Il livello dell'occupazione determina...
M i l i o n i di posti di l a v o r o
Livello d e l l ' o c c u p a z i o n e
... il reddito dei lavoratori...
b i l i o n i di posti di l a v o r o M i l i a r d i di d o l l a r i
...il reddito
M i l i o n i di posti d i
degli agricoltori...
l a v o r o M i l i a r d i d i dollari
Reddito netto degli agricoltori indi-pendenti più salari e stipendi dei la-voratori agricoli.
Reddito netto (dedotte le imposte) delle società azionarie, reddito netto delle altre aziende e degli indipendenti. ...e il reddito dell' industria
52 Capitolo secondo
Ma che cosa farebbe l'industriale senza noi altri? Poiché, anche se qualcuno di noi può essere egli pure industriale, noi tutti siamo clienti, con vario potere d'acquisto.
Sia grande o piccolo — sia che attenda alla sua macelleria in maniche di camicia o governi un impero industriale dal suo ufficio magnificamente arredato in uno dei piani superiori di un grattacielo di Nuova York — l'industriale ha bisogno di noi tutti. Ha bi-sogno di buoni e costanti clienti, ed ha bibi-sogno che se ne accresca continuamente il numero. Ha bisogno di un mercato che si venga sempre più allargando.
Naturalmente l'industriale guarderà all'estero per l'espan-sione del suo mercato. E deve farlo. Ma deve pure ricordarsi dei « mercati esteri » che si trovano entro i nostri propri confini. Vi è ancora abbondanza di zone poco sviluppate in casa nostra. L'ele-vamento del tenore di vita in paesi esteri vorrebbe dire nuovi mer-cati per noi; ma uguale risultato avrebbe l'elevamento del tenore di vita, poniamo, nello Stato del Mississipi o del Dakota setten-trionale, o nei quartieri di tuguri di Nuova York e di Chicago.
Ci compiacciamo nel vantare il tenore di vita americano. Ci è descritto in migliaia di avvisi pubblicitari: la linda casetta con ambienti soleggiati ed il bagno maiolicato, i bimbi che ruzzano sul prato ombroso e ben tenuto e l'automobile ferma lungo il marciapiedi. L'uomo d'affari guarda intenerito all'America come a un mercato bell'e pronto per apparecchi radio, orologi da polso e pagliericci elastici, nonché pezzi scelti di carne e dolciumi. Milioni di persone godono infatti un simile tenore di vita.
Ma nel 1940 più di un terzo dei 37 milioni di famiglie avevano redditi inferiori a 1000 dollari all'anno. Come clienti, non erano troppo buoni neanche per prodotti di prima necessità quali i ge-neri alimentari. Più di 10 milioni di famiglie avevano redditi annui che andavano da 1000 a 2000 dollari. Erano discreti clienti per i prodotti di prima necessità ed anche per le ghiacciaie meccaniche ed i vestiti da 20 dollari. È vero che assorbivano una parte enorme della nostra produzione, ma nessuna di esse era cosi buon cliente
L'interdipendenza degli elementi 53 come avrebbe dovuto esserlo. In realtà, per lo meno i tre quarti delle famiglie americane sono ancora lontane dall'essere in tutto e per tutto i clienti che dovrebbero essere.
Non potranno mai esserlo fino a quando la periodica disoc-cupazione massiccia creerà delle violente fluttuazioni nella loro capacità di acquistare i prodotti dell'industria. Per essere buoni clienti, esse devono essere clienti costanti, e per essere clienti co-stanti devono avere un'occupazione costante. È una ineluttabile reciprocanza di causa ed effetto: un unico e indissolubile mondo economico.
Durante tutto il periodo bellico noi abbiamo visto che cosa voglia veramente dire il consumo massiccio. Abbiamo prodotto una somma di beni anche maggiore di quella che potevamo sperare di produrre, e tuttavia vi sono state costanti e gravi deficienze. Perché? Non soltanto perché abbiamo inviato oltre oceano enormi riforni-menti alimentari alle nostre Forze armate ed a quelle dei nostri alleati. Non soltanto perché abbiamo contribuito ad alimentare i popoli liberati. Ma anche, ed in larghissima misura, perché mi-lioni di persone nell'interno hanno avuto danaro per comperare una maggior quantità di generi alimentari, e di qualità migliore, di quanto non avessero mai potuto permettersi prima.
