
107 A tal proposito sostiene Vergani: “La monadologia rappresenta esattamente il tentativo husserliano di
reimpostare il problema della soggettività costituente trascendentale a seguito delle varie sollecitazioni provenienti dalla scoperta dell’Urgrund genetico” (M. Vergani, Saggio introduttivo, cit., pp.24, 25).
108 Vedi ad esempio il testo intitolato “Die Phänomenologischen Ursprungsprobleme. Zur Klärung des Sinnes
und der Methode der Phänomenologischen Konstitution”, in HU XIII, pp. 346-357, risalente proprio al 1916/17, in cui vengono esplicitamente distinte costituzione statica e genetica e anticipato il senso della motivazione come legge della genesi (cfr. in particolare Ivi, pp. 351,352 e 365).
109 Nel 1918 Husserl legge i saggi di Natorp Philosophie und Psychologie e Allgemeine Psychologie,
ritrovandovi la distinzione tra una descrizione statica dei fenomeni e una loro ricostruzione genetica di matrice psicologica (Cfr. I. Kern, Husserl und Kant, cit., pp.39-43). Husserl tiene poi un seminario su questi saggi nel semestre invernale 1922-23 e intrattiene un importante scambio filosofico con Natorp fino al 1924 (Cfr. E. Husserl, Briefwechsel, Materialbände I, II, III, IV, V, VIII, IX).
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potuto scuotere così a fondo l’impianto metodologico della filosofia di Husserl se non avesse sollecitato un nervo scoperto, anello debole della solida catena della fenomenologia statica”110. Si tratta ora di far emergere quale fosse il nervo scoperto della fenomenologia statica, in che senso l’analisi genetica si mostrò ad Husserl, dopo numerose esitazioni, come un’articolazione imprescindibile della sua filosofia, e successivamente, in che modo la fenomenologia genetica si connetta sia alla prima introduzione del concetto di monade, sia alla sua ripresa intorno agli anni ’20.
Innanzitutto possiamo notare che è proprio la direzione che abbiamo visto prendere alla fenomenologia nel tentativo di approfondire i problemi dell’intersoggettività, dell’originaria pre-datità, dell’unitarietà di una vita monadica concreta, ad inaugurare la direzione che condurrà Husserl a rimettere in discussione il tema della genesi111. Se da un lato ciò che abbiamo chiamato “espansione dell’immanenza”, la conseguente distinzione di cogito ed intenzionalità, l’ampliamento dei concetti di intuizione ed evidenza oltre il campo astratto di una pura presenza, permettono alla fenomenologia di non ridursi ad un elaborato solipsismo formale-trascendentale e di conferire nuova forza al famoso motto del “ritorno alle cose stesse”, dall’altro questo necessario sviluppo spalanca un abisso colmo di nuovi problemi, abisso in cui l’analisi statica rischia di sprofondare. La concretizzazione dell’ego trascendentale che abbiamo analizzato non si esaurisce con la semplice riabilitazione del concetto naturale di mondo, che risultava apparentemente escluso da una considerazione cartesiana dell’ego trascendentale come ego attuale assoluto. Sebbene la via a partire dal mondo restituisca dignità all’originaria pre-datità delle cose, e sebbene essa mostri in una pura evidenza fenomenologica che l’ego desto vive sempre nel medium di una monade in cui è già dato l’intero mondo come correlato intenzionale (e che quindi il mondo non sorge con l’esperienza desta dell’io ma è predato ad essa con tutte le sue strutture), l’analisi non ha ancora mostrato l’originaria costituzione di tale predatità, e in che modo vi si possa risalire in un’esperienza autenticamente originaria e fondante.
In altre parole, l’esperienza pura fenomenologica ci consegna una struttura stabile dell’intenzionalità come correlazione noetico-noematica ma non ci permette ancora di risalire all’origine della struttura stessa, al fungere originario della soggettività nel quale
110 Vergani, Saggio introduttivo, cit., p. 23.
111 Vergani mostra come tra il 1908 e il 1912 Husserl si dedichi a una profonda reimpostazione del proprio
pensiero, incentrata innanzitutto attorno al problema dell’autocostituzione del flusso e della temporalità, reimpostazione che anticipa la vera e propria svolta genetica che sarà attuata tra il 1916 e il 1920. In questo contesto si collocano i manoscritti dedicati alla monade che abbiamo analizzato nel primo capitolo, ma anche, appunto, le lezioni di Gottinga sul concetto naturale di mondo. È tale necessaria reimpostazione che creerà i presupposti per lo sviluppo dell’idea di una fenomenologia genetica (cfr. Vergani, Saggio introduttivo, cit., pp. 24,25).
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questo sostrato stabile dell’esperire si costituisce112. In una pura esperienza fenomenologica io indago il mondo come essenza, come eidos113. L’io stesso che colgo in questa esperienza, come io puro, soggetto di ogni cogito e di ogni intenzionalità, lo colgo come eidos-ego114, ambito di compossibilità di tutte le essenze, soggetto puro formale di ogni intenzionalità noetico-noematica. Ma, come abbiamo visto emergere da una lettura attenta dei Grundprobleme e dei manoscritti connessi, l’unitarietà del flusso di coscienza vivente ed esperiente è un’unitarietà che trascende l’ambito del predato e che si presenta piuttosto come ciò che in esso si rivela, senza costituirne un momento. Essa, prima di essere oggetto eidetico dell’esperienza fenomenologica pura, rappresenta la sua condizione di possibilità. La monade stessa, se ridotta a semplice oggetto di queste analisi statiche, risulta essere nient’altro che l’immanenza onnicomprensiva in cui il mondo si struttura come ambiente dell’io, medium della sua azione, contesto pre-dato del sorgere di ogni intenzionalità desta115. Da questo punto di vista la “via non cartesiana” di accesso alla soggettività trascendentale non ha fatto altro che presentare un nuovo problema, lungi dal
112 Come sostiene Pugliese citando Landgrebe: “se la fenomenologia si arrestasse all’opposizione tra stati di
fatto empirici e visione d’essenza che inaugura le pagine di Ideen I (1913) essa perderebbe […] la sua validità universale, perché rinuncerebbe ad indagare il campo fondamentale della vita storica, concreta dell’io: essa rimarrebbe prigioniera del paradosso di una visione fattasi volontariamente cieca” (A. Pugliese, Unicità e relazione, cit., p. 218).
113 Come Pugliese mette in evidenza, in realtà la svolta genetica non implica l’abbandono del metodo
eidetico, ma mette in risalto il suo “doppio volto” (Cfr. Pugliese, op.cit., p.219). Se per Pugliese questo attesta una profonda coerenza interna alla fenomenologia nel suo passaggio da metodo statico a metodo genetico, sotto il segno dell’intuizione eidetica, Derrida, pur non negando questa coerenza, mette in dubbio la possibilità di rendere conto della genesi limitandosi a cogliere il senso della genesi, senso che è, in quanto tale, geneticamente costituito. Tra senso della genesi e genesi del senso si instaura un abisso, abisso che non è rimarginabile riducendo la genesi alla sua essenza intuita (Derrida, Il problema della genesi, cit., passim). Tenteremo di mostrare come le due posizioni sono compatibili solo per una fenomenologia che renda conto della trascendenza radicale della genesi rispetto al suo senso, della monade rispetto all’ego, del tempo rispetto alla coscienza immanente del tempo, dell’essere rispetto all’apparire, e di come l’ identificazione assoluta dei due poli di questa originaria relazione non sia mai definitiva, ponendo il ritorno all’identità con sé della soggettività (intesa ora proprio come tensione tra origine e telos) come fine ultimo irraggiungibile. Questo aspetto, a sua volta, sarà evidenziabile solo in una fenomenologia della coscienza teleologica che non riduca il movimento teleologico al suo eidos, ma che accetti l’infinità concreta, ovvero storica, del movimento stesso. Si può dire che l’eidetica non è mai, né deve essere, superata negli sviluppi interni della fenomenologia, solo a condizione che si accetti la configurazione dell’eidos stesso come fine irraggiungibile, e cioè accettando la dialettica tra eidos e storia, trascendentale ed empirico, come insuperabile (cfr. per questo Infra, cap. 2, parte 2, §3; ma soprattutto cap.4).