I registratori di cassa delle drogherie e delle macellerie dei quartieri pili poveri hanno quotidianamente messo in evi lenza questo fatto vantaggioso.
Vi sono due modi di far danaro in affari. Il primo modo è quello di effettuare poche vendite a prezzi elevati e con larghi margini di profitto. Molti hanno avuto buon successo in questo genere di affari. Ma presto o tardi si verifica l'una o l'altra di queste due cose: o costoro sono cacciati via dalla concorrenza, oppure addivengono insieme ad accordi monopolistici al fine di eliminare la concorrenza.
L'altro modo di far danari in affari è quello che è diventato la spina dorsale della forza economica dell'America. È il modo che implica una maggior produzione a prezzi più bassi, maggiore
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efficienza e salari più elevati per una enorme massa di lavoratori. Per me, è questo il modo americano di intendere gli affari. Non v'è salario troppo alto, se il lavoratore lo merita. Anclie soli cinque centesimi di dollaro all'ora sono troppi, se il lavoratore non li merita.
Nel 1926, per esempio, il prezzo medio di una ghiacciaia mec-canica era di 400 dollari, ed in quell'anno se ne vendettero circa 200.000 unità. Ma dieci anni dopo l'industria produceva un pro-dotto molto migliore, che si vendeva al prezzo medio di soli 160 dollari, e in quell'anno essa esitò 2 milioni di ghiacciaie.
E che dire degli apparecchi radio? Ancora nel 1926, l'indu-stria vendeva 1.750.000 apparecchi al prezzo medio unitario di 54,50 dollari. E nel 1941 il totale delle unità vendute raggiungeva i 13 milioni al prezzo medio di 35 dollari. Questa cifra, beninteso, comprende cosi i modelli che si possono mettere sul tavolino da notte come i costosi apparecchi con mobile, ma comprende pure il complesso de i perfezionamenti tecnici conseguiti in quest'epoca elettronica.
Tanto per l'industria degli apparecchi radio quanto per quella delle ghiacciaie — per le automobiline le macchine per lavare e per una quantità dei più diversi prodotti — la consultazione delle statistiche rivela la stessa storia di profitti accresciuti attraverso l'incremento delle vendite a prezzi ridotti.
In conseguenza delle restrizioni dovute alla guerra si è ve-nuta accumulando una domanda di enorme entità, che alla fine del 1944 comprendeva: 11 milioni di vetture automobili, 41 mi-lioni di apparecchi radio, 1 milione di macchine per cucire, 82 milioni di orologi grandi e da tasca, 10 milioni di ghiacciaie, 6 milioni di macchine per lavare, 17 milioni di ferri da stiro elet-trici e 8 milioni di tostapane.
Siffatta accumulazione, però, rappresenta solamente la do-manda di quelle famiglie che erano già stabilite entro il nostro miglior ambiente economico, delle famiglie, cioè, con redditi su-periori ai 1500 dollari all'anno. Pertanto, qualsiasi espansione
L'interdipendenza degli elementi 55 effettiva dei mercati deve procedere da un incremento del potere d'acquisto di quelle famiglie che, prima della guerra, facevano parte dei gruppi aventi i più bassi redditi.
Prima della guerra un terzo delle famiglie di tutto il paese aveva redditi inferiori ai 1000 dollari, con una media di circa 500 dollari; il 40% aveva redditi tra i 1000 e 2000 dollari, con una media di 1400 dollari; il 17% aveva redditi tra i 2000~e 3000 dollari; e il restante 10% aveva redditi superiori ai 3000 dollari. Durante la guerra è salita l'intera scala della distribuzione dei redditi famigliari e, se questo progresso potrà essere mantenuto dopo la guerra, sarà ridotta della metà rispetto all'anteguerra la percentuale delle famiglie con redditi inferiori ai 1000 dollari, e vi sarà un grande aumento nella proporzione di quelle con redditi tra i 2000 e i 3000 dollari.