114 Cfr. MC IV, §§34, 35, 36. Qui si legge: “Quando abbiamo di fronte un tipo eidetico puro, noi non ci
troviamo nell’io esistente di fatto, ma nell’unico eidos ‘ego’” (cfr. Ivi, p.97); e ancora “il fatto dell’ego trascendentale e le datità particolari di fatto della sua empiria trascendentale non hanno altro valore che di esempio di possibilità pure […] l’universale a priori, che appartiene all’ego trascendentale come tale, è una forma d’essenza che comprende in sé un’infinità di forme” (Ivi, p. 99).
115 E’ in questo senso che l’espressione “espansione dell’immanenza” conserva ancora una sua pregnanza,
nonostante, come abbiamo già notato, il nuovo senso di riduzione che le lezioni del 1910 inaugurano sembri dover superare l’idea di una riconduzione ad un’immanenza isolata. Perché questa espressione rimanga appropriata, però, la fenomenologia deve spingersi verso la fondazione originaria dell’esperienza unitaria riflessiva che si rivolge verso l’immanenza monadica stessa. In altre parole, solo la genesi monadica concreta, analizzata fenomenologicamente, può conferire all’immanenza monadica il valore di campo trascendentale apodittico, cui poi può rivolgersi una descrizione statica.
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fornirne una soluzione: l’esperienza fenomenologica pura in cui il mondo viene colto come predatità stabile non può rendere conto dell’ego trascendentale concreto, ma lo presuppone come suo soggetto:
Non potremmo intendere l’origine storica determinata delle operazioni di senso dai soggetti storici se non potessimo ripetere [Nachvollziehen] in noi queste operazioni, rivivere [Nacherleben] il sorgere delle operazioni idealizzanti dell’esperienza vitale originaria [ursprünglichen Lebenserfahrung] e compiere in noi stessi il regresso [Rückgang] dal mondo della vita, nascosto sotto il rivestimento di idee, verso l’esperienza del mondo e verso il mondo della loro originarietà [auf die urspüngliche Welterfahrung und Lebenswelt]116.
La ripresa del concetto di monade negli anni ’20 non può più essere letta come un semplice ampliamento dell’immanenza. Essa è, piuttosto, un vero e proprio superamento della riduzione come riconduzione all’immanenza chiusa alla quale giunge necessariamente una fenomenologia statica formale dell’ego trascendentale ridotto ad io puro. L’io trascendentale non è semplicemente riducibile all’eidos “ego” che trovo come soggetto stabile dell’intenzionalità desta, ma, ad un livello successivo di analisi, esso riscopre se stesso come io fungente, costituente il senso stesso dell’io, del mondo e dell’intenzionalità noetico-noematica per come essi si offrono ad una pura esperienza fenomenologica delle essenze:
Comprendiamo perciò come siamo noi stessi la soggettività che non si trova già, come nella semplice riflessione psicologica, in un mondo costituito [fertigen Welt], ma porta in sé ed esegue come operazioni possibili tutte quelle cui il mondo deve il suo essere divenuto [ihr Gewordensein]. In altre parole, nel rivelare le implicazioni intenzionali e nel ricercare come le sedimentazioni di senso che costituiscono il mondo originino dalle operazioni intenzionali, noi ci comprendiamo come soggettività trascendentale117.
La storicità, la genesi della coscienza e del mondo, è rimasta ancora esclusa dalla nostra considerazione, sebbene il primo passo, quello cioè di una riconduzione dell’esperienza predicativa in seno a quella ante-predicativa118, ci permetta di riscoprire il medium di
116 EU, p. 107. 117 Ibidem.
118 In Erfahrung und Urteil il regresso [Rückfrage] dai giudizi predicativi alle evidenze ante-predicative su
cui essi si fondano viene definito come un ritorno al “dominio della credenza passiva d’essere [passiven Seinsglauben]” e questa viene definita a sua volta come “coscienza delle pre-datità [Vorgegebenheit] dei sostrati per il giudizio”. La credenza originaria d’essere è la modalità propria e originaria della coscienza rivolta al mondo della vita ante-predicativo. Qui non siamo però ancora risaliti all’origine della credenza stessa nelle tendenze originarie della coscienza intenzionale, non abbiamo ancora rintracciato il sorgere
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azione, l’universale e invariante Lebenswelt presupposta tacitamente dal sorgere di ogni sintesi attiva.