È questo un esempio dell'incremento del potere d'acquisto di cui l'industriale ha bisogno per l'espansione dei suoi mercati. È questa la tendenza ascensionale che dovremo mantenere con la continua occupazione integrale nella pace avvenire, ed è questo che farà sorgere più numerosi e migliori clienti. E con questo au-mento del reddito nazionale conseguente alla continua occupazione integrale con buoni salari, si apre per l'industriale un prospero ciclo di favorevoli possibilità.
Gli si offre la possibilità e di un più costante volume delle vendite e di più stabili profitti. Nel 1929 il totale degli utili netti (risultanti dopo deduzione delle tasse) di tutte le società per azioni fu di 7 miliardi di dollari, mentre tre anni più tardi queste stesse società ebbero una perdita netta totale di mezzo miliardo di dol-lari. Dovendo affrontare e il rischio della concorrenza e il rischio della disoccupazione massiccia, l'industriale, in passato, banchettava in previsione della futura carestia. E noi tutti sappiamo per l'espe-rienza del passato, dove siffatto comportamento ci può portare.
Questa sicurezza di più stabili profitti vuol dire, a sua volta, maggiori possibilità: di nuovi investimenti, di sviluppo di nuovi prodotti e di nuove industrie. Con l'occupazione integrale e 200
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liardi di dollari di produzione nazionale, vi sarebbe la possibilità di raddoppiare l'investimento, o l'uso annuale, dei risparmi da noi realizzati nel 1929.
L'occupazione integrale vuol dire anche maggiori possibilità per il piccolo industriale. Negli anni in cui gli affari vanno bene, il piccolo industriale può reggere di fronte al grosso; ma quando vengono tempi tristi, il grosso ha tutti i vantaggi. La storia delle depressioni del passato dà a vedere che troppo spesso il piccolo industriale si è trovato in stato di fallimento senza sua colpa.
Prima della guerra vi erano circa 3 milioni di aziende nel nostro paese, le quali impiegavano tre persone o meno, e si occu-pavano di commercio al minuto, assumevano piccoli appalti, eser-civano lavanderie, fornivano servizi per automobilisti, ecc. Le aziende di questo genere sono la spina dorsale del nostro sistema di libera iniziativa. Duratile la guerra è scomparso un mezzo mi-lione di queste aziende, a causa delle condizioni create dal periodo bellico. Ma se dovremo mantenere il nostro sistema di libera ini-ziativa, è essenziale non soltanto che venga ristabilito quel mezzo milione, ma anche che abbiamo varie centinaia di migliaia di nuove aziende di queste dimensioni. Fortunatamente, sta il fatto che la situazione creata dall'occupazione integrale darà per il 1950 a circa un altro milione di persone la possibilità di dedicarsi ad una attività economica indipendente.
La piccola azienda industriale e il podere familiare sono sempre stati e devono continuare ad essere il vivaio della libera iniziativa democratica americana. L'occupazione integrale offrirà al piccolo industriale l'occasione di cui ha bisogno; allora spet-terà a lui di profittare nel miglior modo della flessibilità, della iniziativa e dello spirito di intraprendenza che procedono dalla giovinezza.
So anch'io qualche cosa del problema di iniziare un'azienda: tanto dal punto di vista teorico dell'idea, quanto dal punto di vista pratico di procurare il capitale, di affannarsi per riuscire a pagare i salari e per onorare una cambiale. So parimenti che cosa
L'interdipendenza degli elementi 57 vuol dire aprire l'azienda in un'annata prospera, e che cosa vuol dire trovarsi, pochi anni dopo, a dover lottare per sopravvivere a tempi duri e per continuare a crescere.
A somiglianza di molti altri, io ero un piccolo uomo, che cre-deva di avere un'idea nuova, veramente una grande idea nel suo genere. Avevo « sognato » un miglior granturco da semina, e co-minciai a fare esperimenti, allevando dapprima piante di gran-turco delle stesse razze e poi incrociandole. Una volta che gli espe-rimenti ebbero dato un miglior seme ibrido, mi volsi all'applica-zione pratica dell'idea. In unione con Simon Cassady jr. progettai il primo impianto del mondo per l'essiccazione ed il trattamento del granturco da semina. Per il commercio del granturco da se-mina organizzai una società e procurai io stesso il capitale. Ciò era nel 1926. Io fui presidente e direttore della società fino a quando me ne venni a Washington nel 1933. La società possiede ora degli impianti nell'Iowa, nellTllinois, nell'Indiana e nell'Ohio, e noi vendiamo granturco da semina per 4 milioni di dollari all'anno. Ma io non fondai soltanto un'azienda, poiché ebbi parte co-spicua nell'iniziare una nuova industria. La nostra società ha adesso tre grandi concorrenti; inoltre, varie migliaia di agricoltori o pro-ducono piccole quantità di granturco da semina ibrido che ven-dono nelle rispettive località, oppure fungono da rappresentanti locali di una delle quattro società.
Questa, lo so bene, è una banale esperienza commerciale. Quale ministro del commercio, m'incontro tutti i giorni con uo-mini di affari che sarebbero in grado di comprare e rivendere la nostra società in un momento. Ne incontrai pure quando ero mi-nistro dell'agricoltura e vice-presidente, soltanto che ne incontro forse di più adesso. Comunque, la mia propria esperienza mi ha insegnato che cosa si agita nell'intimo del piccolo uomo che ha la grande idea: il piccolo uomo che attua praticamente la grande idea per trarne profitto e con ciò crea possibilità di lavoro per altri. Per molti anni ho scritto e parlato delle nuove possibilità di affari: delle possibilità di ampliare e sviluppare il nostro ambiente
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economico. Li tutti questi anni mi sono sempre domandato perché mai tanti cosiddetti pratici capitani dell'industria continuino a vivere secondo i manuali economici di un'epoca sorpassata. Mi sono do-mandato perché mai tanti di essi abbiano creduto di rafforzare le loro probabilità di sopravvivenza mediante prezzi alti, salari bassi e con volume di affari men che normale; e rimpinzandosi nei tempi prosperi per riuscire a vivere nei tempi cattivi.
È questa una negativa e non democratica filosofia degli affari. È la filosofia di coloro i quali credono che la nostra sia un'eco-nomia matura; i quali credono che i limiti del nostro ambiente economico coincidano con le nostre frontiere geografiche. Essa nega la nostra interdipendenza e le possibilità inerenti proprio a quello che ha fatto della nostra una grande nazione industriale, voglio dire: una produzione di massa per un consumo di massa. E questo in un momento in cui abbiamo appena incominciato a grattare la superficie delle nostre possibilità di consumo di massa. Se dovesse prevalere questo modo di considerare gli affari, allora l'attività economica starebbe soltanto combattendo un'a-zione di retroguardia, il che equivarrebbe a fare una continua riti-rata e ad abbandonare il campo alle forze del totalitarismo.
Ma conosco pure un buon numero di capitani d'industria, grandi e piccoli, i quali si rifiutano di ammettere questa filo-sofia della scarsità per darmi speranza e coraggio e forza nel-l'esercizio delle mie funzioni e nel compimento del mio lavoro, sia come uomo di stato e sia come cittadino privato. E noi tutti, non importa quale sia la natura del nostro lavoro, abbiamo bi-sogno di quella forza che nasce dalla reciproca stima e dai reci-proci stimoli per conseguire lo scopo. Questo libro, pertanto, è pure l'espressione della mia fede come piccolo industriale — e non soltanto come funzionario pubblico — nella filosofia dell'ab-bondanza anziché in quella della scarsità.
L'interdipendenza degli elementi 59 Che cosa significa Voccupazione integrale per Voperaio.
Sia che attenda ad un tornio verticale in una officina o che trasporti un carico su di una banchina — sia che si tratti di un minatore o di un bracciante agricolo, di un agente ferroviario o di un impiegato di società d'assicurazione, d'un trivellatore di pozzo di petrolio o del conduttore del camioncino di una lavan-deria — qualunque sia, infine, la natura della sua occupazione, l'operaio vuole e deve avere la possibilità di ottenere un lavoro di genere elevato. Egli vuole che si avveri appieno il sogno ameri-cano di una tale possibilità per tutti.
E questa possibilità egli la può avere soltanto con l'occupa-zione integrale.
Nel pieno fervore della produzione bellica, l'operaio aveva acquistato la sicurezza di poter sempre lavorare. Sapeva che, se circostanze indipendenti dalla sua volontà lo avessero privato di un posto, poteva trovarne sicuramente un altro.