Da questo punto di vista il rinnovamento del concetto di “riduzione” in una direzione anti-cartesiana rappresenta il primo passo della fenomenologia verso la consapevolezza della necessità di analizzare una genesi della coscienza che risulta, in ultima analisi, irriducibile, e si appresta così ad emanciparsi dalla sua reclusione nel dominio dell’empirico per essere riconsiderata nel suo senso trascendentale119. È la determinazione sempre rinnovantesi dell’atto riduttivo120 che permette alla fenomenologia di non chiudersi su se stessa, di riscoprire il volto trascendentale della genesi e infine di parlare delle due diverse direzioni della fenomenologia in termini di integrazione, approfondimento, Rückfrage: parlare di un’unica fenomenologia, un unico sforzo di radicalità, un unico intento di fondazione originaria, che si dirama nelle due direzioni della descrizione statica e della analisi genetica121.
Possiamo affidarci alle parole di Derrida per riassumere quale “nervo scoperto” della fenomenologia statica fu sollecitato dalla lettura di Natorp e dei neokantiani:
Forse una genesi mondana, psicologica o altro, si lascia mettere abbastanza facilmente fra parentesi; essa sarebbe seconda e già costituita. […] Ma nella misura in cui l’atto di questa riduzione appartiene alla sfera originariamente costituente deve, per non essere un’astrazione, un’operazione logica a partire da concetti formali, manifestarsi anche come un vissuto originario della predatità, il suo costituirsi in virtù di sintesi originarie. Il regresso [Rückfrage] non può allora arrestarsi all’esperienza originaria della Lebenswelt, poiché, lungi dall’essere una realtà autonoma, essa stessa è un costituito originario della soggettività trascendentale.
119 Come sottolinea Derrida, è il sempre rinnovato tentativo da parte di Husserl di ridefinire il concetto di
riduzione a “orientare in maniera sempre più pressante l’evoluzione della fenomenologia e determinare il momento decisivo in cui Husserl passa dalla costituzione statica alla costituzione genetica. […] La riduzione non è un dubbio scettico o un ritiro ascetico nell’immanenza vissuta. Essa conserva ciò che sospende. Essa mantiene il senso dell’oggetto di cui neutralizza l’esistenza. […] Come e perché la forma più compiuta dell’epochè in quanto riduzione della genesi ha potuto rivelarsi insufficiente ad Husserl?”(Derrida, Il problema della genesi, cit., p. 163).
120 Per la storia del concetto di riduzione cfr. Tran-Duc-Thao, Les origines de la reduction phènomènologique
chez Husserl, in “Deucalion”, 3, Parigi, 1947, e P. Ricoeur, Introduction, in Idèes directrices pour une phènomènologie et une philosophie phènomènologique pures, Gallimard, Paris 1950. Per una testimonianza dello sviluppo del concetto di riduzione in corrispondenza dell’approfondimento del problema della genesi cfr. HU XXXIV, Zur phänomenologischen Reduktion. Texte aus dem Nachlass (1926-35), hrsg. von S. Luft, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht 2002.
121 Nel manoscritto A V 3, risalente al 1933 Husserl definisce la differenza tra statica e genetica come “das
Doppelgesicht der Phänomenologie” (HU XV, pp. 613-627, “Statische und Genetische Phänomenologie. Die Heimwelt und das Verstehen der Fremde. Das Verstehen der Tiere”, in particolare p. 617), sottolineando la continuità tra i due metodi, e il rapporto di reciproca fondazione. La fenomenologia statica è priva di fondamento senza quella genetica, ma senza una fenomenologia statica saremmo privi di fili conduttori per l’analisi genetica, che si trasformerebbe in una interpretazione priva di valore universale: “è l’analisi statica a rendere possibile l’analisi genetica, […] se non si parte dalla descrizione dei Gebilde non è possibile risalire alla Bildung di tali Gebilde” (Vergani, Saggio introduttivo, cit., p. 34).