Mi sono trovato frequentemente con operai in tutte le parti del paese: nelle loro officine e nelle loro case. Ho veduto i loro volti a migliaia nelle fabbriche di aeroplani e negli arsenali e nei cantieri navali. E su quei volti io ho sorpreso sguardi non soltanto di orgoglio del proprio paese, ma anche di stima della propria personalità, stima che deriva dal far bene il proprio lavoro e dal sapere che il posto sarebbe li anche il giorno seguente, il mese venturo, l'anno venturo.
Nel corso di tali visite, io ebbi spesso a ricordarmi di quella spietata accusa che udivamo così spesso soltanto pochi anni fa: « I disoccupati non vogliono lavorare », e sapevo che tale accusa non era che una scusa crudele per la mancanza di azione, una tor-tuosa difesa della incapacità o del non volere pensare in termini di occupazione integrale. Milioni di operai che erano prima senza lavoro riacquistarono la pienezza dei loro mezzi e la stima di se stessi nella prosperità dovuta alla guerra. Ma non potranno con-servarle ove la pace non sia resa altrettanto prospera quanto la
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guerra. E se le perderanno, la colpa sarà di noi altri tutti: non dei lavoratori.
Insieme con la sicurezza dell'impiego nel tempo di guerra, l'o-peraio ha pure ottenuto e maggiori tariffe salariali e maggiori paghe effettive, per quanto io sia persuaso che i salari siano cresciuti molto meno di quanto certuni vorrebbero farci credere. Nelle industrie delle munizioni i salari sono aumentati conside-revolmente e, con il molto lavoro straordinario, la paga effettiva ha spesso subito un aumento spettacoloso. Ma anche nelle industrie delle munizioni molti operai ricevono paghe effettive molto infe-riori ai 100, nonché ai 150 dollari alla settimana, intorno a cui si è fatta tanta pubblicità, mentre numerose altre industrie hanno continuato a pagare soltanto le tariffe di anteguerra piti l'aumento del 15% consentito dalla Little Steel Formula. Gli operai tessili, i produttori di gomme per automobili, gli operai delle fonderie e delle forge, i boscaioli e molte altre categorie possono aver avuto alla fine della settimana meno danaro di quanto ne avessero prima della guerra, perché il costo della vita e le imposte sono cresciuti più rapidamente dei loro salari.
Nonostante queste osservazioni, resta tuttavia il fatto che i salari e gli stipendi hanno raggiunto nel 1944 il totale di quasi 113 miliardi di dollari, contro circa 49 miliardi di dollari nel 1940. Il maggior numero di persone al lavoro, gli aumenti delle tariffe orarie di paga, il maggior lavoro straordinario pagato, le maggiori qualifiche attribuite a tanti operai: tutti questi elementi hanno contribuito per la loro parte all'aumento complessivo. Ma io voglio soprattutto sottolineare il fattore della stessa occupazione integrale. Durante la guerra milioni di operai hanno avuto per la prima volta anni di lavoro continuo con guadagni annuali crescenti. Da ciò ricaviamo, pure per la prima volta, l'idea di ciò che signifi-cherebbe per il lavoratore — e per il complesso della nostra eco-nomia — se potessimo trovare un mezzo pratico per garantire i salari su di una base annua, invece di costringere il lavoratore a vivere facendo i conti di settimana in settimana o sia pure di mese
L'interdipendenza degli elementi 6 1
in mese. Varie società di rinomanza nazionale lianno latto da al-cuni anni opera preziosa per lo sviluppo di una politica di salari annui su di una base annuale. E al giorno d'oggi è incoraggiante il fatto che in molti rami d'industria si stia discutendo, tanto da parte dei datori di lavoro quanto da parte dei lavoratori, la pos-sibilità del salario annuo.
Ciò che il lavoratore vuole avere — e ne ha bisogno — è la possibilità di sapere che può fare assegnamento su di una certa sicurezza del suo impiego, e su di un certo potere di acquisto per sé e per la propria famiglia durante tutto l'anno susseguente. La continuazione dell'occupazione integrale nel tempo di pace — te-nuto conto delle nostre esperienze del tempo di guerra — dovrebbe rendere possibile di trovare più rapidamente il mezzo di garantire il salario annuo ili tutte le industrie in cui esso sia praticamente