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originario. Questo vissuto è temporale […]. Lungi dall’essere ridotta o, inversamente, rivelata dalla riduzione fenomenologica, la genesi trascendentale non è ciò che, originariamente, rende possibile la riduzione stessa? Questa non sarebbe allora più il fondamento ultimo o il cominciamento assoluto del senso. Quando si pensa che da una parte tutto il senso della fenomenologia dipende dalla possibilità pura di una riduzione trascendentale come cominciamento assoluto e immotivato ma che, dall’altra parte, non solamente la riduzione non raggiunge la genesi trascendentale (e questo per essenza), ma è anche costituita da essa e appare in essa, si vede che il problema non manca di gravità122.
All’apice della via metodologica che non esclude preventivamente il mondo dallo sguardo fenomenologico, ma muove da esso per riscoprirne l’essenza invariante e apriorica, noi troviamo una temporalità che non si lascia ridurre, una trascendenza che non si lascia intenzionare. Se inizialmente l’introduzione del concetto di monade sembra essere un semplice corollario dell’analisi statica e della riduzione in senso cartesiano, la sua definizione in questi termini si rivela ben presto insufficiente: la monade non si lascia ridurre ad immanenza totalizzante e chiusa, neppure se questa immanenza viene espansa fino a comprendere in sé gli orizzonti intenzionali nella direzione del passato e del futuro, e lo sfondo co-fungente dei vissuti latenti. Essa non è una descrizione alternativa della coscienza come residuo della riduzione, dell’immanenza come campo di datità esente da ogni dubbio. L’unitarietà della vita esperiente che in essa si manifesta, non è vissuta, non è intenzionata bensì è vivente e intenzionante. La vita monadica è condizione di possibilità del ribaltamento dello sguardo fenomenologico, dell’atto riduttivo stesso, che a questo punto si deve inserire in una temporalità che gli sfugge per essenza, in una genesi che non si lascia ridurre, perché si rivela come genesi della riduzione.
Se, nel procedere a ritroso a partire dall’esperienza ingenua fino a risalire alla sua radice trascendentale, potevamo sviluppare l’illusione di una autentica risalita all’originario, in ultima analisi tale originario ci sfugge, come quell’io che è e rimane intematizzabile, quella soggettività fungente che attua il regresso stesso, quella temporalità in cui si inserisce necessariamente l’atto riduttivo. Nel momento in cui ci rendiamo conto di questa radicale separazione che si produce tra l’io e se stesso, tra l’ego fenomenologizzante e l’io trascendentale che esso tematizza123, si genera in noi la
122 J. Derrida, Il problema della genesi, cit., pp.78,79.
123 Questa separazione, che si rivelerà essere provvisoria e fittizia ad un livello successivo di analisi, è
descritta da Husserl nelle Meditazioni Cartesiane esponendo le peculiarità della riflessione trascendentale, che sta alla base dell’esperienza fenomenologica. Quando nella riflessione, mi rivolgo verso una modalità peculiare di esperienza o un modo di datità delle cose (percezione, ritenzione, protenzione), o verso l’io stesso che colgo come soggetto di quei vissuti, l’esperienza che è oggetto di riflessione “perde il suo modo
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consapevolezza di un limite imposto a priori alla nostra ricerca: non siamo usciti dal campo della coscienza come regione ontologica, non ci siamo spinti verso l’origine, ma ci siamo mantenuti inconsapevolmente sul terreno dell’analisi statica. Perfino la temporalità, l’unitarietà del flusso dei vissuti nel suo decorso temporale, la trascendenza dell’altro, che come abbiamo visto sono i problemi che muovono il tentativo delle lezioni del 1910, sono stati reintrodotti solo a condizione di perdere la loro originaria concretezza e a titolo di essenze invarianti e pre-date alla coscienza desta. La descrizione della ritenzione, della protenzione, delle presentificazioni attuali mostrano la struttura essenziale